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10° giorno: lunedì 26 marzo 2001: VARANASI KATHMANDU (NEPAL) 52. Nel buio della notte verso la "Madre Ganga". - Non è un incubo a svegliarci alle ore 4,30, nel cuore della notte, ma linsistente trillo del telefono che, un po alla volta, ci rende coscienti di avere un tempo assai ridotto rispetto alle tante cose da sbrigare prima della partenza. Quando, come degli automi, scendiamo nella hall con le nostre valigie, troviamo un po di conforto nel constatare che le facce dei nostri amici non sono meno stralunate della nostra. Recuperiamo un po di noi stessi con un caffè bollente a cui facciamo seguire una energetica colazione che ci è stata preparata in una saletta del primo piano. Alle ore 5.30 in punto lasciamo lalbergo e ci inseriamo nel traffico già intenso delle vie centrali di questa città di Varanasi che conta oltre un milione di abitanti. Ricordiamo per inciso questo suo antico nome (Benares ne è solo una storpiatura fatta dagli inglesi) è dato dai due affluenti del Gange, il Varana a nord ed il minuscolo Asi a sud che delimitano lo spazio in cui sta racchiuso il centro storico. Quando, dopo alcuni chilometri, scendiamo dal nostro veicolo, vediamo una marea umana che sta sciamando con passo svelto verso ununica direzione, quella che porta al fiume Gange. Allancora timido chiarore dellalba, notiamo che lampia strada che stiamo percorrendo è un immenso bazar già aperto nel quale i passanti ed i pellegrini possono acquistare pane, frutta e quanto può servire per i loro riti religiosi. Camminando in fretta ed in gruppo allungato, dobbiamo talora fare attenzione a non svegliare, con un involontario calcione, le numerose persone che, avvolte in qualche straccio, se la dormono beatamente sul marciapiede. In tutti noi cè un vivo senso di attesa per levento straordinario al quale stiamo per assistere e che costituisce lultimo atto del nostro emozionante viaggio in India. E, lo diciamo senza alcuna retorica, tutte le nostre attese sono ripagate pienamente dalla realtà che balza davanti ai nostri occhi quando ci troviamo su di una specie di belvedere sovrastante la grande e veramente divina Madre Ganga. (Ci piace ricordare che proprio così, e al femminile, gli indiani chiamano il loro più grande fiume, anche perché esso, come una dea provvida ed una madre generosa, assicura la vita ad oltre 500.000 persone che vivono nel suo bacino, mentre la più nota e comune denominazione di Gange è una grave scorrettezza linguistica introdotta, per loro comodità, dai soliti inglesi). 53. Il sorgere del sole mentre
scivoliamo sulle acque del Gange a Varanasi.
Mentre la pallida luce dellalba sta
gradualmente allontanando le tenebre della notte, vediamo
sotto di noi uno spettacolo grandioso e veramente
inatteso: migliaia e migliaia di persone di ogni età e
condizione sociale che stanno riempendo le estese
gradinate che portano alle sacre acque del Gange. In una specie di ampia platea poco più alta del livello delle acque, attorno a dei recinti ancora illuminati da lampioni elettrici, scorgiamo dei gruppi con striscioni e talora con chiassosi strumenti musicali: li riteniamo degli indù giunti in pellegrinaggio da chissà mai quale lontano centro del continente India. Ci sono tante altre cose che stimolano la nostra curiosa ammirazione ma dobbiamo scendere rapidamente verso un pontile dove ci attende una grossa barca che subito ci prende a bordo. Mentre cominciamo a scivolare lievemente sulle acque della "sacra Ganga", proviamo delle sensazioni straordinarie e indicibili a parole: ci sembra impossibile o irreale perfino il fatto trovarci qui, inondati della rosata luce dellaurora ed investiti dalla fresca brezza mattutina, nella posizione migliore per partecipare, assieme a tante persone che ci sono estranee sotto ogni punto di vista, ad un evento che certamente resterà inciso indelebilmente nella nostra memoria e nel nostro cuore. Mentre il cielo si incendia di colore rosso, la nostra guida ci consegna delle piccole lucerne che noi accendiamo e che quindi facciamo galleggiare sulle acque del sacro fiume. Intanto ecco il primo raggio di sole che sprizza fuori dalla linea dellorizzonte, accompagnato da un assordante boato della folla che lo saluta, lo acclama, lo ringrazia con espressioni di immensa e devota ammirazione. Lentusiasmo religioso di tutta quella calca umana che vediamo pregare ed agitarsi sui "ghat", quasi fosse diretta da un regista per un kolossal cinematografico, non conosce tregua mentre il grande disco solare si solleva alto e maestoso in un cielo di fuoco che sembra voler incendiare anche le acque del fiume. 54. Alcune straordinarie
osservazioni durante la navigazione sul Gange.
