Scout Terlizzi1Guestbook@mail

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Quello più antico coincide con la civitas medioevale, un nugolo di case e viuzze disposte a raggiera convergenti verso la Cattedrale di S.Michele Arcangelo.

L'ambiente, planimetricamente a semicerchio, è disseminato di scorci suggestivi dove le pietre fanno ancora i conti con la storia: archi (pozzo Marango, de Cristoforis, Tauro, Arimondi,Albimonti, del Carmine, S. Nicola, dell'Annunziata, del Riposo, Romanelli), piazzette (S.Lorenzo, Lago Dentro), bifore (Toselli Annunziata), portali (Schettini), stemmi araldici (de Gemmis, de Paù, Berbinellis, Sangiorgio, de Talis) e frammenti decorativi ci parlano della primitiva realtà comunitaria, degli spazi insediativi coerentemente progettati per rispondere ai bisogni essenziali dell'uomo.

 

Da Feudalismo e Feudatari di G. Valente 1985

 

Con il tragico epilogo della folle avventura dell'ultimo rappresentante degli Hohenstaufen cala il sipario sulla scena delle intricanti vicende del lungo capitolo di storia del periodo normanno-svevo e dei primi due secoli di regime feudale di origine franca nel mezzogiorno.

Ma al di là degli eventi della grande storia, le aride formule degli atti notarili dei nostri centri pugliesi continuano a fissare i momenti più salienti della vita quotidiana degli uomini, che sono stati testimoni, e spesso anche attori, di quegli stessi eventi.

Da una attenta lettura di quegli atti giuridici di natura privata si ha, alle volte, netta la sensazione che vi aleggi ancora l'eco dello strepito delle battaglie, l'ansia trepida dei personaggi interessati alla redazione di quegli strumenti circa il loro destino, per l'avvicendamento di nuovi padroni, che portavano con sé leggi nuove, lingua e costumi diversi e pur sempre la ragione del più forte.

E, relativamente a questo periodo, Terlizzi ne vanta molti di quegli atti notarili, che, affiancati ad alcuni significativi dati superstiti dei Registri Angioini, documentano altresì passo passo una presenza molto attiva dell'intero corpo sociale della sua Univeritas (termine consueto per indicare la comunità cittadina) alle prese con i vari problemi di natura politica, sociale, economica,  religiosa, e sempre protesa alla ricerca di migliori condizioni dì vita e alla difesa dei propri diritti, nel libero esercizio delle consuetudini e istituzioni cittadine.

Ed è quanto costituisce l'oggetto del presente studio.

Ma consentono intanto quelle stesse testimonianze Scritte di poter ricostruire nelle sue linee essenziali le varie componenti del quadro paesaggistico della cittadina pugliese in questo cruciale periodo basso-medievale.

E, a partire dal paesaggio urbano, va fatto anzitutto notare che il termine civitas (città) attribuito costantemente a Terlizzi dalle sue fonti documentarie sin dalla metà del sedalo XII, non trova di certo rispondenza ai requisiti di natura linguistica e giuridica annessi al significato tradizionale, ma solo una motivazione di ordine affettivo e politico.

L'impianto abitativo dell'antica civitas di epoca medievale e a forma radiocentrica, e situato a 9 km. dalla costa adriatica e a 192 mt. sul livello del mare, adagiandosi su uno degli ampi gradoni della fascia premurgiana, che a tratti e in leggero pendio scendono dall'altopiano delle Murge verso il mare.

Fondamentalmente l'impianto urbano di Tcrlizzi, come del resto della gran parte dei centri pugliesi, appartiene alla tipologia dell'agglornerato agricolo.

Ma sia ben chiaro: si presenta estremamente difficile, se non impossibile, leggere nelle residue testimonianze visive dei cosiddetto centro storico la facies, l'aspetto della conformazione urbanistica medioevale «Per essere sicuri della validità d'una tipologia avremmo bisogno d'una serie di stratificazioni sicure, cioè d'una serie di rilievi che permettano di ricostruire cosa è stato effettivamente costruito in determinati periodi, avendo quindi la possibilità di controllare e verificare la suddetta tipologia.

Altrimenti è facile cadere in schematizzazioni o, peggio, in equivoci d'ogni sorta».

Può accadere pertanto molto facilmente che «negli aggregati urbani esistenti da lungo tempo la problematicità delle stratificazioni porti spesso a ritenere medievali impianti e costruzioni che tali non sono».

Quelle residue testimonianze visive, pertanto, della città vecchia, sottoposte come sono state nel corso dei secoli a un ininterrotto «riuso o rifabbricazione», così come si presentano costituiscono tutt'al più «uno specchio del passato», per quanto «deformante e illusorio».

