Viaggi: India del Nord e Nepal

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8° giorno: sabato 24 marzo 2001. - K H A J U R A H O .

43. Un po’ di storia dei favolosi templi di Khajuraho. - Questa mattina, quando alle ore 9 in lasciamo l’albergo e con il pullman ci dirigiamo verso la zona dei templi, constatiamo coi nostri occhi che Khajuraho è un villaggio agricolo tanto piccolo ed insignificante che ci diventa difficile immaginare quello che ci sta dicendo la nostra guida locale, e cioè che, circa un millennio fa e per la durata di circa cinque secoli, questa sperduta località del Madhya Pradesch fu la capitale religiosa dell’India Centrale. Qui infatti, con il determinante apporto dei ricchi sovrani della dinastia Chandela, vennero costruiti molti e meravigliosi templi che costituiscono tuttora la massima testimonianza dello splendore artistico e culturale raggiunto dall’India nel periodo che corrisponde al nostro Medio Evo.
Parcheggiato il pullman in un piazzale già affollato da turisti in foggia tipicamente estiva, in pochi passi raggiungiamo l’entrata del sito monumentale che ci appare in tutto il suo splendore non appena oltrepassiamo un’orribile recinzione ed un arrugginito cancello di ferro al quale, forse per tutelare il decoro di questo luogo di fama internazionale, sono addossate decine di espositori di cartoline e varie bancarelle colme di souvenirs.

Dal verde tappeto di un prato rasato alla perfezione e disseminato da arbusti di buganvillee dai più smaglianti colori, ecco infatti balzare davanti ai nostri occhi alcuni di quei tipici monumenti religiosi del cosiddetto stile indiano "nagara" che finora ci erano noti attraverso le illustrazioni che figurano in qualsiasi pubblicazione sull’India. La panoramica di questo straordinario insieme di architetture esotiche ci colpisce e ci emoziona in modo indicibile.
Prima di iniziare la visita particolareggiata dei vari templi, notiamo che uno di essi, transennato per non subire l’assalto dei turisti, è ancora aperto al culto dei fedeli indù: lungo la scalinata che porta alla cella della divinità, pavesata da svolazzanti bandiere rosse e bianche, c’è infatti un incessante via vai di uomini e di donne che, in atteggiamento serio e raccolto, compiono le loro devozioni dopo essersi purificati nelle acque verdastri di una grande conca alla quale accedono mediante degli alti gradini di cemento.

Intanto, raccolti all’ombra di uno dei templi più antichi, la nostra guida ci racconta l’avvincente storia di queste sacre costruzioni che, come già abbiamo detto, sono legate alla dinastia dei Chandela. Apprendiamo che la costruzione di questi templi - originariamente erano 85 - segna il momento del massimo splendore (X° secolo) dei sovrani Chandela a cui segue una loro lenta decadenza dovuta sia alle prime incursioni musulmane sia alla progressiva estensione del sultanato di Delhi. La posizione di Khajuraho, lontana dalle grandi vie di comunicazioni, preservò i templi dalle consuete distruzioni operate dai vari invasori, tanto che essi, sommersi dalla giungla, caddero nell’oblio generale fino a quando non riemersero, a partire dal 1838, per iniziativa di alcuni studiosi inglesi.
E’ noto che questi templi sono universalmente celebri per le sculture erotiche, che ne decorano gli esterni, raffiguranti con dovizia di particolari rapporti sessuali di qualsiasi tipo. Gli studiosi che le hanno analizzate non sono giunti a delle conclusioni sicure circa la finalità di queste rappresentazioni anche se la più plausibile sembra essere quella che li vuole legati ai cosiddetti culti tantrici.

44. Il complesso simbolismo del Tantra . - Per una migliore comprensione delle opere architettoniche e scultoree alle quali stiamo per accostarci e per un breve ripasso del complicato simbolismo che regge il pensiero e la pratica religiosa del Tantra, riteniamo opportuno trascrivere una scheda culturale che troviamo nella Guida dell’India del Nord edita dal T.C.I.

