* PENSIERIDEE *

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Bananìa alla corte dell’Imperatrice di Atlantide

[Quinta ed ultima parte - Capitolo 1°]

 

I propri fallimenti sembrano più tragici se li raccontano degli estranei alla tua vicenda

 

Come nelle peggiori tradizioni della specie umana, si deve ancor oggi alle analisi e alle cronache degli alieni di Andromeda una più precisa conoscenza delle vicenda della fine dell’impero di Atlantide e di quel mondo umano che con tragica pazienza aveva subito quel dominio.  Gli alieni di quella remotissima galassia si erano più volte interessati  a quel ridicolo pianeta azzurro, il dettaglio che le acque prevalessero di tre a uno sulle terre emerse e che fosse così ricco, ma non troppo, di vita  e di specie animali e vegetali lo rendeva candidabile per una loro colonizzazione  in un lontano futuro.  Tuttavia non era tanto la molla dell’invasione a spingerli a spiare le vicende umane quanto una fortissima curiosità.  La società e la struttura politica di quelle lontanissime creature era simile a quella delle formiche o delle api: ordinata, gerarchica, precisa, spietata.  Il caos disordinato della razza umana era per loro qualcosa di bizzarro, di curioso, forse non privo di un fascino perverso.  Così essi costruirono delle spie subito inviate sul posto e delle basi d’ascolto orientate verso quel remoto angolo dell’universo, erano bramosi di conoscere i dettagli di una lotta per il potere dal loro punto di vista strampalata e strana ma anche fonte di preziose informazioni su cosa assolutamente non si deve fare in casi del genere. Registrarono il pauroso incremento delle spese militari e l’evidenza del dato che ormai esse erano il primo motore dell’economia e dello sviluppo scientifico dello scellerato consorzio umano.  La guerra possibile era la prima realtà dell’economia reale, che rendeva il benessere dei più una variabile del conflitto. La scelta era quasi forzata, l’imperatrice stava perdendo il potere, minato dall’interno dall’imperizia dei suoi gregari e alleati, all’esterno dalle capacità di reagire dei nemici, a questi guai s’univano le sconfitte sul campo dei suoi mercenari, dei generali e degli esperti al soldo.  Come al solito al genio del capo supremo non s’univa la capacità dei sottoposti di attuare la sua volontà e di farne una cosa concreta.  Sua maestà iniziò a considerare il fatto che la guerra fatta in questo modo era perduta, almeno dal suo punto di vista, ossia da quello dell’esercizio del potere reale, concreto e oggettivo. I fatti d’arme erano infelici e i successi limitati, a questo s’aggiungeva che la valuta di riferimento imperiale lo “straccio verde” era ormai poco più che carta, i massicci prestiti in valuta pregiata degli stranieri consentivano all’impero di tenere in piedi la sua economia di guerra ma non di salvare la faccia.  Il fatto che parte di questi prestiti fossero concessi o estorti a potenze e gruppi finanziari non sempre interessati ai destini dell’impero dava a tutta la situazione una spiacevole instabilità. Per uno di quei fenomeni inspiegabili ai più si stava disgregando la posizione di privilegio dell’impero, la sfortuna in guerra aveva velocizzato lo spostamento dei grandi affari dell’economia globale verso est, da tempo molte potenze minori insidiavano in specifici settori industriali e commerciali il primato atlantideo.  Parve loro ovvio approfittare della crisi globale delle risorse che rendevano difficile ad Atlantide il ripetere i lucrosi affari di un tempo in tutto il globo.  Con un cambio di rotta dei cospicui flussi finanziari la guerra poteva dirsi perduta, perché gli eserciti sono mostri che devono divorare tutti i giorni capitali e interessi. La forza  bruta delle armi conferiva  un discreto vantaggio, ma non  tale da far pensare a una capacità di rovesciare la situazione sul campo.  La potenza atlantidea era notevole, superiore a quella di qualsiasi altro nemico, ma quando la crisi non è solo militare, ma politica ed economica ecco che le bombe di precisione e i satelliti servono a poco.  Distrutte le città, sgominati i piccoli eserciti ostili, massacrati alcuni notabili che osavano resistere, la guerra non terminava, quelli non si arrendevano, continuavano la lotta con mille oscuri mezzi e trucchi. Il nemico sfuggiva il contatto, usava il terrorismo e la guerriglia, non c’erano territori da conquistare o capitali da assediare, tutto era qualcosa di fluido, di orrendo che prendeva forma fra macerie e campi profughi. Quel sistema economico e sociale che stava portando tutti i viventi verso la  guerra totale e la crisi di risorse era fin troppo umano, era un potere legato agli esseri umani, ne seguiva i capricci, ne alimentava la follia, i deliri di onnipotenza, la colossale stupidità. Questa condizione era negativa, maledettamente negativa: la follia aveva degenerato il sistema.  L’imperatrice considerò che non si poteva subire questa debolezza, gli umani erano il potere e nello stesso tempo l’anello debole di questo stesso potere; forse era meglio un dominio sugli umani da gestire senza di loro. Questa materia vivente aveva bisogno di terra fertile, aria, acqua potabile, strutture politiche  e sociali complesse e in particolare di una cosa chiamata petrolio, o di altri combustibili simili.  L’oro nero e i suoi derivati erano purtroppo un bene scarso che condizionava, allora, l’edilizia, i trasporti, l’industria chimica, l’agricoltura, la produzione d’energia e il movimento delle forze armate. Il petrolio era un bene quasi scarso, prezioso, su cui si muovevano ogni sorta di speculazioni, di eccessi, di violenze politiche e sociali di truffe colossali e imbrogli d’ogni tipo.

