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CURIOSITA'
Cultura & antica tradizione indiana
L’ India è una vera miniera di tesori, culturali e naturali. È considerata una terra dotata di un ricco patrimonio culturale e di una fiorente tradizione popolare tramandatasi per generazioni e generazioni sotto forma di storie d’amore e coraggio.
Diverse culture hanno lasciato tracce visibili : nella musica, nella danza, nell’architettura, nelle cerimonie, nelle lingue parlate, nelle credenze e tradizioni, nel cibo ecc.
Retaggio linguistico
La Costituzione indiana riconosce ben 18 lingue, cui vanno aggiunte 1600 lingue minori e dialetti. La lingua ufficiale nazionale è l’Hindi, anche se l’inglese è diffuso e rimane la lingua ufficiale della legge.
Mercato delle spezie a New Delhi
Khari Baoli, la strada che va dalla moschea Fatehpua all’estremità occidentale della vecchia città, è il vivace mercato di spezie all’ingresso della capitale.
Passando per di lì si può trovare un po’ di tutto, dalle lenticchie al riso a enormi contenitori di Chutney (salsa indiana a base di frutta e spezie ), di sottaceti di noce moscata e di tè.
Danza e Musica Indiana
Il nucleo centrale della musica classica indiana è stato lo studio dell’intonazione. Intonare frasi e parole sacre come l’OM, richiede un’estrema precisione.
In India la musica accompagna e avvolge tutta la vita dell’uomo.
La melodia è costituita da una scala che comprende ventidue microtoni.
L’arte della danza in India ha le sue radici nell’antichità,
è forma di devozione ed espressione di emozione e sentimenti, basata sulla ricca tradizione indù.
La danza si manifesta in tre aspetti: movimenti del corpo eseguiti per la loro bellezza e grazia decorativa, espressione del viso e movimenti delle mani, abbinati a parole che introducono elementi del dramma.
La tecnica della danza impegna tutto il corpo. Durante l’esecuzione dello ”spettacolo” si rivivono antiche leggende.
Il suono del sitar, dei flauti e delle percussioni, il fruscio degli abiti di seta, il bagliore dei gioielli, il tintinnio dei campanelli, ti coinvolgono in una splendida magia.
Il signore dello yoga, Shiva, nelle sue infinite manifestazioni è considerato in India creatore della musica: ogni suonatore e musicista indiano si rivolge a Lui per ricevere ciò che egli ha creato e per poterne esprimere un breve frammento.
I musicisti affermano di non essere i proprietari né i creatori della musica che suonano, ma che essa appartiene e proviene direttamente da Shiva: ”La musica é di Dio – spiegano – gli uomini sono semplici “cacciatori”delle vibrazioni che vagano nell’aria e qualcuno alla fine cattura e traduce in melodia”.
E’ Dio stesso che manda nell’aria la musica.
Nella musica l’Oriente lascia arrivare l’ispirazione da Dio: poi si traduce in una melodia che all’inizio sembra stentare a prendere l’avvio, indugiare, quasi inciampare nelle note, poi mano a mano che si va avanti, si fa più corposa, più ritmata, meglio congegnata, e alla fine esplode in un tripudio di note, di ritmo e lascia l’ascoltatore solo quando sia sicura di avergli fatto nascere qualcosa dentro.
Le durate dei brani musicali arrivano anche a delle ore. Le loro onde sono lunghe, larghe, lente.
Ad ascoltare queste melodie ci si trova a fruire della musica, una musica antica, ricca di un enorme passato, tramandata da migliaia di generazioni, che sembra provenire dalle origini dell’uomo.
Arte & Artigianato
Le numerose sculture presenti sulle mura dei templi sono state scolpite nella roccia dura e si sono mantenute intatte. La tecnica della scultura fu perfezionata dai buddhisti e venne continuata da altri sovrani indù.
Credenze & Tradizioni
In India vi sono numerose tradizioni e cerimonie che vengono celebrate in occasioni speciali.
