Culti e cultura alla fine dell'antichità 

  Il tramonto dell'impero


La diffusione della militia christi

Il trionfo della chiesa

Glossario

Cronologia

Atlante

 La chiesa incontra lo stato


 

260 - 370

 


In questa pagina

L'ultima sfida

Il cristianesimo di stato

La lotta alle opinioni

La resistenza del politeismo

 


Confronta

La storia di una lunga agonia (193-476)

La crisi economica del mondo romano

 

 

Ormai la maggior parte della popolazione religiosa osteggiava le vecchie credenze. Anche chi non era cristiano tendeva ad adorare una divinità sovrana, come il dio Sole. Ciò che si ricercava era la protezione di un unico Dio e dei suoi rappresentanti sulla terra. Gli intellettuali ed amministratori ecclesiastici, per sopravvivere a duecento anni di opposizione violenta, dovettero integralmente negare la loro contrarietà al potere temporale, tipica invece di Gesù e degli ebrei, rimuovendo così la principale causa di conflitto fra l'impero e il cristianesimo. I sacerdoti svilupparono quindi l'idea di uno "stato cristiano" e lastricarono la strada per l'assimilazione dell'efficiente organizzazione ecclesiastica nelle strutture ufficiali di potere.

 

Sebbene inizialmente avverso all'impero, il cristianesimo fin da subito cercò di limitare le posizioni estremiste e di trasporre la lotta al governo su di un piano filosofico-morale. Ciò che si metteva in dubbio era la mentalità corrente, basata sulle credenze religiose politeiste oppure sulle filosofie razionali tendenzialmente atee. I problemi militari dell'impero, le epidemie e le carestie, unite alla repressione governativa non fecero che aumentare la fede della popolazione in un mondo ultraterreno, che fosse migliore di quello reale. I vescovi, forti del supporto popolare e resistendo alle dure "persecuzioni", riuscirono a formare una grande organizzazione sociale, parallela alle strutture statali. Mentre i filosofi difendevano le loro posizioni "razionali", i cristiani denunciavano il militarismo e l'inconsistenza etica dello stato. 

 

Nel III secolo dopo Cristo, un'epoca dominata da guerre interne e irruzioni dall'esterno, ebbero molta presa sulla popolazione imperiale il cristianesimo e altri culti orientaleggianti che ponevano al centro della loro predicazione la salvezza dell'anima individuale. Le comunità cui aveva dato vita Paolo di Tarso divennero pian piano un'ampia rete di cellule, in contatto fra loro, attente alla gestione delle proprietà comuni e al rapporto col mondo greco-romano. La "setta" cristiana aveva raccolto uno degli ideali del mondo di allora: a differenza dell'ebraismo puntò a raggiungere e a convertire tutti gli esseri umani senza distinzione. 

 

Durante l'anarchia militare (235-284) e le repressioni di massa (235-305) i teologi e i vescovi si resero conto che le dimensioni del fenomeno cristiano erano divenute imponenti e che la stessa Chiesa, lungi dall'essere una moda contro-corrente, era ormai diventata la portatrice del pensiero dominante. Ponendo termine a una disputa secolare, acconsentirono alla ex-religione "pacifista" - che aveva visto i primi "obiettori di coscienza" - di diffondersi, riconosciuta dall'alto, anche nell'esercito, dove si potè verificare la sovrapposizione con gli altri culti monoteisti, come per esempio quello del dio Sole. Così, a partire dalle vittorie militari di Costantino (313-337), la nuova istituzione religiosa, la Chiesa, un po' alla volta prese le redini di un impero fuori controllo, che, almeno in occidente, era il pallido riflesso di quello contro cui ci si era ribellati. 


