Tim Parks
Sale l'ondata lenta e fragorosa di diecimila voci
che intonano: Heeeeellas! Heeeeellas! Heeeeellas! Perché il nome ufficiale
della squadra è HELLAS, HELLAS VERONA. Ai piedi della curva, drappeggiato
sul parapetto dove le gradinate guardano giù verso la porta, hanno steso
uno striscione enorme, bellissimo, con la scritta HELLAS 19/=\03, cioè la
data di fondazione del club intrecciata alla scala simbolo della famiglia
degli Scaligeri, gli antichi signori di Verona.
Hellas: la patria. Tifo, una malattia. Il tifoso è un malato, soffre di
tifo per la propria squadra. Oppure è un fan, dal latino fanaticus,
adoratore di un tempio. Qualcuno ha scritto CIAO CAMPO! con la vernice
spray sul cemento del tunnel che introduce dentro lo stadio; e di fianco,
in inglese, perché tutto diventa più solenne quando è proferito in una
lingua straniera, I LOVE YOU. Come se più della squadra o del gioco fosse
il luogo che conta, questo tempio, lo stadio Bentegodi...
È un luogo di ossessioni collettive, di esaltazione. Perfino uno
spigoloso misantropo come me avverte l'innalzarsi del delirio collettivo.
Anch'io salmodio Heeeeellas, Heeeeellas, Heeeeellas sventolando la mia
bandierina di plastica...
Si solleva un cantico: "Hellas Verona, segna per noi!" Dilaga in tutta la
curva. "Hellas Verona, vinci per noi!" E' una liturgia. "Hellas Verona,
facci sognare!"...
Fra loro i tifosi si chiamano sempre butei. I butei gialloblu. Quando un
tifoso chiama gli altri, grida: "Butei!" Quando qualcuno interviene nel
dibattito sul Muro, scrive: "Butei!" E' una parola affettuosa e ironica. E
fra loro si parlano sempre nel più stretto dialetto locale, escludendo
così chiunque non sia nato in un raggio di cinquanta chilometri dalla
città...
Meno cinque minuti; meno quattro. Poi, mentre i difensori della Reggina
salgono dalla linea arretrata per fare scattare la trappola del
fuorigioco, succede qualcosa. Giuseppe Colucci intercetta il pallone, ,
alza la testa, vede l'errore. Con il piede a cucchiaio, invia il più
perfetto dei pallonetti sopra la testa dei giocatori avanzanti della
Reggina, in direzione di Cossato, che non è in fuori gioco per un niente.
Cossato vede Taibi che sta già uscendo a valanga verso di lui. Con
inattesa flemma, Super-Mike non aspetta nemmeno che la palla rimbalzi. La
corregge alta sopra le mani del portiere in uscita, evita il portiere
stesso aggirandolo ed elude il ritorno di due difensori per segnare di
testa forse il gol più sublime e classico della sua carriera. Due a uno.
Verona in A grazie al gol in trasferta.
Mortalissimo silenzio! Ha qualcosa di irreale dopo il boato permanente
degli ultimi quaranta minuti. Cossato non esulta. Non può crederci. Si
volta verso l'arbitro per controllare che il gol sia stato convalidato.
È così. È sbalordito. Poi, piccine,
insignificanti, tinnule, sento le urla lontane delle Brigate. Sul campo,
un dispettoso Gilardino si porta un dito alle labbra per zittire la Curva
della Reggina. I tifosi ululano di dolore. Segue un'enorme eruzione di
collera. Gente che si butta contro le inferiate. Pastorello si alza di
scatto dirigendosi verso gli spogliatoi, seguito dai collaboratori e dalle
guardie del corpo. Lo strepito aumenta. È un suono agonico. Da rantolo di
morte...
Come sempre quando si trova in vantaggio, il Verona perde la testa. La
Reggina crea più occasioni in duo o tre minuti che nei precedenti novanta.
Ferron compie due parate da fuoriclasse, una su un tiro proprio da due
passi. Giuro per Dio, qui e adesso, che oggi Fabrizio Ferron è uno dei più
grandi portieri di tutti i tempi. Giuro per Dio che non dirò mai più cose
poco gentili al suo riguardo. Per cinque terribili minuti è sembrato che
tra il Verona e la serie B ci fosse solo Fabrizio Ferron. Poi, finalmente,
Braschi fischia la fine...
A Villafranca, l'aeroporto di Verona, due funzionari tentano di scortarci
frettolosamente su un pullman. Sono le tre del mattino. Ma i giocatori non
vogliono sentire ragioni. Attraversano la pista di rullaggio per
abbracciare quelli che li hanno amati e odiati tutto l'anno. La polizia si
sforza di trattenere una folla enorme. Non ci riescono. I tifosi sfondano
i cordoni. Oltrepassano la dogana e le barriere del controllo passaporti.
È un enorme mischione rituale. È la comunità. Stanno cantando: "Hellas, la
mia unica fede!" Si issano sulle spalle Cossato che ha perso la camicia,
ha perso i pantaloni. Persino Pastorello viene portato in trionfo. Mi
sembra incredibile, dopo tutti quegli striscioni ostili, che i tifosi
possano accordare al Presidente un'indulgenza così plenaria. E viceversa.
Cantano: "Pastorello, portaci in Europa!" Una ragazza strilla "Martino
Melis, stupreme! Son sana!" Alla fine i giocatori, ormai a torso nudo, si
mettono in fila per i fotografi e la televisione. Sono lì in piedi, tutti
quanti a braccetto,sedici o diciassette uomini, stupiti di essere amici,
esterefatti di trovarsi eroi. Cossato, che tanto ha dovuto lottare per
avere un posto in squadra, ora è al centro del gruppo, il salvatore della
patria. Con uno smisurato senso di liberazione, tutti scandiscono:
"Reggina, Reggina, vaffanculo!"
Testo tratto da:
"Questa pazza fede"
L'Italia raccontata attraverso il calcio
di Tim Parks
Edito da:
Einaudi |