Subentrano tuttavia a questo punto le testimonianze documentarie coeve, che con i loro chiari riferimenti a particolari strutture e ambienti riescono in qualche modo a far prendere a quelle immagini dello specchio i loro precisi contorni.

Ma si tratta pur sempre di un tipo astratto dell'aspetto urbanistico medievale che se ne può ricavare.

E dato comunque di individuare, attraverso un esame approfondito dei dati emergenti da tali documenti coevi, proprio quella particolare tipologia edilizia cui si è accennato, più consona appunto a un contesto sociale eminentemente contadino, che trasferisce nell'ambito della civitas parte delle attività della campagna.

A tale esigenza rispondono pertanto i frequenti richiami a un particolare tipo di costruzioni che vanno sotto la denominazione di suppignus o suppinnus o suppignata, identificabili nelle rozze costruzioni poste a piano terra e con copertura di tegole.

Generalmente addossate alle abitazioni, e a volte con un po' di terreno recintato, appaiono chiaramente destinate a ricovero di bestiame e ricovero di attrezzi e prodotti agricoli.

Ma è ampiamente documentata anche la domus stabula, la stalla vera e propria, inserita nel contesto dell'edilizia abitativa.

Alla stessa tipologia dell'agglomerato agricolo appartengono le case a Corte.

Queste si sviluppano intorno a uno spazio libero e scoperto con apertura ad arco sulla strata puplica.

Generalmente a unità familiare, queste garantiscono maggiore privatizzazione e funzionalità per i servizi agricoli.

Nelle carte dell'epoca la piccola corte (cortile) è espressa con il termine Platea, quasi ad indicare una piazzuola privata, con l'immancabile pozzo d'acqua nel mezzo. 

Su di essa si aprono di solito alcuni terrinei, pianterreni cioè adibiti a vari usi, ma soprattutto ad attività agricole.

Le abitazioni vere e proprie si trovano al piano superiore, cui si accede mediante una scala esterna che immette in un gayphum, ( u iefe ) terrazzino o balconata con uno o più ingressi.

A volte la corte si sviluppa su un'area più vasta e con precisi criteri comunitari e difensivi, racchiudendo molte case a schiera con un unico accesso da uno stretto andito arcuato, che sottopassa altre abitazioni prospicienti alla strata puplica.

A questo tipo appartiene la corte di S. Nicola del Lago, che prende appunto il suo nome dalla presenza, nella corte, di una chiesetta dedicata  al santo di Mira.

Di solito la casa a corte risulta appartenere alla classe più abbiente del paese, come del resto la stessa domus orreata, entrambe dotate generalmente, oltre che dì un pozzo d'acqua, di granaio o addirittura di una fovea reponend frurnentum ( una specie di silo interrato e in muratura per riporvi e conservare il grano).

E mette conto fare rilevare il caso singolare della presenza,sempre nel contesto urbano, di qualche domus orreata munita di una turris o turricella, facendo pensare a vere e proprie case fortificate.

Dai relativi documenti attestanti quella presenza emerge chiaramente che i due termini non vanno qui riferiti a quel particolare tipo di edilizia  rurale di cui si ha traccia in qualche altro documento coevo.

Una prova palmare, del resto, circa la presenza di torri nel tessuto edilizio della civitas ci proviene da una preziosa testimonianza iconografica, costituita da un olio su tela di scuola fiamminga e raffigurante la città di terlizzi alla fine del 500.

Una turris, per esempio, che porta il nome di un certo Garresio, si trova situata in vicina defense, nel quartiere cioè della difesa.

Un’altra turricella costituisce invece parte integrante di una domus magna  orreata cu mmolendino et trapeto in ea fixis, naturalmente ciascuno nel suo terrineo, mentre a ridosso della stessa casa si trovano pure un orticellus e una suppignata (Un palazzo insomma con tutti i servizi occorrenti alla gestione patrimoniale di una famiglia di terriere benestanti).

Non è raro Infatti il caso di trovare accanto a una abitazione di qualche terlizzese benestante, sempre nell'ambito dell'assetto urbano, oltre al suppinnus o suppignata, qualche pezzo di terra recintata adibito a giardino o, più prosaicamente, a orto. e il relativo termine tardomedievale varia a seconda dell'epoca della redazione del documento, ma solo nel genere, dal maschile prisus o prisulillus di epoca normanno-sveva al femminile presa de terra di epoca angioina.

Ma generalmente i notai preferiscono i termini più comuni di ortus e orticellus, sempre in riferimento all'area urbana.

