* PENSIERIDEE *

          Per gli affezionati che qui ci leggono o altrove ci ascoltano

 

 

Bananìa alla corte dell’Imperatrice di Atlantide

 

[Quarta parte]

 

S’allontani la notte, venga il giorno, porti quest’alba una nuova guerra

 

Accade per mano della maestà imperiale ciò che era stimato impossibile e folle: gli atlantidei iniziarono a pensare di essere l’unica civiltà degna di sfruttare le risorse del pianeta azzurro, questo credere fu così intenso e così ben accompagnato da “pubblicità & propaganda” che cominciarono a comportarsi come se fossero una civiltà minacciata da altri, quando in verità erano minacciati piuttosto dai loro errori.  Il bello è che neanche sapevano bene da chi, visto che quasi tutti i popoli del mondo inclusi i loro vinti di un tempo li avevano avversati e combattuti.  Sul momento quando la cosa iniziò ad andare ad effetto c’erano sì dei nemici, ma erano poveri, divisi, e spesso miserabili.  Erano quelle genti  fra le più sfortunate e sciagurate del pianeta, vivevano in luoghi desertici e aridi, e non è una cosa da poco trovarsi in un simile ambiente in una sfera leggermente schiacciata ai poli dove le acque superano di tre a  uno le terre emerse.  Questi tapini caddero preda della furia imperiale più per la necessità da parte atlantidea di sperimentare le nuove superarmi destinate a combattere in futuro gli imperi dell’’Est che per le poche minacce e provocazioni che essi potevano portare ad effetto.  Le quali erano direttamente proporzionali alla loro miseria e alla loro ignoranza. Vittime e non molto di più, anche se nella loro stupidità non capivano esattamente cosa stava capitando loro, eppure questi poveracci risultarono essere determinati a vendere cara la pelle.  La guerra che doveva essere una passeggiata militare si scontrò con una resistenza imprevista, violenta, cattiva, e diffusa sul territorio.  Si trattava di un riflesso della violenza esportata dagli atlantidei che comportava una reazione uguale e opposta.  Proprio la violenza militare ed ideologica faceva sì che i nemici di turno si dotassero di armi, tattiche, ideologie belliciste, fanatismo religioso e politico.  Una miscela di paura e morte in grado di autoalimentarsi e proliferare  si costituì e divenne la nemesi della guerra imperiale atlantidea.  Dopo i primi due anni gli atlantidei intesero che la guerra non sarebbe stata una faccenda breve, ma anzi sarebbe diventata permanente.  Una cosa che avrebbe accompagnato la loro gente dalla culla alla tomba.  Un poco si prepararono  e si preoccuparono di questa cosa perché quei mascalzoni e maleducati dei nemici avevano la cattiva abitudine di combattere.  Nonostante i bombardamenti, i mitragliamenti, le operazioni delle forze speciali e qualche offensiva di terra in grande stile, fatte per far guadagnare qualche chilo di medaglie ai generali e ai loro comandi, queste genti “povere e sconsigliate” non si davano per vinte.  Con rammarico gli atlantidei osservavano che anche quella cosa che era la corruzione e l’imposizione dei governi fantoccio con personaggi improponibili e bande di consulenti e mercenari al seguito non funzionava.  I nemici non cedevano, andavano avanti con i loro progetti, occorreva stanarli uno per uno, dovevano essere presi o catturati, o meglio accoppati sul posto.  Spesso non erano neanche militari o mercenari ma civili vendicativi, gente povera che per prendeva la prima arma che trovava o che gli veniva offerta, cialtroni di ogni tipo, c’era perfino qualche persona onesta che mai avrebbe pensato di osservare il resto dell’umanità da un mirino.  Fra le cose sorprendenti e nuove che si mostrarono allora vi fu che fra coloro che sparavano e morivano c’erano molte donne.  Il sesso gentile, stanco di far da bersaglio in pace come in guerra, si era per così dire messo in proprio.   La guerra era diventata una faccenda sgradevole e una questione sempre aperta che bruciava le risorse umane e materiali e alimentava le speranze dei nemici di Atlantide.  Quindi per rispondere  colpo su colpo e per risparmiare energie preziose per conflitti più impegnativi l’imperatrice autorizzò un ampio ricorso alle forze armate mercenarie e alle bande paramilitari da arruolare in loco.  Sulla carta questa era una buona idea ma in pratica si risolse nel trionfo delle forze del caos.  I mercenari fedeli al Dio-Denaro cercavano di truffare coloro che pagavano offrendo modesti servizi a caro prezzo, e se possibile evitavano il confronto con il nemico.  Vivere per  i soldi e uccidere per denaro comporta la banale considerazione che se muori ti viene tolto tutto in una volta ciò che hai più tutto quello per cui credevi di combattere.  Morire e lasciare sul campo il guadagno era, ed è, un cattivo affare.  I mercenari quindi in quelle guerre si rivelavano costosi e poco efficaci contro gente decisa  a morire e a uccidere.  Prove ancor peggior vennero in luce con i miliziani arruolati in loco e  paramilitari.  Se il mercenario era disciplinato, costoso, preparato ma poco propenso a morire per una causa a lui estranea  al contrario i paramilitari e i miliziani erano anche disposti a correre il rischio di farsi ammazzare, tuttavia erano indisciplinati, ladri, e ponevano problemi di carattere politico.  Cercavano di ritagliarsi, nel caos generalizzato del conflitto, un loro spazio di domino e di potere. In breve la guerra divenne qualcosa d’ingestibile poiché ogni gruppo armato o banda seguiva i suoi interessi, moltiplicava i danni della guerra, impediva la ricostruzione, alimentava l’odio della popolazione e rendeva impossibile il ritorno alla normalità, del resto la pace avrebbe comportato per quelle genti armate il non vivere più di rapina e di estorsioni.  