L'ultima sfida

 

Se tutti gli imperatori romani fossero stati dei pazzi invasati, o semplicemente dei fervidi politeisti, la Chiesa cristiana non avrebbe mai potuto svilupparsi e soprattutto non avrebbe mai potuto fornire una solida struttura d'appoggio per Costantino (312-337). Invece molti sovrani erano di idee illuminate, alcuni erano monoteisti anche se non cristiani e altri erano semplicemente tolleranti. Alla fine del terzo secolo, grazie all'imperatore filosofo Gallieno (260-268) e agli imperatori illirici (268-303) i cristiani, ormai accettati nella società civile, poterono godere di quarantatre anni di totale tolleranza, durante i quali la Chiesa consolidò la propria presenza territoriale, nonché la struttura gerarchica interna. Il monoteismo stava pian piano sostituendo il politeismo: anche le forme di paganesimo tendevano all'unificazione delle divinità e alla ricerca dell'assoluto. Il principale filosofo pagano del terzo secolo, Plotino, amico di Gallieno, riteneva che tutto il mondo terreno fosse emanazione di un unico sommo Bene supremo, e che la materia maligna ne fosse l'allontamento più estremo. L'imperatore Aureliano (270-275), il restauratore del mondo, provò ad ufficializzare un culto monoteistico parecchio diffuso nell'esercito: il culto del dio Sole, nella versione persiana di Mitra, un antico eroe guerriero. Aveva creato specifici sacerdoti, ma aveva anche riconosciuto, dicono alcuni, l'effettiva importanza della chiesa cristiana e del vescovo di Roma. Forse nel III secolo non erano molti a credere che Gesù fosse un dio e ancora di meno che Gesù fosse proprio Dio. Ad ogni modo, in tutto il periodo imperiale, e anche pre-imperiale, in tutti gli strati della popolazione si nota una sorta di tendenza all'unificazione religiosa o all'estasi mistica. 

 

Alla fine del III secolo la Chiesa era diventata una vera e propria istituzione: una grande organizzazione religiosa, al limite della legalità, ma diffusa e anche apprezzata, per i suoi discorsi in difesa della diginità umana, un po' dovunque. L'iniziale carica eversiva - cioè contraria alle istituzioni - di Gesù Cristo, portata avanti da numerosi intellettuali, era stata del tutto dimenticata. Adesso, al contrario, si vedeva l'impero come la possibile continuazione della predicazione del messia e quindi di tutta la storia dell'uomo. Il culto cristiano si era diffuso anche presso alcuni aristocratici e senatori, inserendosi sempre più profondamente nella realtà sociale dell'impero. La maggior parte dei teologi e degli ecclesiastici eliminarono l'ultimo baluardo della coscienza pacifista tipica del profeta itinerante, approvando che il cristianesimo fosse professato anche dai soldati, facendo avverare le previsioni di chi aveva parlato, non solo metaforicamente, di una milizia cristiana. Fino alla metà del terzo secolo, cioè per oltre 250 anni, i cristiani avevano risposto alle persecuzioni solo con idee e discorsi pacifisti, e non avevano mai compiuto atti di terrorismo o di insubordinazione militare. Fra III e IV secolo la fede religiosa penetrò in ogni settore della vita pubblica e privata. Gesù di Nazareth non aveva certo detto a tutti di lasciare il proprio lavoro e farsi monaci, e considerava un mestiere anche quello di soldato. E così i teologi accettarono la protezione di un potere militare. La dottrina però divenne sempre più dogmatica, e la sua organizzazione rigida e gerarchica. In due secoli la religione cristiana, ormai del tutto clericale e molto lontana dalle opinioni dell'uomo da cui prendeva il nome, avrebbe dominato la realtà terrena e soprattutto la mentalità umana. E avrebbe mantenuto tale ruolo per quasi duemila anni.

