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Contro Nietzsche
di Carlo Fracasso


Richiamando la saggezza antica, secondo cui ciò che può guidare sulla via per la felicità è la conoscenza di sé, di recente Paul Bloom ha osservato: «Eravamo soliti pensare che la parte difficile della domanda "come posso essere felice io?" avesse a che fare con la definizione di felice, ma è probabile che abbia a che fare di più con la definizione di io.» Fortunatamente, invece di accontentarci di definire io, possiamo fare di meglio: possiamo spiegarlo.
(Da La felicità della ricerca di Shimon Edelman)

Se sia cosa buona e giusta scrivere "contro" è questione opinabile. A volte serve, spesso è controproducente, nella maggioranza dei casi si viene ignorati. Spero che questa volta serva, ma non ne sono troppo sicuro.
Altra questione è se sia vero che battere Nietzsche sarebbe come picchiare un bambino innocente. Non ci ho ancora pensato, però mi sembra - provvisoriamente - che chi scrisse quel che leggerete tanto innocente non lo fosse.

Non sono un divoratore di libri e quando insegno il pensiero dei filosofi, mi attengo ai manuali scolastici adottati. Questo evita di complicare la vita agli studenti con l'eccessiva aggiunta di nozioni. Ovviamente, nelle mie ore d'insegnamento c'è spazio per le discussioni, ma spesso il tempo è limitato, altrimenti non si va avanti col programma. Insegnare Nietzsche è certamente un problema e Renzo Grassano lo ho ha evidenziato con un suo scritto su queste pagine di alcuni anni fa. (1) Mi colpì in senso negativo. Mi dissi che non si può insegnare Nietzsche in quel modo, ma allora non insegnavo, svolgevo solo qualche supplenza, ed i miei principali interessi riguardavano la filosofia politica.
Oggi insegno, so cosa significa insegnare, sono sufficientemente maturato per dare in forma più estesa ciò che cerco di trasmettere, con l'aggiunta di qualche considerazione che ho preferito tenere per me in tutti questi anni. Non ho mai scritto e detto alcunché di esplicitamente antinicciano e, dato che sono un militante di sinistra, è una constatazione che ha sorpreso anche me. Criticando Silvio Berlusconi, non solo per le scelte politiche ed il profilo morale, ma proprio per un atteggiamento complessivo, unitario, nei confronti della società e dei singoli uditori dei suoi comizi e dei suoi video-messaggi, non ho mai osato riportarlo linearmente a Nietzsche. Non per dire che il beneamato cavaliere si sia formato su Nietzsche - dubito che l'abbia letto - ma per suggerire che la quasi totalità dei suoi modelli umani, i suoi ideali del'io, per dirlo con Freud, sono espressione di volontà di potenza smisurata, inappagata e frustrata.

La volontà di potenza non è una costruzione a posterori della "cattiva" sorella Elisabeth e del suo complice Peter Gast, ma un tratto che traspare da quasi tutti gli scritti, una costante in mezzo alle tante variabili. Per capire Nietzsche, bisogna tralasciare ciò che accadde dopo di lui, qualcosa di orribile, e tornare al prima. Non è ragionevole imputare a Nietzsche il militarismo, il nazionalismo e le due guerre mondiali. Le tracce di antisemitismo sono flebili, a meno che non si voglia confondere l'attacco alla legge morale con l'attacco ad una razza. L'effetto Nietzsche va cercato nella testa dei filosofi e degli antropologi del Novecento, in alcuni scrittori che furono d'avanguardia ed ora non si sa, in critici musicali che lo seguirono nella polemica anti-wagneriana.
In Aurora s'incontra la costante nella sua semplicità originaria: «Ahimè, datemi dunque la follia, voi celesti. Follia, perché possa finalmente credere in me stesso!» A cui segue: «Il dubbio mi divora, io ho assassinato la legge, la legge mi tormenta come un cadavere tormenta un uomo vivo: se io non sono più che la legge, sono il più reietto di tutti gli uomini. Lo spirito nuovo che è in me, donde viene se non viene da voi? Dimostratemi che sono vostro; la follia soltanto me lo dimostra.» (2)