Si crede che gli uomini, sin dalla nascita, siano predestinati a perpetuare molte tradizioni ereditarie quali: la cerimonia del nome, la cerimonia per inaugurare una nuova casa, fino a quella del matrimonio. Digiuno e preghiere sono parte integrante di cerimonie religiose. Altre cerimonie si celebrano ai defunti, sepolti o cremati. Alcuni giorni dopo la morte, si tiene una cerimonia chiamata “Shradh”.
Feste, eventi e religioni Sikh e Hindù
Tutti le feste sono un tripudio di colore, felicità, entusiasmo, divertimento, ma anche riti e preghiere.
Gli Hindù hanno diverse feste. Una delle più importanti è l’Holi che ha luogo da Febbraio a Marzo ed è una delle più movimentate. Essa segna la fine dell’inverno e le persone si gettano addosso acqua e polvere colorata.
I Sikh celebrano da Aprile a Maggio una festa chiamata Baisakhi dove si legge il libro sacro, Grath Sahib, seguita da festeggiamenti e danze.
A Luglio, invece, c’è la Festa del Mango e lo stadio Talkatora di New Delhi ospita centinaia di cesti di frutta meravigliosa.
Ad Agosto ed a Settembre ci sono molte feste: la Ram Lila è la ricorrenza più famosa dell’India e dura dieci giorni durante i quali vengono messe in scena le Ramyana e vengono bruciate grandi immagini che ritraggono il demone Ravana.
Le feste religiose che gli Sikh celebrano sono: i giorni del martirio degli Sikh morti per la loro religione e in difesa degli oppressi, la nascita di Khalsa cioè il Baisakhiday che cade il 13 Aprile di ogni anno e molte altre.
Le cerimonie più importanti sono: l’Amrit (la nascita), l’Anad Karay (matrimonio) e la cerimonia funebre.
I morti vengono cremati e buttati nel fiume più vicino ed è vietato erigere monumenti sopra le loro spoglie.
Amrit, il battesimo, è un dovere per tutti e non esiste età minima o massima: uno si fa carico dei principi della sua fede e del suo codice di comportamento come sono stati dati dai guru.
Religione
La religione pervade ogni aspetto della vita indiana.
L`induismo, religione principale del paese, è una delle fedi più antiche esistenti al mondo. Diversi testi sacri ritengono che ognuno di noi vada incontro a una serie di reincarnazioni prima di arrivare alla salvezza finale dello spirito. Con ciascuna nuova nascita ci si può avvicinare o allontanare dall’illuminazione. Fattore decisivo è il Karma. Le principali pratiche religiose hindù sono tre : il puja, la cremazione dei morti e le norme e regole del sistema delle caste.
I Sikh sono 18 milioni e risiedono nel Punjab. La loro religione vuole essere una sintesi degli aspetti migliori di induismo e islamismo. La dottrina é simile a quella dell`induismo, con una differenza importante:
i Sikh sono contrari alla divisione in caste. Il loro tempio più importante è il Golden Temple di
Amritsar.
vedi video
»
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Il
matrimonio in India
Matrimonio indiano
In India i matrimoni simboleggiano un ricco insieme di riti e rituali, tradizioni, sontuosità e festa. Nella cultura la cerimonia nuziale segue una tradizione antichissima. Nel matrimonio indù gli elementi della cerimonia furono fissati più di quaranta secoli or sono, nelle antiche scritture indù, note come ‘Veda’. Il matrimonio, cui assistono tutti gli ospiti, non è solo l’unione di un uomo e di una donna, ma anche delle loro famiglie.
Matrimonio Rajasthano
Nessun’altra cerimonia è in grado di eguagliare per regalità e ricchezza un matrimonio Rajasthano. Il suo ineguagliabile fascino e la sua sontuosità hanno catturato la fantasia di moltissime persone e, negli ultimi anni, molti visitatori ritornano in Rajasthan per sposarsi. Oltre agli sposi, anche gli ospiti possono partecipare e godere di tanta grandiosità. In Rajasthan le date del matrimonio vengono fissate a seconda della posizione dei pianeti.
Le date più favorevoli in genere sono da Maggio a Luglio e da Novembre a Febbraio.