Poi con la luce diurna che rende sfavillante il
grandioso profilo di cupole, di torri, di pinnacoli, di
palazzi e di templi che incorniciano questo incantevole
settore del Gange, ci muoviamo con la grande barca
riservata al nostro gruppo per conoscere da vicino lincredibile,
ma reale, commedia umana che ha come protagonisti limmensa
folla qui radunata. Per le nostre osservazioni partiamo
dalle acque del Gange che, nonostante siano ritenute
purificatrici per le anime dei milioni di fedeli, le
troviamo orribilmente sudicie a causa dellinquinamento
prodotto dagli esseri viventi, siano essi vivi oppure
morti. E così, per quanto preventivamente informati di
possibili scene raccapriccianti, non riusciamo a
trattenere un gesto di disgusto quando, attorno al nostro
scafo, vediamo affiorare dei miseri resti di un corpo
umano, forse gettati frettolosamente nel fiume prima di
esser completamente consumati dal fuoco della pira. Nello
stesso tempo e solo a pochi metri dal punto in cui ci
troviamo, tutta la riva del Gange è affollata da schiere
di uomini e di donne di ogni età che, con molta serietà
e compostezza, si immergono e perfino bevono questacqua
che, secondo la loro fede, cancella ogni peccato ma che
per la nostra mentalità profana, opera quanto meno il
prodigio di non farli andare tutti allospedale con
il tifo o con altre gravi malattie dovute al mancato
rispetto delle più elementari norme igieniche. Ovviamente i settori del lungofiume che
ci impressionano maggiormente sono quelli nei quali
avviene la cremazione dei cadaveri. Ne possiamo vedere
due, dei quali uno assai grande ed animatissimo.
Avvicinandoci ad essi ci informano che ai turisti è
severamente proibito scattare delle foto o fare delle
riprese con le telecamere; dalla barca è possibile
comunque vedere distintamente tutte le fasi di questo
triste e per noi sconvolgente rituale. Vediamo i parenti
del morto, vestiti di bianco, poiché questo è il colore
del lutto, mentre scendono la scalinata reggendo sulle
spalle una lettiga di bambù, talora sormontata da una
semplice copertura con qualche fiore. Il cadavere,
avvolto in un semplice telo, bianco per gli uomini e
rosso per le donne, viene immerso dai parenti ed amici
nellacqua del Gange e quindi sistemato su di una
catasta di grossi ceppi di legna che arderanno per alcune
ore. I ricchi possono permettersi una catasta di legno di
sandalo profumato mentre i poveri si devono accontentare
di un misero mucchietto di legna scadente che consumerà
solo in parte il cadavere. Ma questo non costituisce uno
scempio o unoffesa per il morto perché limportante
è che quanto di esso rimane, sia cenere oppure ossa e
carne, vada a finire nelle sacre acque della madre Ganga
perché solo così è possibile raggiungere la sospirata
liberazione dal ciclo delle rinascite. Molto più gioioso e colorito è lo
spettacolo che godiamo nel settore dei "ghat"
riservato ai lavandai. Qui tutta la lunghissima gradinata
è imbandierata da migliaia di sari e da lenzuola che,
dopo essere stati purificati dalle sacre acque del Gange,
sono vengono stesi ai raggi del sole come un gran pavese. 55. Tra i vicoli della vecchia Varanasi. Mentre risaliamo lentamente gli alti gradini dei questi indimenticabili Ghat, assistiamo ad altre scene che non dimenticheremo per tutta la vita. Accenniamo a quella che vede come protagonista un vecchio sadhu, completamente nudo, in atteggiamento di ascetico distacco da tutto ciò che lo circonda, comprese le risatine che ci facciamo sotto i nostri baffi, ed allaltra nella quale, allombra delle cataste di legna che servono per le pire, vediamo un barbiere che, come segno di lutto, sta rapando le teste di alcuni uomini, parenti stretti di un morto mentre il trapassato, lasciato momentaneamente per terra nella sua barella di