Viaggi: India del Nord e Nepal

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6° giorno: giovedì 22 marzo 2001: A G R A .

33. – Agra, la città al vertice del triangolo turistico dell’India. – La città di Agra, adagiata sulla riva destra della Yamuna, fu a lungo la capitale dell’impero moghul e raggiunse il culmine del suo splendore tra il 1556 ed il 1658 durante i regni di Akbar, di suo figlio Jahangir e del nipote Shah Jahan, i tre grandi sovrani che l’abbellirono di monumenti di straordinario valore artistico. Grazie a questi capolavori, anche ai nostri giorni, Agra costituisce una meta irrinunciabile per i milioni di turisti che, provenienti da ogni parte del mondo, giungono incessantemente qui, attratti soprattutto da quello che è il monumento simbolo dell’India: il celeberrimo mausoleo del Taj Mahal.
Nonostante il grave e diffuso stato di miseria e di sporcizia che contraddistingue questa città e dimenticando per qualche istante le molte altre contraddizioni delle quali noi stessi stiamo facendo una continua e traumatica esperienza, non abbiamo dubbi nell’affermare che Agra merita pienamente questa predilezione da parte dei visitatori dell’India almeno per le sue due perle che sono inserite nel nostro odierno programma di visite: il Forte Rosso e il Taj Mahal, testimonianze eccelse non solo della potenza militare ed economica dei suoi antichi sovrani ma anche del loro raffinato gusto estetico.

34. La visita al Forte Rosso. - Come è diventata nostra abitudine, lasciamo puntualmente l’albergo alle ore 9 e, dopo un ampio giro nelle vie che portano verso il fiume Yamuna, ci troviamo davanti alla possente cittadella imperiale del Forte Rosso, o Lal Qila, i cui lavori di costruzione furono avviati nel 1565 da Abkar, come ci tiene a precisare il simpatico e preparato giovanotto che questa mattina ci fa da guida e che si esprime con apprezzabile proprietà nella nostra lingua nazionale. Non appena scendiamo dal pullman, dobbiamo affrontare la tradizionale battaglia con i venditori ambulanti che, solo grazie ai consigli delle guide e all’esperienza ormai da noi acquisita, si conclude senza gravi danni per il nostro fisico e per il nostro portafogli. Attraverso una breve rampa in salita ed alcuni stretti passaggi obbligati disposti irregolarmente tra alte mura erette con ben squadrati blocchi di arenaria rossa, arriviamo in un ampio cortile nel quale campeggia un interessante edificio la cui rossa facciata è abbellita da una serie di simmetriche cornici di marmo bianco che racchiudono degli archi ciechi e dei pannelli rettangolari. Come giustamente ci fa notare la nostra guida, in questo edificio si evidenzia in maniera assai armonica la fusione degli stili architettonici tipicamente indù con quelli che i sovrani mogul importarono dall’Asia Centrale e dalla Persia. Infatti, ammirando l’alto portale, che permette l’accesso al palazzo, riconosciamo immediatamente un collegamento con i bellissimi ivan maiolicati che abbiamo ammirato nelle moschee e nei palazzi imperiali di Isfahan e di altre città iraniane. Proseguendo nelle nostre visite, parte all’aperto e parte tra padiglioni e sale di eccezionale interesse culturale ed artistico, giriamo in lungo ed in largo questa città imperiale che ci appare non solo vastissima (la guida ci tiene a precisare che ai turisti è aperto solo un quarto della superficie del Forte Rosso) ma anche assai complessa per il gran numero delle costruzioni che si succedono l’una all’altra in un autentico labirinto di cortili, di scale e di corridoi nei quali, senza la guida, non sapremmo come raccapezzarci. Rimandando al volume che ci è stato offerto dagli organizzatori del nostro viaggio la descrizione particolareggiata delle magnifiche strutture architettoniche che si trovano tra le solide mure del Forte Rosso, ci limitiamo a segnalare, fugacemente e senza tenere conto dell’ordine in cui si trovano, solo le cose che maggiormente si sono impresse nella nostra memoria, incominciando dall’ampia Sala delle Udienze pubbliche di Shah Jahan, costituita da un porticato con eleganti archi e con le pareti di marmo traforato per appagare almeno in parte la curiosità delle donne segregate nell’harem.
Ricordiamo inoltre: la cosiddetta "dimora del silenzio", un affascinante costruzione che ospitava le stanze da letto dell'imperatore; "il padiglione dell’apparizione" dal quale l’imperatore si faceva vedere ogni giorno ai suoi sudditi; il loggiato dal quale si dice che l’infelice Shah Jahan, imprigionato dal figlio in questo stesso luogo, contemplasse sconsolato il Taj Mahal, il meraviglioso mausoleo da lui costruito per onorare la memoria dell’amatissima moglie Mumtaz. Ci piace ripensare anche alle ricche decorazioni e alle tante cose belle ed interessanti che ora ci è impossibile indicare nel dettaglio ma che durante la visita ci hanno fatto sognare ad occhi aperti. Durante le circa tre ore della nostra permanenza in questo Forte Rosso di Agra, trovandoci intensamente coinvolti in ambienti e in situazioni di notevole impatto emotivo, con l’aggiunta di un pizzico di fantasia, non ci è stato difficile immaginare la vita che un tempo si svolgeva all’interno di questi edifici e animare le varie sale ed i magnifici giardini con la presenza dei più ricchi e potenti sovrani d’Oriente tra una folla di eleganti cortigiani e tra uno stuolo di bellissime mogli e concubine.

