3.
Conclusioni.
La
rivoluzione
digitale
ha
introdotto
in
architettura
nuovi
strumenti
che
permettono
di
trasformare
sia
l’atto
progettuale
che
l’organizzazione
degli
studi
professionali
e
dell’attività
edilizia.
La
padronanza
dei
nuovi
strumenti
ha
permesso
agli
architetti
statunitensi
ed
europei,
le
cui
influenze
reciproche
si
sono
intensificate
proprio
grazie
al
computer,
di
dedicarsi
alla
ricerca
di
nuove
concezioni
spaziali.
La
peculiarità
della
nuova
metodologia
progettuale
consiste
nell’integrazione
della
dimensione
temporale
nell’atto
creativo.
Per
giungere
alla
progettazione
dinamica
è
stato
necessario
da
un
lato
il
cambiamento
del
modo
di
concepire
lo
spazio
e
dall’altro
lo
sviluppo
delle
tecnologie
digitali.
Cercando
di
seguire
le
inedite
esigenze
della
società
dell’informazione,
l’architettura
mira
ad
un’espressione
più
dinamica
e
più
conforme
ad
una
civilizzazione
segnata
dalla
velocità
e
dal
nomadismo.
La
ricerca
architettonica
punta
all’ideazione
di
spazi
dinamici,
che
si
evolvono
nel
tempo
e
si
trasformano
seguendo
le
mutevoli
esigenze
degli
utenti.
Cade
così
il
principio,
insito
nella
cultura
occidentale,
per
il
quale
l’opera
architettonica
si
oppone
con
la
propria
fissità
alla
provvisorietà
della
materia
vivente.
Gli
edifici
diventano
entità
sensibili
con
cui
il
corpo
interagisce.
Cresce
la
sensibilità
verso
i
problemi
ecologici
e
il
territorio
diventa
una
preziosa
risorsa
da
salvaguardare
e
rispettare,
cercando
di
limitarne
il
consumo
e
di
instaurare
con
esso
un
nuovo
rapporto.
Se
l’architettura
digitale
sembra
raccogliere
consensi
quando
si
tratta
di
realizzare
sorprendenti
edifici
espositivi
che
interagiscono
con
i
fruitori,
incontra
maggiori
difficoltà
nello
sradicare
le
consolidate
tipologie
dell’abitare.
Il
tema
dell’abitare
non
è
certo
facile
da
rinnovare,
dato
che
ci
si
deve
confrontare
con
salde
abitudini
sociali.
Nel
caso
di
uno
spazio
pubblico
l’interazione
tra
utente
e
architettura
dura
un
tempo
relativamente
breve,
durante
il
quale
la
destabilizzazione
provocata
dall’edificio
può
essere
apprezzata
come
novità.
Ma
nel
caso
dell’abitazione
si
tratta
di
un
rapporto
prolungato.
Benché
abbiamo
visto
come
nei
secoli
l’idea
dell’abitare
si
sia
evoluta
fino
a
diventare
lo
spazio
che
conosciamo,
i
cambiamenti
delle
modalità
di
fruizione
sono
lenti
e
devono
basarsi
su
trasformazioni
delle
esigenze
degli
utenti.
A
tutto
ciò
si
aggiunge
poi
il
fatto
che
in
Italia,
dove
il
72%
delle
famiglie
possiede
la
propria
casa
[1],
l’abitazione
si
pone
come
elemento
stabile
della
vita
in
una
società
in
continuo
cambiamento.
Se
non
si
può
attingere
sicurezza
dalla
famiglia,
avendo
essa
perso
la
propria
stabilità,
si
cerca
un
nuovo
punto
di
riferimento
nella
casa.
Indipendentemente
dalla
validità
di
tale
scelta,
questo
atteggiamento
deve
essere
considerato
nel
momento
in
cui
si
punta
ad
innovare
lo
spazio
domestico.
