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da www.corriere.com Il Corriere Canadese 26 aprile 2006

IL NUOVO BOSS

Mafia, compleanno di Messina Denaro Ha 44 anni, è un fantasma dal 1983

Come ha fatto negli ultimi 13 anni, Matteo Messina Denaro, il boss di Castelvetrano (Trapani) ritenuto assieme al reggente della famiglia di San Lorenzo (Palermo) Salvatore Lo Piccolo il probabile erede di Bernardo Provenzano a capo di Cosa nostra, festeggerà il compleanno nella latitanza.
Oggi il boss compie 44 anni, un compleanno che potrebbe assumere un significato diverso in una fase in cui "u siccu", come è soprannominato, potrebbe arrivare al vertice della Cupola dopo l'arresto di Bernardo Provenzano. Ed è proprio la successione al vertice di Cosa nostra a catalizzare l'attenzione degli investigatori che stanno cercando di decifrare le decine di "pizzini" trovati nella masseria di Montagna dei cavalli, a Corleone, dove è stato catturato il padrino latitante, e dove potrebbe essere stato nascosto l'archivio del superboss.
Matteo Messina Denaro e Salvatore Lo Piccolo, entrambi latitanti, sono considerati dagli inquirenti in pole position per raccogliere l'eredità di Provenzano; il primo, condannato quattro anni fa all'ergastolo per le stragi di Roma, Firenze e Milano, rappresenterebbe l'ala militare dei corleonesi per i suoi trascorsi legami con Giovanni Brusca e Leoluca Bagarella; il secondo apparterrebbe alla vecchia guardia, l'ala più moderata di Cosa nostra, quella impersonata da Bernardo Provenzano.
Due profili diversi per due mafiosi di rango la cui ascesa al vertice non può prescindere dal radicamento col territorio e col potere che esercitano dal punto di vista militare e politico.
«Denaro - ribadisce Massimo Russo, magistrato della Dda di Palermo - è stato ed è il leader di Cosa nostra nella provincia di Trapani e in più occasioni ha manifestato le sue capacità di gestione del sodalizio criminale». Se di Lo Piccolo, 63 anni, a capo della cosca di San Lorenzo a Palermo non si sa più nulla, o quasi, dal 1983, di Denaro qualcosa in più emerge dai racconti di alcuni pentiti e dalla indagini di mafia nel trapanese.
Dai "pizzini" trovati dagli investigatori nel covo di Corleone emerge il legame tra Matteo Messina Denaro e Provenzano; bigliettini in cui Messina Denaro pone al capo della Cupola il problema della carenza di "manovalanza", rivolgendosi con toni di rispetto e devozione. Una tecnica, quella dei biglietti, utilizzata dallo stesso Denaro per comunicare con i suoi uomini e per dare ordini (su appalti e estorsioni), come dimostrano alcune indagini di mafia nel trapanese.

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Il Nuovo Padrino

CRONACHE

SI TRATTA DI MATTEO MESSINA DENARO, LATITANTE DAL 1993

Il boss è informato di tutto quanto accade. Comprese le assunzioni di uomini fidati nei supermercati o in altre attività legali gestite dalla mafia

da La Stampa 25/4/2006
Francesco La Licata

Matteo Messina DenaroGli agenti scavano nella campagna corleonese, a caccia dei segreti di Bernardo Provenzano. Chissà quanti è riuscito a nasconderne nell’ultimo anno di permanenza trascorsa nella masseria dell’amico Marino. I soldi, tanti (più di trentamila euro), li hanno già trovati dentro i sacchi neri della spazzatura. Altri li aveva nascosti un po’ ovunque, le due pistole - si sa - stavano sotterrate. Abbatteranno pure alcune pareti e scaveranno parallelamente al pozzo, i poliziotti in tuta mimetica.

Ma cosa cercano, i segugi? Ovviamente nessuno lo dice, anche se la determinazione con cui si muovono magistrati e poliziotti tradisce un’idea precisa di ciò che vorrebbero trovare. Cosa? Certo, sarebbe un bel colpo - per esempio - entrare in possesso di un «declassificatore» (certamente esistente da qualche parte) che possa permettere di decifrare completamente il contenuto dei «pizzini» di Provenzano e, soprattutto, l’indirizzario attualmente protetto da numeri in codice che nascondono l’identità di tutte le persone che intrattengono con lui «regolare corrispondenza». Potrà sembrare incredibile ma è così: la vita quotidiana di Cosa nostra, l’amministrazione, la concessione di consigli e suggerimenti, le regole del «pizzo», la lottizzazione delle estorsioni e dei lavori appaltati, persino le risposte sulle «dichiarazioni di voto» per le elezioni (politiche e regionali), tutto viene regolato attraverso questo sistema di comunicazione antico, tribale e, soprattutto, lento.