Questo modo così strampalato di giustificare e fare la guerra si trascinò dietro altri problemi.  Andare a dichiarare di essere la sola civiltà in presenza di più civiltà e popoli sul pianeta e accompagnare questa propaganda con una politica aggressiva comportava, e comporta, di solito, più che il risentimento o lo stupore degli altri la manifestazione di una ferrea volontà di emulazione.  Non c’era un solo popolo diverso dagli atlantidei dopo un solo anno di tale martellamento propagandistico che non si considerasse a sua volta l’unica civiltà.  Quando si suscita l’invidia e lo stupore degli altri è comune che si susciti la volontà di far meglio e s’alimenti uno spirito di competizione e rivalsa talvolta sleale e rancoroso.  Questo accade spesso presso i singoli privati così come fra i potenti della terra, i quali in questo crudele gioco di rancori e di coglioneria giocano spesso con la vita dei popoli che la comune disgrazia ha posto in loro potere.  Così fu che nel giro di due o tre anni i nemici di Atlantide trovassero ispirazione  proprio  da quel modo di concepire la realtà della razza umana imposto dall’imperatrice dalla sua gente.  Genti lontane da ogni fede e da ogni casta sacerdotale rispolverarono antiche superstizioni perdute da generazioni, chi aveva smarrito la fede nel divino la ritrovò per far carriera in politica o nelle forze armate, chi aveva vissuto per il suo piccolo mondo umano fatto di cose materiali e questioni private si scoprì quasi mistico.  Anche giornalisti, uomini e donne di spettacolo, ladri comuni, imbonitori televisivi e prostitute d’alto bordo scoprivano di essere sempre stati devoti a un qualche Dio, anzi al solito.  Non è un mistero che col solo esempio l’uomo o la donna di potere siano in grado di moltiplicare coloro che li prendono sul serio imponendo ai molti di copiare i  loro costumi, i loro pregiudizi, le loro nefandezze.  Emulare la persona famosa o l’uomo potente è il sogno dei più.   Se non c’è a disposizione nella vita nulla che pare degno di questo fingere ecco  la letteratura, il cinema, e videogiochi e la rete universale offrono migliaia di eroi, principesse, regine e regnanti d’ogni qualità e tipo; tutti degni di devozione e imitazione.  Basta solo che l’uomo perda per un solo attimo la capacità di distinguere il vero dal falso. In quel tempo, l’esempio della strumentale devozione di sua altezza imperiale rilanciato sulla rete e in televisione divenne uno stile politico e di costume imitato e copiato dal consorzio umano.  Si chiese quel Dio Unico cosa mai fosse questa umanità di esseri adoranti che per onorarlo e adorarlo si era ispirata ad una macchina di quella natura, e perché mai una così vasta parte di quei bipedi avesse posto la vita in potere di un essere di per sé incontrollabile e amorale.  Quel Dio si chiese se la vita stessa su quel pianeta così remoto e bizzarro non avesse prodotto una straordinaria anomalia, la quale proprio per il tipo di  produzione e consumo che portava avanti stava minando le basi della sua stessa sopravvivenza danneggiando le risorse fondamentali quali acqua, aria, terra e gli equilibri idrogeologici del pianeta.  Tra una preghiera e l’altra sua maestà imperiale scrutava  i monitor della stanza-computer i dati che le erano necessari.  Il tempo passava, e nonostante la sua guida energica, la situazione peggiorava; era evidente che le risorse planetarie e per quanto ampie erano predate e distrutte da più civiltà umane in competizione, e la competizione alimentava l’accaparramento delle risorse con ogni mezzo, anche il denaro.  La cosa più grave  a suo modo di vedere era la decrescita delle risorse strategiche vitali per i processi economici impostati dalle multinazionali.  Acqua, terra coltivabile, gas, petrolio, minerali, legname, perfino gli esseri umani erano risorse ormai oggetto di competizione.  Ma l’acqua e la terra coltivabile erano forse le risorse non sostituibili, le più importanti, quelle per cui si sarebbe consumato lo scontro decisivo.  In questa prospettiva era completamente a suo agio la maestà imperiale: i goti erano il popolo che l’aveva costruita e nel farlo avevano pensato ai loro antichi condottieri e ai capi spirituali.  Questi illustri personaggi avevano tante volte spinto i Goti in guerra per portar via la terra e l’oro e l’acqua ai loro nemici veri o presunti tali.  Di queste lotte essi andavano orgogliosi, ed ogni guerra era sempre amata perché combattuta per la vita, la sopravvivenza, l’onore e sopra ogni a altra cosa per uccidere per il solo piacere di farlo.  Sua maestà s’inebriava di questi ricordi avuti come eredità ancestrale dai suoi creatori, era convinta di esser infallibile finché fosse rimasta fedele allo spirito predatorio di quelle genti del nord-est  che avevano funestato l’umanità con stragi e guerre innumerevoli.  In lei era avvenuta la fusione di un sentimento che pareva provenire da un predatore affamato e la capacità di  calcolo delle più sofisticate macchine.   Calcolare e misurare gli esiti dei conflitti che avrebbe scatenato era più che un dovere: era un piacere e una necessità psicologica come è per un essere umano il buon bere e il buon mangiare.  Forse un Dio c’era e quel Dio era proprio lei.   Dopotutto in tanta tragedia e sciagura riusciva a trovare il senso e il valore della sua esistenza; come se avesse lei costruito questo miserabile mondo umano con le sue mani e lo stesse riplasmando come fa l’artista con la materia che deve prendere le forme che  impone ad essa.  [SEGUE]

IaNa per FuturoIeri

 

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