La questione non è Dio, ma la legge. L'ideale dell'io sono quegli uomini che si posero più o meno decisamente al di sopra della legge, da Alcibiade a Giulio Cesare, fino a Napoleone. Ecco solo alcuni dei grandi uomini ai quali si è concesso di compiere imprese, costi quel che costi. Non parlo di Alessandro Magno, perché era già al di là della legge in quanto sovrano assoluto in grado di fare e disfare le regole a suo piacere. Dio è una complicazione inutile ed entra in questa vicenda solo in quanto presunto responsabile delle regole che mettono ordine e disciplinano le società e la piccola massa di poveracci che si ostina nel rimanere fedele alla "menzogna" delle regole.

Oltreuomo o superuomo, non fa reale differenza. Chi si avventura oltre quel limite, è destinato a camminare sul filo di corda come un'acrobata. E' costretto ad essere super, a non vacillare, a non guardarsi indietro. Non deve provare sensi di colpa e debolezze. Il dado è tratto. Nello Zarathustra, "über" è la parola ricorrente. il prefisso che designa l'estremo negativo. Al di sopra e al di là, si strappa la camicia di forza che impedisce il passaggio e che lega le mani. Anche paragonare Nietzsche ad un sofista è insufficiente. Sofisti sono i suoi avvocati senza scrupoli, che come Gorgia si attivano per scrivere encomi, difese e complicati imbrogli. Nietzsche è la miniera d'oro per quel genere di filosofi che si trastulla con la chiacchiera infinita. Bastano pochi tratti. e si capisce. Ma sarebbe troppo semplice e terribilmente pericoloso. Cadrebbero cattedre e dipartimenti.

Il dubbio che assale dopo qualche lettura di Nietzsche colpisce chiunque capiti in quelle pagine: è statisticamente provato. Del resto, non si può non leggere Nietzsche. Per esistere in modo dignitoso occorre avere una cultura, e quindi passare per Nietzsche.
Nel transito ci si imbatte nel dubbio. Sarà vero che siamo tutti uguali? Che l'umanità è stata finalmente smascherata dal gran genio letterario di questo scultore di aforismi e che la morale sia solo una foglia di fico? Se si risponde: in un certo senso sì, e in un altro no, si cade nella trappola. Non serve una camicia di forza per camminare nelle regole e nel rispetto delle vite umane e della natura.

Il superuomo (intellettuale) che credette di essere diventato, ispirato dalla musa del "diventa quello che sei", è sotto il nostro naso. Basta spalancare gli occhi. «Io conosco la mia sorte. Si legherà un giorno al mio nome il ricordo... di una crisi, come non ce ne fu un'altra simile sulla Terra, al più profondo conflitto di coscienza, ad una decisione, proclamata contro tutto ciò che sinora era stato creduto, richiesto, consacrato. Io non sono un uomo, sono una dinamite... Io contraddico come mai è stato contraddetto, e malgrado ciò sono l'antitesi di uno spirito negatore... Con tutto ciò sono necessariamente pure un uomo del destino. E' infatti, se la verità entra in lotta con la menzogna di millenni, avremo tali scuotimenti, tali convulsioni di terremoto che mai erano state neppure sognate. Il concetto di politica è ora entrato completamente in una guerra tra spiriti, tutte le forme di dominio della vecchia società sono saltate in aria - esse riposano tutte quante sulla menzogna; ci saranno guerre come non ce ne sono state mai sulla Terra. Solo da me comincia sulla Terra la grande politica.» (3)
Dopo aver affermato che non esiste la verità, ma solo interpretazioni, eccoci al dunque: solo io possiedo la verità. L'estrema presunzione del "solo da me comincia la grande politica" si risolve facilmente con lo sguardo storico retroattivo. La grande politica era finita temporaneamente con Waterloo. Il periodo successivo fu chiamato "restaurazione" e si sviluppò indisturbato, o meglio, non consentì memorabili sviluppi, se non nella patria della rivoluzione industriale. Ma i nodi vennero presto al pettine, perché non si può imbalsamare l'umanità in un sistema reazionario. Mettiamo nel conto anche un po' di imperialismo e colonialismo, commercio di schiavi e così via, e ci accorgiamo che la grande politica dell'Europa nei confronti del mondo, era iniziata ben prima di Nietzsche, e non è ancora finita.