bambù, attende a due passi senza fretta la conclusione del "servizio tonsorio". Il quadretto è completato dalla presenza di alcuni animali, una mucca e dei cani magrissimi, che gironzolano intorno e che non disdegnano di posare un rapido bacio sul volto del ..caro estinto. Rivolto un ultimo sguardo al Gange, ora scintillante di riflessi dargento, ricolmi di esperienze e di emozioni, lasciamo i Ghat di Varanasi per tuffarci in un dedalo di vicoli stretti e nauseabondi che costituiscono la ragnatela inestricabile di questa città che, come affermano gli storici, è tra le più antiche del mondo. Non troviamo le parole adatte a descrivere il quartiere che noi attraversiamo anche perché, ad un certo punto, sentiamo un unico e struggente desiderio: quello di lasciarlo al più presto e definitivamente. Diciamo soltanto che la pavimentazione di questi budelli stradali è interamente ammantata di sterco animale e che presenta delle buche tanto ampie e profonde da poter costituire labbeveratoio ideale per le sacre mucche. I muri delle case che vi prospettano non sanno neppure che cosa sia lintonaco o la tinteggiatura: spesso vediamo dei buchi, al posto delle porte, che danno accesso a degli strani corridoi o passaggi interni che riteniamo unautentica follia il volerli esplorare. Ovunque ci imbattiamo in figure di orribili divinità, dipinte sui muri o effigiate in altarini piastrellati al momento della loro costruzione ma ora ridotti a scheggiati brandelli di macerie. Ci dicono che in questa "zona tipica" della vecchia Varanasi esistono oltre 2000 templi e santuari, per lo più nascosti, almeno agli occhi dei turisti. In questa incredibile struttura urbana, assolutamente caotica e repellente, girovaghiamo fino a raggiungere il cosiddetto Tempio dOro per via delle lamine lucenti che rivestono il suo alto pinnacolo. E uno dei luoghi più sacri per gli indù, e per questo motivo considerato il centro di Varanasi, ed è ovviamente dedicato a Shiva, il vero signore di questa città santa. Racconta infatti una leggenda che Shiva, con la potenza del suo braccio, riuscì a frenare limpeto distruttivo della dea Ganga afferrandola per i capelli quando essa dal cielo scese sulla terra per redimere le anime degli uomini. Di questo celebre tempio, cinto da mura ed interdetto ai non indù, riusciamo a vedere solo qualche elemento strutturale esterno che, forse a causa della sua ambientazione, non ci entusiasma per niente. 56. Laddio allIndia
ed il volo verso il Nepal.- Recuperato il
pullman, rientriamo velocemente al nostro confortevole
hotel Clark dove sentiamo lurgente bisogno di
purificare, mediante una doccia calda, non solo il nostro
corpo ma anche lintero abbigliamento che avevamo
indosso durante la visita di questa mattina. Ci rimane
del tempo libero che utilizziamo per chiudere la valigia
e per distenderci un po sul letto, badando però a
non lasciarci andare allallettante sonno che ci sta
tentando in modo veramente irresistibile. Alle ore 9.45
è infatti programmata la nostra definitiva partenza dallhotel
a cui segue limmediato trasferimento in pullman
verso laeroporto. 57. In un Paese insolito,
avvincente e poverissimo. Siamo ansiosi di
mettere piede sul suolo nepalese anche perché di questo
Paese, dominato dalle più alte vette del mondo,
possediamo finora delle informazioni piuttosto vaghe e