In
alcuni
casi
i
progetti
degli
architetti
digitali
si
trasformano
in
realizzazioni
concrete,
come
nel
caso
della
Möbius
House,
testimoniando
la
volontà
di
non
voler
mantenere
la
ricerca
solo
a
livello
utopico.
Anche
Lynn
sta
concretizzando
il
proprio
progetto
con
la
costruzione
di
prototipi
delle
Embryologic
Houses©™.
In
altri
casi
invece
le
proposte
dei
pionieri
dell’architettura
digitale
tendono
più
a
sovvertire
il
pensiero
comune
che
non
a
proporre
edifici
realmente
realizzabili.
Abbiamo
visto
come
lo
stesso
Lars
Spuybroek
avesse
la
consapevolezza
dell’irrealizzabilità
del
suo
progetto
OfftheRoad,
mancando
i
necessari
finanziamenti,
nonostante
la
progettazione
sia
giunta
fino
all’ideazione
di
un
innovativo
sistema
costruttivo.
Il
ruolo
delle
utopie
è
comunque
quello
di
suscitare
discussioni
che
possono
servire
allo
sviluppo
di
nuove
concezioni
spaziali.
Le
avanguardie
architettoniche,
pur
essendo
pervase
da
una
certa
dose
di
utopia,
hanno
sempre
contribuito
all’evoluzione
dell’Architettura
proponendo
temi
inediti,
grazie
alle
capacità
di
preveggenza
proprie
di
alcuni
esponenti.
Ho
individuato
tre
temi
principali
attorno
a
cui
si
muove
la
ricerca
sullo
spazio
abitativo,
che
sono
esemplificati
dai
tre
esempi
progettuali,
scelti
nell’ambito
internazionale,
che
ho
analizzato.
I
tre
temi
possono
essere
così
sintetizzati:
1.
Il
ciclo
vitale:
si
cerca
uno
spazio
che
segua
i
movimenti
del
corpo
e
si
adatti
ai
cambiamenti
nel
tempo.
Lo
studio
del
ciclo
vitale
dei
futuri
abitanti
precede
l’ideazione
spaziale.
Il
corpo
è
al
centro
della
progettazione:
l’Architettura
diventa
una
sua
protesi.
2.
Il
territorio:
si
cerca
un
legame
intenso
tra
lo
spazio
interno
ed
il
contesto,
tramite
la
smaterializzazione
dell’involucro
edilizio
oppure
assumendo
elementi
dell’intorno
come
generatori
del
progetto.
3.
L’involucro
edilizio
dinamico:
alcune
ricerche
puntano
all’ideazione
di
sistemi
costruttivi
dinamici
instabili
che
offrono
flessibilità
o
in
fase
progettuale,
per
permettere
la
personalizzazione
di
massa,
o
in
fase
d’utilizzo.
Le
ricerche
nascono
spesso
introducendo
in
Architettura
concetti
propri
di
altre
discipline,
come
la
biologia,
la
chimica
o
il
marketing.
Anche
il
panorama
architettonico
italiano
si
è
arricchito
negli
ultimi
anni
con
i
progetti
di
giovani
architetti
votati
alla
ricerca
di
un
nuovo
modo
di
interpretare
lo
spazio,
seguendo
l’esempio
dei
colleghi
statunitensi
ed
europei.
Molti
di
questi
architetti,
attenti
a
sperimentare
forme
e
metodi
radicali
e
innovativi,
non
sembrano
però
riuscire
a
differenziarsi
dalle
“tendenze
internazionali”
oppure
sono
ancora
in
una
fase
puramente
sperimentale
della
loro
ricerca.
Sono
ancora
pochi
quelli
che
coniugano
l’aspirazione
al
nuovo
con
una
elaborazione
concettuale
propria
e
originale
e
con
uno
sguardo
innovativo
sulla
città
e
i
suoi
problemi.
In
Italia
il
computer
non
è
ancora
diventato
uno
strumento
concettuale:
esso
viene
utilizzato
come
strumento
operativo.