Diremo invece qualcosa di più per l'area extraurbana.

Il popolo minuto, contadini e artigiani, vivono assiepati in case a schiera, addossate cioè le une alle altre, che presentano una tipologia residenziale ben caratterizzata dalle molte porte che si aprono sulle cortine stradali e da una forte densità demografica.

La strada, in tal caso, diviene parte integrante delle abitazioni, venendovi trasferiti molti dei servizi di natura familiare o di stretta attinenza alle attività contadine e artigiane.
Le case sono generalmente,a copertura di tetti spioventi (a capanna o a leggio), come risulta dai molti contratti di locazione di case, per lo più bisognevoli di riparazioni in tecto e in tabulario o in remutandis trabibus Ed è una particolare sovrastruttura architettonica dei tetti che si riferisce a un termine molto ricorrente nelle carte Terlizzesi, sia di epoca normanno-sveva che angioiana, la palombula ( l'apertura di accesso alla soffitta o vano a tetto).
In questo quadro parziale del paesaggio urbano è dato pure notare, in dipendenza soprattutto delle precarie condizioni economiche e dei continui rivolgimenti di natura politica e militare, molte case in rovina o in stato di abbandono, dove una domum dirutam, un suppinnum dirutum et (addirittura) suzimine plenum (pieno di immondizie) e dove una domum orreatam discopertam et fractam. ( Questi ultimi termini vanno riferiti certamente ai guasti provocati dalle incursioni belliche della seconda occupazione ungherease e delle successive lotte intestine per la corona di Napoli)
il sistema difensivo, già portato a compimento in epoca normanna, è assicurato dalla cinta delle mura e dal castello, collegato alla torre maggiore mediante un cunicolo, mentre non risulta ancora scavato il largo fossato intorno alle mura.

Nella trama viaria radiocentrica si distingue perfettamente l'arteria principale, costituita da una strada perfettamente orientata sull'asse Est-Ovest, che attraversa da parte a parte la civitas.

alle  due estremità di esse si aprono due porte . A oriente la Porta Crucis, detta altrimenti Porticella ,(era così chiamata perchè appena fuori porta vi era eretta una croce) e a Occidente la Porta Locus, (era detta porta del lago perchè nelle immediate vicinanze e nell'ambito della stessa civitas vi era una vasta area, più sottomessa rispetto ai piani stradali dell'intero assetto urbano, dove confluivano le acque piovane, creando uno stagno . La zona venne bonificata nel 1796, ma se ne conserva ancora l'antica denominazione nell'attuale toponomastica cittadina "Largo Lago Dentro")che immette sulla via qua itur a Terlicio Rubum. Doveva invece servire di esclusivo ed immediato accesso al castello la Porta de castro, situata più a sud e a poca distanza dalla Porticella.

A questo punto possiamo anche permetterci di fare una breve escursione in città, entrando per la porta Lacus, dopo aver lasciato alle spalle la chiesetta di S. Maria Maddalena. (venne costruita intorno all'ultimo decennio del secolo XIII per disposizione testamentaria del diacono Nicola di Falco. Nell'epoca quì considerata si trova ancora in aperta campagna e a un tiro di sasso di fronte alla porta. Venne poi inglobata nell'attuale chiesa del Purgatorio, consacrata dal visitatore apostolico Antonio Pacecco nel 1725).

Il piano stradale che immette nella civitas è in discreto pendio si giustifica, così, l'impaludamento delle acque piovane, che formano il cosiddetto lago che si vede, appena entrati, sulla sinistra e che dà appunto il nome alla porta.

Dopo pochi passi possiamo intravedere in una stradina, sulla destra, la ecclesia Sancte Marie de Muro, molto importante sia per antichità che per struttura architettonica.( si tratta di una delle più antiche chiese sorte nell'ambito della civitas. La relativa documentazione permetterebbe anzi di stabilire, come per la chiesa di S. Nicola de Muro, la contemporaneità della sua costruzione con quella delle mura cittadine o, quanto meno, il suo inglobamento nelle stesse, ma  di poco posteriore.).

La strada che percorriamo portandoci verso il centro della città è quella principale.

Ed è lungo questa arteria cittadina, molto animata, che si concentra la vita sociale dei cives Terlitienses.

Proseguendo infatti, dopo aver lasciato sulla nostra sinistra l'arco della corte di S. Nicola e, subito dopo, alla nostra destra, il rione dove si concentrano le abitazioni dei maggiorenti del paese, la strada imbocca la  platea puplica, chiamata anche, in un documento del 1397 "platea puplica rerum venalium (piazza del mercato), la piazza cioè compresa tra la maschia mole del castrum (l'antico castello normanno) e la chiesa matrice di S Angelo, simboli del potere religioso e politico.

