Viaggi: India del Nord e Nepal

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10° giorno: lunedì 26 marzo 2001: VARANASI – KATHMANDU (NEPAL)

52. Nel buio della notte verso la "Madre Ganga". - Non è un incubo a svegliarci alle ore 4,30, nel cuore della notte, ma l’insistente trillo del telefono che, un po’ alla volta, ci rende coscienti di avere un tempo assai ridotto rispetto alle tante cose da sbrigare prima della partenza. Quando, come degli automi, scendiamo nella hall con le nostre valigie, troviamo un po’ di conforto nel constatare che le facce dei nostri amici non sono meno stralunate della nostra. Recuperiamo un po’ di noi stessi con un caffè bollente a cui facciamo seguire una energetica colazione che ci è stata preparata in una saletta del primo piano. Alle ore 5.30 in punto lasciamo l’albergo e ci inseriamo nel traffico già intenso delle vie centrali di questa città di Varanasi che conta oltre un milione di abitanti. Ricordiamo per inciso questo suo antico nome (Benares ne è solo una storpiatura fatta dagli inglesi) è dato dai due affluenti del Gange, il Varana a nord ed il minuscolo Asi a sud che delimitano lo spazio in cui sta racchiuso il centro storico. Quando, dopo alcuni chilometri, scendiamo dal nostro veicolo, vediamo una marea umana che sta sciamando con passo svelto verso un’unica direzione, quella che porta al fiume Gange. All’ancora timido chiarore dell’alba, notiamo che l’ampia strada che stiamo percorrendo è un immenso bazar già aperto nel quale i passanti ed i pellegrini possono acquistare pane, frutta e quanto può servire per i loro riti religiosi. Camminando in fretta ed in gruppo allungato, dobbiamo talora fare attenzione a non svegliare, con un involontario calcione, le numerose persone che, avvolte in qualche straccio, se la dormono beatamente sul marciapiede. In tutti noi c’è un vivo senso di attesa per l’evento straordinario al quale stiamo per assistere e che costituisce l’ultimo atto del nostro emozionante viaggio in India. E, lo diciamo senza alcuna retorica, tutte le nostre attese sono ripagate pienamente dalla realtà che balza davanti ai nostri occhi quando ci troviamo su di una specie di belvedere sovrastante la grande e veramente divina Madre Ganga. (Ci piace ricordare che proprio così, e al femminile, gli indiani chiamano il loro più grande fiume, anche perché esso, come una dea provvida ed una madre generosa, assicura la vita ad oltre 500.000 persone che vivono nel suo bacino, mentre la più nota e comune denominazione di Gange è una grave scorrettezza linguistica introdotta, per loro comodità, dai soliti inglesi).

53. Il sorgere del sole mentre scivoliamo sulle acque del Gange a Varanasi. – Mentre la pallida luce dell’alba sta gradualmente allontanando le tenebre della notte, vediamo sotto di noi uno spettacolo grandioso e veramente inatteso: migliaia e migliaia di persone di ogni età e condizione sociale che stanno riempendo le estese gradinate che portano alle sacre acque del Gange.
Ovunque avvertiamo l’animazione ed il fervore che precede i grandi avvenimenti di massa, specialmente lungo quelle immense gradinate, dette "ghat", che ci fanno pensare ad uno di quei spettacolari movimenti di comparse in costume che hanno reso celebri gli spettacoli estivi all’Arena di Verona.

