Subentrano tuttavia a questo punto le testimonianze documentarie
coeve, che con i loro chiari riferimenti a particolari strutture e
ambienti riescono in qualche modo a far prendere a quelle immagini
dello specchio i loro precisi contorni.
Ma si tratta pur sempre di un tipo astratto dell'aspetto urbanistico
medievale che se ne può ricavare.
E dato comunque di individuare, attraverso un esame approfondito dei
dati emergenti da tali documenti coevi, proprio quella particolare
tipologia edilizia cui si è accennato, più consona appunto a un
contesto sociale eminentemente contadino, che trasferisce
nell'ambito della civitas parte delle attività della
campagna.
A tale esigenza rispondono pertanto i frequenti richiami a un
particolare tipo di costruzioni che vanno sotto la denominazione
di suppignus o suppinnus o suppignata, identificabili
nelle rozze costruzioni poste a piano terra e con copertura di
tegole.
Generalmente addossate alle abitazioni, e a volte con un po' di
terreno recintato, appaiono chiaramente destinate a ricovero di
bestiame e ricovero di attrezzi e prodotti agricoli.
Ma è ampiamente documentata anche la domus stabula, la stalla
vera e propria, inserita nel contesto dell'edilizia abitativa.
Alla stessa tipologia dell'agglomerato agricolo appartengono le case
a Corte.
Queste si sviluppano intorno a uno spazio libero e scoperto con
apertura ad arco sulla strata puplica.
Generalmente a unità familiare, queste garantiscono maggiore
privatizzazione e funzionalità per i servizi agricoli.
Nelle carte dell'epoca la piccola corte (cortile) è espressa con il
termine Platea, quasi ad indicare una piazzuola privata, con
l'immancabile pozzo d'acqua nel mezzo.
Su di essa si aprono di solito alcuni terrinei, pianterreni
cioè adibiti a vari usi, ma soprattutto ad attività agricole.
Le abitazioni vere e proprie si trovano al piano superiore, cui si
accede mediante una scala esterna che immette in un gayphum,
( u iefe ) terrazzino o balconata con uno o più ingressi.
A volte la corte si sviluppa su un'area più vasta e con precisi
criteri comunitari e difensivi, racchiudendo molte case a schiera
con un unico accesso da uno stretto andito arcuato, che sottopassa
altre abitazioni prospicienti alla strata puplica.
A questo tipo appartiene la corte di S. Nicola del Lago, che prende
appunto il suo nome dalla presenza, nella corte, di una chiesetta
dedicata al santo di Mira.
Di solito la casa a corte risulta appartenere alla classe più
abbiente del paese, come del resto la stessa domus orreata,
entrambe dotate generalmente, oltre che dì un pozzo d'acqua, di
granaio o addirittura di una fovea reponend frurnentum ( una
specie di silo interrato e in muratura per riporvi e conservare il
grano).
E mette conto fare rilevare il caso singolare della presenza,sempre
nel contesto urbano, di qualche domus orreata munita di una
turris o turricella, facendo pensare a vere e proprie case
fortificate.
Dai relativi documenti attestanti quella presenza emerge chiaramente
che i due termini non vanno qui riferiti a quel particolare tipo di
edilizia rurale di cui si ha traccia in qualche altro
documento coevo.
Una prova palmare, del resto, circa la presenza di torri nel tessuto
edilizio della civitas ci proviene da una preziosa
testimonianza iconografica, costituita da un olio su tela di scuola
fiamminga e raffigurante la città di terlizzi alla fine del 500.
Una turris, per esempio, che porta il nome di un certo
Garresio, si trova situata in vicina defense, nel quartiere
cioè della difesa.
Un’altra turricella costituisce invece parte integrante di
una domus magna orreata cu mmolendino et trapeto in ea
fixis, naturalmente ciascuno nel suo terrineo, mentre a
ridosso della stessa casa si trovano pure un orticellus e una
suppignata (Un palazzo insomma con tutti i servizi occorrenti
alla gestione patrimoniale di una famiglia di terriere benestanti).
Non è raro Infatti il caso di trovare accanto a una abitazione di
qualche terlizzese benestante, sempre nell'ambito dell'assetto
urbano, oltre al suppinnus o suppignata, qualche pezzo di
terra recintata adibito a giardino o, più prosaicamente, a orto. e
il relativo termine tardomedievale varia a seconda dell'epoca della
redazione del documento, ma solo nel genere, dal maschile prisus
o prisulillus di epoca normanno-sveva al femminile presa de
terra di epoca angioina.
Ma generalmente i notai preferiscono i termini più comuni di
ortus e orticellus, sempre in riferimento all'area urbana.
Diremo invece qualcosa di più per l'area extraurbana.