E se aguzziamo lo sguardo come ci suggerisce il Musca, qualcosa riusciremo a vedere dell'ambiente in cui questi uomini e donne si mossero, la taberna del notaio, le botteghe degli artigiani, i magazzini dei mercanti ebrei, le abitazioni dei boni homines non prive di qualche oggetto prezioso e di pretesa eleganza e ricchezza.

Ma si affacciano su questa platea puplica altre taberne che non sono studi notarili. Sempre e dovunque cantine e osterie hanno rappresentato un elemento immancabile e integrante dell'arredo urbano.

Anche a terlizzi non sono mai mancate le taverne, le cantine padronali cioè, funzionanti da banco di mescita e da luogo di vendita del vino al dettaglio.

Una carta del 1245, nel definire la posizione e i confini di uno stabile, ne enumera tre in una sola volta, una di proprietà di un certo Domino Luca, l'altra del Diacono Eugidio e una terza dell'arciprete Guaranno.

Quest'ultimo, nel concedere in locazione un suppignum di proprietà della chiesa matrice, situato nei paraggi di quelle taberne e immediatamente confinante proprio con la sua, faceva obbligo al locatario non solo di ripararlo con la sostituzione di travi e tavolato, ma anche di mettere delle panche davanti a detto suppignum, oltre, a corrispondere al capitolo il canone annuo di un quarto di oncia.

E quelle panche, a quanto se ne può dedurre, dovevano servire per comodità dei suoi avventori e, quindi, per incrementare le vendite del suo vino.

E perdoniamo volentieri questo piccolo neo di interesse privato in atti di ufficio a questo simpatico personaggio, grande benemerito della chiesa locale, per essere stato tra l'altro l'abile realizzatore di uno dei due insigni monumenti, che vediamo sorgere sulla platea puplica, quasi fronteggiandosi l'un l'altro.

Il castello normanno è sulla nostra destra e ci appare nella sua piena efficienza in quanto recentemente ristrutturato e fortificato da Andrea da Bari, signore di terlizzi ed ex logoteca del regno di Sicilia, per disposizione, certamente, dello stesso imperatore Federico II.

E proprio sul lato prospiciente la platea puplica lo vediamo recintato da un fossato di protezione.

Quasi di fronte, sulla nostra sinistra, invece, e in netto contrasto con quella del castello, i cui conci abbruniti dal tempo denotano chiaramente la sua antichità, riluce nel sole l'elegante mole della acclesia Sancti Angeli nel suo biancore perlaceo del contesto murario di pietra locale.

Apprendiamo infatti dai documenti di epoca sveva che è stata completata da poco nella sua struttura architettonica dai chiari stilemi iconografici tardoromantici.

Su questa stessa platea puplica confluiscono, quasi a raggiera, le altre strade e stradine che si diramano a labirinto nell'interno della civitas.

Ed è quì pure, e precisamente in un luogo scoverto cinto di mura a piedi di questo Real Castello che dicesi la Piscina della Piazza, come si legge in una memoria settecentesca, che si teneva in epoca tardo-normanna e tornerà a tenersi in epoca angioina e poi nei secoli successivi il pubblico parlamento per le elezioni delle magistrature locali.

Sulla parte postica della chiesa matrice si nota il corpo di fabbrica dell'ampia sagrestia, cui si accede mediante una scala petrinea, mentre a fronte e ad angolo con la platea puplica si affacciano alcune abitazioni, fra cui una domus orreata di proprietà della stessa chiesa.

All'altezza di questi fabbricati si diparte dalla platea puplica, il cui ambito spaziale è delimitato su questo lato Est da altre abitazioni e botteghe, la via Porte Crucis.

Proseguendo per questa strada, la prima ad avere una precisa denominazione, usciamo di nuovo fuori la cinta delle mura attraverso appunto la piccola Porta Crucis, detta altrimenti Porticella (portella).

Al di là del largo spiazzo, chiamato sin dal 1189 platea porte civitatis ( piazza della porta della città), si nota la via puplica qua itur Botontum, mentre ci imbattiamo subito sulla nostra destra in una grande croce in pietra che dà appunto il nome alla porta.

Eretta non sappiamo quando e in quale circostanza, doveva trovarsi originariamente proprio sull'angolo formato dalla confluenza della strada per Bitonto con un'altra, che, voltando in direzione Sud verso il casale di S. Giuliano, è chiamata nelle carte terlizzesi via puplica per quam itur Altamuram.

    
 

 

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