E’ un patrimonio investigativo non indifferente, quello su cui gli investigatori hanno già messo le mani. E’ stato possibile, per esempio, stabilire che non esiste nessuna «frizione» al vertice di Cosa nostra. Il tenore delle comunicazioni tra don Binu e Matteo Messina Denaro, il boss del Trapanese ritenuto uno dei probabili successori al vertice, sembrano addirittura idilliaci. Il giovane Matteo - che scrive i suoi «pizzini» al computer ma li firma a penna utilizzando lo pseudonimo «Alessio», nome che sembra non completamente sganciato dalle vicende mafiose del territorio trapanese - Matteo, dunque, si rivolge a Provenzano dandogli rispettosamente del lei.

L’ortografia e la sintassi sono quasi perfette, nulla a che vedere con l’italiano del «Padrino» che ai magistrati ha appena confessato di «avere la prima elementare», anzi la «seconda non finita». Matteo dice di essere «a sua disposizione» e, siccome il rispetto tra uomini d’onore è meglio accompagnarlo con qualche aggiunta di concretezza, in più d’una occasione sottolinea che di «tutto quello che faccio» (parla di estorsioni ndr) «la metà è per lei». Non sembra, questo, un approccio ostile. «Alessio» dimostra grande attenzione per Provenzano e così ogni problema che gli sottopone, quasi sempre questioni legate alla gestione delle «competenze territoriali» per estorsioni ed assegnazione di lavori, è preceduto da una dichiarazione di stima: «...in lei ripongo fiducia, onestà e capacità, quello che prima per me era T.T.R....».

Non ci vuole una gran fantasia per capire che quelle iniziali sono la sintesi di nome e cognome di Totò Riina, unico referente della mafia trapanese, prima che fosse arrestato. Provenzano, dunque, ha preso il posto di Riina nella «considerazione» di Matteo «Alessio». Anzi, si capisce anche che il giovane boss trapanese non ha interrotto i contatti col vecchio alleato, infatti in uno «pizzino» inviato a don Binu «Alessio» scrive che «T.T.R. mi ha scritto». Strano che Riina, rinchiuso al 41 bis dal 15 gennaio del 1993, riesca a intrattenere corrispondenza col latitante Messina Denaro e a rassicurarlo chissà di che, tanto da indurlo a riferire a Provenzano che «è tutto bene».. Sono gli affari, il chiodo fisso di Matteo.

I bigliettini rivelano di una questione riguardante l’apertura di una grande catena di supermercati (almeno sei) in un territorio (nell’Agrigentino) che non rientra

nella competenza di Trapani. La regola di Cosa nostra vuole che

venga, dunque,pagata una «tassa» alla mafia agrigentina. Ma «Alessio» mostra perplessità per la situazione di instabilità in cui versa la mafia di Agrigento («ma lì non ci si può fidare... è tutto per aria...). Allora chiede a Provenzano: «Ci pensa lei? Se ne occupa lei? Io mi affido a lei...». Poi scrive che «una soluzione ci sarebbe... gli ho detto a quelli che noi prendiamo due persone... Mi faccia sapere, resto a sua disposizione...». Alessio, perciò, offre di assumere due addetti per supermercato in cambio di soldi. Un «pizzino» successivo rivelerà che le assunzioni sono state già fatte.

Ma i problemi non finiscono qui: «Alessio» scrive che bisognerebbe trovare un prestanome a cui intestare un megarifornitore di benzina (con annessi bar e tabacchi) nella zona di Santa Ninfa (Trapani) ma non è facile perché «gli sbirri sequestrano sempre» e alla fine «non si trovano più neppure i rincalzi dei rincalzi». Matteo scrive a don Binu: «... ci sarebbe bisogno di un interessamento politico per accelerare i tempi... ma lei sa che quelli (i politici ndr) non fanno niente per niente e in questo momento con loro non abbiamo grande potere contrattuale...». La lettera chiude con una richiesta «Dobbiamo trovare uno pulito» e con il cruccio per la difficoltà di reperire nuovi adepti, una vera e propria crisi di vocazioni della mafia.