 

Nel frattempo la concezione del potere imperiale era definitivamente virata verso la teocrazia. Nei primi tempi dell'impero i sovrani si definivano princeps, cioè presidenti del senato, ed erano considerati come uomini, dotati di genio e soprattutto fortuna, qualità che garantivano, al massimo, la loro protezione da parte degli dèi. Forse alcuni si credevano degli dèi, nel loro intimo, ma la religiosità del periodo classico non era ancestrale, come quella del 500 a.C., e non era evoluta come quella cristiana, non permeava più, e non permeava ancora, ogni settore della vita pubblica e privata. Molti intellettuali "classici" avevano negato l'esistenza stessa degli dèi. Ma soprattutto la concezione di "dio" che avevano gli antichi era molto diversa da quella monoteistica, che è giunta fino a noi. In Europa, nei vecchi tempi, non si pensava che ci fosse una grande differenza fra la sfera umana e la sfera divina. Gli dèi erano potenti, ma non onnipotenti: il fatto stesso che fossero in molti e in continua lotta fra di loro ne limitava la volontà e li rendeva del tutto simili agli uomini. Erano delle specie di super-uomini. Potentissimi e imprevedibili. Ma anche un uomo qualsiasi, o meglio un individuo eccezionale, per qualunque motivo lo fosse, non era considerato molto diverso da un dio. Nel III secolo gli dèi, non onnipotenti, ma comunque immortali, divennero simbolo di potenzialità sovrumane. E crebbero fra gli uomini quelli che si ritenevano in grado di "ammaestrarli" e di far uso della loro volontà.

 

In tutta l'antichità, in particolar modo in oriente, dov'era diffusa una mentalità più religiosa, i sovrani si presentarono spesso come dèi, o semi-dèi o figli di un dio. Alcuni, però, e non pochi fra i romani, dichiararono esplicitamente che ciò non era assolutamente possibile. Pensavano, al massimo, che con la locuzione gli dèi si indicasse un generale destino del mondo o flusso temporale al quale gli uomini non potevano sottrarsi. E basta. Dopo gli sconvogilmenti del terzo secolo, l'attrazione per le religioni salì notevolmente: i tetrarchi, i quattro imperatori al tempo di Diocleziano (284-305) si presentavano sì in modo simile ai loro predecessori greco-romani, cioè come divini, o come uomini protetti dagli dèi, ma lo facevano in modo molto più pregnante. Stava avanzando, infatti, anche nel governo, di cultura greco-romana ma di estrazione balcanica, la concezione tipicamente orientale, secondo cui il sovrano era il rappresentante sulla Terra di una infallibile divinità suprema che regnava in cielo. Secondo questa concezione orientale gli dèi, o la divinità, erano molto più potenti degli uomini, ne determinavano attivamente e volontariamente i destini. Al di là dei riferimenti a Ercole e Giove i tetrarchi erano molto simili a quello che i greco-romani avevano sempre visto con disprezzo: un signore assoluto, un  dominus che regnava sugli uomini. Egli era il signore del mondo poiché questa era la ferrea volontà di una divinità imperscrutabile. Una vecchia divinità greco-romana avrebbe potuto concedere i suoi favori. Le nuove divinità invece (orientali o prodotte dalla "somma" di varie divinità antiche) sceglievano il loro protetto. Davanti a lui bisognava inginocchiarsi, come in adorazione presso una statua che rappresentava la divinità. I romani antichi, con la loro mentalità pratica, non capivano proprio questo atteggiamento, né avrebbero mai permesso tale umiliazione. Ma all'inizio del IV secolo dell'era cristiana, la concezione del potere era già teocratica. E lo scontro fra i garanti dell'autorità, uno dei vecchi dèi, rinnovati, o il nuovo Dio onnipotente, era alle porte. 