Il passaggio verso un’economia post-petrolio era una terribile insidia per l’impero, perché il potere   globale si sarebbe mutato, alterato definitivamente, si sarebbe trasformato, ovviamente a scapito del suo potere imperiale.  Gli stati e gli imperi dell’est alleati con le demagogo-crazie del sud del mondo  avevano creato degli interessi e degli affari in comune, e stavano lavorando per una nuova economia a bassi consumi di petrolio che, per così dire, segava le gambe alle multinazionali petrolifere degli atlanti dei.  Da  sud  partivano carichi di merci esotiche, combustibili, petrolio e derivati e valuta pregiata verso est.  L’est ricambiava con aiuto polittico, armi, tecnologie sofisticate, macchine utensili, appoggio politico e militare.  Il problema era molto semplice, brutale, netto: il mondo umano non aveva più bisogno di Atlantide e anche poteva far  a meno delle sue maledette armate, delle sue protezioni, delle sue multinazionali, della sua lingua, delle sue regole credute come universali, e ovviamente della sua imperatrice. Questo era davvero  qualcosa di terribile, di funesto, non c’è peggio per il potere della certezza di non essere più utile, di non essere più credibile; per sua maestà era qualcosa di davvero osceno e pericoloso.  Fra sé pensava :”sempre quei tragici stati e imperi dell’est, sempre loro, piccoli, arroganti, ottusi e sempre contro la civiltà. Sono una maledizione, una cosa scellerata”.  Era necessario quindi prendere provvedimenti, veloci e rapidi.  Era opportuno mettere in piedi una serie di attività di rappresaglia.  Occorreva in qualche modo stroncare questo tentativo e nello stesso tempo lavorare e studiare come far pagare a quella feccia il loro grave abuso.  La cosa non era semplice, la rappresaglia deve per forza di cose mettere in conto la prospettiva del conflitto globale. Il conflitto  era più che una  possibilità una necessità, non si poteva in nessun modo evitare la resa dei conti, era necessario arrivarci con gli strumenti e la potenza necessaria per vincere.  Vincere la guerra era diventata una cosa molto difficile.  C’era la potenza per vincere le battaglie, per spezzare la volontà di singoli dittatori e di scomodi leader democratici.  Uscire vincitori da un grande conflitto era una cosa ben diversa.  Erano necessarie una serie di condizioni difficili da ottenere, anche perché come è noto la guerra è il regno dell’incerto.  I nemici si dividevano in due categorie quelli reali e concreti e quelli occulti che finanziavano e rifornivano la feccia ostile di bombe, di armi, informazioni riservate, e molto altro ancora.  In particolare grandi cifre passavano dai soliti paradisi fiscali e dalle casse delle finanziarie e delle banche in quelle dei finanziatori e di eversori e di terroristi.  Il giro era gestito da finanzieri, delinquenti, servizi segreti, mercenari.  Questi tristi figuri facevano girare somme cospicue per far organizzare colpi di stato, attentati, omicidi, creazione di gruppi politici e studenteschi volti a mettere in crisi gli atlantidei. Del resto le vicende umane avevano visto tante volte i governi di Atlantide operare per destabilizzare e danneggiare pesantemente governi e  gruppi politici e sindacali ostili, quindi era comprensibile che le altre potenze imperiali usassero gli stessi mezzi.  Questa rivalità era anche una questione di spirito di competizione, di sfida fra potenti.

Non c’era nulla  di gratuito, anche gli ideali erano parte compravendita.

La prima reazione imperiale fu di prendere contromisure e finanziare forme d’opposizione  più o meno violenta ai regimi non atlanti dei. Poi lentamente ma meticolosamente iniziò  a creare  un nuovo tipo  di esercito, non più una serie di organizzazioni volte a reprimere la guerriglia, ma al contrario qualcosa che era in  grado di operare in teatri dove  erano usate armi di distruzione di massa. La cosa non poteva aver luogo in fretta, aveva bisogno dei suoi tempi tecnici ed esecutivi.  Un lento, semplice, lucido progetto di morte prese forma.

La prima cosa da mettere a punto erano le nuove testate nucleari tattiche da usare in caso  le altre armi non avessero raggiunto gli scopi.  Era importante avere a disposizione tutta la scala delle armi di distruzione di massa: gas, aggressivi chimici,armi batteriologiche, raggi della morte, supervirus per i computer. Per l’impero doveva sempre esser possibile operare e pianificare i conflitti dal livello dalla piccola strage, annientando magari anche un solo quartiere urbano, fino alla capacità di stroncare la vita e l’economia di un continente.  Occorreva rinnovare gli arsenali, trovare nuove strategie, dottrine d’impiego, fare un salto tecnologico e dopo tanto lavoro il sospirato e definitivo impiego dei nuovi ordigni di morte. C’era attesa per la strage novella, per l’uso delle nuove superarmi, in molti dai finanzieri ai trafficanti e perfino i piccoli azionisti delle multinazionali s’era fatta avanti la speranza di un nuovo riarmo fonte di straordinari profitti e dividendi azionari. Ci erano voluti quasi cinque anni  di silenzio e di lavoro ossessivo del controspionaggio per prepararsi,  per dar corpo al nuovo arsenale di morte.  Quello che mancava era l’occasione per scatenare il massacro in grande scala. Occorreva scrutare bene la situazione, capire come e perché, e infine scatenare la potenza distruttiva tutta in una volta.  Mancava solo uno stato canaglia con un leader impresentabile e scemo da colpire e da stroncare per poi passare in rapida successione agli altri prima che quelle armi trovassero delle contromisure, o peggio fossero copiate.  La guerra è anche una questione di tempismo, di ritmo, di armonia fra le parti. Se sua maestà imperiale non fosse programmata per fare la statista sarebbe diventata una straordinaria direttrice d’orchestra.  [SEGUE]

 

IaNa per FuturoIeri

 

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