"Tantra" è un termine abbastanza conosciuto in Occidente, essendo il tantrismo stato oggetto di una banalizzazione che indulge sugli aspetti più superficiali e appariscenti di quello che in realtà è un complesso sistema di pratiche psico-fisiche che poggia su una base di elaborate speculazioni metafisiche. Il significato del termine "tantra" è dubbio; il nome deriva da una radice sanscrita che significa stendere, riprodurre designa tanto il sistema nel suo complesso quanto i libri che illustrano – anche attraverso simbologie oscure ai non iniziati – i riti e le pratiche che gli adepti devono compiere. I culti tantrici si diffusero in India soprattutto tra il VI e il XII secolo d.C.; molti dei testi sono però di epoca più tarda (XVIII secolo).
Una caratteristica saliente del tantrismo è che esso, originato in seno al buddhismo, si diffuse in ambiti induisti e jainisti. Una delle basi della dottrina tantrica è che l’insegnamento, seppure esoterico, non deve conoscere distinzioni di sesso o di casta; tutto ciò che esiste è pura energia divina ed è solo l’uomo nella sua nescienza cosmica (avidya) ad attribuire a questa energia i connotati della divinità.
Per i vari culti tantrici, l’Assoluto manifesta tutto ciò che esiste attraverso il suo aspetto femminile, la Shakti. Assoluto (nell’induismo Shiva o meno frequentemente Vishnu) e Shakti sono tutt’uno, indissolubilmente intrecciati come le coppie di amanti che decorano le facciate dei templi di Khajuraho; tramite la Shakti, l’Assoluto si manifesta nella creazione. La Shakti simboleggiata dalla consorte del dio, ha sempre due aspetti, uno benigno ed uno terrifico: l’energia che si manifesta nella creazione è datrice di vita ma anche causa di morte. L’Assoluto scisso dalla sua energia è inerte, passivo, simboleggiato nell’iconografia dal corpo supino del dio (mahapreta ,il grande cadavere) montato dalla dea nel suo aspetto terrifico. I Tantra danno una grande preminenza al culto dell’energia femminile e creatrice del dio, rappresentata simbolicamente dalla yoni, la sacra matrice, corrispondente al lingam, il fallo del dio. Ma nel tantrismo il culto va al di là della rappresentazione simbolica e vede nella donna una venerabile manifestazione vivente della dea; la congiunzione sessuale (mithuna) è perciò un atto sacrale, che simboleggia sul piano del microcosmo il perfetto equilibrio del macrocosmo.
Il Tantra ha anche sviluppato una complessa fisiologia mistica, secondo la quale l’energia femminile primordiale è presente nell’organismo umano, nella forma di un serpente arrotolato, alla base della colonna vertebrale, la kundalini; per raggiungere l’estasi suprema il tantrika -l’adepto del Tantra – deve risvegliare questa energia attraverso complessi esercizi psico-fisici derivati dallo yoga, imprimendo alla Kundalini un moto ascendente attraverso una serie di condotti o centri sottili – nadi, canali, e chakra, ruote – fino a farla riassorbire nell’Assoluto, il principio maschile che dimora nell’ultimo chakra, il loto dai mille piedi situato alla sommità del cranio. Tradizionalmente si riconoscono due gruppi di seguaci tantrici, quelli che praticano la via della "mano destra" (dakshinacharin), di carattere più speculativo e metafisico, e quelli della "mano sinistra" (vamanacharin), iniziati che attribuiscono una grande importanza al rituale, che comporta tra l’altro un’esasperazione dell’esperienza sensoriale ordinaria tramite l’uso e l’abuso (considerato scandaloso in India) delle cosiddette "cinque M": Madya (vino), Mansa (carne), Matsya (pesce), Mudra (termine che indica sia alcune posizioni del corpo sia vari cereali tostati dotati di potere afrodisiaco) e Mithuna (unione sessuale).