 

Nei primi anni del quarto secolo fu scatenata l'ultima persecuzione, vasta e feroce, per opera di Diocleziano (284-305) e Galerio (305-311). Gli intellettuali al servizio del potere misero in atto un'enorme propaganda anticristiana. Si dice che Diocleziano, il grande imperatore illirico che aveva scelto l'etichetta di corte orientale, in realtà fosse poco incline alla spiritualità. La sua sarebbe stata una scelta obbligata. Si era adeguato alle richieste dei tempi. E infatti dopo due anni dall'inizio della persecuzione, come aveva promesso, abdicò, cercando di disinteressarsi della questione. Il nuovo sistema ereditario, la tetrarchia, fallì e si scatenò una guerra interna per la successione. La persecuzione anticristiana continuò e si fuse con la guerra. 

 

La storia era giunta a un punto di svolta epico: adesso i cristiani militavano anche nell'esercito e avevano trovato un protettore nel principe Costantino. Alla fine, il tirannico Galerio, poco prima di morire, ammalato e deperito, ammise la sconfitta degli antichi dèi, che evidentemente non lo avevano difeso a sufficienza. Galerio aveva creduto negli dèi, ma questi avevano perso. E il sovrano morente, agendo con corretta logica consequenziale, promulgò un editto - una sorta di legge costituzionale - che garantiva la tolleranza totale nei confronti dei cristiani, il cui dio protettore aveva dimostrato in battaglia di essere più forte di quelli vecchi.

 


Confronta

L'anarchia e le contromisure (235-284)

La riforma tetrarchica di Diocleziano (284-312)

Mappa delle province illiriche

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Confronta

L'anarchia e le contromisure (235-284)

La riforma tetrarchica di Diocleziano (284-312)

 


Il cristianesimo di stato

Con vari contingenti germanici e una certa parte dell'esercito che professava il cristianesimo, Costantino (312-337) vinse la guerra contro i successori di Diocleziano (284-305), che difendevano accanitamente il trono e il paganesimo. Sotto Costantino si accettò il fatto che la nuova religione fosse più importante del vecchio politeismo. Avendo perso la sua antica origine nobiliare, l'autorità imperiale poteva ora discendere dal Dio unico di origine ebraica. Gli scrittori cristiani hanno fatto di Costantino un eroe, difensore della fede. Gli studiosi del '900 hanno sostenuto che fu un grande uomo politico, ma non un paladino della giustizia. Atei e marxisti hanno messo in evidenza la convenienza amministrativa ed economica del suo operare e la sua scelta in favore dell'efficiente organizzazione che la Chiesa aveva messo in piedi.

Probabilmente Costantino fu un grande uomo del suo tempo: credeva in un ordine superore del mondo, la sua fede nel Dio dei cristiani era solo abbozzata ma la devozione sincera e, forse, profonda. Egli stesso raccontò la storia secondo cui avrebbe visto in cielo il simbolo di Cristo prima della battaglia decisiva. Se aveva creduto nell'esistenza degli antichi dèi, si può supporre che le vittorie militari gli abbiano dato "la prova" di quanto fosse potente questo strano dio unico, senza nome. In ogni caso non si era convertito subito, ripudiando il vecchio mondo al completo: anche il dio Sole era sempre stato potente. Nell'esercito la divinità della luce, adorata nell'esotica forma di un antico soldato orientale (Mitra), aveva tenuto banco almeno per un paio di generazioni, e il sovrano gli dedicò un famoso arco di trionfo. Costantino si convertì dunque gradualmente, oscillando fra il culto del Sole e le versioni di cristianesimo allora prevalenti, cattolicesimo e arianesimo. Si fece battezzare in punto di morte. Ma questa era un'abitudine diffusa. Non esisteva ancora la confessione: il battesimo era l'unico modo per "purificarsi" - e Costantino ne aveva bisogno - prima di incontrare il creatore.

 

Confronta

Costantino e l'impero cristiano (312-360)

L'arianesimo e le altre "eresie"

Costantino completò la svolta assolutistica di Diocleziano, emanando numerose leggi che andavano in direzione della teocrazia e di un irrigidimento della decadente struttura sociale. Era un ottimo generale, arruolò numerosi germani e diede rilevanza tattica e strategica alla forza di cavalleria, portando a compimento l'evoluzione dell'ordinamento militare di Gallieno (260-268), sommato a quello di Diocleziano.

