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7° giorno: venerdì 23 marzo 2001: AGRA
JHANSI ORCHA KHAJURAHO.
39. Alla stazione ferroviaria di
Agra Sud. La sveglia ci butta giù dal
letto alle 5,45 quando ad Agra è ancora notte fonda.
Mentre nel cielo sempre terso dellIndia si rinnova
lo spettacolo quotidiano dellalba e dellaurora
che, in un crescendo di luci preparano lo sfolgorante
ritorno del sole, noi, senza perdere un solo istante,
espletiamo le solite attività del mattino e, alle ore 7
in punto lasciamo lalbergo Sheraton per dirigerci
verso la stazione ferroviaria di Agra Sud. Con un nuovo
pullman messoci a disposizione dallorganizzazione,
vi arriviamo in circa mezzora dopo aver attraversato
alcuni settori di Agra più decorosi e vivibili rispetto
a quelli incontrati al momento del nostro primo arrivo.
Intanto, mentre Roberto si sta interessando al ritiro dei
biglietti e alla spedizione dei bagagli, noi ci guardiamo
attorno per scoprire qualche interessante aspetto della
vita che si svolge attorno ad una grande stazione
ferroviaria indiana. Nel settore del piazzale in cui ci
troviamo non cè molta animazione tanto che, a
pochi passi da noi, possiamo vedere decine di persone che
se la dormono beatamente per terra o sui marciapiedi che
stanno attorno allelegante edificio della stazione.
Ovunque scorgiamo delle mucche sacre che, stimolate dallappetito
mattutino, girano qua e là nel piazzale: ne vediamo
alcune che, con il loro muso appuntito, arrivano perfino
ad annusare, ma senza trovarvi alcunché di nutriente,
quel mucchietto di stracci che protegge i dormienti. Ci
colpiscono gli occhi avidi e le mani rapaci di un adulto
che, spinte allaccattonaggio alcune bambine gracili
e malvestite, si impossessa subito di tutto quello che
noi generosamente consegniamo loro, compresi i sacchetti
da viaggio, colmi di cibo, che avevamo ricevuto dagli
addetti della cucina dellalbergo.
Ci piace il sobrio e funzionale
edificio di questa stazione ferroviaria, di stile
coloniale ottocentesco, certamente costruita dagli
inglesi, ma "orientalizzata" da alcuni
eleganti chatri sistemati sul tetto. Allinterno,
incredibilmente pulito e ordinato, troviamo molti
viaggiatori per lo più ammassati sui larghi marciapiedi
che stanno a fianco di ogni binario. Tra la gente del
luogo, notiamo numerosi gruppi familiari che, seduti allombra
di una vecchia pensilina di ferro, aspettano da chissà
quante ore larrivo del loro treno.
Quando arriva un convoglio, non avvertiamo né la
frenesia né la ressa che sono tipiche delle nostre
stazioni ferroviarie: qui tutto si svolge con ordine e
tranquillità anche perché i passeggeri sanno sempre
disporsi nei posti giusti, naturalmente in
fila
indiana.
40. Il
nostro trasferimento ad Jhansi con il moderno Shatbadi
Express 2001. Con il gruppo veronese
Roberto ha qualche problemino in più nel metterci al
posto giusto e nel mantenerci tranquilli specialmente nel
momento in cui, in perfetto orario, alle ore 8,12,
arriva, con un grande stridio di freni, il treno "Shatbadi
Express 2001", orgoglio e vanto delle ferroviarie
indiane.
Come previsto dal nostro esperto accompagnatore, la
carrozza con i posti a noi riservati si ferma esattamente
nel punto in cui ci troviamo per cui, senza disperderci e
con estrema tranquillità, in un batter docchio, ci
troviamo già ottimamente sistemati nelle comode poltrone
che corrispondono al numero della prenotazione che
teniamo tra le mani. E quasi subito, alle 8,15 in punto,
con la precisione di un cronometro svizzero, il nostro
treno inizia a muoversi e ad inoltrarsi con crescente
velocità nel cuore di una bella e fertile pianura.
Infatti, per decine di chilometri, dal nostro finestrino
vediamo solo e sempre campagne verdeggianti ed estese
piantagioni di cereali. Poco dopo aver scavalcato un
grande fiume su di un vecchio ponte di ferro, per alcuni
chilometri il paesaggio si fa più arido ed incolto anche
esso é talora ravvivato da alti arbusti con dei
meravigliosi fiori rossi. Ma ecco ricomparire la zona
agricola, con qualche villaggio e con delle semplici case
coloniche sistemate per lo più lungo un corso dacqua.
