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Agricoltura, Economia rurale
Giustizia vol potenzia, intelligenzia e volontà, e si assomiglia a're delle ave .
Chi non punisce il male, comanda che si facci.
Chi piglia la biscia per la coda, quella poi lo morde.
Chi cava la fossa, questa gli ruina addosso.
Chi scalza il muro, quello gli cade addosso.
Chi taglia la pianta, quella si vendica con la sua ruina.
Al traditore la morte è vita, perché se usa lialtà non gli è creduta.
Non si po' aver ragione né minor signoria che quella di se medesimo.
Più facilmente si contasta al principio che alla fine.
Nessun consiglio è più leale che quello che si dà dalle navi che sono in pericolo.
Aspetti danno quel che si regge per giovane in consiglio.
Chi poco pensa molto erra.
Chi non raffrena la volontà colle bestie s'accompagni.
Chi non stima la vita, non la merita.
Sicome il mangiare sanza voglia fia dannoso alla salute, così lo studio sanza desiderio guasta la memoria, e no' ritiene cosa ch'ella pigli.
Non si dimanda ricchezza quella che si può perdere. La virtù è vero nostro bene ed è vero premio del suo possessore: lei non si può perdere, lei non ci abbandona, se prima la vita non ci lascia. Le robe e le esterne devizie sempre le tieni con timore, ispesso lasciano con iscorno e sbeffato il loro possessore, perdendo lor possessione.
Tal'è 'l mal che non mi noce, quale il bene che non mi giova: li giunchi che ritengono le pagliucole che l'anniegano.
Chi altri offende, sé non sicura.
La verità sola fu figliola del tempo.
La paura nasce più tosto che altra cosa.
L'uomo ha grande discorso del quale la più parte è vano e falso, li animali l'hanno piccolo ma è utile e vero; e meglio è la piccola certezza che la gran bugia.
Sempre le parole che non saddisfanno all'orecchio dello alditore li danno tedio over rincrescimento; e l'segno di ciò vedrai spesse volte tali ulditori essere copiosi di sbavigli. Adunque tu che parli dinanti a omini di cui tu cerchi benivolenzia, quando tu vedi tali prodigi di rincrescimento, abrevia il tuo parlare o tu muta ragionamento; e se tu altrementi farai, allora i' loco della desiderata grazia, tu acquisterai odio e nimicizia.
E se vòi vedere di quel che un si diletta, senza udirlo parlare, parla con lui mutando diversi ragionamenti; e quel dove tu lo vedi stare intento, sanza sbavigliamenti o storcimenti di ciglia o altre varie azione, sia certo che quella cosa di che si parla è quella di che lui si diletta, ecc.
Per lo spino, insiditoli sopra boni frutti, significa quello che per sé non era disposto a virtù, ma mediante l'aiuto del precettore dà di sé utilissime virtù.
Non si debba desiderare lo impossibile.
NOVELLE
[ La Penitenza dell'acqua ]
Trovandosi l'acqua nel superbo mare, suo elemento, le venne voglia di montare sopra l'aria, e confortata dal foco elemento, elevatosi in sottile vapore, quasi parea della sittiglieza dell'aria, e , montato in alto, giunse infra l'aria più sottile e fredda, dove fu abbandonata dal foco. E piccoli granicoli, sendo restretti, già s'uniscano e fannosi pesanti, ove cadendo la super[bia ] si converte in fuga, e cade del cielo; onde poi fu beuta dalla secca terra, dove, lungo tempo incarcerata, fè penitenzia del suo peccato.
[ La fiamma e la candela ]
Il lume, o foco incordo sopra la candela, quella consumando se consuma.
[ La vendetta del vino ]
Il vino consumato dallo imbriaco. Esso vino col bevitore si vendica.
[L'inchiostro e la carta ]
L'inchiostro displezzato per la sua nerezza dalla bianchezza della carta, la quale da quello si vide imbrattare. Vedendosi la carta tutta macchiata dalla oscura negrezza dell'inchiostro, di quello si dole; el quale mostra a essa che per le parole, ch'esso sopra lei compone, essere cagione della conservazione di quella.
[Il fuoco e l'acqua ]
Il foco contende l'acqua posta nel laveggio, dicendo che l'acqua no merita star sopra il foco, re delli elemente, e così vo' per forza di bollore cacciare l'acqua del laveggio; onde quella per farli onore d'ubbidienzia discende in basso e anniega il foco.
[ Lo specchio e la regina]
Lo specchio si groria forte tenendo dentro a sé specchiata la regina e, partita quella, lo specchio riman vile.
[Il ferro e la lima ]
Il pesante ferro si reduce in tanta sottilità mediante la lima, che piccolo vento poi lo porta via.
[La pianta, il palo e i pruni ]
La pianta si dole del palo secco e vecchio, che se l'era posto allato, e de' pruni secchi che lo circundano: l'un lo mantiene diritto, l'altro lo guarda dalle triste compagnie.