La ricerca di un bene assoluto, cioè infinito - che fosse origine, causa e scopo di ogni atto umano - era molto sentita nella disperata società dell'epoca, ma, a livello pratico, la Chiesa ebbe successo perché fornì all'impero d'occidente nei guai una classe dirigente migliore della precedente. I suoi uomini erano senza dubbio i più preparati. Da almeno cinquant'anni i vescovi e i loro sottoposti raccoglievano la fiducia del popolo e amministravano i loro terreni con più scrupolo, senso civico e morale dei burocrati imperiali. 

 

Una volta istituzionalizzata, comunque, la nuova religione perse del tutto la carica eversiva iniziale, e badò sempre di più a consolidare il potere politico che aveva faticosamente acquisito durante tre secoli di possibile repressione. Sotto Costantino aumentò la tendenza della Chiesa alla centralizzazione. L'imperatore che rivoluzionò lo stato romano voleva una Chiesa unita, ma indipendente dallo Stato. Lo dimostra il fatto che il concilio da lui convocato nel 325 a Nicea fosse il primo a rappresentanza universale (ecumenico, letteralmente mondiale), cioè che raccogliesse vescovi da tutte le regioni della cristianità - appena riconosciuta ufficialmente. Il suo scopo unificatorio è quindi evidente. Inoltre, nonostante le decisioni del concilio contro la dottrina di Ario, Costantino stesso, come abbiamo detto, non era affatto sicuro di potersi definire cattolico. Sembra quindi che l'imperatore abbia lasciato una certa autonomia decisionale ai vescovi della Chiesa. Voleva utilizzarla per tenere unito il corpo sociale, non per farne uno strumento del suo comando personale. In effetti un suo intervento come pontefice massimo sarebbe stato del tutto normale. L'imperatore romano aveva sempre avuto il ruolo di  capo della chiesa (pontifex). Costantino non rinunciò a tale titolo, ma nemmeno lo fece pesare. Secondo gli storici della Chiesa egli dichiarò di non essere il rappresentante dei cristiani, cioè il vescovo più importante, ruolo che quindi avrebbe lasciato implicitamente a quello di Roma. Peccato però che i rappresentanti dell'occidente a Nicea, nell'attuale Turchia, fossero pochissimi. Di Roma ce n'erano solo due. La chiesa era importante soprattutto in oriente. In occidente lo sarebbe divenuta principalmente per opera di Ambrogio di Milano e del papa Damaso alla fine del IV secolo. Costantino, cinquant'anni prima di Ambrogio, forse non lo fece pesare, ma ufficialmente rimaneva il capo dei sacerdoti, come erano stati tutti gli imperatori precedenti, e quelli successivi fino a Graziano (375-383) e Teodosio (379-395). Fu solo con Graziano e il suo contemporaneo Teodosio che l'impero lasciò ogni decisione spirituale, ovvero morale, alla Chiesa. Fu solo con Graziano e Teodosio, insomma che l'Uomo dichiarò di aver fallito, di non essere più in grado di giudicare cos'era giusto e sbagliato e aver bisogno del giudizio di qualcun'altro.