La cerimonia ha luogo nella casa della sposa dove giunge lo sposo accompagnato da una lunga processione. Lo sposo, agghindato, giunge alla casa su un cavallo bianco. La famiglia della sposa deve farsi carico dell’ospitalità per tutti gli ospiti.
Matrimonio in Kerala
Nello stato del Kerala, incomincia con l’analisi della compatibilità ad opera dei genitori e dei futuri sposi. Stabilita la compatibilità degli oroscopi, viene fissata una data favorevole per l’unione. Il matrimonio ha luogo di giorno. In quello stesso giorno, prima di giungere nel luogo della cerimonia, lo sposo visita un tempio e chiede la benedizione dei genitori e degli altri parenti. Il padre della sposa concede poi la mano della figlia allo sposo nel corso della cerimonia ‘Kanyadaanam’ . Lo sposo spinge poi in avanti il passo della sposa sette volte con la sua mano a simboleggiare il suo ingresso in famiglia. Dopo si allestisce la festa e, successivamente, la sposa lascia la propria famiglia per entrare nella casa dello sposo. La sposa, dopo aver ricevuto la benedizione dei genitori e dei parenti, prende congedo.
Nella sua nuova casa, si tiene una cerimonia di benvenuto detta : ‘Grihapravesh’.
Matrimonio Sikh
I filmati che accompagnano questo testo presentano un matrimonio sikh.
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INTERVISTE
Intervista a Kaur Anterpreet
Come ti chiami?
Mi chiamo Kaur Anterpreet.
Quanti anni hai?
Ho 12 anni.
Quale classe frequenti?
Frequento la 2^ media.
Dove sei nata?
Sono nata a Tanda Hosaiarpur, nel nord dell’India.
Da dove proviene la tua famiglia?
La mia famiglia proviene da Dalander, una città del Punjab.
Da quanto tempo vivi in Italia?
Vivo in Italia da un anno.
Perchè sei venuta in Italia?
Sono venuta in Italia per raggiungere mio papà.
Sei stata in altre nazioni prima di venire in Italia?
No, non sono stata in altre nazioni prima di venire in Italia.
Hai vissuto in altre città italiane prima di venire a Suno?
Sì, prima a Casalino, poi a Cameriano e infine a Suno.
Con quale mezzo sei arrivata?
Sono venuta in Italia con l’aereo.
Il tuo paese di provenienza è ricco o povero?
L’India è un paese sia ricco sia povero.
Quale lingua si parla nel tuo paese?
Nel mio paese si parlano varie lingue. Quelle ufficiali sono l’indiano e l’inglese. Io e la mia famiglia parliamo il
punjabi.
Parli ancora la lingua del tuo paese? Con chi?
Sì, parlo ancora la mia lingua nativa con i miei parenti e con la mia famiglia.
Conoscevi già l’italiano quando sei arrivata qui?
No, non lo conoscevo.
Hai avuto delle difficoltà ad imparare l’italiano?
Sì, ho avuto delle difficoltà.
Nel tuo paese andavi a scuola? Quale classe frequentavi?
Sì, nel mio paese andavo a scuola. Frequentavo la 5^ elementare.
Era uguale alla scuola italiana?
No, là non potevo giocare e mi picchiavano.
Come ti trovi nella scuola italiana?
Mi trovo bene.
Hai avuto problemi di inserimento?
No, non ho avuto problemi di inserimento.
Qui sei riuscita a fare nuove amicizie?
Sì, ho conosciuto tanti nuovi amici.
Nel tuo paese hai lasciato amici?
Sì, ne ho lasciati tanti.
Qual è il gioco più comune che i bambini fanno nel tuo paese?
Il gioco più comune tra i bambini del mio paese è nascondino.
Ci giocavi con i tuoi compagni di scuola?
Sì, ci giocavo con i miei compagni.
Le abitazioni del tuo paese, sono uguali a quelle italiane?
Alcune abitazioni sì, ma la maggior parte no.
Ti trovi bene qui?
Sì, mi trovo bene.
Da grande vorresti tornare nel tuo paese?
Sì, vorrei ritornare in India.
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Cucina
indiana
Uno dei piatti tipici dell’India sono le
SAMOSAS: questo piatto si può trovare già pronto per le strade. Possiede un sapore molto speziato e aromatico.
