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Volare al costo di un caffè 27 febbraio 2003
Successo mondiale per le compagnie aeree "low cost" che finalmente sbarcano in Italia. Ecco come funzionano
Milano-Francoforte, sola andata 9,99 euro. Roma-Milano (o viceversa) 39,99 euro. Cagliari-Milano, idem. Non in bici, nemmeno, in treno: in aereo al prezzo di una pizza e una birra. La moda dei voli "low cost", a basso costo, sbarca (finalmente!) anche in Italia e probabilmente, visto quello che è successo nel resto del mondo, sarà un grandissimo successo. Con inevitabile scombussolamento di tutto il mercato aereo nazionale.

Secondo alcuni, tutto cominciò 10 anni fa, quando la compagnia aerea irlandese Ryanair lanciò la rivoluzionaria tariffa di 69 sterline per il volo Londra-Berlino. Sbagliato. La piccola Southwest, iniziò ad operare in America (nel triangolo Phoenix-Dallas-San Antonio) circa trent'anni fa, con una filosofia rivoluzionaria: ridurre al massimo i costi e i prezzi dei biglietti al pubblico. Risultato: in trent'anni è diventata il quarto operatore mondiale.

Seguendo il suo esempio sono sorte decine di compagnie sparse un po' in tutto il globo. Alcune hanno fatto fortuna, altre un po' meno. Perché quando si riducono al massimo i costi, i margini di correzione del business sono minimi: basta un piccolo errore di valutazione e la compagnia va a rotoli. Molti non si fidano di queste compagnie: associano la riduzione del costo dei biglietti alla riduzione di sicurezza in volo. Sbagliato, ancora una volta: a "rimetterci" sono i confort, le assicurazioni, le coincidenze, i posti assegnati sull'aereo. Tutto qui.

Perché dunque i biglietti sono così economici? Secondo un'inchiesta condotta qualche settimana fa dall'Espresso, è una questione di scelte, niente di più. Le compagnie a basso costo hanno tagliato ogni spesa superflua. "No frills" niente fronzoli: «Non si prende l'aereo per mangiare», ha osservato il numero uno di Ryanair. Dunque niente pranzi o cene a bordo. Al massimo un panino, pagando naturalmente. Risultato: molto meno personale impiegato. Mentre Brithish Midland stipendia uno steward ogni 5mila passeggeri, le low cost in media ne pagano uno ogni 20mila. E non è tutto: niente dispensa vuol dire più spazio. Tradotto in soldoni: al posto dei canonici 132 passeggeri stipati su un 737/300, la Easyjet riesce a metterne 148. Ma la parte migliore deve ancora venire, sentite un po'.

Mentre le compagnie aeree tradizionali hanno diversi tipi di aereei, le low cost, di solito, ne hanno uno solo. Perché? È presto detto: la manutenzione di un solo tipo di veivolo comporta una riduzione dei costi di manutenzione (affidata all'esterno) del 30%. Anche i piloti e l'equipaggio, che devono possedere una certificazione per ogni tipo di aereo su cui volano, ne hanno una sola. Inoltre le compagnie low cost, comprando stock di aerei dello stesso tipo, riescono a strappare prezzi d'acquisto molto vantaggiosi. Tutto funziona come un orologio, per massimizzare le prestazioni e ridurre costi e tempi. Pare addirittura che la compagnia Buzz abbia rifiutato di distribuire copie gratuite del Financial Times a bordo perché qualcuno doveva ripulire l'aereo. I posti a bordo poi non sono assegnati. Bisogna correre per prendere il migliore: l'imbarco è molto veloce, anche perché i biglietti non si possono acquistare a terra ma solo via internet o call center. A proposito di internet: Rynair, che vende i propri biglietti sulla rete in una percentuale che sfiora il 93%, associa altri servizi a quello di biglietteria on line. Sul web si possono prenotare alberghi o affittare auto. Un uovo di Colombo da cui deriva un sotto-business pari all'11% del totale. Niente intermediazione di agenzie di viaggio, dunque, che di solito si beccano il 7-9% dei biglietti.

La chicca più simpatica però è quella relativa ai piloti. Non tutti forse sanno che i comandanti hanno una retribuzione fissa e un'altra variabile legata a certi parametri. Nella maggior parte dei casi, più un pilota vola (in termini di ore) più riscuote. I piloti delle compagnie low cost invece riscuotono in base al numero di partenze e atterraggi. Risultato: se ci sono problemi in fase di atterraggio con la torre di controllo, un pilota classico rimane in cielo (gli conviene), l'altro fa il diavolo a quattro per atterrare. Finisce così che mentre un aereo della British vola non più di sette ore al giorno, il suo gemello della Easyjet ne totalizza circa 12. Accanto a questi aspetti di cui il passeggero può obiettivamente sorridere, ve ne sono però alcuni da non trascurare in fase di partenza, per evitare brutte sorprese.

Gli aereoporti utilizzati dalle compagnie low cost sono di solito quelli secondari: a
Londra ad esempio Ryanair utilizza quello di Stansed e per arrivare in centro è necessario prendere un treno il cui costo non è affatto secondario. Altro aspetto: una volta acquistato il biglietto nella maggior parte dei casi non è modificabile o rimborsabile. O si parte o si perde tutto: situazione poco adatta per gli indecisi o gli incasinati cronici. Non sempre poi è possibile trasportare 25 kg di bagagli. Farlo può costare caro. Inoltre le compagnie low cost non garantiscono in nessun caso le coincidenze e la puntualità.

Insomma volare low cost significa adatarsi. Sembra però che abbiano deciso di farlo in molti, visti i risultati. Un prodotto diverso per un pubblico diverso, non per i top manager. «Il mio peggior nemico non è Easyjet ma la Playstation 2» ha chiosato il vulcanico O'Leary, amministratore delegato di Ryanair. Mai definizione di business poteva essere più chiara.

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