In una specie di ampia platea poco più alta del livello delle acque, attorno a dei recinti ancora illuminati da lampioni elettrici, scorgiamo dei gruppi con striscioni e talora con chiassosi strumenti musicali: li riteniamo degli indù giunti in pellegrinaggio da chissà mai quale lontano centro del continente India. Ci sono tante altre cose che stimolano la nostra curiosa ammirazione ma dobbiamo scendere rapidamente verso un pontile dove ci attende una grossa barca che subito ci prende a bordo. Mentre cominciamo a scivolare lievemente sulle acque della "sacra Ganga", proviamo delle sensazioni straordinarie e indicibili a parole: ci sembra impossibile o irreale perfino il fatto trovarci qui, inondati della rosata luce dell’aurora ed investiti dalla fresca brezza mattutina, nella posizione migliore per partecipare, assieme a tante persone che ci sono estranee sotto ogni punto di vista, ad un evento che certamente resterà inciso indelebilmente nella nostra memoria e nel nostro cuore. Mentre il cielo si incendia di colore rosso, la nostra guida ci consegna delle piccole lucerne che noi accendiamo e che quindi facciamo galleggiare sulle acque del sacro fiume. Intanto ecco il primo raggio di sole che sprizza fuori dalla linea dell’orizzonte, accompagnato da un assordante boato della folla che lo saluta, lo acclama, lo ringrazia con espressioni di immensa e devota ammirazione. L’entusiasmo religioso di tutta quella calca umana che vediamo pregare ed agitarsi sui "ghat", quasi fosse diretta da un regista per un kolossal cinematografico, non conosce tregua mentre il grande disco solare si solleva alto e maestoso in un cielo di fuoco che sembra voler incendiare anche le acque del fiume.

54. Alcune straordinarie osservazioni durante la navigazione sul Gange. – Poi con la luce diurna che rende sfavillante il grandioso profilo di cupole, di torri, di pinnacoli, di palazzi e di templi che incorniciano questo incantevole settore del Gange, ci muoviamo con la grande barca riservata al nostro gruppo per conoscere da vicino l’incredibile, ma reale, commedia umana che ha come protagonisti l’immensa folla qui radunata. Per le nostre osservazioni partiamo dalle acque del Gange che, nonostante siano ritenute purificatrici per le anime dei milioni di fedeli, le troviamo orribilmente sudicie a causa dell’inquinamento prodotto dagli esseri viventi, siano essi vivi oppure morti. E così, per quanto preventivamente informati di possibili scene raccapriccianti, non riusciamo a trattenere un gesto di disgusto quando, attorno al nostro scafo, vediamo affiorare dei miseri resti di un corpo umano, forse gettati frettolosamente nel fiume prima di esser completamente consumati dal fuoco della pira. Nello stesso tempo e solo a pochi metri dal punto in cui ci troviamo, tutta la riva del Gange è affollata da schiere di uomini e di donne di ogni età che, con molta serietà e compostezza, si immergono e perfino bevono quest’acqua che, secondo la loro fede, cancella ogni peccato ma che per la nostra mentalità profana, opera quanto meno il prodigio di non farli andare tutti all’ospedale con il tifo o con altre gravi malattie dovute al mancato rispetto delle più elementari norme igieniche.
Vediamo ovunque, lungo i "ghat" di questa riva occidentale del fiume che si allungano per circa sette chilometri, molti uomini assorti in meditazione o intenti ad eseguire degli esercizi di yoga; tante donne in atteggiamento di preghiera assieme ai loro bambini; numerosi commercianti che fanno i loro affari e soprattutto un numeroso grandissimo di vecchi, di mendicanti e di lebbrosi che girano tra la folla con la speranza di trovare qualcosa per vivere, almeno per oggi.