Comunque il primo imperatore cristiano, probabilmente, lasciò che il giudizio finale sull'arianesimo fosse espresso autonomamente dagli ecclesiastici. Il partito più vasto, quello che si poteva definire sia ortodosso (corretto, ufficiale), sia cattolico” (universale), ottenne che anche i dubbiosi votassero con la maggioranza e così la vittoria su Ario fu schiacciante: solo due vescovi lo difesero fino alla fine del concilio. Ario sosteneva che il Figlio di Dio non poteva essere adorato, come veniva adorato Dio stesso. Perché solo gli dèi si adorano. Se c'è un solo Dio, allora Gesù non è un Dio. Altrimenti ci sarebbero due dèi. La logica di questa osservazione era più rigidamente monoteista, e separava completamente la carne dallo spirito, ma prevalse l'opinione generale, del tutto paradossale e priva di logica, che Dio e Gesù sono fatti della stessa sostanza divina.... Ancora adesso, ai cattolici risulta del tutto ovvio pensare che Dio e Gesù siano della stessa sostanza divina, così come insegna il credo cattolico, stabilito proprio nel 325 a Nicea. Questo dimostra l'influenza dell'educazione sulla mentalità. La consustanzialità (identità di sostanza) fra Padre e Figlio fu il primo dogma della Chiesa cristiana: la prima e fondamentale limitazione della libertà di pensiero. D'ora in poi, per legge, la base della discussione è data. Qualsiasi ulteriore analisi non può che partire da questo punto. La fiducia cieca nel divino sopravvanza sull'analisi razionale, fino a negarne la validità. 

Dal canto suo Costantino si riteneva una specie di messia, un capo charismatico, era circondato da numerosi cristiani convinti ariani - sostenitori di una spiritualità pura - diffusi soprattutto nell'oriente romano, e fu a lungo in bilico fra le due interpretazioni. Ad ogni modo le questioni teologiche non dovevano sembrargli troppo importanti e così, sebbene non ne condividesse l'orientamento di maggioranza, concesse vari privilegi ed esenzioni fiscali alla nuova istituzione, il cui rafforzamento perseguì in modo evidente. Per esempio ammise la validità giuridica dei tribunali interni della Chiesa e permise anche che, su richiesta di ogni cittadino eventualmente interessato, le sentenze di tali corti potessero essere equiparate a quelle civili. Quindi anche in senso amministrativo, la svolta costantiniana fu veramente decisiva, in quanto delegava una parte notevole delle decisioni riguardanti il popolo ai rappresentanti del Dio unico dei cristiani.

Costantino e le prime questioni teologiche di stato


La lotta alle opinioni

Ario aveva studiato ad Antiochia in Siria, ed era divenuto presbitero - cioè prete - ad Alessandria. All'inizio del IV secolo, portando avanti un dibattito già in corso, aveva esposto una dottrina cristiana che proponeva un più basso grado di divinità del Figlio e dello Spirito rispetto al Padre. La questione sulla divinità di Gesù interessava l'intero mondo cristiano fin quasi dalla nascita del movimento. La dottrina di Ario, che non ha niente a che fare col razzismo ma che dal suo nome è nota come arianesimo, si era diffusa sia presso il popolo sia presso i vescovi, nonostante il giudizio negativo del concilio di Nicea (325). La zona dell'impero dove c'erano più ariani era quella di origine di Ario, l'oriente, dov'era più radicata la mentalità monoteista, ossia una visione del mondo che separa nettamente la materia dallo spirito.

Costanzo II (337-361) era uno dei tre figli di Costantino e probabilmente fu lui a far uccidere tutti i parenti che avrebbero potuto reclamare il trono nel 337, con egual diritto ed egual forza. Tutto il suo lungo regno fu comunque impegnato nella risoluzione, spesso vittoriosa, di conflitti armati contro vari ribelli, tentativi di usurpazione, attacchi dei persiani ad est, e dei germani a nord. Da un punto di vista religioso, appoggiò apertamente la visione cristiana di Ario, morto lo stesso anno di Costantino. Costanzo II cercò, come tutti gli imperatori, di trovare un compromesso fra i due tipi di cristianesimo, e fra i due territori che li rappresentavano, ma non vi riuscì. La questione ariana, infatti, era l'indice del contrasto sempre presente fra le diverse chiese, al di là delle dottrine professate. Molti vescovi orientali, pur non essendo affatto ariani, non gradivano la potenza della chiesa occidentale che si andava sempre più rafforzando: la separazione fra le due istituzioni - lo scisma - fu più volte minacciata. E, per la precisione, la dottrina di Ario veniva definita proprio scismatica e non eretica.