tra di loro contraddittorie. Verso le ore 15 locali (ricordiamo che la differenza oraria tra lItalia ed il Nepal è di - 4 ore e 45 minuti, quindi un quarto dora in meno rispetto allIndia), arriviamo davanti al moderno hotel Radisson Sas, dalla tipica e funzionale architettura scandinava, dove tutto è stato predisposto per un drink di benvenuto e per una rapida assegnazione delle nostre stanze dalbergo. Peccato che in esse possiamo concederci solo un breve relax. Alle ore 16 siamo infatti convocati nella hall per riprendere il pullman e dare così ufficialmente inizio alla visita del Nepal muovendo ovviamente i primi passi da Kathmandu, la sua città capitale. 58. Alla scoperta di Kathmandu. Appena lasciato lalbergo, ci rendiamo conto che esso, pur trovandosi nel cuore della moderna Kathmandu, è stato costruito in una appartata e silenziosa oasi di pace; infatti per poterci immettere sulla via principale dobbiamo percorrere delle stradine secondarie lungo le quali adocchiamo ben volentieri dei posti telefonici privati e dei simpatici negozietti pieni di quelle belle cose esotiche che tanto interessano ai turisti. Percorriamo quindi un rettilineo viale fiancheggiato da anonimi palazzi grigi nei quali lunica cosa che attira la nostra attenzioni sono le multicolori scritte pubblicitarie nellincomprensibile ma esteticamente gradevole lingua nepalese. Scendiamo nei pressi di uno slargo, dotato di un moderno cavalcavia per i pedoni. Alzandoci di alcuni metri, speriamo ma invano di scorgere allestremo orizzonte le bianche vette dellHimalaya: oggi infatti sulla città grava una cappa di smog che non solo limita la visibilità ma costringe gli addetti al controllo del traffico e molti passanti a portare una mascherina davanti alla loro bocca. Ci dicono che a Kathmandu laria è sempre inquinata e spesso addirittura irrespirabile perché essa ristagna nella conca in cui la capitale è ubicata senza possibilità di un frequente ricambio. Rivolto uno sguardo ad un vicino laghetto che qualcuno vocifera essere collegato al parco di una residenza reale, imbocchiamo una strada pedonale solo a tratti asfaltata. Qui, quasi per effetto di un arcano potere magico, ci troviamo improvvisamente e totalmente coinvolti in un affascinante ambiente esotico. Al piano terra degli edifici, vecchi, fatiscenti e decorati, quasi fossero degli alberi di Natale, da un penzolante festone di fili e di cavi elettrici, si apre una lunga teoria di vivaci bottegucce con uninfinità di prodotti, di qualità scadente ma dai colori assai vivaci, raccolti in ceste e gerle di vimini. Nellandirivieni incessante di pedoni e di risciò a pedale che affollano questa strada, osserviamo che i passanti hanno carnagione e capelli scuri, sono in prevalenza giovani e magri, indossano pratici vestiti di cotone che secondo la tradizione foggia locale ma dando ampio spazio anche a quella "casual" del mondo occidentale. Quasi tutti gli uomini portano in testa il tipico berrettino nepalese, detto "topi", dalla forma affusolata, dal tessuto damascato e dagli infiniti accostamenti dei più vivaci colori. La maggior parte delle donne indossano, secondo la tradizione, una veste lunga che scende fino ai piedi; tengono il capo scoperto per mettere in mostra dei neri e lisci capelli raccolti sulla nuca da una crocchia o da una treccia; camminano a piedi nudi o con delle misere ciabatte di plastica. Molte portano in braccio dei vispi frugoletti seminudi ma dagli occhi bellissimi ed espressivi. Tutto ciò che vediamo intorno a noi, persone, animali e cose, ci fanno chiaramente capire di trovarci in un paese povero ed arretrato; eppure i volti delle persone evidenziano non solo una rassegnazione danimo, come già abbiamo avuto modo di notare in India, ma anche una trasparente gioia di vivere che rende particolarmente luminosi i volti delle persone semplici ed attive che vivono in Nepal. Passo dopo passo, interiormente felici di fare anche questa nuova ed esaltante esperienza in un terra tanto diversa non solo dalla nostra ma anche dalla stessa India, passiamo per strade disseminate di statue di draghi e di altarini con le immagini degli dei sempre imbrattati di colore e di cibo freschi. Entriamo in cortili sacri nei quali starnazzano oche e galline ed in alcuni