Ovviamente i settori del lungofiume che ci impressionano maggiormente sono quelli nei quali avviene la cremazione dei cadaveri. Ne possiamo vedere due, dei quali uno assai grande ed animatissimo. Avvicinandoci ad essi ci informano che ai turisti è severamente proibito scattare delle foto o fare delle riprese con le telecamere; dalla barca è possibile comunque vedere distintamente tutte le fasi di questo triste e per noi sconvolgente rituale. Vediamo i parenti del morto, vestiti di bianco, poiché questo è il colore del lutto, mentre scendono la scalinata reggendo sulle spalle una lettiga di bambù, talora sormontata da una semplice copertura con qualche fiore. Il cadavere, avvolto in un semplice telo, bianco per gli uomini e rosso per le donne, viene immerso dai parenti ed amici nell’acqua del Gange e quindi sistemato su di una catasta di grossi ceppi di legna che arderanno per alcune ore. I ricchi possono permettersi una catasta di legno di sandalo profumato mentre i poveri si devono accontentare di un misero mucchietto di legna scadente che consumerà solo in parte il cadavere. Ma questo non costituisce uno scempio o un’offesa per il morto perché l’importante è che quanto di esso rimane, sia cenere oppure ossa e carne, vada a finire nelle sacre acque della madre Ganga perché solo così è possibile raggiungere la sospirata liberazione dal ciclo delle rinascite.
Lo scenario di fuoco e di fumo che ci sta davanti è per noi veramente raccapricciante ed infernale mentre esso sembra dare conforto e serenità ai parenti che formano dei capannelli e alle mucche sacre che girano intorno per brucare il verde delle corone floreali.

Molto più gioioso e colorito è lo spettacolo che godiamo nel settore dei "ghat" riservato ai lavandai. Qui tutta la lunghissima gradinata è imbandierata da migliaia di sari e da lenzuola che, dopo essere stati purificati dalle sacre acque del Gange, sono vengono stesi ai raggi del sole come un gran pavese.
Doppiato il nostro eccezionale giro dei Ghat di Varanasi sulla barca …di Caronte, arriviamo al pontile dal quale eravamo partiti e scendiamo a terra. Trovandoci ancora in mezzo a tanta gente che prega e che con grande serietà compie gesti di fede, ci torna alla mente un pensiero di Mark Twain che ci sembra adatto a sintetizzare quanto abbiamo visto questa mattina in riva al Gange, e cioè che in fatto di religione tutti i popoli della terra sono estremamente poveri mentre i soli e veri ricchi sono gli indiani.

55. Tra i vicoli della vecchia Varanasi. – Mentre risaliamo lentamente gli alti gradini dei questi indimenticabili Ghat, assistiamo ad altre scene che non dimenticheremo per tutta la vita. Accenniamo a quella che vede come protagonista un vecchio sadhu, completamente nudo, in atteggiamento di ascetico distacco da tutto ciò che lo circonda, comprese le risatine che ci facciamo sotto i nostri baffi, ed all’altra nella quale, all’ombra delle cataste di legna che servono per le pire, vediamo un barbiere che, come segno di lutto, sta rapando le teste di alcuni uomini, parenti stretti di un morto mentre il trapassato, lasciato momentaneamente per terra nella sua barella di bambù, attende a due passi senza fretta la conclusione del "servizio tonsorio". Il quadretto è completato dalla presenza di alcuni animali, una mucca e dei cani magrissimi, che gironzolano intorno e che non disdegnano di posare un rapido bacio sul volto del ..caro estinto. Rivolto un ultimo sguardo al Gange, ora scintillante di riflessi d’argento, ricolmi di esperienze e di emozioni, lasciamo i Ghat di Varanasi per tuffarci in un dedalo di vicoli stretti e nauseabondi che costituiscono la ragnatela inestricabile di questa città che, come affermano gli storici, è tra le più antiche del mondo. Non troviamo le parole adatte a descrivere il quartiere che noi attraversiamo anche perché, ad un certo punto, sentiamo un unico e struggente desiderio: quello di lasciarlo al più presto e definitivamente. Diciamo soltanto che la pavimentazione di questi budelli stradali è interamente ammantata di sterco animale e che presenta delle buche tanto ampie e profonde da poter costituire l’abbeveratoio ideale per le sacre mucche. I muri delle case che vi prospettano non sanno neppure che cosa sia l’intonaco o la tinteggiatura: spesso vediamo dei buchi, al posto delle porte, che danno accesso a degli strani corridoi o passaggi interni che riteniamo un’autentica follia il volerli esplorare. Ovunque ci imbattiamo in figure di orribili divinità, dipinte sui muri o effigiate in altarini piastrellati al momento della loro costruzione ma ora ridotti a scheggiati brandelli di macerie. Ci dicono che in questa "zona tipica" della vecchia Varanasi esistono oltre 2000 templi e santuari, per lo più nascosti, almeno agli occhi dei turisti. In questa incredibile struttura urbana, assolutamente caotica e repellente, girovaghiamo fino a raggiungere il cosiddetto Tempio d’Oro per via delle lamine lucenti che rivestono il suo alto pinnacolo. E’ uno dei luoghi più sacri per gli indù, e per questo motivo considerato il centro di Varanasi, ed è ovviamente dedicato a Shiva, il vero signore di questa città santa. Racconta infatti una leggenda che Shiva, con la potenza del suo braccio, riuscì a frenare l’impeto distruttivo della dea Ganga afferrandola per i capelli quando essa dal cielo scese sulla terra per redimere le anime degli uomini. Di questo celebre tempio, cinto da mura ed interdetto ai non indù, riusciamo a vedere solo qualche elemento strutturale esterno che, forse a causa della sua ambientazione, non ci entusiasma per niente.