Fino al III secolo il cristianesimo era stato, grosso modo, una setta orientale, anche se molto diffuso a Roma, dove d'altronde anche la religione tradizionale romana si perpetrò fino al V secolo. La classe politica occidentale, però,  non si dimostrò all'altezza della situazione d'emergenza - dovuta alla crisi interna come agli attacchi esterni - e non fu in grado di mantenere una seppur minima autorità sulla popolazione. Dopo vari secoli di "dominio" culturale l'idea delle civitas autonome lasciò il posto a quella di impero, o terra, unificata. E la cultura politeista lasciò il posto a una cultura unificata, religiosa. La nuova istituzione "spirituale", nata in oriente, dal III secolo in poi si rafforzò laddove la crisi della civitas era più evidente, laddove la presenza dello stato era meno forte: in occidente. 

E sebbene i primi vescovi, anche di importanti città come Milano, fossero di origine orientale e tendenzialmente ariani, nel giro di qualche decennio i sacerdoti si adattarono alle esigenze politiche della sede episcopale di Roma, la quale non voleva sottostare a nessuna ingerenza da parte dell'imperatore. L'arianesimo, invece, reclamando l'estraneità dello spirito rispetto alla materia, lasciava la responsabilità della gestione politica nelle mani del governo laico. Fra le città del nord Italia lo scontro per il dominio politico si svolgeva fra Milano e Aquileia. E l'arianesimo entrò nei giochi di potere, sostenuto ora da un vescovo ora da un altro. Alla fine, dopo cinquant'anni di incertezza, avrebbe trionfato il cattolicesimo, soprattutto per la decisa politica, a livello internazionale, del nuovo vescovo di Milano (373-397) Ambrosius, che succedeva all'ariano Auxenzio. Dopo i vari tentativi di conciliazione degli anni precedenti, l'arianesimo sarebbe stato nuovamente condannato nel secondo concilio ecumenico, tenuto a Costantinopoli nel 381. 

Approfondisci 

Il significato dell'arianesimo e delle altre eresie cristologiche-trinitarie

Confronta     Cambio di rotta. Impero cristiano, impero d'oriente (312-360)
L'arianesimo fra le popolazioni germaniche

Confronta

Costantino e l'impero cristiano (312-360)

La diffusione del cristianesimo fra i germani

 


La resistenza del politeismo 

 

Nonostante i contrasti interni, in poco tempo il cristianesimo si sarebbe affermato dovunque. Anzi, forse i contrasti dottrinali erano l'indice della vitalità cristiana, che con la sua attesa di un regno celeste, aveva del tutto spento le già moribonde teorie spirituali degli antichi politeisti. Probabilmente, man mano che aumentavano i poteri dell'amministrazione clericale, molti pagani si convertirono per convenienza. La fede della popolazione assunse spesso solo una forma monotesita, ma rimase in pratica politeista. Ovvero: gli uomini forse credevano in un solo Dio, in un'unità assoluta, ma adoravano anche le sue varie emanazioni terrestri. Un vero e proprio culto delle reliquie, infatti, divenne fenomeno di vasta risonanza, immediatamente, per opera della madre dell'imperatore Costantino (312-337), la futura Sant'Elena, una donna, ormai molto anziana, che aveva avuto un burrascoso passato ed era stata raccolta dal padre di Costantino in uno dei diffusissimi bordelli romani. E proprio i santi avevano già assunto nella devozione popolare cristiana un ruolo esattamente corrispondente all'azione protettiva degli antichi dèi. Così per ogni bisogno od esigenza della gente, c'era un santo particolare da pregare. E c'erano già anche i santi protettori delle singole città. E pure questi avevano lo stesso ruolo degli antichi dèi. Insomma non era cambiato niente. Ma era cambiato tutto. 