Il popolo minuto, contadini e artigiani, vivono assiepati in case a
schiera, addossate cioè le une alle altre, che presentano una
tipologia residenziale ben caratterizzata dalle molte porte che si
aprono sulle cortine stradali e da una forte densità demografica.
La strada, in tal caso, diviene parte integrante delle abitazioni,
venendovi trasferiti molti dei servizi di natura familiare o di
stretta attinenza alle attività contadine e artigiane. Le case
sono generalmente,a copertura di tetti spioventi (a capanna o a
leggio), come risulta dai molti contratti di locazione di case, per
lo più bisognevoli di riparazioni in tecto e in tabulario o
in remutandis trabibus Ed è una particolare sovrastruttura
architettonica dei tetti che si riferisce a un termine molto
ricorrente nelle carte Terlizzesi, sia di epoca normanno-sveva che
angioiana, la palombula ( l'apertura di accesso alla soffitta
o vano a tetto). In questo quadro parziale del paesaggio urbano è
dato pure notare, in dipendenza soprattutto delle precarie
condizioni economiche e dei continui rivolgimenti di natura politica
e militare, molte case in rovina o in stato di abbandono, dove una
domum dirutam, un suppinnum dirutum et (addirittura)
suzimine plenum (pieno di immondizie) e dove una domum
orreatam discopertam et fractam. ( Questi ultimi termini vanno
riferiti certamente ai guasti provocati dalle incursioni belliche
della seconda occupazione ungherease e delle successive lotte
intestine per la corona di Napoli) il sistema difensivo, già
portato a compimento in epoca normanna, è assicurato dalla cinta
delle mura e dal castello, collegato alla torre maggiore mediante un
cunicolo, mentre non risulta ancora scavato il largo fossato intorno
alle mura.
Nella trama viaria radiocentrica si distingue perfettamente
l'arteria principale, costituita da una strada perfettamente
orientata sull'asse Est-Ovest, che attraversa da parte a parte la
civitas.
alle due estremità di esse si aprono due porte . A oriente la
Porta Crucis, detta altrimenti Porticella ,(era così chiamata perchè
appena fuori porta vi era eretta una croce) e a Occidente la Porta
Locus, (era detta porta del lago perchè nelle immediate vicinanze e
nell'ambito della stessa civitas vi era una vasta area, più
sottomessa rispetto ai piani stradali dell'intero assetto urbano,
dove confluivano le acque piovane, creando uno stagno . La zona
venne bonificata nel 1796, ma se ne conserva ancora l'antica
denominazione nell'attuale toponomastica cittadina "Largo Lago
Dentro")che immette sulla via qua itur a Terlicio Rubum.
Doveva invece servire di esclusivo ed immediato accesso al castello
la Porta de castro, situata più a sud e a poca distanza dalla
Porticella.
A questo punto possiamo anche permetterci di fare una breve
escursione in città, entrando per la porta Lacus, dopo aver
lasciato alle spalle la chiesetta di S. Maria Maddalena.
(venne costruita intorno all'ultimo decennio del secolo XIII per
disposizione testamentaria del diacono Nicola di Falco. Nell'epoca
quì considerata si trova ancora in aperta campagna e a un tiro di
sasso di fronte alla porta. Venne poi inglobata nell'attuale chiesa
del Purgatorio, consacrata dal visitatore apostolico Antonio Pacecco
nel 1725).
Il piano stradale che immette nella civitas è in discreto pendio si
giustifica, così, l'impaludamento delle acque piovane, che formano
il cosiddetto lago che si vede, appena entrati, sulla sinistra e che
dà appunto il nome alla porta.
Dopo pochi passi possiamo intravedere in una stradina, sulla destra,
la ecclesia Sancte Marie de Muro, molto importante sia per
antichità che per struttura architettonica.( si tratta di una delle
più antiche chiese sorte nell'ambito della civitas. La relativa
documentazione permetterebbe anzi di stabilire, come per la chiesa
di S. Nicola de Muro, la contemporaneità della sua costruzione con
quella delle mura cittadine o, quanto meno, il suo inglobamento
nelle stesse, ma di poco posteriore.).
La strada che percorriamo portandoci verso il centro della città è
quella principale.
Ed è lungo questa arteria cittadina, molto animata, che si concentra
la vita sociale dei cives Terlitienses.
Proseguendo infatti, dopo aver lasciato sulla nostra sinistra l'arco
della corte di S. Nicola e, subito dopo, alla nostra destra, il
rione dove si concentrano le abitazioni dei maggiorenti del paese,
la strada imbocca la platea puplica, chiamata anche, in
un documento del 1397 "platea puplica rerum venalium (piazza
del mercato), la piazza cioè compresa tra la maschia mole del
castrum (l'antico castello normanno) e la chiesa matrice di S
Angelo, simboli del potere religioso e politico.