Talora vorremmo spingere il nostro sguardo indagatore ben
oltre lo spazio consentitoci anche perché ci rendiamo
conto di trovarci in una zona agricola molto importante
per lintera economia indiana. Qui, purtroppo, non
vediamo né trattori né macchine agricole: la presenza
nei campi di molte donne ci fa capire che è già
iniziata la raccolta a mano del frumento. Ci vengono in
mente le nostre potenti mietitrebbiatrici mentre
scorgiamo gruppi di donne che, avvolte nei loro colorati
sari di cotone e piegate sul busto, avanzano lentamente
recidendo a piccoli mannelli le spighe o formando
manualmente dei minuscoli covoni.
Il nostro viaggio in treno, su di un tragitto di circa
220 chilometri, dura esattamente 2 ore e 20 minuti e si
conclude, come da programma ad Jhansi che è la fermata
più vicina al sito archeologico di Khajuraho dove
contiamo di arrivare verso sera. Intanto, con la guida di
un giovane del luogo che dà una mano a Roberto occupato
nel recupero di tutte le nostre valigie, usciamo dalla
stazione di Jhansi e raggiungiamo a piedi una vicina
piazzetta dove è parcheggiato un pullman abbastanza
moderno ma molto impolverato sia allesterno che allinterno.
Ci viene istintivo pensare che esso sia il preannuncio
della qualità delle strade che ci attendono nel Madhya
Pradesh, lo stato nel quale ora ci troviamo e attraverso
il quale dovremo compiere il nostro ultimo trasferimento
stradale in territorio indiano. Con lo spirito di
adattamento che in questi giorni stiamo imparando dagli
indigeni, siamo pronti ad accettare anche questa
esperienza, così come stiamo accettando, sotto un sole
caldissimo, il trascorrere dei minuti senza veder
comparire né Roberto né tanto meno le nostre valigie.
Come al solito, ci guardiamo attorno e subito troviamo
molte cose nuove e per noi straordinariamente
interessanti. Ci limitiamo a riferire che cosa succede in
una casupola fatta di cartoni e di lamiere, coperta solo
da un telo di cotone, ma con un suo giardinetto
delimitato da uno spago che unisce alcuni bastoni infissi
nel terreno, e che si trova proprio di fronte a noi, dallaltra
parte della strada.
Notiamo che allinterno di quello squallido "monolocale"
si trovano diverse persone; uomini, donne e bambini. Nel
loro normale andirivieni per sbrigare le attività
domestiche o forse per affacciarsi a
respirare, ne
contiamo una dozzina; ma quello che un certo momento ci
sorprende, fino a provocare una irrefrenabile risata di
stupore, è il vedere uscire anche, come dal cilindro di
un mago, una chioccia seguita da una lunga nidiata di
pulcini. Vorremmo che le sorprese continuassero magari
con la magica apparizione di un intero gregge di capre o
di una mandria di mucche, quando finalmente scorgiamo
Roberto che fa da "apripista" ad un
gruppo di facchini che, in divisa amaranto con lucenti
bottoni dorati, stanno portando verso il pullman le
nostre pesanti valigie. Vediamo che ognuno di loro,
procedendo lentamente e con evidente tensione
psicofisica, trasporta contemporaneamente tre valigie:
una è portata avanti con la mano destra mentre le altre
due, accatastate sulla testa, sono tenute in un
equilibrio dalla mano sinistra. Non sappiamo proprio come
questi uomini, veramente degni di esibirsi in un circo,
riescano a sopportare tanto peso o quantomeno a non far
cadere a terra i nostri pesanti bagagli. E così li
accogliamo con un ben meritato applauso che li riempie di
soddisfazione al pari, e forse anche di più, della lauta
mancia che Roberto, nel congedarli, consegna loro a nome
nostro.
41. Ad Orchha, tra venerabili
"sadhu" e cadenti palazzi Bundela.
Cercando di non perdere del tempo prezioso, ripartiamo
quasi subito con il nostro "incipriato"
pullman verso Orchha che, attualmente, è un villaggio di
campagna situato ad una ventina di chilometri a Sud di
Jhansi ma che un tempo, e precisamente tra il 1500 ed il
1600, fu uno dei centri religiosi più rinomati dellIndia.