INGREDIENTI (16-20 samosas):
PER LA PASTA:
Farina 450 g
Sale 1 cucchiaio
Burro (preferibilmente chiarificato) 4 cucchiai
Acqua 200 ml
PER IL RIPIENO:
Patate 400 g
Piselli surgelati 1 manciata
Semi di cumino 1 cucchiaino
Semi di coriandolo 1 cucchiaino
Olio di girasole 2 cucchiai e abbondante olio per friggere
Cipolla 1 piccola
Curcuma 1/2 cucchiaino
Garam masala 1/2 cucchiaino
Peperoncino verde fresco 1
Zenzero fresco 1 pezzo lungo 2 cm
Limone 1/2
Coriandolo fresco 4 rametti
Il tholi è un vassoio rotondo d’argento in cui si servono specialità agrodolci.
Le lenticchie e gli altri legumi sono una componente molto importante
Dell’alimentazione indiana: le dhal (le lenticchie) sono un accompagnamento basilare e si servono passate oppure asciutte. Ce ne sono diverse varietà tra cui le ghana, lenticchie gialle spaccate, ecc.
Il prodotto base dell’alimentazione indiana è il riso. Il più pregiato è il riso basmati coltivato da oltre tremila anni.
Il masala è un vassoio d’acciaio inossidabile o di bronzo che contiene 7 piccoli recipienti ( katoris) per le spezie da usare tutti i giorni, chiamati thali.
Tecniche di cucina
Ci sono tre tipiche tecniche per cucinare:
1. Baghaar : si mette a scaldare dell’olio o del ghee (burro chiarificato) e, quando è caldo, si aggiungono spezie e altri condimenti piccanti.
2. Dum: consiste nel coprire ermeticamente la pentola contenente il cibo già cotto e la si mette sulla brace per circa mezz’ora.
3. Iohungar: è una tecnica che conferisce al piatto il gusto dell’affumicatura. Quando il cibo è cotto, si prende un pezzo di carbone ardente, si spruzza sopra dell’olio o del ghee e si mette nella pentola chiudendola per trenta minuti.
Intervista a Kaur Anterpreet
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Fiabe
indiane
Da “PANCATANTRA”
RACCONTO VI
In una foresta dimorava un grande leone. Costui incessantemente praticava la distruzione delle fiere selvatiche. Allora le fiere selvatiche, tutte quante, gli andarono incontro con animo sottomesso, portando in bocca verdi germogli d’erba e, piegate le ginocchia sulla superficie della terra, così parlarono a quel re degli animali selvaggi:
“Oh, re delle fiere selvatiche! A che serve al nostro sovrano questa attività annientatrice di tutte le fiere selvatiche, contraria all’acquisto di altri mondi, e inutilmente spietata?
Noi ne saremo totalmente distrutte e tu conoscerai la mancanza del cibo. E così il danno sarà da entrambe le parti.
Orsù, sii a noi propizio! Noi, d’altra parte, ogni giorno ci impegniamo a inviare al nostro sovrano, a tempo stabilito, un animale che viva nella foresta, scelto dalla propria gente”. Essendosi così convenuto e trascorso del tempo, giunse il turno della lepre. Costei, che aveva ricevuto l’ordine da tutte le fiere selvatiche, con l’animo infuriato così rifletteva: “Letale è questo ingresso nelle fauci della morte. E’ forse giunto per me il tempo stabilito? Io voglio annientare con uno stratagemma il leone”. Avendo così deciso, dopo avere lasciato trascorrere l’ora del pasto del leone, si mise in cammino.
Quello, da parte sua, con la gola contratta per la fame, con gli occhi arrossati dallo sdegno, col muso tremante, spaventoso per il digrignare delle fauci, incutendo terrore con il suo aspetto e con colpi di coda, così le disse: “Che altro possono fare coloro che sono inferociti, se non operare la separazione dagli spiriti vitali?
