Viaggi: India del Nord e Nepal

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12° giorno: mercoledì 28 marzo 2001

KATHMANDU – PASHUPATINAT – VOLO VERSO L’INDIA – DELHI.

64. Un fuori programma sul "Tetto del mondo" – Già da tempo sapevamo che nell’ultima mattinata della nostra permanenza in Nepal ci era data l’opportunità di effettuare, qualora le condizioni meteorologiche lo avessero permesso, un eccezionale volo aereo attorno alle vette dell’Himalaya.
Naturalmente si trattava di un "fuori programma" non pericoloso, in quanto già perfettamente collaudato da diversi anni con frequenza giornaliera, per qualcuno forse un po’ costoso ( $ 1.250 a partecipante) ma per tutti estremamente allettante anche in considerazione del fatto che l’opportunità di vedere da vicino la configurazione fisica di una catena che comprende le più alte vette del mondo era veramente unica e forse irripetibile. A conclusione di ponderate considerazioni personali, le adesioni furono una decina ed i partecipanti, godendo anche dell’assistenza tecnica della validissima agenzia turistica locale che in questi giorni ha curato in modo perfetto ogni dettaglio il nostro soggiorno in Nepal, ritornarono non solo soddisfatti ma entusiasti di aver realizzato uno dei sogni più grandiosi ed emozionanti della loro vita.

65. Le nostre ultime esperienze nepalesi. – In previsione di una giornata assai lunga ed impegnativa, per quanti non partecipano al volo verso le cime himalayane, la sveglia e le ultime ore di permanenza in hotel sono lasciate alla libera gestione di ciascun componente il gruppo. L’unico appuntamento fisso per tutti è quello della partenza dall’albergo Radisson fissata per le ore 10,15. Esaurite le ultime rupie nepalesi nei vicini negozi e stivate le valigie sul pullman, attraversiamo ancora una volta il centro di Kathmandu per dirigerci quindi verso un quartiere periferico dove è programmata una nostra visita ad un orfanotrofio gestito dalle Suore della carità di madre Teresa di Calcutta. Come già ci era capitato ad Agra, anche qui si rinnovano per noi dei momenti di intensa partecipazione alla benemerita opera svolta da queste umili sorelle che, a testimonianza della loro fede in Cristo, si dedicano all’assistenza materiale e spirituale di tanti bambini infelici, denutriti ed abbandonati. Il consueto giro nelle varie camerette, nelle quali incontriamo numerosi bambini con gravissimi problemi di salute e di crescita, è per noi un penoso calvario che ci colpisce nel profondo e che ci richiama a quella solidarietà umana e cristiana di cui tanti esseri umani oggi hanno un indilazionabile bisogno.

Stranamente, all’uscita, non troviamo ad attenderci il nostro pullman perché ci troviamo a pochi passi dal Tempio di Pashupatinath che per noi costituisce l’ultima importante visita inserita nel nostro programma di viaggio. Vi arriviamo percorrendo una strada in discesa, affiancata da vecchi e pericolanti grovigli di muri e di tetti che, a nostro giudizio, non hanno alcun titolo per essere chiamati "case di civile abitazione" anche se li vediamo occupati da molte persone di ogni età. L’ultimo tratto del nostro cammino ci appare più largo e ben tenuto anche perché ai suoi lati sono disposte delle coloratissime bancarelle addobbate da corone di fiori freschi che certamente sono destinate a decorare il simulacro del dio Shiva, il titolare del grande tempio di Pashupatinath. Attorno al portale d’ingresso ammiriamo dei bei dipinti dai vivaci colori ma leggiamo pure un vistoso cartello che, in più lingue, ci informa che l’accesso è riservato esclusivamente agli indù.