 

Nei primi cinquant'anni dopo il suo riconoscimento ufficiale, la forza della Chiesa non era, e non poteva essere, così monolitica come lo sarebbe stata nel medioevo. C'erano vari tipi di cristianesimo in competizione fra loro e anche i vecchi pagani potevano far sentire la propria voce. I cristiani, comunque, erano ormai convinti di aver vinto. E trattavano con sufficienza i pochi pagani rimasti. Così, quando un imperatore, l'unico fra i tanti, si oppose strenuamente al corso della storia, cercando di ripristinare il politeismo nella sua forma più recente, si scandalizzarono moltissimo. Lontano parente di Costantino, Giuliano (361-363) abiurò pubblicamente la fede religiosa che gli era stata imposta dalla famiglia: per questo motivo fu detto l'apostata, cioè il rinnegato. L'imperatore pagano credeva fermamente nella filosofia greca, così come si era sviluppata nel IV secolo, e reagì con violenza al cristianesimo. Giuliano riteneva la fede in un solo Dio del tutto estranea al pensiero ellenico razionalizzante: giudicava fuorvianti le interpretazioni che i cristiani davano della filosofia greca e proibì, per i suoi due anni di regno, che questi insegnassero gli autori classici nelle scuole imperiali. Come loro si dimostrò ferocemente intollerante e cercò di elimarne il culto, anacronisticamente, facendo abbattere le chiese cristiane.

Dopo di lui gli imperatori tornarono immediatamente al cristianesimo, restituendo alla chiesa i privilegi che Giuliano le aveva tolto. La fede nella divinità unica e nell'amore universale, e la diffusione dell'organizzazione religiosa erano forti e vaste. Ma le due dottrine cristiane, cattolicesimo e arianesimo, erano ancora in lotta. L'impero orientale di Valente (364-378) proseguiva nella direzione di Costanzo II (337-361) proteggendo la versione cristiana di Ario. L'impero occidentale di Valentiniano (364-375) prediligeva il cattolicesimo di Nicea. Anche alcuni ex-politeisti volevano entrare nella chiesa, che costituiva praticamente l'amministrazione civile dell'impero. E le lotte per l'elezione del nuovo vescovo di Roma, Damaso, costarono ben 137 morti a due fazioni opposte, scatenando il sarcasmo dei politeisti sinceri sulla religione dell'amore fraterno.

Quarant'anni dopo la morte di Costantino e Ario, l'impero si divise in tre per qualche anno. La parte centrale, governata ufficialmente dall'imperatore bambino Valentiniano II (375-392), era amministrata militarmente dal generale franco Merobaude. Per i senatori romani il mondo era sottosopra. Lo stato si ribellava ai suoi antichi fondatori. E allora, così come gli imperatori si erano associati coi loro vecchi nemici cristiani, i pochi politeisti rimasti, in prevalenza senatori tradizionalisti, si associarono addirittura coi germani. I franchi erano ancora politeisti. L'imperatrice madre, Giustina, era ariana ed accettava alla sua corte intellettuali di varie estrazioni e che fossero disponibili ad un dialogo costruttivo. Il senatore pagano Simmaco per difendere il politeismo fu protettore dei generali germanici romanizzati, come il franco Bauto. D'altra parte lo stesso Simmaco, pur essendo un politeista vecchio stampo, promosse la candidatura ad un'importante cattedra universitaria di Milano del giovane professore nord-africano Agostino, il futuro santo, che allora era manicheo. Ma da lì a poco il cattolico Ambrogio passò all'offensiva e portò buona parte del mondo, come lo stesso Agostino, a professare il credo cattolico stabilito a Nicea nel 325. 

Confronta

Cambio di rotta (312-360)

Nuovi poteri (360-406)

La diffusione del cristianesimo fra i germani

La diffusione della militia christi

Il trionfo della chiesa

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Cronologia

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