45. Sensazioni ed emozioni passeggiando tra i templi dell’amore. – Muovendoci lentamente nel complesso monumentale, ammiriamo fin da lontano le alti ed intagliate torri che ornano la parte superiore di questi templi e che, richiamandosi forse alle cime della non lontana catena dell’Himalaya, ci sembrano esprimere la tensione dell’artista indù verso l’assoluto e la sua volontà di elevarsi, dal mondo materiale, verso quella liberazione totale dai vincoli terreni che gli sarà possibile solo alla conclusione di un lungo ciclo di reincarnazioni.
La nostra guida ci informa che degli 85 templi originali ne sono ora rimasti 22, quasi tutti in perfetto stato di conservazione. Sono stati realizzati con grossi blocchi di arenaria giallo bruna, ravvivata spesso da fasce rosate. Accostandoci e girando attorno ai singoli templi, siamo affascinati dalla bellezza delle sculture che fasciano gran parte della loro parte esterna. Oltre alle scene erotiche che, presentateci spesso con qualche graffiante battuta dalla nostra simpatica guida indiana, provocano delle risate sonore o a fior di labbra da parte dei componenti il nostro gruppo, scopriamo anche una grande varietà di figure che ritraggono delle incantevoli scene di vita quotidiana o delle raffigurazioni, ora serene ora terrificanti, degli esseri che popolano il ricco e multiforme mondo mitologico dell’induismo. Le figure più frequentemente rappresentate sono donne e ragazze quasi a grandezza naturale con il corpo agile, flessuoso e avvincente. Rappresentano per lo più delle creature divine, come dee o ninfe, ma anche principesse, damigelle di corte, fanciulle e ancelle incantevoli che accudiscono i figli, che suonano, che ballano, che curano l’estetica del corpo, che si ammirano vezzosamente allo specchio. Tra le tante statue che ci hanno colpito ricordiamo quelle che, con realismo e con un senso di perenne umanità, raffigurano una fanciulla che si toglie la spina da un piede e una ragazza intenta a scrivere una lettera quasi certamente indirizzata alla persona amata. In tutte notiamo la cura dei dettagli, e particolarmente dei raffinati gioielli che abbelliscono i loro corpi seminudi, oltre all’eleganza delle cornici che racchiudono i vari riquadri scultorei. Ci appare evidente che questi capolavori sono l’espressione di una società ricca, amante della raffinatezza, dei piaceri e soprattutto della gioia di vivere tanto che, pur nella diversità derivante da fattori ambientali e culturali, non ci pare del tutto azzardato stabilire un qualche collegamento con le grandi produzioni artistiche nate nel clima, altrettanto aristocratico e libero da pregiudizi, del nostro Rinascimento.

46. Alcuni particolari dei templi del gruppo occidentale. – Dedichiamo l’intera mattinata alla visita dei templi che rientrano nel cosiddetto "gruppo occidentale" che, a nostro giudizio, comprendono le costruzioni più belle ed importanti.
Precisiamo che ci è impossibile descrivere nei dettagli i singoli templi anche perché, attualmente, non siamo neppure in grado di darne un elenco completo e di precisare a quale divinità esso sia dedicato. Ci limitiamo pertanto a qualche dettaglio su alcuni di essi, a cominciare dal bellissimo tempio dedicato a Shiva, che ci è parso il più significativo tra tutti questi templi. La sua torre principale, dalle belle modanature verticali, supera i 30 metri di altezza ed è affiancata da numerose altre torri secondarie che conferiscono all’insieme uno straordinario effetto ascensionale. All’esterno corrono tre fasce sovrapposte di incantevoli sculture che descrivono l’intera galassia delle divinità indù. La guida ci informa che le statue presenti sulle pareti di questo tempio sono oltre ottocento; da parte nostra aggiungiamo che ciascuna di esse meriterebbe una descrizione particolareggiata per l’eleganza delle figure rappresentate e per la leggiadra armonia delle loro pose plastiche e realistiche.
Quasi tutti questi templi poggiano su di un’alta piattaforma che di solito è abbellita da fregi ornamentali con vari animali, e particolarmente con elefanti. L’interno, a cui si accede mediante una scalinata esterna, è composto da un vestibolo, parzialmente aperto, e da una cella quadrata, alquanto spoglia, sul fondo della quale è posta l’immagine della divinità. Questo schema architettonico è comune a tutti i tempi da noi visitati: l’unica variante che noi riusciamo ad cogliere è costituita dalla grandezza che è in relazione all’importanza della divinità a cui la costruzione è dedicata.
Anche se nostra visita si protrae per oltre due ore e mezzo, non avvertiamo né il disagio della stanchezza e neppure quella della temperatura che si sta facendo sempre più calda, tanto intensa e continua è la nostra ammirazione delle meraviglie che, durante la mattinata, passano davanti ai nostri occhi incantati.
Prima di rientrare in albergo, facciamo una sosta in un emporio per turisti dove, oltre ai soliti monili che fanno brillare gli occhi delle nostre signore, possiamo ammirare ed acquistare anche alcuni interessanti pezzi dell’artigianato e dell’antiquariato indiano.