templi buddisti nei quali avvengono delle strane cerimonie (indimenticabile quella che ha per protagonista un giovane "sacerdote" che con dei secchi dacqua bagna tutto quello che i fedeli gli mettono accanto, guardandosi bene però dal togliere dalla vicina pagoda, di cui è il custode, le montagne di sterco prodotto da uno stormo di colombi). La nostra meta principale è la celebre e veramente incantevole Durbar Square che significa "Piazza dei Palazzi"). Questo ampio spazio, pavimentato in mattoni, è il cuore della città antica di Kathmandu: ricordiamo che qui si affacciano tutti gli edifici più importanti di questa strana capitale come, tanto per citare i più prestigiosi: il vecchio Palazzo Reale, ledificio in cui vive la Kumari, la dea bambina, decine di grandiosi templi fra i quali primeggia quello di Shiva. Questo é disposto su tre piani, ha un elegante tetto di legno a pagoda e unalta scalinata con marmoree statue di divinità e di mostri che gli fanno la guardia giorno e notte. Non siamo certo in grado di descrivere ora le molte ed incantevoli attrazioni che possiamo ammirare in questa straordinaria ed avvincente piazza anche se ricordiamo di aver partecipato a questa visita con particolare attenzione alle spiegazioni della nostra brava guida e con occhi ben aperti un po trasognati nellestatica contemplazione di tante meraviglie. Non possiamo tralasciare almeno un cenno alleccezionale abbondanza delle strutture di legno, artisticamente intagliato, che impreziosiscono le facciate di mattone di quasi tutti gli antichi palazzi nepalesi e che ne incorniciano in modo splendido le finestre ed i portali. 59. La fugace apparizione della
Kumari. Anche se in questa zona della
vecchia Kathandu ci sono tante cose interessantissime,
non vogliamo perdere loccasione per conoscere di
persona la più importante Kumari del Nepal che qui
prende i nomi di " dea vivente" oppure "incarnazione
della Dea Madre". Per questo, al momento opportuno,
seguendo le istruzioni delle nostre guide, entriamo nel
Kumari Bahal, costruito nel secolo XVIII, il cui portale
è vigilato da una bellissima coppia di leoni di pietra.
A noi, non indù, è concesso di accedere solo nel
cortile e di attendere pazientemente fino a quando la
Kumari comparirà per un solo istante alla finestra
centrale dellultimo piano. Nellattesa
apprendiamo dalla nostra guida che in Nepal, sparse in
varie località, vivono undici Kumari ma che quella di
Kathmandu è di gran lunga la più importante potendo
fregiarsi del titolo di "Kumari reale". Costei
è una bambina prepuberale che viene scelta dopo una
severa selezione fra quante, appartenenti al gruppo
etnico che diede i natali a Buddha, dimostri di possedere
i 32 requisiti fisici che devono contraddistinguere la
"dea bambina" e che inoltre goda di un oroscopo
in cui nessuna stella sia in contrasto con quella del
sovrano regnante. Se riesce a superare anche una
difficile prova per dimostrare la sua imperturbabilità
davanti a scene macabre e a rumori terrificanti, la
bambina, diventata Kumari, viene portata in questo
palazzo dove, venerata e servita da uno stuolo di addetti
al suo esclusivo servizio, vi rimarrà fino al momento in
cui, con le sue prime mestruazioni, perderà ogni sua
prerogativa divina. Verso le ore 18, con un po di rammarico perché avvertiamo la sensazione che Kathmandu avrebbe tante altre cose entusiasmanti da farci vedere, rientriamo con il pullman in albergo. Dopo un po di relax in camera ed una cena sostanzialmente leggera anche perché i cibi nepalesi non sono meno piccanti di quelli indiani, sentiamo il bisogno di abbandonarci al più presto possibile tra le morbide braccia di Morfeo, la divinità classica che elargisce ai mortali il dono prezioso del sonno. |
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