[ Il ligustro e il merlo]
I' rovistrice, sendo stimolato nelli sua sottili rami, ripieni di novelli frutti, dai pungenti artigli e becco delle importune merle, si doleva con pietoso rammarichio inverso essa merla, pregando quella che poi che lei li toglieva e sua diletti frutti, il meno nolle privassi de le foglie, le quali lo difendevano dai cocenti razzi del sole, e che coll'acute unghie non iscorticasse [e] desvestissi della sua tenera pella. A la quale la merla con villane rampogne rispose: "O taci, salvatico sterpo. Non sai che la natura t'ha fatti produrre questi frutti per mio notrimento? Non vedi che se' al mondo di tale cibo? Non sai, villano, che tu sarai innella prossima invernata notrimento e cibo del foco?" Le quali parole ascoltate dall'albero pazientemente non sanza lacrime, infra poco tempo il merlo preso dalla ragna e colti de' rami per fare gabbia per incarcerare esso merlo, toccò, infra l'altri rami, al sottile rovistrico a fare le vimini della gabbia, le quali vedendo esser causa della persa libertà del merlo, rallegratosi, mosse tale parole: "O merlo, i' son qui non ancora consumata, come dicevi, dal foco; prima vederò te prigione, che tu me brusiata.
[L'alloro, il mirto, il pero ]
Vedendo il lauro e mirto tagliare il pero, con alta voce gridarono:"O pero, ove vai tu? Ov'è la superbia che avevi quando avevi i tua maturi frutti? Ora non ci farai ombra colle tue folte chiome". Allora il pero rispose:" Io ne vo coll'agricola che mi taglia, e mi porterà alla bottega d'ottimo sculture, il quale mi farà con su' arte pigliare la forma di Giove iddio, e sarò dedicato nel tempio, e dagli omini adorato invece di Giove, e tu ti metti in punto a rimanere ispesso storpiata e pelata de' tua rami, i quali mi fieno da li omini per onorarmi posti d'intorno".
[ Il castagno e il fico]
Vedendo il castagno l'uomo sopra il fico, il quale piegava inverso sé i sua rami, e di quelli ispiccava i maturi frutti, e quali metteva nell'aperta bocca disfacendoli e disertandoli coi duri denti, crollando i lunghi rami e con temultevole mormorio disse:" O fico, quanto se' tu men di me obrigato alla natura! Vedi come in me ordinò serrati i mia dolci figlioli, prima vestiti di sottile camicia, sopra la quale è posta la dura e foderata pelle, e non contentandosi di tanto beneficarmi, ch'ell'ha fatto loro la forte abitazione, e sopra quella fondò acute e folte spine, a ciò che le mani dell'homo non mi possino nuocere". Allora il fico cominciò insieme co' sua figlioli a ridere, e ferme le risa, disse:" Conosci l'omo essere di tale ingegno, che lui ti sappi colle pertiche e pietre e sterpi, tratti infra i tua rami, farti povero de' tua frutti, e quelli caduti, peste co' piedi e co' sassi, in modo ch'e frutti tua escino stracciati e storpiati fora dell'armata casa; e io sono con diligenza tocco dalle mani, e non come te da bastoni e da sassi".
[La farfalla e la fiamma della candela ]
Non si contentando il vano e vagabondo parpaglione di potere comodamente volare per l'aria, vinto dalla dilettevole fiamma della candela, diliberò volare in quella; e 'l suo giocondo movimento fu cagione di subita tristizia; imperò che 'n detto lume si consumorono le sottile ali, e 'l parpaglione misero, caduto tutto brusato a piè del candellieri, dopo molto pianto e pentimento, si rasciugò le lagrime dai bagnati occhi, e levato il viso in alto, disse:" O falsa luce, quanti come me debbi tu avere, ne' passati tempi, avere miserabilmente ingannati. O si pure volevo vedere la luce, non dovev'io conoscere il sole dal falso lume dello spurco sevo?"
[ La noce e il campanile]
Trovandosi la noce essere dalla cornacchia portata sopra un alto campanile, e per una fessura, dove cadde, fu liberata dal mortale suo becco, pregò esso muro, per quella grazia che Dio li aveva dato dell'essere tanto eminente e magno e ricco di sì belle campane e di tanto onorevole sono, che la dovessi soccorrere; perché, poi che le non era potuta cadere sotto i verdi rami del suo vecchio padre, e essere nella grassa terra, ricoperta dalle sue cadenti foglie, che non la volessi lui abbandonare: imperò ch'ella trovandosi nel fiero becco della cornacchia, ch'ella si botò, che, scampando da essa, voleva finire la vita sua 'n un picciolo buso. Alle quali parole, il muro, mosso a compassione, fu contento ricettarla nel loco ov'era caduta. E infra poco tempo, la noce cominciò aprirsi, e mettere le radici infra le fessure delle pietre, e quelle allargare, e gittare i rami fori della sua caverna; e quegli in brieve levati sopra lo edifizio e ingrossate le ritorte radici, cominciò aprire i muri e cacciare le antiche pietre de' loro vecchi lochi. Allora il muro tardi e indarno pianse la cagione del suo danno, e, in brieve aperto, rovinò gran parte delle sua membre.
[ La scimmia e l'uccellino]
Trovando la scimia un nidio di piccioli uccelli, tutta allegra appressatasi a quelli, e quali essendo già da volare, ne potè solo pigliare il minore. Essendo piena di allegrezza, con esso in mano se n'andò al suo ricetto; e cominciato a considerare questo uccelletto, lo cominciò a baciare; e per lo isvecerato amore, tanto lo baciò e rivolse e strinse ch'ella gli tolse la vita.
È detta per quelli che, per non gastigare i figlioli, capitano male. |
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