56. L’addio all’India ed il volo verso il Nepal.- Recuperato il pullman, rientriamo velocemente al nostro confortevole hotel Clark dove sentiamo l’urgente bisogno di purificare, mediante una doccia calda, non solo il nostro corpo ma anche l’intero abbigliamento che avevamo indosso durante la visita di questa mattina. Ci rimane del tempo libero che utilizziamo per chiudere la valigia e per distenderci un po’ sul letto, badando però a non lasciarci andare all’allettante sonno che ci sta tentando in modo veramente irresistibile. Alle ore 9.45 è infatti programmata la nostra definitiva partenza dall’hotel a cui segue l’immediato trasferimento in pullman verso l’aeroporto.
Qui l’attesa è piuttosto lunga ma non monotona perché dobbiamo sottoporci a dei lenti e meticolosi controlli non solo dei nostri bagagli e ma anche degli effetti personali che teniamo nella borsa a mano. Qualcuno ci dice che tanto scrupolo è la spiacevole conseguenza di un tentato dirottamento avvenuto alcuni mesi fa proprio su questa tratta aerea. Quando finalmente possiamo sistemarci in una sala d’attesa abbastanza tranquilla e decorosa, ci è gradevole conversare con i nostri amici di avventura e soprattutto tracciare con loro un primo bilancio "a caldo" di questo importante viaggio in India. E, come era prevedibile, esso é valutato da tutti non solo in modo soddisfacente ma addirittura entusiasmante anche perché, grazie alla varietà degli stimoli propostici in questi dieci giorni, ci ha delineato un quadro abbastanza completo della realtà dell’India e delle sue grandi e spesso conturbanti problematiche.
Dopo un ripetuto controllo personale e della nostra borsa da viaggio, prendiamo finalmente posto su di un grosso jet della "Indian Airlines" che si stacca dalla pista di Varanasi esattamente alle ore 12,35. Salutiamo con affetto l’India che in questi giorni ci ha veramente affascinato e, gustando uno snack offertoci dal personale di bordo, ci disponiamo a continuare la nostra straordinaria avventura in Nepal nella cui capitale, Kathmandu, arriviamo al termine di un tranquillissimo e confortevole volo durato solo 40 minuti.

