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AGRICOLTURA E ALLEVAMENTO A SUNO 
A CAVALLO TRA ‘800 E ‘900

 

 

L’agricoltura ha rappresentato un aspetto predominante della vita sunese, dando occupazione ad oltre il 90% della popolazione. Fino alla fine del 1800, essa aveva la funzione di assicurare la sopravvivenza dell’intera comunità. Verso la fine del 1800 pochi erano i proprietari terrieri. A parte alcuni possidenti che disponevano di poche decine di ettari, la rimanenza dei duemilacentoquaranta ettari, che allora costituivano il territorio di competenza sunese, era principalmente suddivisa tra sei proprietà. 
Il primo intestatario era l’avvocato Gaspare Voli, torinese, che aveva ereditato la vasta tenuta di Suno dalla madre Giuseppina Cavalli. Questi terreni erano disposti soprattutto al nord del paese, per un totale di circa 400 ettari. 
Il secondo era il conte Della Porta, rappresentante della nobile famiglia proprietaria del castello e della parte alta di Suno, con circa 450 ettari di terreno.
Poi si riscontravano le proprietà ecclesiali legate ai tre differenti benefici parrocchiali: quello della Chiesa della Santissima Trinità e quella di San Rocco. Infine c’erano le proprietà comunali, alcune delle quali, venticinque ettari, erano state cedute ai fratelli Baroli che, a loro volta, le rivendettero ai contadini sunesi.
I terreni, quindi, erano in gran parte presi in affitto e la pigione variava a seconda del tipo di raccolto. In genere i prati si pagavano in danari, i terreni a granaglie, con una percentuale delle stesse, i vigneti con metà del raccolto, mentre il bosco veniva concesso gratuitamente assieme ai vigneti ( per ogni pertica di vigneto, due pertiche di bosco). Anche i gelseti venivano pagati con metà del raccolto dei bachi.

Per dare un’idea delle proporzioni tra le differenti colture, nel 1909 un’indagine del Comune aveva censito: 

superficie a riso sei ettari- marcita otto
prati a vicenda centonovantadue
prato stabile duecentosessanta
pascolo quindici- frumento centottanta
segale duecento- avena cinquanta
granturco trecento- patate quattordici
lupini cinque- miglio o panico dieci
saraceno due- vigna quattrocento
frutteto dieci- castagneto tre
bosco quattrocentosettantacinque
baraggia dieci- gelsi cinquanta per ettaro
bachi oncie allevate trecentosessanta.

Da questi dati emerge che le attività di maggior impatto erano: la viticoltura, la gelsicoltura e l’allevamento.

 

 

Verso la fine del 1800 la viticoltura, una delle principali fonti di reddito, entrò profondamente in crisi a causa del diffondersi della filossera, o pidocchio della vite, un insetto che attaccava non solo le foglie, ma anche le radici della pianta. In Italia fu osservata e studiata già dal 1880 e da allora fu un fenomeno in continuo aumento. Si tentarono varie lotte difensive a livello sperimentale con insetticidi, soprattutto con il solfocarbonato di potassio, ma inutilmente. L’unico sistema per debellare l’insetto fu la sostituzione delle piante con la vite americana innestata.
Il sindaco di Suno organizzò i viticultori sunesi per istituire un Consorzio per la difesa della Viticoltura. Quest’ultimo, nel 1920, venne costituito in ambito provinciale, e ben quattrocentossessantasette agricoltori sunesi vi aderirono.
Il Comune si fece anche promotore della diffusione dei portainnesti di vite americana provenienti da vivai di Asti, quali il Regio Vivaio di Viti Americane.
In seguito a tutte queste lodevoli iniziative la viticoltura sunese si risollevò. Un altro dato importante fu il costante aumento dei produttori di vino, che nel 1922 ammontavano a cinquecentoventisei. Quasi tutti però erano di modeste dimensioni, con quote da due a dieci ettolitri. Solo una ventina di loro vantava una produzione che andava dai trenta ai cinquanta ettolitri, mentre le proprietà Voli e Della Porta avevano quantitativi decisamente superiori .
Il Comune, intanto, nel 1923 aveva già introdotto una Imposta sul Vino, che ammontava a venti lire per ettolitro prodotto.
Infine venne istituito un Consorzio Comunale per la Vigilanza sul Raccolto dell’Uva, nel quale operava un gruppo di guardie campestri, chiamate campè, che giravano per le vigne al fine di controllare che nessuno si appropriasse dell’uva altrui.

