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PREPARAZIONE DEL VINO

 

In cascina si faceva il vino: la cantina

La cantina dell'Ottocento e degli inizi del Novecento era di diversi tipi.
Analizzando due cantine dello stesso periodo di costruzione e di uso, ne troviamo delle sostanziali differenze ma anche alcune sorprendenti affinità. Le due cantine si trovano in due zone completamente diverse nel comune di Fontaneto.
Una si trova ai Balchi ed era la cantina d una cascina di alcune persone di Fontaneto da sempre vissute ai Balchi.
L'altra cantina si trova nella cascina Tuina vicino a San Martino ed era posseduta da sempre dai "Miclin".
Una differenza sostanziale fra le due cantine è che la prima è totalmente fuori dal terreno al piano terra, mentre la seconda era seminterrata di 1.30 cm, questo però era determinato dalla struttura della casa.
Nella prima cantina erano contenute solo botti e piccoli attrezzi per il vino.
Nella seconda invece era contenuta anche la bigoncia e molti attrezzi per la manutenzione della cantina, delle botti e del vino: ziurete, curbeli, palot ecc.…
Gran parte delle cantine fontanetesi avevano caratteristiche simili a queste due:
quelle che appartenevano a case singole e di normali dimensioni avevano caratteristiche della prima cantina; quelle che, invece, appartenevano a grandi cascine avevano caratteristiche della seconda.

 

Attrezzi e procedimenti per la vinificazione

Descrizione delle botti

Destinate, come si sa, a contenere il vino, le botti non erano di facile costruzione e pochi conoscevano la tecnica per fare una botte.
Di solito erano in legno di rovere e di castagno, molto diffuse nei nostri boschi, e la loro capienza poteva variare da una brenta (50 litri) a quaranta brente (2000 litri).
Le parti principali di una botte erano sette:
Le doghe a sega o a spacco; cerchi; cocchiume; i fondi; mezzuole; spina, il sedile o cavalletto. 
Unendo le varie parti per formare l'intera botte non erano necessarie viti, chiodi, bulloni, ecc. …, ma era tutto un gioco di forze, d'incastri e di impermeabilizzazione delle fessure con acqua e con l'ovra (un filo impermeabile). Analizzando una per una le varie parti, si può arrivare a conoscere il lavoro che dovevano fare i costruttori di botti.
Le doghe erano ricavate da listelli di legno spessi 10 cm e scavate con pialle e scalpelli fino ad ottenere la forma curva caratteristica.
Variano per dimensione in rapporto al tipo di botte a cui erano destinate. Prima dell'uso erano lasciate per molti giorni in acqua e poi fatte al sole perché si impermeabilizzassero. Formavano la parte centrale della botte, tenute insiemi da incastri, di solito a spacco, unite ai fondi e fissate con tre o più cerchi di metallo. Questi cerchi avevano il compito di tenere fissate le doghe una con l'altra e potevano variare di numero in relazione alla grandezza della botte. 
Venivano inseriti dall'alto con potenti colpi dati con mantelloni di legno molto resistenti.
I fondi erano la parte importante della botte, due cerchi di legno molto spesso formati da due lulle (mezze lune) e da un asse centrale; posti alle posti alle due estremità della botte. Servivano per tener fisse le doghe.
Le mezzule si trovavano soprattutto nelle botti grandi: sono due grossi listelli di legno spessi circa 5 cm, poste sul fondo e parallele tra loro. Fungono da manici per aprire la botte ed eseguire lavori di manutenzione.
La spina era un foro sul fondo della botte, di diametro da 2 a 4 cm, chiuso da una specie di rubinetto, detto sempre spina, articolato da due parti: una dritta, di legno, concava all'interno, inserita nel buco con l'ovra; l'altra, il tappo, inserita nella parte precedente.
IL sedile o calletto, detto calet, serviva per appoggiarvi le botti orizzontalmente. Era formato da due parti: un lungo asse di legno sorretto da grossi tronchi d'albero o da mattoni, appoggiato al muro, su cui si sistemavano le botti che dalla parte opposta erano sostenute da un cavalletto di legno resistente.

 

Procedimento per costruire le botti

 

I listelli vengono scavati con scalpelli affilati ed assumono la forma incavata. Le doghe, ormai pronte, sono incise con uno spacco all'estremità.

Vengono costruiti i fondi formati da tre parti: una parte centrale e due lulle.

Sul fondo si pratica ora un foro, con il "girabanchin" per lo zaffo e lo spinello, contemporaneamente costruiti in legno. Lo spinello era di lavorazione complessa, mentre lo zaffo era un tappo di legno, detto "stupon" in dialetto.

Tutte le parti in legno sono messe a marcire nell'acqua per renderle impermeabili.

I fondi sono uniti alle doghe tramite lo spacco praticato ad entrambi.

I cerchi vengono inseriti nella botte a freddo, con cartelloni di legno.

La botte è pronta e può essere portata in cantina sui cavalletti disposti già in modo strategico.

 

Il metodo per fare il vino

Nello scorso secolo e agli inizi del nostro, la produzione di vino per il consumo familiare era diffusa, sia per la presenza di colline adatte alla coltivazione della vite, sia per l'abilità dei nostri viticoltori.
Per produrre un ottimo vino in pochi mesi di fermentazione, si eseguivano le operazioni qui elencate:

Si portava la bigoncia nella vigna per mezzo di un carro trainato da buoi.

Si vendemmiava l'uva riponendola in cestini di vimini. 

L'uva contenuta nella bigoncia era portata in cascina.

I ragazzi entravano nella bigoncia a piedi nudi, si tenevano ai bordi e pestavano l'uva.

L'uva pigiata veniva rovesciatane nelle "ziurette" con una paletta di legno.

Le ziurette piene venivano svuotate in cantina nei tini.

Dopo 18 giorni circa l'uva macerata veniva riposti in botti pulite.

Il vino veniva separato dai raspi e questi con le bucce degli acini e con i piccoli semi erano messi nel torchio per recuperare la maggior parte di vino possibile. Con le vinacce rimaste sul torchio si sarebbe potuto fare la grappa.

Il mosto nelle botti finiva di fermentare e diveniva vino. Poteva essere poi filtrato con un filtro di rete metallica.

 

 



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