57. In un Paese insolito, avvincente e poverissimo. – Siamo ansiosi di mettere piede sul suolo nepalese anche perché di questo Paese, dominato dalle più alte vette del mondo, possediamo finora delle informazioni piuttosto vaghe e tra di loro contraddittorie.
Ci è di conforto, al momento del nostro sbarco, trovare anche ai circa 1500 metri di quota di Kathmandu un clima secco ed una temperatura calda, per nulla diversi da quei fattori climatici che hanno reso sempre gradevole il nostro soggiorno in India. Anche l’aria che respiriamo, solo un po’ più frizzante e rarefatta del solito, non ci crea alcun fastidio respiratorio. Osserviamo il movimento aeroportuale che ci pare analogo a quello che abbiamo visto nei grandi scali internazionali e l’edificio, nel quale poco dopo entriamo per le pratiche burocratiche e per il ritiro delle valigie, ci appare accogliente, pulito e con attrezzature moderne e funzionali. In una vasta sala, tinteggiata di un rilassante colore verde, vediamo delle lunghe code di turisti e di uomini d’affari che attendono pazientemente il loro turno per poter avere il "visto" d’ingresso in Nepal. Roberto, che della burocrazia intercontinentale è un vero maestro, si muove qua e là con rispetto, prudenza e gentilezza ottenendo alla fine, come era facilmente immaginabile, l’apertura immediata di uno sportello riservato esclusivamente al nostro gruppo.
Non appena riusciamo ad uscire all’aperto, trascinandoci dietro le nostre valigie ancheggianti, come delle ballerine, sulle loro rigide rotelle di plastica, troviamo un pullman ed una guida nepalese che ci danno un cordialissimo benvenuto.
Durante il tragitto verso il centro della capitale, la nostra brava guida, dalla corporatura di un autentico sherpa himalayano, ci tratteggia un quadro delle caratteristiche fisiche, economiche ed umane del Paese in cui siamo giunti che riportiamo sotto forma di scheda tecnica.
Nepal: paese di grandi bellezze naturali, è tra i più poveri del mondo. Reddito pro-capite 215 US$.
Superficie: 141.181 Kmq, poco più di Svizzera e Austria messe insieme. Al confine settentrionale col Tibet si trovano l’Everest ( m. 8.846) ed altre 7 delle più alte cime del mondo.
Abitanti: circa 21.000.00 suddivisi in più di 30 gruppi etnici. La maggior parte della popolazione è di origine indiana e tibetana.
Capitale: Kathmandu con circa 500.000 abitanti, memtre nella sua Valle circa un milione. Religione : indù (88%), buddisti (5,9), cristiani (2,7 %), musulmani (2,6 %). Altre fonti danno però percentuali diverse specialmente per quanto riguarda la presenza buddista (circa 20 %).
Governo: Monarchia. L’attuale re si chiama Birendra, la regina Aiswarya.
Aggiornamento: 1.6.2001: strage della famiglia reale ( 8 i morti e 2 i feriti) provocata forse dalla follia del principe Dipendra. Successore: Gyanendra, fratello del re ucciso Birendra.
Economia: Povera e non autosufficiente. Agricoltura nelle valli basse (riso, mais, frumento); allevamento (bovini, ovini, caprini, suini); industria quasi inesistente. Alcuni opifici, nei pressi di Kathmandu, lavorano per lo più i prodotti agricoli locali. Da sempre attivo è l’artigianato; recente ma con ottime prospettive è l’industria del turismo.

Verso le ore 15 locali (ricordiamo che la differenza oraria tra l’Italia ed il Nepal è di - 4 ore e 45 minuti, quindi un quarto d’ora in meno rispetto all’India), arriviamo davanti al moderno hotel Radisson Sas, dalla tipica e funzionale architettura scandinava, dove tutto è stato predisposto per un drink di benvenuto e per una rapida assegnazione delle nostre stanze d’albergo. Peccato che in esse possiamo concederci solo un breve relax. Alle ore 16 siamo infatti convocati nella hall per riprendere il pullman e dare così ufficialmente inizio alla visita del Nepal muovendo ovviamente i primi passi da Kathmandu, la sua città capitale.

58. Alla scoperta di Kathmandu. – Appena lasciato l’albergo, ci rendiamo conto che esso, pur trovandosi nel cuore della moderna Kathmandu, è stato costruito in una appartata e silenziosa oasi di pace; infatti per poterci immettere sulla via principale dobbiamo percorrere delle stradine secondarie lungo le quali adocchiamo ben volentieri dei posti telefonici privati e dei simpatici negozietti pieni di quelle belle cose esotiche che tanto interessano ai turisti. Percorriamo quindi un rettilineo viale fiancheggiato da anonimi palazzi grigi nei quali l’unica cosa che attira la nostra attenzioni sono le multicolori scritte pubblicitarie nell’incomprensibile ma esteticamente gradevole lingua nepalese.