66. Pashupatinath, la Benares del Nepal. - Seguendo le nostri esperte guide, raggiungiamo pertanto un settore che sta accanto al tempio e che si trova proprio in riva al fiume Bagmati, un rivolo maleodorante le cui acque, per i seguici dell’induismo, possiedono lo stesso potere purificante di quelle del sacro Gange. Per questo motivo Pashupatinath, universalmente conosciuta con l’appellativo di "Benares del Nepal", è il luogo ideale per morire, è il sito più appropriato per dare l’estremo saluto ai defunti e per onorarli con la cremazione e l’immediata dispersione delle ceneri nelle acque salvifiche del Bagmati.
Non appena arriviamo in questo luogo, inizia per noi un’esperienza indimenticabile ma assai cruda e difficilmente comprensibile a chi non l’ha vissuta direttamente. Ci veniamo a trovare infatti in un macabro ambiente di morte dominato da una densa caligine di acre fumo e ravvivato solo dagli ardenti bracieri di innumerevoli pire. A pochi metri da noi, immediatamente sotto il muretto che delimita il piano stradale, su delle grandi lastre di pietra, vediamo quattro o cinque grandi fuochi ardenti che lentamente stanno consumando, assieme alla legna, i corpi umani che vi erano stati distesi sopra. Non ci è possibile soffermarci con lo sguardo su tanto cruda visione, resa per di più nauseante dal fetore di carne bruciata che avvertiamo appestare l’ambiente in cui ci troviamo.
Ci dicono che questo settore è riservato alla cremazione dei poveri e perciò è quello in cui praticamente il fuoco non viene mai spento. Sulla sponda opposta vediamo altri fuochi e altri fumi: sono quelli consumano le immondizie ed i rifiuti della città e destinati anch’essi a finire nelle putride ma purificatrici acque di questo fiume veramente infernale. Per allontanarci al più presto possibile da tanto orrore, passiamo sopra un affollatissimo ponte sperando di trovare un ambiente più tollerabile nella zona collinare che sta di fronte al tempio di Shiva del quale ora possiamo vedere lo scintillante tetto dorato. Camminando tra una folla di pellegrini indù, osserviamo alcuni interessanti tempietti votivi che ci stanno attorno. All’improvviso ci giungono le squillanti note di strumenti musicale suonati da un gruppo di bandisti in vistosa divisa rossa. Certamente sta per succedere qualcosa di importante o di insolito per cui, stimolati dalla curiosità e sospinti dalla gente, arriviamo a trovare posto sui gradoni che fronteggiano le piattaforme riservate alla cremazione dei più importanti personaggi. Per inciso, segnalando che tra le piattaforme dei "VIP nepalesi" ci viene indicata quella destinata esclusivamente ai componenti la famiglia reale, pensiamo "al grande fuoco" che deve essersi sviluppato su di essa nelle ore che seguirono l’ecatombe familiare perpetrata dal folle principe Diprenda nella reggia di Kathmandu.

Dal nostro invidiabile posto di osservazione comprendiamo subito che l’avvenimento straordinario al quale per puro caso, ci è dato di assistere è il solenne "funerale" di un ricco o importante personaggio nepalese. Ecco infatti comparire al centro della scena - veramente dal posto in cui ci troviamo ci sembra di essere gli spettatori di una tragedia in un teatro all’aperto - un gruppo di uomini vestiti di bianco che reggono sulle spalle una portantina con un coperchio ammantato da fronde verdi e da campanellini dorati. Mentre il numeroso seguito prende posto nelle tribune laterali, gli addetti delle "pompe funebri", e cioè gli appartenenti alla più infima della caste indù, sistemano con cura il morto sulla catasta di legna predisposta su di una piattaforma adiacente alle acque del fiume. A questo punto si portano sul proscenio i parenti che, con sospiri e baci, con lacrime ed abbracci , e soprattutto con lavacri fatti con la sacra acqua del fiume, recitano da grandi artisti la "scena madre del loro estremo addio al caro estinto. E non appena costoro si fanno da parte, gli "intoccabili" coprono la faccia del morto con della paglia bagnata e danno fuoco alla legna minuta posta sotto ai grossi ceppi della catasta. E così, tra improvvise vampate di fuoco e dense cortine di fumo, la rappresentazione va avanti per oltre due ore, tra la crescente indifferenza dei congiunti e degli amici che, pur continuando a rimanere sul posto per respirare a pieni polmoni i mefitici olezzi del rogo, attendono il momento in cui, grazie ad alcuni secchi d’acqua versati sulla piattaforma, i miseri resti mortali, confusi con cenere della legna, andranno a confondersi con le nere e putride acque del sacro fiume Bagmati.

E’ già passato mezzogiorno quando, lasciato definitivamente questo luogo da inferno dantesco, cerchiamo "più spirabil aere" nel parcheggio ove ci attende il nostro pullman. Qui ci viene consegnato un sacchetto con i cibi e le bevande preparati dai cuochi dell’albergo Radisson per il nostro odierno pranzo. Ringraziamo ma, almeno per il momento, nessuno se la sente di inghiottire qualcosa perché il nostro stomaco è ancora sconvolto da quanto abbiamo visto sulle rive del fiume Bagmati..

67. La fine delle nostre visite e il volo verso l’India.Completato tutto il programma di viaggio, non ci resta che dirigerci verso l’aeroporto di Kathmandu dove ci dobbiamo assoggettare alla solita fastidiosa trafila burocratica per poter lasciare il Nepal. Per fortuna abbiamo con noi Roberto che cura con scrupolosa attenzione non solo che le nostre valigie vengano imbarcate sull’aereo giusto ma anche che sulle nostre borse da viaggio non manchi nessuno dei cartellini di vario colore attestanti la regolarità del loro contenuto. Quando finalmente riceviamo il sospirato "OK" per l’imbarco sull’aereo dell’Air India diretto a New Delhi, constatiamo di aver accumulato oltre mezzora di ritardo sull’orario previsto per il decollo. Ci stacchiamo dal suolo nepalese alle ore 15,53 ( ora locale ) straordinariamente soddisfatti per quello che il Nepal ci ha offerto durante il nostro breve ma intenso soggiorno. Confessiamo che fin da questo momento in cui lo lasciamo, sentiamo già vivo il nostro desiderio di potervi quanto prima fare ritorno.