Ora tu, oggi, hai proprio finito di vivere. Che cosa significa questa tua trasgressione dell’ora fissata?”. La lepre: “L’ora del tuo pasto, o mio sovrano non è stata oltrepassata per volontà dell’animo mio”. Il leone: “Da che cosa sei stata trattenuta?”. La lepre: “Da un leone”. Udendo questo, con l’animo sommamente terrorizzato il leone disse: “Come? In questa foresta custodita dai miei artigli abita forse un altro leone?”. “Certo!”, disse la lepre.
La lepre mostra al leone il riflesso del leone nel fondo di un pozzo pieno d’acqua; il leone, per rabbia, si tuffa nel pozzo e muore.
IL COLOMBO RICONOSCENTE
(fiaba indiana)
- Tratto da: “Favole e fiabe antiche”
All’estremità del villaggio abitava in una misera capanna un buon contadino di nome Kizavan. Non aveva né amici né parenti, ma in compenso era ben voluto da tutti gli animali della foresta perché conosceva la loro lingua.
Un giorno, mentre stava raccogliendo de fuscelli, udì un gemito.
Subito scorse, non lontano, un colombo con un’ala spezzata. Lo raccolse delicatamente e se lo portò a casa.
- Starai con me finché non sarai guarito – gli disse – mi spiace soltanto che oggi dovremmo digiunare insieme: non ho nulla da darti da mangiare.
- Non ti preoccupare – rispose il colombo – nella foresta c’è un grosso mago : nella sua cavità troverai del riso. Io l’ho raccolto e conservato, pensando al vicino inverno.
Kizavan andò nella foresta, individuò il mango e in effetti trovò nel cavo dell’albero un bel pugno di riso e insieme notò, con stupore, dei brillanti. Ma non li toccò.
“Gradisco il riso – disse fra sé e sé - ma non ho bisogno dei brillanti. Là dove si possiedono o si scambiano queste pietre preziose c’è sempre invidia e cattiveria”.
Portò il riso al colombo e rimase a guardarlo mentre mangiava.
- Perché non ne mangi pure tu? – chiese il colombo.
- E’ sufficiente appena per te. Non ti preoccupare per me, sono abituato a saltare i pasti.
Il colombo mangiò di gusto un po’ per giorno il suo riso finché guarì, e, allora, tubando un saluto, volò via. Ma ritornò dopo qualche ora, recando nel becco un anello.
- Mettilo al dito – disse a Kizavan – ed esprimi un desiderio. Qualunque sia verrà soddisfatto.
- Oh, come vorrei avere un po’ di pane e una buon tazza di latte! – Sospirò il buon uomo.
Non aveva finito i parlare che sulla tavola comparve una fumante tazza di latte e un bel pane appena sfornato! Kizavan mangiò con evidente piacere e lasciò le briciole al colombo.
E fu felice per lunghissimi anni: non soltanto perché,grazie al dono del colombo, ebbe sempre cibo, ma soprattutto, perché aveva trovato un amico.
L’ELEFANTE BIANCO (fiaba
tibetana)
In tempi remoti, quando non solo gli uomini ma anche gli animali avevano il dono della parola, un bellissimo elefante dalla pelle bianca e lucente abitava in una grotta insieme con la madre.
La grotta era scavata alle falde di una montagna e, poco discosto dalla grotta, quasi all’imbocco, c’era un laghetto d’acqua cristallina cosparsa di fiori di loto. L’elefantessa e l’elefantino bianco vivevano felici: il piccolo trascorreva le giornate all’aria aperta, scorrazzava per la foresta, si riposava sul velluto dell’erba fresca della radura; poi, quando la sera calava giù dalla montagna, tornava a balzelloni alla caverna carico di frutti maturi. L’elefantessa, ormai vecchia e cieca, attendeva con ansia il figlio e il cibo che le portava.
Una sera l’elefante bianco era appena rientrato e stava gustando con la madre alcune bacche che aveva raccolto nel fondo della foresta, quando udì grida acutissime di qualcuno che invocava aiuto.
Senti, mamma? – disse il giovane elefante alzando appena le orecchie a spatola; - Questo è il grido di un uomo in pericolo. Bisogna che accorra in suo aiuto. –
Non andare, figlio mio – rispose la madre, fatta saggia per la lunga esperienza di vita; - non bisogna fidarsi degli uomini. Spesso ricambiano l’aiuto con l’ingratitudine.