Scendiamo nei pressi di uno slargo, dotato di un moderno cavalcavia per i pedoni. Alzandoci di alcuni metri, speriamo ma invano di scorgere all’estremo orizzonte le bianche vette dell’Himalaya: oggi infatti sulla città grava una cappa di smog che non solo limita la visibilità ma costringe gli addetti al controllo del traffico e molti passanti a portare una mascherina davanti alla loro bocca. Ci dicono che a Kathmandu l’aria è sempre inquinata e spesso addirittura irrespirabile perché essa ristagna nella conca in cui la capitale è ubicata senza possibilità di un frequente ricambio. Rivolto uno sguardo ad un vicino laghetto che qualcuno vocifera essere collegato al parco di una residenza reale, imbocchiamo una strada pedonale solo a tratti asfaltata. Qui, quasi per effetto di un arcano potere magico, ci troviamo improvvisamente e totalmente coinvolti in un affascinante ambiente esotico. Al piano terra degli edifici, vecchi, fatiscenti e decorati, quasi fossero degli alberi di Natale, da un penzolante festone di fili e di cavi elettrici, si apre una lunga teoria di vivaci bottegucce con un’infinità di prodotti, di qualità scadente ma dai colori assai vivaci, raccolti in ceste e gerle di vimini. Nell’andirivieni incessante di pedoni e di risciò a pedale che affollano questa strada, osserviamo che i passanti hanno carnagione e capelli scuri, sono in prevalenza giovani e magri, indossano pratici vestiti di cotone che secondo la tradizione foggia locale ma dando ampio spazio anche a quella "casual" del mondo occidentale. Quasi tutti gli uomini portano in testa il tipico berrettino nepalese, detto "topi", dalla forma affusolata, dal tessuto damascato e dagli infiniti accostamenti dei più vivaci colori. La maggior parte delle donne indossano, secondo la tradizione, una veste lunga che scende fino ai piedi; tengono il capo scoperto per mettere in mostra dei neri e lisci capelli raccolti sulla nuca da una crocchia o da una treccia; camminano a piedi nudi o con delle misere ciabatte di plastica. Molte portano in braccio dei vispi frugoletti seminudi ma dagli occhi bellissimi ed espressivi. Tutto ciò che vediamo intorno a noi, persone, animali e cose, ci fanno chiaramente capire di trovarci in un paese povero ed arretrato; eppure i volti delle persone evidenziano non solo una rassegnazione d’animo, come già abbiamo avuto modo di notare in India, ma anche una trasparente gioia di vivere che rende particolarmente luminosi i volti delle persone semplici ed attive che vivono in Nepal. Passo dopo passo, interiormente felici di fare anche questa nuova ed esaltante esperienza in un terra tanto diversa non solo dalla nostra ma anche dalla stessa India, passiamo per strade disseminate di statue di draghi e di altarini con le immagini degli dei sempre imbrattati di colore e di cibo freschi. Entriamo in cortili sacri nei quali starnazzano oche e galline ed in alcuni templi buddisti nei quali avvengono delle strane cerimonie (indimenticabile quella che ha per protagonista un giovane "sacerdote" che con dei secchi d’acqua bagna tutto quello che i fedeli gli mettono accanto, guardandosi bene però dal togliere dalla vicina pagoda, di cui è il custode, le montagne di sterco prodotto da uno stormo di colombi). La nostra meta principale è la celebre e veramente incantevole Durbar Square che significa "Piazza dei Palazzi"). Questo ampio spazio, pavimentato in mattoni, è il cuore della città antica di Kathmandu: ricordiamo che qui si affacciano tutti gli edifici più importanti di questa strana capitale come, tanto per citare i più prestigiosi: il vecchio Palazzo Reale, l’edificio in cui vive la Kumari, la dea bambina, decine di grandiosi templi fra i quali primeggia quello di Shiva. Questo é disposto su tre piani, ha un elegante tetto di legno a pagoda e un’alta scalinata con marmoree statue di divinità e di mostri che gli fanno la guardia giorno e notte. Non siamo certo in grado di descrivere ora le molte ed incantevoli attrazioni che possiamo ammirare in questa straordinaria ed avvincente piazza anche se ricordiamo di aver partecipato a questa visita con particolare attenzione alle spiegazioni della nostra brava guida e con occhi ben aperti un po’ trasognati nell’estatica contemplazione di tante meraviglie. Non possiamo tralasciare almeno un cenno all’eccezionale abbondanza delle strutture di legno, artisticamente intagliato, che impreziosiscono le facciate di mattone di quasi tutti gli antichi palazzi nepalesi e che ne incorniciano in modo splendido le finestre ed i portali.