 

 

La risicoltura diede scarsi risultati nel territorio sunese, ma fu egualmente importante per moltissime donne che vennero impiegate come mondariso nella Bassa Novarese. A Suno esistevano poche zone adatte al ristagno dell’acqua e alla produzione del riso. Una zona a nord del paese, a lato della Meja, chiamata ancora oggi Prati di Riso, ha mantenuto una toponomastica legata a questa coltivazione. 
Alcune risaie erano poste vicino alla fornace Andina, altre nella zona denominata Balchi (via Balchi) e persino su in collina in zona Moia. 
Diversa era invece la situazione nel basso novarese. Da Morghengo in giù era un continuo susseguirsi di risaie. Anche a Suno, come in altri paesi dell’Alto Novarese, arrivavano annunci e date per la convocazione del personale da impiegare nei lavori di monda e di trapianto in risaia. 
Nel 1910 il Prefetto di Novara ricordava ai sindaci di controllare che nelle risaie non venissero impiegati “minori di 14 anni, donne all’ultimo mese di gravidanza o al primo mese dopo il parto e che ognuno presentasse una dichiarazione dell’ufficiale sanitario del paese d’origine che comprovasse l’immunità da malattie contagiose”.
Di fatto, con regole così poco restrittive, chi appena avesse potuto, ne avrebbe approfittato.
Quasi tutte donne, ma anche ragazzi ed alcuni uomini si recavano, con il carretto o a piedi, a Baraggia e da lì prendevano il treno. A Novara venivano prelevati dai fattori proprietari delle risaie, che li conducevano con carretti trainati da cavalli alle diverse cascine che costellavano la piana. Altre donne scendevano nella bassa in bicicletta, ma verso risaie più vicine, come a Barengo.
Il lavoro al quale erano chiamate la mondine consisteva, fino al 1940, nel ripulire la risaia dalle erbacce che crescevano frammiste al riso. Quest’ultimo infatti veniva seminato a dimora e poi mondato. Successivamente, si sviluppò la pratica del trapianto. Il riso veniva seminato in vivaio per poi essere trapiantato in risaia quando le erbacce non si erano ancora sviluppate.
Il lavoro in entrambi i casi durava dai trenta ai quaranta giorni, da fine maggio a fine giugno, ed era estremamente faticoso sia per la scomoda posizione sia per l’umidità nella quale si era immersi. Le leggi dell’epoca prevedevano un orario giornaliero massimo da nove ad dieci ore, a partire dal sorgere del sole.
Terminato il periodo lavorativo, si era retribuiti parte in soldi e parte in risone, perché proprio il riso era uno degli alimenti più consumati sulle tavole contadine.
Un altro periodo lavorativo cadeva in occasione del raccolto in ottobre (prima dell’ultima Guerra era ancora fatto a mano), mentre a volte venivano richiamati gli uomini durante l’aratura in primavera a rompere le zolle troppo grosse.

 

vedi anche:
intervista a mondine

 

 

L’allevamento del bestiame era un’altra attività importante nella contrada sunese. Durante la Prima Guerra Mondiale venne precettato un determinato numero di capi.
Da un dettagliato censimento, a cui furono sottoposti gli allevatori locali, a Suno nel 1916 si potevano contare:

diciassette buoi - quattro tori
ottocentoventotto vacche - quattordici manze
duecentocinquantotto vitelli

 

Oltre al mercato mensile, che si teneva il terzo giovedì, nel quale si vendeva praticamente ogni genere di merce, dal 1929 furono istituite dall’Amministrazione Comunale tra fiere annuali con Mostra Zootecnica. Le date abituali erano: il secondo giovedì di marzo (San Giuseppe), dall’1 al 7 agosto (San Gaetano) e il secondo giovedì di novembre (San Martino).
Le mucche da latte erano un bene prezioso per l’economia domestica, in quanto il latte prodotto veniva consegnato e venduto nei centri di raccolta specializzata nella preparazione del burro e del gorgonzola. Quest’ultimo, però, veniva portato a stagionare a Novara.

Nel 1932, come si faceva già per la vendemmia, si iniziò a spedire ai comuni del Novarese il calendario delle fiere del bestiame allo scopo di attirare curiosi e commercianti.
Il mercato oleggese era il più rinomato della nostra zona, ma molti sunesi preferivano portare le loro paperelle a Carpignano Sesia: le paperelle di Suno erano molto ambite.
Ciò significava che i sunesi erano abili nell’allevarle.