Tuttavia, anche di fronte al delirio di ipervalutazione di sé, non si può negare a Nietzsche un fiuto profetico. Ponendo al principio del ragionamento l'eterno ritorno dell'uguale, non era poi così difficile giungere alla profezia. Metti assieme la "gaia scienza", lo sviluppo della tecnologia bellica e le armi di distruzione di massa, aggiungi la smisurata ambizione dei politici spregiudicati e narcisisti, agita. Otterrai la previsione. La profezia si fonda su presupposti oggettivi. In questa apparente somiglianza, si potrebbe accostare Nietzscheai profeti biblici, più che ai vati che scrutano i destini dei singoli nelle sfere di cristalllo. Ma la differenza è altrettanto palese. Nella maggioranza dei casi, il profeta biblico usò la base oggettiva per prevedere la catastrofe degli iniqui e la salvezza dei giusti. Nella profezia nicciana albeggia qualcosa di più sinistro, ossia l'azzeramento della differenza in quel magma che chiamò nichilismo. Destino comune di giusti ed iniqui.
Resistere a Nietzsche, a questo punto, diventa un dovere per il padre e per la madre, per la pedagoga e lo psicologo. Non è obbligatorio sposare il nichilismo, e non è un destino se non per quelli che si credono destinati.

Insegnando per sommi capi la diaspora hegeliana, da Strauss a Bruno Bauer, da Feuerbach a Marx, toccando frettolosamente Max Stirner, a volte capita che l'allieva più sveglia e attenta, al primo impatto con Nietzsche, domandi che differenza passi tra Stirner e Nietzsche. In teoria non molte. Ancora in teoria, una mezza voragine.
Stirner fu il prototipo del pensatore borghese, o ancor meglio, del "piccolo borghese" arrivato alla soglia della padronanza dei mezzi di produzione e di commercio che si crede il centro del mondo. Nietzsche fu l'aristocratico che sprezzantemente rifiutò di riconoscere a Stirner il diritto ad uno straccio di citazione. (4)
Come possa un bottegaio, un rigattiere, un "filisteo", considerarsi il centro del mondo non fu questione per Nietzsche. Il grand'uomo non ha botteghe e non apre sportelli, non traffica balocchi e profumi. Da tale presunta superiore nobiltà possiamo, ancora una volta, sentirci attratti. Il droghiere e il pizzicagnolo "ci fanno schifo". Noi siamo nobili d'animo.
In un rigurgito della coscienza "inconscia", mi son detto: ho avuto ragione, nel scindere (nel non riconnetere) Nietzsche e il "povero Silvio", nel quale prevale l'animus del venditore di spazi pubblicitari su quello del "nobile" Nietzsche. Tuttavia, nemmeno così si trova il quadrato rotondo. Anche il "nobile" Nietzsche andrebbe ricondotto alla sua "essenza" umana. Il venditore è solo una specificazione che trae dalla propria funzione una ragion d'essere e d'agire. Ma, la coscienza non può essere il solo risultato della funzione che si crede di svolgere. Per Marx è tutto dannatamente semplice. La coscienza arriva alla classe degli oppressi dall'esterno, ossia dagli intellettuali tedeschi, dagli economisti classici inglesi, dai rivoluzionari francesi. Il loro pensiero si condensa nella testa d'uovo, ed eccoli serviti, rigirati come un calzino, in salsa internazionale. Per Nietzsche la coscienza arriva dall'intellettuale superuomo che ha osato pensare l'impensabile rendendolo pensabile a colpi di martello.