I
progettisti
non
sono
ancora
riusciti
a
conciliare
computer
e
pensiero,
a
tramutare
lo
strumento
operativo
in
risorsa
poetica.
I
motivi
della
mancanza
di
contaminazione
tra
computer
e
Architettura
italiana
sono
da
ricercare
sia
nella
mancata
ricerca
di
un
rapporto
con
la
materialità
dell’esperienza
edilizia
mediterranea,
sia
nel
difficile
rapporto
con
le
istituzioni
politiche.
La
ricchezza
architettonica
è
una
peculiarità
del
nostro
territorio
che,
pur
meritando
di
essere
tutelata,
non
deve
frenare
la
spinta
innovativa.
Gli
architetti
italiani
devono
cercare
un
proprio
linguaggio
conciliando
la
tutela
della
qualità
con
la
ricerca
di
nuovi
spazi.
Per
il
raggiungimento
di
questo
scopo
il
ruolo
delle
scuole
d’Architettura
è
fondamentale:
esse
dovrebbero
spingere
gli
studenti
verso
l’uso
concettuale
del
computer,
proponendolo
come
una
possibile
strada
di
sviluppo.
Ma
il
ritardo
italiano
è
dovuto
anche
alla
mancanza
di
una
consapevolezza,
da
parte
delle
istituzioni
politiche,
del
valore
sociale
dell’architettura.
Manca
una
forza
politica
in
grado
di
incanalare
le
energie
creative
dei
giovani
architetti,
in
modo
da
dare
una
spinta
innovativa
a
tutto
il
panorama
architettonico
italiano,
e
di
aggiornare
il
quadro
legislativo,
adeguandolo
a
quelli
degli
altri
Paesi
europei.
Lo
strumento
del
concorso,
che
all’estero
ha
contribuito
alla
diffusione
dell’architettura
contemporanea
valorizzando
l’apporto
creativo
dei
giovani,
non
viene
sfruttato
in
modo
adeguato.
Dai
bandi
di
concorso
spesso
trapela
la
mancanza
della
volontà
di
giungere
fino
alla
realizzazione
dei
progetti,
cui
infatti
solo
raramente
si
arriva.
Per
superare
queste
limitazioni
è
necessario
innanzitutto
rifondare
l’architettura
su
nuove
regole
capaci
di
interpretare
la
città
contemporanea
e
le
nuove
esigenze
sociali.
I
criteri
ereditati
dai
maestri
del
passato
devono
essere
rivisti
alla
luce
dei
radicali
cambiamenti
intervenuti
sul
nostro
territorio.
La
ricerca
sugli
spazi
abitativi
deve
cercare
riscontri
empirici,
instaurando
legami
con
il
contesto.
La
concretizzazione
dei
progetti
è
fondamentale
per
verificare
la
validità
delle
proposte.
In
questo
modo
gli
architetti
italiani
potrebbero
trovare
una
propria
modalità
di
espressione
nell’ambito
dell’architettura
digitale,
che
coniughi
la
tutela
della
qualità
alla
tendenza
verso
il
futuro,
scoprendo
la
propria
identità
espressiva
nel
confronto
con
la
nostra
realtà
territoriale
e
socio-culturale.
In
secondo
luogo
si
deve
puntare
ad
una
sensibilizzazione
della
classe
politica
verso
il
ruolo
sociale
dell’architettura.
Le
istituzioni
dovrebbero
intervenire
sia
in
ambito
accademico,
per
introdurre
l’uso
concettuale
del
computer
in
modo
da
creare
una
contaminazione
più
profonda
tra
questo
e
l’Architettura,
sia
proponendo
ai
progettisti
sperimentazioni
sul
tessuto
storico,
spingendoli
all’ideazione
di
metodi
progettuali
adatti
all’unicità
del
patrimonio
architettonico
italiano.
L’efficacia
del
DARC
è
ancora
da
verificare,
ma
può
essere
considerato
il
primo
passo
verso
la
promozione
dell’architettura
contemporanea.