Non posso restare qui mentre a pochi passi un uomo invocava aiuto – replicò l’elefante; - Questa volta devo disubbidirti.
E uscì all’aperto, non molto lontano perché proprio vicino al lago del loto trovò l’uomo: era vestito da guardiacaccia, si lamentava, piangeva come un bambino.
Oh, nobile elefante! – piagnucolò l’uomo; - Sono sette giorni e sette notti che mi aggiro nella foresta senza riuscire a trovare la strada per Benares. Ormai ho perso ogni speranza; dovrò morire in questo luogo disabitato, solo e lontano dai miei simili.
Non ti disperare – supplicò l’elefante commosso; - monta sulla mia groppa e in poco tempo ti porterò in vista di Benares.
L’uomo ubbidì, e il giovane elefante bianco partì al galoppo attraverso la foresta, col cuore pieno di gioia per la buona azione che stava compiendo.
A mano a mano che si avvicinava la città il guardiacaccia riprendeva coraggio e dimenticava la paura di morire che poco prima l’aveva assalito.
Osservò attentamente il suo salvatore e rimase stupito dal biancore lucente della sua pelle. – Che magnifico elefante! – ripeteva tra sé, - e che tratto leggero! Certo, se riuscissi a catturarlo e lo offrissi al Re ne riceverei una grossa ricompensa…
A poco a poco, quasi insensibilmente, questo pensiero si impadronì di lui facendogli dimenticare il debito verso la generosa bestia.
Ecco laggiù Benares – disse a un tratto l’elefante bianco; - ora puoi scendere.
No, no! – Supplicò l’uomo; - ti prego, portami almeno fino a quella casa sulla collina. Là abitano certi miei amici che mi daranno per te una bella ricompensa.
L’elefante fu così ingenuo da accondiscendere alla richiesta e, pregustando la gioia del suo ritorno con un ricco dono per la madre, condusse l’uomo fino alla casa indicata.
Come giunsero alla casa egli chiamò i suoi amici e con il loro aiuto legò l’elefante e lo trascinò prigioniero fino alla città. Poi, la mattina seguente, lo condusse a corte e ne fece omaggio al Re; il quale rimase entusiasta, e diede ordine affinché l’animale meraviglioso fosse sistemato nella migliore scuderia e fosse trattato con ogni riguardo.
Il povero elefante prigioniero trascorreva giorni e notti senza dormire né mangiare, piangendo e lamentandosi: pensava alla vecchia madre alla quale più nessuno portava il cibo; pensava alla bella vita nella foresta, quella libertà perduta, e si augurava solo di morire.
Non passarono molti giorni che il Re scese nelle scuderie per dare un’occhiata al prezioso elefante: lo trovò magro, sparuto, irriconoscibile.
Che ti è mai successo? – gli chiese.– Non ti hanno dato da mangiare? O forse questa scuderia non è di tuo gradimento? Parla.
No, Maestà, il cibo è ottimo, la scuderia è magnifica – rispose l’animale con un sospiro profondo; - non è questo che mi angustia. Ma nella foresta dove sono nato ho lasciato mia madre, vecchia e cieca. Chi le porterà il cibo? Chi la curerà ora che sono prigioniero? Oh! La poveretta morirà certamente…
E così dicendo, scoppiò in singhiozzi.
Il Re, commosso da quel dolore sconsolato, ordinò subito che l’elefante fosse lasciato libero; non solo, lo caricò di frutta rare, di leccornie d’ogni genere e volle accompagnarlo lui stesso fino alo limite della foresta.
Immaginate la gioia della vecchia elefantessa al ritorno del figlio che aveva pianto morto!
Ah, figlio mio! – sospirò quand’ebbe ascoltato il racconto delle sue disavventure; - se mi avessi ascoltato! Non ti fidare mai degli uomini: sono traditori.
Non tutti, mamma – rispose l’elefante; perché se il Re non fosse stato nobile di cuore non sarei qui. Dimentichiamo dunque il tradimento del guardiacaccia; ricordiamoci solo della bontà del Re.
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