Qui infatti, seconda i racconti mitologici che stanno
alla base della religione indù, si verificò una
straordinaria manifestazioni del dio Rama a seguito della
quale egli venne adorato con il titolo di " re
dei re di Orchha". Tra i grandi devoti del dio
Rama vanno annoverati i sovrani di una dinastia locale,
quella dei Bundela che, tra il XVI e XVII secolo, fecero
di Orchha una "città santa" costruendovi molti
e fastosi palazzi e templi, specialmente lungo le sacre
rive del fiume Betwa. Purtroppo questo periodo di
splendore fu di breve durata tanto che, come possiamo
constatare durante la visita di questo sonnolento
villaggio da "profondo Sud, le uniche testimonianze
di quel tempo felice ci sono date unicamente da alcuni
gurù, folcloristici custodi della sacralità del luogo,
e da molti ruderi di antiche costruzioni sul tetto delle
quali ora volteggiano gli avvoltoi o si rincorrono le
scimmie.
Camminando per vie sconnesse e polverose, ai lati delle
quali si aprono decine di bottegucce e di laboratori
artigianali del tutto fuori del nostro tempo, ci rendiamo
conto che Orchha, pur non rientrando tra le mete del
turismo di massa, è un centro affascinante e un ambiente
ideale per scoprire quella che a noi piace definire
"la vera India". Infatti, basta guardarci
intorno per fare in continuazione delle esperienze
indimenticabili: le abitazioni della gente comune, i
ruderi dei grandi monumenti, la gente che incontriamo, lambiente
fisico e naturale che ci sta attorno, tutto in questo
misero ma affascinante villaggio indiano sembra fuori del
nostro tempo per suscitare in noi delle sensazioni
fortissime e delle emozioni che ci coinvolgono in maniera
assoluta.
Seguendo le nostre Guide, arriviamo ad un antico ponte a
più campate sul greto asciutto di un braccio del fiume
Betwa che costituisce il passaggio obbligato per accedere
allimponente complesso del Forte-Palazzo di Sheesh
Mahal,. Si tratta di un gigantesco insieme di palazzi
regali che purtroppo manifestano le drammatiche
conseguenze di una trascuratezza plurisecolare. Passando
per cortili e passaggi interni, arriviamo al centro dellantica
reggia; da qui, arrampicandoci per scale di pietra che
sconsigliamo a chi soffre di vertigini, arriviamo ai
balconcini traforati dellultimo piano dai quali ci
gustiamo un vasto ed incantevole panorama su tutta la
zona circostante. Ci colpiscono particolarmente le
traforate guglie di decine di templi e di mausolei indù
che vediamo emergere qua e là tra i cespugli nelle
vicinanze del fiume e lestesa boscaglia, un tempo
forse si poteva chiamare giungla, che si distende tuttintorno.
Avvertiamo unesotica atmosfera di mistero e di
leggenda che istintivamente ci fa esclamare: "Questa
è lIndia che abbiamo sempre sognato; questo è lambiente
che coincide perfettamente con quello in cui vissero le
loro esaltanti avventure i protagonisti degli scrittori
da noi prediletti negli anni ormai lontani della nostra
adolescenza: Kipling e Salgari". E, sullonda
di queste magiche sensazioni, completiamo le nostre
visite entrando nelle stanze del mitico Jahangir Mahal,
il palazzo costruito appositamente per la visita, con
soggiorno di una sola notte, di questo imperatore moghul,
o scendendo in un sotterraneo le cui pareti, allincerta
luce della torcia elettrica della nostra guida, si
ravvivano di bellissimi affreschi con scene di serena e
sfarzosa vita della corte Bundela. Tra questi eccezionali
dipinti, ricordiamo ancora con rinnovato stupore quelli
che raffigurano episodi di caccia e momenti di giochi
infantili; ricordiamo benissimo quello dellaltalena
che ci pare un vero e proprio capolavoro per la grazia
del movimenti e per la freschezza dei colori.
Dopo un gustoso pranzo esclusivamente
vegetariano e senza bevande alcoliche, come qui
prescrivono le leggi del dio - re Rama, ci aggiriamo nel
giardino del ristorante dove si trovano molti antichi
templi indù. Come già ci era capitato durante la
mattinata, incontriamo anche dei "sadhu", i
venerati santoni che indossano vesti multicolori, che
portano al collo collane di fiori, che hanno il volto
segnato da rosse tiche e da particolari tatuaggi
che rivelano agli occhi esperti dei devoti lalto
livello del loro cammino ascetico. Indimenticabile è il
nostro incontro con il sadu che ha scelto come propria
dimora il tronco e le radici di un grosso albero posto
non lontano da uno dei citati templi, in prossimità
della piazza del villaggio. Le nostre guide ci dicono che
questi santoni, sporchi, ignoranti e talora impostori,
visitano i villaggi circostanti mendicando un po di
cibo e raccontando ai contadini qualche episodio della
vita del dio re Rama. Si sussurra che qualche
volta essi abusano del loro prestigio spirituale per
insidiare le figlie o le mogli dei loro benefattori e che
in tali circostanze essi vengono cacciati dal villaggio a
suon di legnate.