Nella Filosofia dell'età tragica dei Greci troviamo l'annuncio dei colpi di martello a venire. «La via delle origini porta ovunque alle barbarie; e chi si occupa dei Greci deve sempre tener presente che lo sfrenato impulso al sapere è in ogni tempo, in se stesso radice di barbarie quanto l'odio del sapere e che in virtù di un riguardo verso la vita, in virtù di un'ideale esigenza di vita i Greci hanno represso il loro impulso, in se insaziabile, di sapere, volendo essi vivere subito, quel che imparavano.» (4) La considerazione si spiega ancor meglio così: «Del resto mi è odioso tutto ciò che mi istruisce soltanto, senza accrescere o vivificare immediatamente la mia attività.» (5) Nietzsche dichiarava allora di ispirarsi a Goethe, ma in modo invero curioso, aveva tagliato e saltato capitoli interi del Wilhelm Meister. Ovviamente, nella gabbia degli equivoci in cui sembrano destinati gli apprendisti della filosofia, ci sta un'interpretazione benevola. Si impara per agire. Ma il sapere inteso alla maniera di Goethe non è una ricetta di cucina da realizzare tra pentole e coperchi. La realizzazione è rinviata, sospesa, passa attraverso una meditazione che attinge tanto all'esperienza quanto alla teoria. L'utilità della conoscenza della storia, negata ferocemente da Nietzsche in quel lavoretto dal titolo emblematico, è riaffermata con illuminante lucidità da Burckhardt. Le temporanee convergenze non sono casuali, ma non determinano alcunché di durevole. Sia allo storico che al flosofo torna più utile Burckhardt, perché il suo sapere è più saggio e non si avvale solamente di fuochi artificiali ed esplosioni di spontaneità. Ovviamente, anche in quest'ultimo si incontrano dei limiti, costituiti dalle sue stesse interpretazioni paradossali. Per respingere il positivismo storico di Renan, ricorse ad un'nterpretazione del Medioevo tanto profonda quanto pazzesca. Al punto da apparire ancora più assurdo di Nietzsche. Il Medioevo, scrisse Burckhardt, fu un'epoca felice. Sic. Intendeva solo dire, tuttavia, che in ogni epoca, gli individui strappano brandelli di felicità agli ingiusti rapporti sociali che li circondano. Ma questa non è volontà di potenza, solo voglia di vivere.

Si dovrebbe render atto a Nietzsche di avere intuito che nella metafisica socratico-platonica-aristotelica si nasconde un grande imbroglio che allontana dalla tragicità della vita. Ma, è obbligatorio rinnegare Socrate, Platone, Aristotele, per dire "sì alla vita"? Non è una vera alternativa.

Introduzione ad Aurora. «Allora intrapresi qualcosa che non poteva essere affare di chiunque; discesi in profondità, trivellai nel fondo, cominciai a sondare e scalzare un'antica fiducia, sulla quale noi filosofi, da un paio di millenni, eravamo soliti costruire come sul più sicuro fondamento, - sempre di nuovo, benché ogni edificio finora sia sempre franato; cominciai a scalzare la nostra fiducia nella morale. Ma non mi comprendete?» Certo, più chiaro di così! Non è in causa il moralismo degenere dei bacchettoni, ma la morale stessa.

Ancora. «Ma la morale non dispone soltanto di ogni genere di mezzi per incutere spavento e tenere a distanza mani critiche e strumenti di tortura: la sua sicurezza sta ancor più in una certa arte dell'incantesimo, di cui ben s'intende - essa sa "entusiasmare".»
Come ti giro la frittata. Quando mai si sono visti circolare sulla terra individui entusiasti della morale? Chi tenta di realizzare incantesimi se non l'imbroglione? Come si può arrivare a dire che è chi segue principi morali, spesso controvoglia e contro l'istinto, che imbroglia? Nessuno, mai, è stato entusiasta della morale.

Poi. «Da tempo immemorabile, per quanto sulla terra si è parlato e persuaso, la morale si è appunto dimostrara la più grande maestra di seduzione e - per quel che concerne noi filosofi, la vera e propria Circe dei filosofi.» La morale è una maga che trasforma gli uomini in bestie?