Intorno agli anni ’30 il rilancio dell’agricoltura fu affidato ad un piano nazionale, che prese il nome di Bonifica Integrale e Battaglia del Grano, avviato con la legge Mussolini del 1928. A Suno fu prevalente la creazione di organismi di settore, in grado di avere un totale controllo sulle attività produttive. 
Ci fu anche un’organizzazione esclusivamente sunese: la Società del Bestiame di Mutuo Soccorso tra i Contadini di Suno, di cui fu nominato segretario don Agapito Fasola. Si trattava ufficialmente di un’assicurazione a carattere assistenziale, ma in realtà operava per la difesa dell’agricoltura sunese.
Il frutto più tangibile della politica agraria fascista a Suno fu la Stazione di Monta Taurina, un’organizzazione di ben 19 aziende agricole, ognuna con relativo attestato, che tra il 1939 e il 1941 effettuavano riproduzioni di tori rigorosamente selezionati e controllati.

Nel dicembre 1941 venne stilato l’elenco dei piccoli produttori del vino. L’avvocato Voli, il conte Della Porta e i fratelli Brigatti erano i principali fornitori del Novarese. 
Il Voli aveva un’ampia e attrezzata cantina con varie qualità di vino, dal freisa al nibbio’, alla bonarda alla vespolina.
La famiglia Brigatti iniziò nel 1932 il commercio del vino di propria produzione da uve miste, come era tradizione a Suno. Questo vino tipicamente da tavola era chiamato barberato. Si vendeva tutto il vino di annata e raramente lo si imbottigliava per la stagionatura. I piccoli produttori invece gestivano il vino per uso proprio.
Negli anni venti anche la cantina sociale di Oleggio si preoccupava di raccogliere in vigneto le uve. E’ da notare che la cantina sociale di Oleggio fu la prima cooperativa vinicola d’Italia, la cui istituzione risale al 1891.

Con la seconda guerra mondiale molti sunesi partirono per il fronte, lasciando le campagne e l’agricoltura in balia del regime fascista.
Il 23 giugno del 40 fu decretato un approvvigionamento di bestiame bovino per l’alimentazione delle forze armate e della popolazione civile in difficoltà. I sunesi dovettero conferire il 30% del peso in bovini in loro proprietà. Don Agapito e la società del bestiame non poterono nulla, anzi, qualche anno più tardi furono costretti a chiudere i battenti. Dal 1940 fino il 1944 vennero precettati tutti i cavalli e i muli oltre i quattro anni di età. 
Nel 1942 si attuò una raccolta chiamata offerta di lana per le forze armate, nel 1943 la prefettura di Novara avvisava il podestà di Suno e di altri paesi affinchè si provvedesse a bloccare la vendita clandestina di riso e di altri generi razionati.
Più tardi con il decreto del 2 ottobre 1944 si richiese l’ammasso di legno da ardere per il riscaldamento degli uffici comunali e delle scuole elementari.
Come si può capire la situazione era molto difficile per gran parte della popolazione.
Poi venne il 25 aprile e la liberazione dal fascismo, ma neppure allora le cose cambiarono. Il governo militare alleato del territorio occupato ordinava nell’agosto del 1945 un nuovo ammasso di cereali, soprattutto di grano, segale e avena.
A novembre si sollecitava con assoluta urgenza il conferimento di granoturco per produrre farina da polenta. La situazione rimase drammatica per tutto l’inverno. Nel febbraio del 1946 l’ispettorato provinciale dell’agricoltura di Novara assegnò al comune di Suno 136 quintali di patate da semina. Fu un’iniziativa che produsse effetti positivi, per aver ridato fiducia a quella gente oppressa da cinque anni di guerra.
Due anni dopo la fine della guerra iniziò una rapida ripresa economica. 
I mercati mensili e le fiere annuali riaprirono un vivace commercio.
Meta molto ambita fu il mercato settimanale di Oleggio. 
La fiera di Novara più importante fu quella che si svolse tra il 30 agosto e il 14 settembre del 1947. In quell’ occasione si diede lustro anche ai vini della nostra terra, rappresentati in prima etichetta dalla casa Voli e dalla casa Brigatti.
Queste fiere permisero inoltre di diffondere e far conoscere agli interessati del settore agricolo le nuove tecnologie. Fu così che a Suno fecero la loro comparsa le prime motofalciatrici e i primi trattori, con attrezzi per quei tempi rivoluzionari. 
La morte di Gaspare Voli, avvenuta il 20 giugno 1948, accentuò questo passaggio dal vecchio al nuovo. I nipoti eredi furono costretti ad alienare quasi tutti i terreni. Si venne a creare pertanto una nuova imprenditoria locale, fatta di piccoli agricoltori che, inoltre, poterono acquisire le proprietà del conte Della Porta, anch’esse poste in vendita. 

 

 

 



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