Anche il rapporto con la politica sembra diventato problematico. «Alessio» chiede «come ci dobbiamo comportare?» e il riferimento sembra riguardare le politiche passate e le prossime regionali: «le chiedo se lei ha preferenze e consigli da dare». L’impressione che se ne ricava è che qualche difficoltà in più è stata provocata dalla riforma elettorale che ha annullato la possibilità del voto di preferenza, condizione essenziale per realizzare il cosiddetto «voto di scambio». Ma alle prossime regionali non ci sarà questo problema. Sarà importante che gli investigatori riescano a trovare la «chiave» per decifrare tutti gli altri «pizzini».

Finora è stato agevole capire tutta una serie di scambi epistolari solo perché precedenti indagini avevano consentito di acquisire molti particolari che hanno funzionato da chiave interpretativa. Ma per completare l’opera sarebbe indispensabile trovare il «cifrario». Dovrebbe trattarsi di un sistema criptato abbastanza recente e sicuramente successivo alla cattura del boss Nino Giuffrè. Una volta divenuto pentito, infatti, Giuffrè aveva rivelato il «sistema di comunicazione» di Provenzano e, quindi, è stato necessario cambiarlo. Forse ricorrendo a un qualche meccanismo legato alla Bibbia e al modo in cui Provenzano la usa e la legge. Nuovi elementi investigativi sono, indubbiamente, la firma (e dunque la grafia) di Matteo Messina Denaro e la firma apposta da Provenzano al verbale redatto in carcere dai magistrati palermitani Francesco Pignatone, Marzia Sabella e Michele Prestipino. Sarà utile un confronto e una perizia coi «pizzini» più vecchi in modo da attribuire una paternità sicura. Una cosa è certa: Cosa nostra è molto più nuda e trasparente di prima.

I «pizzini» parlano ed aggiungono molto alle tante verità giudiziarie già impiantate dai magistrati. Ma ancora tanto aggiungono alla comprensione delle dinamiche interne della mafia: cosa si muove, cosa pensano i boss, chi parla di chi, chi si allea con chi. Quest’ultima ondata di pizzini, per esempio, scioglierà un dubbio che riguardava i rapporti tra Messina Denaro e i Guttadauro di Brancaccio, uno dei quali, Filippo, è anche suo cognato. A Provenzano, «Alessio» comunica «il nuovo numero di mio cognato». Anche Guttadauro, dunque, è nell’indirizzario di don Binu ed ha «ricevuto il numero» dal cognato Matteo, rivelando l’appartenenza al boss di Trapani.

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da Il Tempo del 25 aprile 2006

Il latitante Messina Denaro si curò gli occhi in Spagna nel ’94
MATTEO Messina Denaro, il boss mafioso latitante che viene considerato l'erede di Bernardo Provenzano, si è recato in Spagna nel 1994 per una visita agli occhi: è quanto risulta alla trasmissione di RaiTre «Chi l'ha visto?», che nella puntata di ieri sera renderà noti particolari della vicenda. Secondo «Chi l'ha visto?», la clinica è la «Barraquer» di Barcellona, una clinica oftalmologia prestigiosa e conosciuta nel mondo. Matteo Messina Denaro, latitante dal 1993, ha effettuato una visita nel gennaio del 1994 - sostiene la trasmissione di RaiTre - e ha fornito la sua vera data di nascita, il vero luogo di nascita e come nome: Matteo Messina, omettendo, dunque, il secondo cognome, Denaro. «Chi l'ha visto?» è partito dalle dichiarazioni di un pentito, Vincenzo Sinacori, che aveva detto agli inquirenti che Matteo Messina Denaro soffriva di una malattia agli occhi e per questo gli aveva rivelato che aveva intenzione di andare in Spagna per farsi visitare. Domani Matteo Messina Denaro compie 44 anni. È inserito nella lista del Viminale dei «grandi latitanti», è ricercato per associazione di tipo mafioso, strage, omicidio, detenzione e porto di materiale esplodente, devastazione.

 

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