59. La fugace apparizione della Kumari. – Anche se in questa zona della vecchia Kathandu ci sono tante cose interessantissime, non vogliamo perdere l’occasione per conoscere di persona la più importante Kumari del Nepal che qui prende i nomi di " dea vivente" oppure "incarnazione della Dea Madre". Per questo, al momento opportuno, seguendo le istruzioni delle nostre guide, entriamo nel Kumari Bahal, costruito nel secolo XVIII, il cui portale è vigilato da una bellissima coppia di leoni di pietra. A noi, non indù, è concesso di accedere solo nel cortile e di attendere pazientemente fino a quando la Kumari comparirà per un solo istante alla finestra centrale dell’ultimo piano. Nell’attesa apprendiamo dalla nostra guida che in Nepal, sparse in varie località, vivono undici Kumari ma che quella di Kathmandu è di gran lunga la più importante potendo fregiarsi del titolo di "Kumari reale". Costei è una bambina prepuberale che viene scelta dopo una severa selezione fra quante, appartenenti al gruppo etnico che diede i natali a Buddha, dimostri di possedere i 32 requisiti fisici che devono contraddistinguere la "dea bambina" e che inoltre goda di un oroscopo in cui nessuna stella sia in contrasto con quella del sovrano regnante. Se riesce a superare anche una difficile prova per dimostrare la sua imperturbabilità davanti a scene macabre e a rumori terrificanti, la bambina, diventata Kumari, viene portata in questo palazzo dove, venerata e servita da uno stuolo di addetti al suo esclusivo servizio, vi rimarrà fino al momento in cui, con le sue prime mestruazioni, perderà ogni sua prerogativa divina.
Intanto, preannunciata da un gesto di un suo ministro, ecco apparire, e subito dopo scomparire, una figurina vestita di rosso, senza concederci la possibilità non solo di guardarla in volto ma nemmeno di scattarle una foto istantanea. Confessiamo che a causa di tanta fretta da parte della "Dea bambina", noi tutti ci restiamo un po’ male; andandocene dal suo bel palazzo pensiamo tuttavia che assai più triste di noi deve essere proprio lei, una bambina riverita ed incensata ma costretta anche a vivere la propria infanzia in modo innaturale, senza poter mai conoscere non solo lo svago dei giochi sereni ma nemmeno il conforto e l’affetto dei suoi genitori.

Verso le ore 18, con un po’ di rammarico perché avvertiamo la sensazione che Kathmandu avrebbe tante altre cose entusiasmanti da farci vedere, rientriamo con il pullman in albergo. Dopo un po’ di relax in camera ed una cena sostanzialmente leggera anche perché i cibi nepalesi non sono meno piccanti di quelli indiani, sentiamo il bisogno di abbandonarci al più presto possibile tra le morbide braccia di Morfeo, la divinità classica che elargisce ai mortali il dono prezioso del sonno.

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Data di pubblicazione: 15 marzo 2002

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