Poco dopo il decollo e il raggiungimento dei circa 10.000 metri della normale quota di volo del nostro jet, ecco sulla destra, con una nitidezza che ci appare quasi irreale, delinearsi la bianca catena dell’Himalaya caratterizzata da uno spettacolare susseguirsi di picchi e di vette che superano gli 8.000 metri di altezza. Ci sembra superfluo aggiungere delle parole che esprimano la nostra emozione davanti a questa eccezionale visione.
Poi, tra snack e bibite serviteci con cortese generosità dalle hostess avvolte nei loro eleganti sari, il tempo ci passa in un baleno e alle ore 17,15 arriviamo felicemente all’aeroporto "Indira Gandhi" di Delhi. Ormai siamo diventati esperti delle lungaggini burocratiche alle quali dobbiamo sottostare ad ogni nostro sbarco in un aeroporto asiatico per cui ci armiamo di tutta la pazienza di cui ancora disponiamo e facciamo, come si dice, buon viso a cattiva sorte.

68. A Delhi in attesa del volo che porterà in Europa. – All’uscita dall’aerostazione, sempre straripante di gente, troviamo la capitale indiana non solo inondata di sole ma anche purificata da un recente ed abbondante scroscio di pioggia. Fatti pochi passi per raggiungere il parcheggio dei pullman abbiamo la grande gioia di vederci venire incontro, con i loro simpatici volti illuminata da una incontenibile gioia interiore, l’autista ed il suo fido "boy" con i quali abbiamo facilmente stabilito un rapporto di vera e reciproca amicizia durante i primi giorni del nostro viaggio in India.
Mentre procediamo senza eccessive preoccupazioni nel consueto caos di questa grande capitale asiatica, ricostruiamo mentalmente, come in una sintesi cinematografica, i momenti e le tappe di un memorabile viaggio che, purtroppo, sta per finire. Ci viene spontaneo esprimere, a nome dei partecipanti, il nostro più riconoscente ringraziamento a tutte le persone che hanno collaborato con entusiasmo e professionalità alla perfetta riuscita di questa straordinaria esperienza turistica. Intanto, non sappiamo se a motivo della recente pioggia oppure a causa dell’itinerario scelto dall’autista, la città di New Delhi ci sembra molto più bella di quanto l’abbiamo vista una decina di giorni fa, al nostro primo arrivo. Ma, guardandola un po’ più attentamente e trovandovi sempre ed ovunque le sue forti contraddizioni, ci viene il dubbio che a cambiare, in questi giorni di immersione totale nella realtà orientale, siamo stati soprattutto noi. Forse abbiamo finalmente capito che è un grave errore giudicare una città orientale usando quegli stessi parametri mentali di cui abitualmente ci serviamo durante i viaggi nel nostro mondo occidentale. E se questo cambiamento si è verificato veramente dentro di noi, ne siamo particolarmente soddisfatti.

Ci fermiamo davanti al lussuoso hotel Park che si trova proprio davanti al Jantar Mantar, un osservatorio astronomico settecentesco molto simile a quella da noi visitato ad Agra. Qui, fino all’ora della cena, ci vengono riservate delle stanze nelle quali possiamo tranquillamente fare la doccia, rilassarci e rimetterci in forma prima di affrontare il grande volo verso l’Europa nel cuore dell’imminente notte. Ma, essendo noi dei turisti che non si lasciano sfuggire la più piccola occasione per fare sempre nuove esperienze, troviamo anche il modo ed il tempo di fare un interessante passeggiata nei paraggi dove, tra l’altro, possiamo "investire" in souvenir per familiari ed amici le poche rupie indiane che ancora abbiamo in tasca. Dopo la cena, che in fatto di cibi piccanti non tradisce certamente le nostre aspettative, verso le ore 22 diamo inizio all’ultimo attraversamento di Delhi con destinazione l’aerostazione intercontinentale della capitale indiana.
La serata è tiepida ma nell’aria si ricorrono dei lampi che annunciano un imminente temporale. Ed infatti, quando abbiamo superato da poco un ben illuminato tempio Sik dalla cupola dorata, si scatena un violentissimo nubifragio tropicale che costringe il nostro bravo "driver" ad una breve sosta in una vicina piazzola. Per nostra fortuna il finimondo si esaurisce rapidamente e la pioggia, da noi interpretata come lo struggente pianto di Shiva per la nostra partenza, cessa completamente nella spazio di una decina di minuti. Arrivati sani e salvi nel piazzale dell’aerostazione intasato da veicoli e da passeggeri in modo inverosimile, salutiamo con una calorosa stretta di mano i nostri autisti ed amici indiani e, cercando di non disperderci nella calca umana, seguiamo come timidi scolaretti il nostro insuperabile accompagnatore Roberto che, per farsi da noi riconoscere più facilmente, tiene in testa un bagnatissimo cappellino… da sole.
Con calma facciamo tutto quello che c’è fare, passando, come si dice…da Erode a Pilato, dalla prima all’ultima stazione di un estenuante Calvario burocratico affrontato in un momento della notte in cui solitamente ci troviamo a riposare tra morbide coltri.

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Data di pubblicazione: 15 marzo 2002

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