All’uscita, ci sentiamo un po’ stanchi anche perché, quasi senza accorgercene, abbiamo percorso diversi chilometri, spesso sotto un sole al quale siamo abituati solo nelle giornate estive.
Prima di rientrare in albergo per il pranzo, facciamo una breve sosta in un laboratorio artigianale dove ci viene fatta una dimostrazione della tecnica usata per la lavorazione delle pietre semipreziose mediante la quale si ottengono quei bellissimi intarsi che questa mattina abbiamo ammirato più volte negli ambienti imperiali del Forte Rosso.
Verso le 13,30 possiamo finalmente sederci a tavola, in uno dei tanti ristoranti che funzionano nel nostro fin troppo lussuoso hotel Sheraton. Ma, come già ci è capitato di sperimentare in altre occasioni, a tanto sfarzo esterno non corrisponde un’adeguata qualità nel servizio di ristorazione. Per essere generosi, diciamo che oggi lo chef, in un impeto di benevolenza nei nostri confronti, ha pensato bene di non appesantirci lo stomaco perché potessimo essere in forma smagliante durante la straordinaria visita programmata nel pomeriggio.

35. Il Taj Mahal, una delle meraviglie del mondo. – Alle ore 15 in punto siamo già tutti sul pullman che in breve ci trasporta in un movimentato parcheggio che è anche il punto di partenza e di arrivo di minuscole vetture elettriche riservate ai visitatori del Taj Mahal. Veniamo a sapere che con questo servizio di navetta si cerca di limitare i danni del traffico e dello smog allo straordinario capolavoro al quale, con crescente emozione, ci stiamo avvicinando. Il tragitto non supera il chilometro e, dal finestrino della nostra traballante ma silenziosa vettura, passiamo in rassegna una miriade di persone che, a piedi o a bordo di quei caratteristici risciò a pedale sempre presenti sulle strade dell’India, vanno o ritornano da un’unica meta: il Taj Mahal.
Prima di passare alla cronaca della nostra visita, ci sembra interessante trascrivere una breve scheda della Guida del T.C.I., che, in forma chiara e sintetica, presenta la bella storia d’amore che ha dato origine a questo monumento, universalmente e non a torto, considerato una delle meraviglie del mondo.