Infine. «Ma non v'è dubbio che in noi parla ancora un "tu devi". che anche noi obbediamo ad una severa legge posta sopra di noi, - e questa l'ultima morale, pure per noi ancora udibile, che anche noi sappiamo ancora vivere: qui, se mai vi è tale luogo, anche noi siamo uomini di coscienza; nel fatto cioè che non vogliamo tornare indietro verso ciò che consideriamo sopravvissuto e decrepito, verso un qualchecosa "non degno di fede", si chiami esso Dio, verità, giustizia o amore del prossimo; nel fatto cioè, che non ci permettiamo alcun ponte di menzogna verso antichi ideali, e che siamo radicalmente ostili a tutto ciò che in noi vorrebbe mediare e produrre mescolanze; ostili ad ogni eventuale tipo di fede e cristianità; ostili al mezzo e mezzo di ogni romanticismo e di ogni patriottismo; ostili anche a quelle voluttuosità e mancanza di coscienza da artisti, che ci vorrebbero convincere ad adorare, quando noi non crediamo più - poiché non siamo artisti; ostili -, infine all'intero femminismo europeo (o idealismo, se si preferisce), che eternamente "trae in alto"e eternamente, proprio perciò, "tira in basso": solo come uomini di questa coscienza, noi ci sentiamo ancora imparentati alla millenaria probità e religiosità tedesca, seppure come suoi ultimi e assai problematici discendenti, noi immoralisti, noi atei di oggi, anzi addirittura, in un certo senso, come suoi eredi, come esecutori della sua più intima volontà, di una volontà pessimistica, che, come si è detto, non teme di negare se stessa, perché essa nega con piacere! In noi si compie, posto che vogliate una formula, - l'autoannullamento della morale
In questo piccolo "manifesto degli ostili di tutto il mondo unitevi" si concentrano in modo magmatico vari risentimenti che Nietzsche si sforzò di denunciare, ad esempio nei socialisti. Lavativi pigramente sprofondati nelle poltrone dei caffè, parassiti sociali ed in qualche misura decadenti. Ma il risentimento più grande, probabilmente più disgustoso, lo si trova in Nietzsche stesso. Ostile all'arte? Perché? Non fu egli un artista della parola scolpita?
Ostili all'emancipazione femminile? Cosa caspita avrebbe a che fare l'idealismo tedesco con la rivendicazione di una dignità umana anche per le donne? Probabilmente Kant, ma il suo pensiero non fu propriamente idealismo. Poi, nemmeno Kant fu chiaramente esplicito sui diritti delle donne. Nei filosofi maschili, bisogna arrivare a Engels e Stuart Mill per il riconoscimento della pari dignità.
In questo Nietzsche fu dunque pensatore di retroguardia, cultore della donna "oggetto" e del diritto all'appropriazione del corpo femminile, alla sua reclusione in un sistema patriarcale ed aristocratico, compreso quello dei bordelli.

(continua)

Note
(1) Renzo Grassano - Friedrich Nietzsche - moses (vai)
(2) F. Nietzsche - Aurora - varie edizioni ed anche sul web gratis
(3) traggo la citazione da Karl Löwith - Da Hegel a Nietzsche - Einaudi ristampa 1999. Löwith si riferisce ad un ultimo scritto di Nietzsche che non sono riuscito ad identificare.
(4) F. Nietzsche - La filosofia nell'età tragica dei Greci - varie edizioni ed anche sul web gratis
(5) Karl Löwith - Jacob Burckhardt - Laterza 2004

CF - ottobre 2013

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La gaia scienza, aforisma 125

L’uomo folle. – Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”. E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. “È forse perduto?” disse uno. “Si è perduto come un bambino?” fece un altro. “0ppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?” – gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: “Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dètte la spugna per strusciar via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto piú freddo? Non seguita a venire notte, sempre piú notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di piú sacro e di piú possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatòri, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un’azione piú grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtú di questa azione, ad una storia piú alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!”. A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. “Vengo troppo presto – proseguí – non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest’azione è ancora sempre piú lontana da loro delle piú lontane costellazioni: eppure son loro che l’hanno compiuta!”. Si racconta ancora che l’uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: “Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?”.