47. Un distensivo pomeriggio nel villaggio di Khajuraho. – Per la prima volta da quando siamo in India, oggi non ci viene data fretta per la ripresa delle visite pomeridiane. I motivi sono due: il gran caldo (verso mezzogiorno il termometro segnava 38° all’ombra) ed il programma che si limita ad una distensiva passeggiata nel villaggio di Khajuraho. E così, fino alle ore 16, possiamo liberamente riposare, conversare, scrivere delle cartoline nella fresca penombra della hall o addirittura sguazzare allegramente nell’acqua tiepida della piscina dell’albergo.
Poi, con il nostro pullman arriviamo in una piazzetta dell’odierna Khajuraho che troviamo molto simile ai molti villaggi attraverso i quali siamo passati velocemente in questi giorni di viaggio. Notiamo subito le misere costruzioni nelle quali vivono frotte di persone, osserviamo le strade non asfaltate sulle quali sono presenti, senza logorarsi troppo il sistema nervoso, uomini ed animali in un clima di sonnolenta attività che crea l’atmosfera di un arcaico mondo agreste del tutto anacronistico con il terzo millennio in cui già ci troviamo a vivere.
Per non dilungarci oltre il consentito sulle tante cose, e soprattutto sulle scene di vita quotidiana, che ci colpiscono durante le circa due ore del nostro girovagare tra la case e la gente di Khajuraho, ci limitiamo dei semplici "flash" su alcune realtà per noi risultano veramente sconvolgenti.

Iniziamo da una vistosa insegna con la scritta "Clinica privata" che, almeno nella lingua inglese, ci è immediatamente comprensibile. La presenza di una struttura sanitaria in un modesto villaggio qual è Khajuraho ci dà non solo gioia ma anche di sicurezza, ma solo fino a quando non vediamo l’esterno del fabbricato in cui essa è ospitata. Questo è infatti un piccolo e cadente edificio che, almeno dal di fuori, non si differenzia minimamente dalle altre squallide casupole che gli fanno corona. Davanti all’ingresso se ne stanno sedute alcune persone: non sappiamo se sono degli operatori sanitari oppure dei degenti che stanno facendo una terapia molto particolare, quella di respirare a pieni polmoni il fetore proveniente da una fogna a cielo aperto che ristagna nelle immediate vicinanze. Tutt’intorno, per esigenze igienico - terapeutiche a noi ignote, ci sono olezzanti mucchi di letame sui quali saltellano senza mai alzare la testa delle galline magre e spennacchiate. Dopo queste ed analoghe osservazioni, ci premuriamo di informare i nostri accompagnatori che, in caso di necessità, piuttosto di "finire" in una clinica del genere, preferiamo essere trasportati "direttamente" …in riva al Gange!

Dedichiamo un secondo "flash" a tutte le persone, di ogni età e condizione sociale, che incontriamo, e delle quali osserviamo con piacere l’aspetto non meno dell’abbigliamento che portano. Ci impressiona il grandissimo numero dei giovani e dei ragazzi che constatiamo essere il gruppo sociale più numeroso in questa India che recentemente ha raggiunto e superato il traguardo del miliardo di abitanti. Ovunque vediamo tanti bambini, dagli occhi grandi e dai cappelli scuri ed arruffati; molti di loro, anche quando li vediamo correre e giocare lungo la strada, rivelano una precoce maturazione alle più dure problematiche della vita dal momento che fin da piccoli sono abituati alla fatica e alla sofferenza. Le bambine, coi loro sbrindellati vestitini sempre troppo larghi, evidenziano una corporatura minuta e gravemente carente sotto l’aspetto nutrizionale. Pensiamo che ancor più gravi devono essere le carenze affettive di molti dei bambini da strada che incontriamo durante la nostra serena passeggiata e subito, con il pensiero ed il cuore, ritorniamo tra le mura degli ospizi gestiti dalla suore di Madre Teresa di Calcutta dove abbiamo letto negli occhi di questi piccoli ed infelici nostri nipotini indiani il loro grande bisogno di tenerezza e di affetto.

Osservando il volto, il portamento ed il vestito dei maschi adulti non ci è difficile intuire a quale categoria sociale, o meglio, a quale casta, essi appartengano. In genere gli uomini attivi ed intraprendenti, come i commercianti e gli addetti ai servizi pubblici, vestono all’occidentale e rivelano una cura meticolosa del loro corpo e del loro abbigliamento. Diversa è la condizione di chi si dedica ai lavori manuali, o peggio, di chi non ha un lavoro fisso e quindi deve trovare qualche espediente per guadagnarsi qualche misera rupia. Di costoro, come già accennato, ne incontriamo a frotte ad ogni sosta del nostro pullman: tengono tra le mani la loro mercanzia da quattro soldi, ci assaltano, e non solo in senso figurato, ma fanno modestissimi affari perché sono in troppi e spesso si fanno un’assurda concorrenza tra loro. Durante l’odierno pomeriggio ne vediamo molti che gironzolano per le vie del villaggio, che masticano un’erba, non sappiamo se è una sostanza stupefacente o tossica, che li costringe a sputare rosso in continuazione.
Le donne, indipendentemente dall’attività svolta sia in casa sia fuori di essa, indossano sempre il "sari" che è il loro irrinunciabile costume nazionale. In questi giorni ne abbiamo ammirati tanti, di ogni tipo e soprattutto di ogni colore. I più ricchi di fantasia e di colore li abbiamo visti esaltare la bellezza fisica e le armoniose forme del corpo delle donne del Rajastan. Ma ovunque, anche in questo paesino di Khajuraho, scopriamo che un bel sari di seta o di cotone conferisce un aspetto distinto ed elegante anche a delle donne che accudiscono alle faccende domestiche o che fanno la spesa al mercato. In molte donne, giovani ed anziane, notiamo il vezzo di adornarsi con anelli d’argento non solo le orecchie ma anche il naso, le labbra e perfino l’ombelico che rimane una parte del corpo quasi sempre scoperta.