Questo
organo
deve
essere
affiancato
da
un’adeguata
revisione
legislativa
e
da
un
perfezionamento
del
concorso
che
punti
a
ridefinire
le
modalità
di
redazione
dei
bandi.
Si
dovrebbero
indurre
gli
enti
a
non
indire
concorsi
senza
una
reale
volontà
di
concretizzare
le
idee
che
ne
derivano.
Inoltre
si
deve
dare
fiducia
ai
giovani,
permettendo
la
realizzazione
dei
progetti
vincitori
senza
ulteriori
condizioni
discriminanti
nei
loro
confronti.
Perché
“un
Paese
che
non
sa
mettere
a
frutto
l’ingegno
delle
sue
giovani
generazione”
[2]
è
culturalmente
arretrato.
L’interesse
verso
i
progetti
dei
giovani
gruppi
dovrebbe
però
nascere
in
seno
alla
disciplina,
e
cioè
dalle
riviste
di
settore,
che
solitamente
danno
invece
più
spazio
ai
progetti
dei
grandi
studi
di
fama
internazionale.
Tutti
i
cinque
gruppi
intervistati
da
Yorgos
Simeoforidis
nel
libro
“5tudi”
lamentano
da
parte
della
riviste
italiane
d’architettura
una
mancanza
d’interesse
critico
verso
i
nuovi
temi.
Secondo
lo
studio
Privileggio_Secchi
in
Italia
la
critica
operativa
è
del
tutto
inesistente.
Solo
la
rivista
digitale
Arch’it
dà
ampio
spazio
a
discussioni
e
presentazioni
di
progetti,
sia
italiani
che
internazionali,
che
affrontano
i
nuovi
temi.
Nel
frattempo
i
progetti
dei
giovani
gruppi
italiani
si
stanno
facendo
notare
all’estero,
dove
partecipano
a
concorsi
internazionali
con
esito
sempre
più
incoraggiante.
Le
ricerche
che
ho
analizzato
raggiungono
diversi
livelli
di
approfondimento
ma
contengono
tutte
degli
interessanti
spunti
progettuali.
Il
tema
su
cui
la
ricerca
è
maggiormente
arretrata
è
quello
dell’involucro:
il
progetto
del
“centro
di
riproduzione
intensiva”
del
gruppo
HOV
e
quello
di
“Vegetown”
del
gruppo
Spin+
sono
estremamente
utopistici.
La
concretezza
del
progetto
di
Greg
Lynn,
che
dimostra
la
sua
profonda
conoscenza
di
meccanismi
e
regole
propri
della
produzione
industriale,
ci
indica
come
sia
necessario
costruire
dei
legami
con
il
mondo
produttivo,
come
avviene
per
il
design.
L’architetto
Giuseppe
Mantia
[3]
individua
proprio
nella
ricostruzione
dei
legami
con
il
mondo
produttivo
la
via
d’uscita
dalla
stasi
per
l’Architettura
italiana,
in
modo
da
giungere
all’ideazione
di
nuove
strategie
progettuali.
Il
progetto
dei
Metrogramma
sulle
ipotesi
di
densificazione
di
Bolzano
tra
i
progetti
italiani
è
quello
più
concreto:
infatti
in
questo
caso
i
progettisti
hanno
avuto
l’opportunità
di
confrontarsi
con
una
realtà
ben
definita,
supportati
dalla
fiducia
dell’autorità
politica.
L’assessore
all’urbanistica
del
comune
di
Bolzano,
con
la
sua
larghezza
di
vedute,
la
sua
sensibilità
verso
i
problemi
della
città
e
la
sua
fiducia
nell’Architettura,
è
stato
un
sostegno
fondamentale
per
lo
sviluppo
del
progetto,
che
è
tuttora
in
atto.
Questo
dimostra
quanto
sia
importante
la
legittimazione
della
disciplina
architettonica
da
parte
delle
autorità
politiche,
la
loro
piena
fiducia
nelle
sue
possibilità
sociali.
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