Con noi denotano un comportamento piuttosto incoerente:
infatti accettano di posare per una foto solo dopo aver
patteggiato un compenso, non in rupie ma in dollari o in
altra moneta occidentale. Pensiamo che nella loro lunga
ricerca della perfezione, in tutti i campi del vivere
umano, questi santoni sono giunti a stabilire una
gerarchia anche nel valore delle monete che servono, in
questo mondo materialista e consumistico, a vivere un po
meglio.
42. Linterminabile
trasferimento per arrivare a Khajuraho.
Riprendiamo la marcia nel primo pomeriggio quando i raggi
di un sole tropicale rendono alquanto "calde"
le nostre teste. Per fortuna laria è secca e
non cè afa: con la protezione di un paio di
occhiali scuri e, alloccorrenza, di un berrettino
di tela, non avvertiamo particolari disagi. E questa
annotazione sul tempo vale anche per tutta la durata del
nostro viaggio durante il quale beneficiamo sempre di
splendide condizioni meteorologiche e di una temperatura
calda ma non insopportabile.
Mettendoci in viaggio, i nostri accompagnatori ci
informano che lodierno trasferimento, anche se
limitato nel chilometraggio (si tratta solo di 180 km.),
si concluderà al tramonto a causa della strada stretta e
contorta, al pari di un labirinto, disegnata in questa
piatta pianura con la finalità primaria di collegare tra
loro gli sparsi villaggi agricoli.
Segnaliamo, come ci è capitato di vedere anche in altre
zone, che allinizio di molti centri abitati si
trova un caratteristico monumento, solitamente di bronzo,
raffigurante il Mahatma Gandhi, in veste di semplice
contadino indiano, che cammina sereno con lo sguardo
proteso verso una meta lontana: dietro di lui, in
dimensioni sempre più ridotte, compaiono delle figure
umane che, simbolicamente, rappresentano le diverse
categorie sociali della popolazione indiana. Ci pare che
questi monumenti, sostanzialmente uguali tra di loro ma
non retorici, abbiano essenzialmente una finalità
didattica: ricordare alla gente la grande opera di
riscatto politico e sociale avviata da Gandhi ed
invitarla a procedere, con tenacia e costanza, sulla
strada maestra aperta dal Mahatma.
Come previsto, verso le 19,30, dopo
oltre cinque ore di viaggio intervallate solo da brevi
soste tecniche, abbiamo la soddisfazione di leggere su un
cartello stradale il toponimo "Khajuraho", uno
dei luoghi più famosi al mondo a motivo dei suoi antichi
templi dellamore.
Ci sembra di esser ancora in aperta campagna quando,
appena dopo aver lasciato alle nostre spalle un monumento
di bronzo che intende rendere gloria immortale allanonimo
Maestro di scultura di Khajuraho, ci troviamo davanti al
tranquillo hotel "Holiday Inn" nel quale ci
sistemiamo bene ed in tempi assai brevi. Per il "dopocena"
ci organizziamo per una passeggiata "di gruppo"
nelle vie del centro: camminiamo per quasi un chilometro
ma, tuttintorno, non troviamo nessun indizio di
presenza umana se si eccettua quella di alcuni "addetti
al trasporto pubblico" che tenacemente ci
seguono con la speranza di farci salire sui loro
sgangherati "risciò" a pedale. Ma per noi è
troppo bello camminare e conversare con gli straordinari
amici di questa magica esperienza indiana, gustando,
assieme alle loro simpatiche battute, il fresco di una
serata esotica e lo splendore di un cielo già palpitante
di stelle luminosissime. Ad un certo momento, non vedendo
comparire il tanto sospirato centro di Khajuraho e non
sentendoci più a nostro agio in mezzo a tanto silenzio e
a tanta solitudine, rientriamo frettolosamente nel nostro
albergo dove ci attende un soffice letto per una
rilassante dormita fino allo spuntare del nuovo giorno.
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