36 . "Una lacrima di marmo". – "Una lacrima di marmo ferma sulle guance del tempo" è forse la più poetica descrizione del Taj Mahal e la si deve al premio Nobel indiano Rabindranath Tagore.
Ad affascinare da sempre l’animo romantico di viaggiatori e poeti, al di là della bellezza artistica, è la storia d’amore immortalata dall’imponente monumento.
L’imperatore Shah Jahan amava teneramente la moglie, Arjumand Banu Begam, figlia del ministro Asaf Khan, sposata all’età di vent’anni, nel 1612.
Arjumand, detta Mumtaz, "il gioiello del palazzo", morì tre anni dopo l’ascesa al trono di Shah Jahan, nel 1631, dando alla luce il suo quattordicesimo figlio.
Sconvolto dal dolore, l’imperatore iniziò la costruzione del mausoleo che avrebbe immortalato la sua amata, il Taj Mahal, il palazzo del gioiello.
La tradizione vuole che nei suoi ultimi sette anni di vita, minato dalla malattia e rinchiuso nel Forte Rosso di Agra dal figlio Aurangzeb, Shah Jahan passasse lunghe ore contemplando sconsolato la candida tomba di Mumtaz, vicina ma irraggiungibile.

37. – Una visita che da sola giustifica un viaggio in India. Il Taj Mahal, progettato da una equipe dei migliori artisti indiani, turchi, persiani e perfino italiani, è una "tomba – giardino" delimitata - eccetto sul lato settentrionale che guarda sulla Yamuna - da un alto muro con torri ottagonali sormontate da padiglioni a cupola. Superato un ampio cortile, dove alcuni giardinieri stanno tagliando l’erba con una strana falciatrice trainata da buoi poiché nei pressi del monumento è bandito l’uso di qualsiasi rumoroso ed inquinante motore, arriviamo ad imponente "edificio – portale", in arenaria rossa con eleganti modanature in marmo bianco, che, a nostro giudizio, assume la funzione di un sipario per prepararci gradualmente all’emozionante visione del Taj Mahal. Ed infatti non appena riusciamo a passare oltre, aprendoci con fatica un varco tra una calca di visitatori dalle fogge più eterogenee, ecco prospettarsi davanti a noi l’incantevole visione di questo straordinario simbolo dell’India che, per quanto ci sia noto attraverso mille riproduzioni fotografiche, ci procura una così forte emozione da riuscire a balbettare soltanto: "Questo solo basta ed avanza per giustificare un viaggio in India".

Davanti a tanta perfezione e bellezza, sperimentiamo dentro di noi delle sensazioni e delle emozioni tanto soavi e gradevoli quali raramente ci è stato concesso di godere e che, proprio per lo loro forte carica interiore, diventano un’esperienza unica ed intraducibile sia con le parole ed ancor meno con gli scritti. Riprendiamo quindi il freddo racconto della nostra visita tenendo tuttavia presente che, particolarmente oggi, essa avviene in un continuo ed esaltante succedersi di emozioni e di contemplazioni. Notiamo anzitutto che il mausoleo non si trova al centro ma all’estremità del giardino perché in tal modo lo sguardo del visitatore viene guidato dalle linee simmetriche delle aiole e dei corsi d’acqua verso lo splendido del mausoleo. Questo si erge, leggero come un fiore appena sbocciato, su di un maestoso basamento ( m. 100 per ogni lato e circa m. 7 di altezza ) ai piedi del quale, rispettosi più della bellezza del monumento che delle prescrizioni islamiche, provvediamo a toglierci i calzari. Ammiriamo da vicino i quattro alti minareti, leggermente rastremati e sormontati dall’immancabile chatri, e quindi ci appressiamo al mausoleo progettato in base ad uno schema geometrico quadrangolare. Infatti, come ci fa notare la guida, la lunghezza dei lati (m. 56), corrisponde esattamente all’altezza massima raggiunta dalla cupola. Ci vengono evidenziati anche altri elementi architettonici regolati da simmetrie geometriche e da precisi calcoli matematici che conferiscono una straordinaria unità ed armonia a questo eccezionale monumento. Passando all’esame delle facciate, accenniamo solo alle leggiadre decorazioni floreali e alle calligrafiche iscrizioni in marmo nero dei versetti del Corano. Entrando nella sala centrale, ci sentiamo avvolti da un velo di oscurità e da un senso di pace per la rarefazione della luce che scende da piccole finestre schermate da lastre di marmo traforato. Al centro della sala stanno i cenotafi di Shah Jahan e dell’amata consorte (le tombe sono poste in una cripta sottostante) che rappresentano il culmine raggiunto dall’arte decorativa moghul, mentre in alto una bellissima cupola ci trasmette delle emozioni veramente paradisiache.

