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LA COLTIVAZIONE DELLA VITE

 

 

Le due interviste raccolte presentano le testimonianze di persone che ricordano la collina del territorio che da Fontaneto e Cavaglio giunge fino all’abitato di Barengo interamente coltivata a vite. Oggi questa attività si conserva solo sul versante ovest della collina verso i comuni di Ghemme e di Fara, dove si producono vini D.O.C.; mentre da noi i vigneti sono stati purtroppo abbandonati, con la conseguente perdita di un patrimonio non solo agricolo ma anche culturale, di cui solo qualche anziano conserva oggi il ricordo. 

Cinquant’anni fa la collina di Fontaneto era quasi tutta coltivata a vigna. Le viti erano disposte alla “Maggiorina”, termine che viene dal paese di Maggiora e che sta ad indicare la disposizione della vite, su uno schema a filari divisi in quadrati di quattro metri per lato; al centro del quadrato si trovava un “ceppo” di vite, formato da due-quattro piantine, che erano sostenute da otto pali: due disposti al centro del filare, accanto al ceppo, e gli altri sei ai lati. 
La vite veniva ingrassata ogni tre anni circa con un fertilizzante composto da letame e potassa, questa operazione avveniva dopo la vendemmia in autunno o agli inizi della primavera. La potatura si svolgeva nei mesi da dicembre a marzo, c’era infatti un proverbio che diceva: “Chi ha vigna sova al mes marz la pova” (Chi ha la vigna di sua proprietà la pota nel mese di marzo). Quando il germoglio era lungo almeno dieci, quindici centimetri si cominciavano le bagnature con solfato di rame contro le malattie. La vendemmia veniva anticipata o posticipata, tra settembre e ottobre, a seconda se l’annata fosse stata secca e calda, quindi l’uva era maturata meglio, o umida e piovosa. 
L’uva si pestava con i piedi nella “benna”, cioè la bigoncia, poi veniva messa in una grossa botte o tina aperta e vi restava dieci o quindici giorni circa. Una volta al giorno bisognava schiacciare le vinacce che cercavano di affiorare sul mosto; da questa botte veniva quindi spinato il vino di prima qualità poi le vinacce andavano al torchio dove veniva estratto il resto del vino ed infine il succo d’uva tornava ancora nella botte, che dopo quaranta giorni di fermentazione, veniva sigillata.
Prima che il vino potesse essere bevuto, se era maturo si aspettavano circa due mesi, se era acerbo altri venti o venticinque giorni.
Generalmente l’uva era tutta nera, le qualità più coltivate erano la fresa, il nebbiolo, la barbera, la vespolina e la bonarda, solo in minoranza si coltivavano vitigni di uva bianca.
Quasi tutte le famiglie avevano la vigna e tanti mettevano i terreni in affitto. Chi aveva tanta uva la vendeva, mentre chi ne aveva poca la teneva per il consumo della famiglia. I commercianti di vino giravano nelle cantine per trattare l’acquisto; generalmente i contadini vendevano il vino buono per ricavare un po’ di denaro e bevevano il prodotto di seconda qualità.
Oggi la vegetazione della collina di Fontaneto è molto cambiata, le vigne non ci sono più e al loro posto crescono solo rovi che stanno agevolando lo sviluppo di una copertura boschiva. L’abbandono della collina è cominciato alla fine degli anni '60 -'70. In quel periodo molti Fontanetesi hanno lasciato il lavoro dei campi, che offriva una scarsa resa economica, e sono entrati fabbrica dove trovavano un salario fisso o cercavano lavoro come manuali edili. La coltivazione della vite è andata così sempre più riducendosi, restando appannaggio di pochi anziani.
Con il passare del tempo le vecchie generazioni sono venute meno e questo ha determinato il progressivo abbandono delle attività di coltivazione della collina; dell’antica tradizione vinicola ora restano solo immagini d’epoca con gli ordinati filari di vite, che caratterizzavano un tempo il paesaggio del nostro paese. 

Abbiamo intervistato il signor Cantoia Battista di anni 77, per avere notizie circa la coltivazione della vite nella zona di Cavaglio. Ecco cosa ci ha raccontato.

Cinquanta anni fa la collina di Cavaglio era tutta coltivata a vigne, disposte a filari.
La vigna si potava in primavera, poi si zappava per impedire che le erbe la infestassero. In estate si bagnava con il “verderame” ovvero il solfato di rame per combattere le malattie.
Per costruire le vigne si usavano pali di legno e filo di ferro. Gli attrezzi per curarla erano la zappa, la pompa a spalla per bagnare, la forbice per potare e i “salici” (legacci) per legare le piante. Per la vendemmia venivano utilizzati i cesti, la forbice, un carretto di legno e dei tini.
La vendemmia consisteva nel tagliare l’uva con la forbice, metterla nel cesto e quando questo era pieno trasportarla sul carretto. Si impiegavano circa due settimane di lavoro per la raccolta di tutta l’uva. Per fare il vino si schiacciava con i piedi l’uva, il prodotto di questa operazione veniva messo nelle botti a fermentare per due settimane, successivamente si estraeva il mosto e la vinaccia si torchiava. Il prodotto si metteva nella botte e si lasciava depositare per 3-4 mesi, poi si travasava in un'altra botte. Tutti i residenti a Cavaglio coltivavano la vite, altri, oltre alla vite, producevano anche il granoturco. Non tutti erano proprietari, alcuni affittavano la vigna per un anno.
Il prodotto veniva quasi tutto venduto, solo una piccola parte serviva per il consumo famigliare.
La vegetazione della collina negli ultimi anni è notevolmente cambiata, quindi il paesaggio appare molto modificato. Dal 1960 in poi la collina non veniva più lavorata e le piante di vite morivano lasciando spazio ad una vegetazione spontanea. Oggi sono rimaste 3 o 4 vigne in tutto il territorio di Cavaglio.
Dobbiamo infine dire che esistevano tre tipi di filari: il filare normale con pali di legno conficcati nel terreno perpendicolarmente, legati l’uno con l’altro con un filo di ferro per fare rampicare l’uva; la “Maggiorina”, ovvero filari normali ma con i pali obliqui; la “Topia” ovvero una rete sospesa da terra con quattro pali ai lati, su cui la vite rampicava formando una specie di tettoia.
Il filare e la Maggiorina si trovano ancora, invece la topia non viene più utilizzata nelle moderne coltivazioni.

 

 



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