E se aguzziamo lo sguardo come ci suggerisce il Musca, qualcosa
riusciremo a vedere dell'ambiente in cui questi uomini e donne si
mossero, la taberna del notaio, le botteghe degli artigiani,
i magazzini dei mercanti ebrei, le abitazioni dei boni homines
non prive di qualche oggetto prezioso e di pretesa eleganza e
ricchezza.
Ma si affacciano su questa platea puplica altre taberne
che non sono studi notarili. Sempre e dovunque cantine e osterie
hanno rappresentato un elemento immancabile e integrante dell'arredo
urbano.
Anche a terlizzi non sono mai mancate le taverne, le cantine
padronali cioè, funzionanti da banco di mescita e da luogo di
vendita del vino al dettaglio.
Una carta del 1245, nel definire la posizione e i confini di uno
stabile, ne enumera tre in una sola volta, una di proprietà di un
certo Domino Luca, l'altra del Diacono Eugidio e una terza
dell'arciprete Guaranno.
Quest'ultimo, nel concedere in locazione un suppignum di
proprietà della chiesa matrice, situato nei paraggi di quelle
taberne e immediatamente confinante proprio con la sua, faceva
obbligo al locatario non solo di ripararlo con la sostituzione di
travi e tavolato, ma anche di mettere delle panche davanti a detto
suppignum, oltre, a corrispondere al capitolo il canone annuo di
un quarto di oncia.
E quelle panche, a quanto se ne può dedurre, dovevano servire per
comodità dei suoi avventori e, quindi, per incrementare le vendite
del suo vino.
E perdoniamo volentieri questo piccolo neo di interesse privato in
atti di ufficio a questo simpatico personaggio, grande benemerito
della chiesa locale, per essere stato tra l'altro l'abile
realizzatore di uno dei due insigni monumenti, che vediamo sorgere
sulla platea puplica, quasi fronteggiandosi l'un l'altro.
Il castello normanno è sulla nostra destra e ci appare nella sua
piena efficienza in quanto recentemente ristrutturato e fortificato
da Andrea da Bari, signore di terlizzi ed ex logoteca del regno di
Sicilia, per disposizione, certamente, dello stesso imperatore
Federico II.
E proprio sul lato prospiciente la platea puplica lo vediamo
recintato da un fossato di protezione.
Quasi di fronte, sulla nostra sinistra, invece, e in netto contrasto
con quella del castello, i cui conci abbruniti dal tempo denotano
chiaramente la sua antichità, riluce nel sole l'elegante mole della
acclesia Sancti Angeli nel suo biancore perlaceo del contesto
murario di pietra locale.
Apprendiamo infatti dai documenti di epoca sveva che è stata
completata da poco nella sua struttura architettonica dai chiari
stilemi iconografici tardoromantici.
Su questa stessa platea puplica confluiscono, quasi a
raggiera, le altre strade e stradine che si diramano a labirinto
nell'interno della civitas.
Ed è quì pure, e precisamente in un luogo scoverto cinto di
mura a piedi di questo Real Castello che dicesi la Piscina
della Piazza, come si legge in una memoria settecentesca, che si
teneva in epoca tardo-normanna e tornerà a tenersi in epoca angioina
e poi nei secoli successivi il pubblico parlamento per le elezioni
delle magistrature locali.
Sulla parte postica della chiesa matrice si nota il corpo di
fabbrica dell'ampia sagrestia, cui si accede mediante una scala
petrinea, mentre a fronte e ad angolo con la platea puplica si
affacciano alcune abitazioni, fra cui una domus orreata di
proprietà della stessa chiesa.
All'altezza di questi fabbricati si diparte dalla platea puplica,
il cui ambito spaziale è delimitato su questo lato Est da altre
abitazioni e botteghe, la via Porte Crucis.
Proseguendo per questa strada, la prima ad avere una precisa
denominazione, usciamo di nuovo fuori la cinta delle mura attraverso
appunto la piccola Porta Crucis, detta altrimenti
Porticella (portella).
Al di là del largo spiazzo, chiamato sin dal 1189 platea porte
civitatis ( piazza della porta della città), si nota la via
puplica qua itur Botontum, mentre ci imbattiamo subito sulla
nostra destra in una grande croce in pietra che dà appunto il nome
alla porta.
Eretta non sappiamo quando e in quale circostanza, doveva trovarsi
originariamente proprio sull'angolo formato dalla confluenza della
strada per Bitonto con un'altra, che, voltando in direzione Sud
verso il casale di S. Giuliano, è chiamata nelle carte terlizzesi
via puplica per quam itur Altamuram. |