All’uscita, ci piace passeggiare sull’alto basamento dal quale, oltre a godere una straordinaria veduta d’assieme del complesso monumentale del Taj Mahal, possiamo soffermarci su molti particolari delle facciate, sulle due costruzioni gemelle, di arenaria rossa, simmetricamente poste sui lati, sul placido corso del fiume Yamuna e, in lontananza, sulla massiccia costruzione del Forte Rosso che abbiamo visitato durante la mattinata.

38. All’orfanotrofio gestito dalle sorelle di Madre Teresa di Calcutta. – Scattata l’ennesima foto, lasciamo a malincuore il Taj Mahal prendendo posto su quei simpatici taxi elettrici da "luna park" che in breve ci riportano al parcheggio dove ritroviamo il nostro inconfondibile pullman "Tata". Sono quasi le ore 18 ma la nostra emozionante giornata di Agra non è ancora finita. Ci attende infatti una straordinaria esperienza umana e cristiana alla quale, assieme a Roberto, avevamo pensato fin dai momenti della progettazione di questo viaggio in India: la visita ad un orfanotrofio gestito dalle Sorelle della Carità di Madre Teresa da Calcutta.
L’edificio che lo ospita si trova in una tranquilla zona del centro, a non più di un chilometro dal lussuoso albergo presso il quale da ieri sera siamo ospiti.
Al nostro arrivo, le suore, radunate in una modesta cappella del piano terra, con porte e finestre spalancate per il caldo, stanno pregando. Anche se non comprendiamo il significato delle parole che dicono, avvertiamo una grande gioia interiore nell’inginocchiarci accanto a loro e nell’aggiungere anche qualche nostra semplice espressione di ringraziamento e di supplica a Dio che è Padre comune di tutti gli uomini della Terra. Intanto una suora, avvolta nel suo caratteristico sari azzurro e bianco, ci dà il benvenuto e, con grande cordialità, ci invita a seguirla in alcune povere ma dignitose stanze dove, in culle o in lettini, vediamo decine di neonati che, abbandonati dai loro genitori per chissà mai quali tristi vicende, sono qui accolti e cresciuti come un dono del Signore. Dopo aver sostato anche nelle stanzette nelle quali si trovano i bambini con gravi problemi di salute fisica o mentale, rimaniamo con i grandicelli ( dai due ai quattro anni ) che ci vengono vicini e, forse per esternare la loro gioia per la nostra visita, ci recitano delle lunghe ed incomprensibile filastrocche. Come succede coi nostri nipotini veronesi, prendiamo volentieri tra le braccia qualcuno che ci manifesta il bisogno di un gesto di affetto o di attenzione, rendendoci particolarmente felici se vediamo sbocciare un sorriso sul loro scarno visino.

Prima di andarcene, a queste stupende continuatrici dell’opera iniziata da Madre Teresa, in prima linea nel praticare il comandamento cristiano dell’amore sull’impegnativo fronte indiano, ben volentieri lasciamo non solo le nostre offerte in danaro e tutto l’ingombrante mucchio di valigie e di borsoni colmi di vestiario che appositamente abbiamo portato con noi dall’Italia, ma anche la nostra più affettuosa e solidale simpatia e l’impegno di essere a loro vicini nel ricordo e nella preghiera. Mentre stiamo ritornando al pullman, a conferma degli infiniti bisogni della popolazione e della provvidenziale opera esercitata da questa brave sorelle cattoliche, nel vialetto che ci porta verso l’uscita, vediamo una lunga fila di uomini e di donne che, tenendo in mano una ciotola o un pentolino, attendono in assoluto silenzio il dono di un po’ di cibo che assicuri loro, magari solo fino a domani, la possibilità di sopravvivere.

Arrivati all’hotel Sheraton, salutiamo con vera riconoscenza il nostro bravo autista ed il suo inseparabile "boy" che, completato il loro servizio per il nostro gruppo, stanno mettendosi subito in istrada per essere domattina a Delhi. Da parte nostra, non ci rimane che aspettare l’ora della cena al termine della quale cerchiamo di mettere un po’ di ordine nelle nostre valigie che domattina ci accompagneranno nel nostro trasferimento in treno verso Khajuraho.

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Data di pubblicazione: 12 marzo 2002

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