Concludiamo le nostre annotazioni sulla vita del villaggio dedicando alcune righe al mercatino che incontriamo in uno slargo adiacente alla via principale. Adagiati per terra, protetti solo da una stuoia o da un telo di nylon, osserviamo un po’ ovunque dei mucchietti di banane, di patate, di pomodori che sono i prodotti agricoli che maturano in questo periodo dell’anno nei campi e negli orti di questa zona dell’India. Il riso, dai chicchi molto piccoli e lucenti, è l’alimento più comune e onnipresente in questo "centro commerciale" di paese, esposto al pubblico in grosse ciotole di terracotta o in sacchetti di iuta. Gli addetti alla vendita, per lo più donne, custodiscono con cura ed occhio vigile la loro preziosa mercanzia, rimanendo per ore ed ore in una scomoda posizione di massimo ripiegamento, sulla ginocchia, in attesa di qualche acquirente. Un discorso del tutto particolare meriterebbero le bilance che vediamo sempre accanto ai prodotti in vendita e che, nel nostro mondo dalla tecnologia avanzata, potrebbero costituire dei pezzi di notevole attrazione in un museo degli strumenti usati dall’uomo per stabilire, con una notevole approssimazione, il peso dei vari corpi.

Quando, verso le 17,30 ci ritroviamo all’appuntamento nel luogo prestabilito, scambiandoci delle impressioni sulle esperienze fatte durante questa estemporanea esplorazione di Khajuraho, ci troviamo concordi nel dire che l’odierno pomeriggio è stato per tutti non solo piacevole ma anche molto importante per poter conoscere dal vivo molti ed insoliti aspetti della vita affrontata quotidianamente da oltre il 75 % degli abitanti dell’India più autentica e tradizionale che quasi mai viene inserita nei programmi turistici, l’India cioè dei villaggi agricoli.

48. Dai colori del tramonto alle mille stelle di una notte d’incanto. – Per il rientro in albergo abbiamo due possibilità: prendere posto sul traballante sedile di uno dei tanti risciò a pedali che da ore ci ronzano intorno oppure inforcare il più sicuro "cavallo di San Francesco" per una passeggiata di circa un chilometro. La maggioranza sceglie la seconda proposta anche perché nell’aria c’è già l’annuncio di un grande spettacolo: il tramonto del sole con i colori infuocati che sono un’esclusiva delle zone tropicali. E questa sera la natura sembra voler trarre dal suo repertorio i suoi numeri migliori per farci sbalordire perché l’incendio dei colori che ammiriamo nel cielo si riflette anche nell’ambiente che ci sta attorno. Quando ormai la luce ed i colori si stemperando nell’uniforme penombra del crepuscolo, ricordiamo ancora con viva emozione, l’apparizione, su di un sentiero non lontano dalla strada, di due donne che, alte ed eleganti, procedono lentamente verso chissà mai dove, portando sul capo un’anfora colma d’acqua. Mentre tentiamo di fissare con la macchina fotografica questa suggestiva scena esotica, incorniciata dall’erba della savana e dai rami delle palme, con la nostra fantasia lavoriamo fino a costruire una fantastica storia di vicende umane che ha per protagoniste queste due leggiadre figure femminili. Prima della cena, fissata come al solito, verso le 20,30, disponiamo di tempo libero non solo per una doccia e per un po’ di relax, ma anche per lo shopping in un ben fornito negozio che si trova nella hall dell’albergo. Prima di ritirarci nelle nostre camere per il riposo della notte, passeggiamo nel giardino per contemplare una miriade di stelle che in questa notte d’incanto sfavillano per noi in un cielo straordinariamente buio e terso.

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Data di pubblicazione: 12 marzo 2002

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