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Ecce comu, il nuovo vangelo di Gianni Vattimo
di Carlo Fracasso
La buona novella è che il comunismo non è morto, nonostante il marxismo sia in crisi irreversibile, come del resto tutto quello che qui si chiama metafisica. E' tutto da dimostrare, forse è persino vero il contrario, ma Gianni Vattimo è persuaso di quel che ci viene raccontando e siccome lo fa in un libretto scritto in italiano corrente, non in politichese e nemmeno in filosofese, lo posso raccomandare a chiunque abbia un minimo di sensibilità non ai duelli politici spettacolari, ma alla politica che si faceva una volta, anche mediocremente, non lo nego, ma sulla base di grandi ispirazioni come il progetto del socialismo, o la dottrina sociale della chiesa corretta dal Vaticano II. Poco importa cosa ha detto e scritto Vattimo finora, quanto debole sia stato il suo pensiero e quanto male abbia fatto, secondo alcuni, l'indebolimento del soggetto. Del resto, il problema del soggetto è ancora un enigma in Marx, una questione su cui non pochi marxisti si sono spaccati la testa.
I proletari - dice Vattimo - sono oggi diversi da quelli pensati da Marx, più simili "a quelle che Toni Negri chiama le moltitudini". Ma Negri vi vede un'aura mitica. Vattimo ha visione più sobria. "Il Gattungwesen di cui era portatore per Marx il proletariato rivoluzionario diventa per noi l'essenza anche nel senso banale di quintessenza, di ultimo nocciolo dell'umano, la 'nuda vita' di cui parla Agamben, forse." Un proletariato "nudo", spogliato, "minimalista" come questo, "non ha nemmeno un progetto che debba essere elaborato da un comitato centrale, da una qualche élite". E' massa anarchica. Ci rivolgiamo ad essa con un populismo di sinistra? Una domanda urge: che ci facciamo con i dannati della terra? "Non sarà già un tradimento il fatto di cercare di collegarsi al loro movimento da parte di chi - non solo intellettuale, ma come tutti noi che scriviamo e leggiamo queste cose - è un cittadino dell'impero, sia pure di una regione marginale e di una classe riottosa, come sono appunto gli intellettuali che sopravvivono più o meno parassitariamente negli interstizi della società opulenta? Ex Oriente salus? Stiamo ancora aspettando l'arrivo dei barbari (c'è una poesia di Kavafis su questo tema), di quelli che attendeva persino uno come Nietzsche, sognando insomma di un proletariato rivoluzionario che non vediamo più accanto a noi nella società deindustrializzata e che vorremmo vedere spuntare nel terzo, quarto o quinto mondo?"

Troppe domande per un uomo solo (e senza pistola) come il sottoscritto. Dal punto di vista di uno che crede anche nella validità della "teoria", trovarsi senza teoria non è una bella sensazione. E allora facciamo un passo indietro nel libro di Vattimo, alle "buone ragioni del vecchio Marx". Nella spinta "a ridiventare comunisti" c'entra il fatto secondo Vattimo - "che il potere capitalistico è diventato intollerabile (erano le speranze di Deleuze, noto io) perché non riesce più a mascherarsi ideologicamente. ' Non siamo più materiale per la società', diceva Nietzsche. E fondamentalmente perché nel mondo della competizione economica senza limiti si è affermata una 'selvatichezza indiana' (d'America, scilicet) che mette a nudo la ferocia del sistema del dominio. Il senso selettivo del 'nichilismo' nietzschiano è poi tutto qui: cadono i 'valori', e cioè le maschere che hanno tenuto buoni i poveri e hanno tranquillizzato le coscienze dei ricchi per tutta la nostra epoca 'preistorica'. Le masse che si sono mobiltate, più o meno via internet, per dimostrare in tutto il mondo non solo occidentale contro l'invasione dell'Iraq, sono effettivamente il nuovo proletariato, anche se ignorano la coscienza di classe e non sono una classe in senso marxiano."
Che intendiamo qui? Che un pizzico di teoria c'è, se riandiamo all'indietro potremmo chiamarla 'l'autonomia del politico', cioè sia il fatto che la politica può agire indipendentemente dai potentati economici, e non è necessariamente è un "comitato d'affari", sia il fatto che si può essere "per il comunismo", o quantomeno "contro l'imperialismo", pur senza essere proletari, o o intelletuali. Ma non è questo che dice Vattimo, Vattimo identifica i diseredati con potenziali comunisti e questo è un errore, anzi, un'illusione che rischia di essere devastante. I diseredati sono i primi a vendersi per un piatto di lenticchie. Non sono solo esercito industriale di riserva ma, persone disposte ad arruolarsi nella mafia o negli squadroni della morte, o in casi meno estremi, e assai più diffusi, ad accomodarsi sotto le fronde di un sistema clientelare che sa distribuire carote in cambio di qualche bastonata elettorale alla sinistra.
Occorre loro sia un'offerta di alleanza, sia un salto di coscienza, non rispetto al calcolo di quanto mi conviene, ma rispetto al concetto bene espresso dalla domanda: in che razza di mondo viviamo se è solo facendo del male che riesco a sopravvivere?
In sostanza, Vattimo prende per oggettiva una soggettività politica dei diseredati che in realtà non c'è. Sono pecore senza pastore, semmai, ed anche piuttosto sorde al richiamo, non solo nostro, ma anche dei pastori religiosi.
E poi consideriamo questo. Il fronte pacifista, oltre che essere composto da brave persone che lavorano e che sono iscritte ai sindacati, ed anche ai Cobas, alle associazioni di categoria artigianali o mercantili, trova un'ulteriore estensione agli insegnanti (lavorano anche loro, non lo nego, visto che anch'io sono nel mucchio) e soprattutto in tanti giovani "mantenuti", cioè gente che non ha ancora ben chiaro il concetto di lavoro, di fatica, di stress, e di fitness esistenziale, e per i quali anche un lavoretto di poche ore al giorno sarebbe comunque uno shock. I veri diseredati in questo movimento non ci sono se non marginalmente.
Quindi, adesione "ideale" e adesione "materiale" ad un programma pacifista non sono affatto scontate e nemmeno facilmente sovrapponibili. Inoltre, tra chi marcia per la pace ci sono i boy scouts, che appunto sono pacifisti, ma sono tutt'altro che per il comunismo.
Chi è davvero per il comunismo, a questo punto, non lo so. Forse solo io e Gianni Vattimo, Giordano e Rizzo, con differenze che non possono dirsi "sfumature". Siamo divisi, molto divisi, solo in parte consolati dall'apertura di cantieri alla Berlusconi, dove cioè si "fa finta" di incominciare autostrade quando non si hanno nemmeno i soldi per finire quelle cominciate vent'anni fa. L'attuale sinistra di tradizione comunista è un motore senza benzina, diviso anche per motivi di bottega e di sottopotere. Prendiamone atto cinicamente e poi mettiamoci rimedio, se ancora si può. Possibilmente, senza pretendere di stare in tutto ciò che è movimento, perché ci sono movimenti da "cento Nassirya" che fanno solo vomitare.

Detto questo, e temo non sia poco, molte delle cose che dice Vattimo sono largamente condivisibili. Impietoso contro le ipocrisie dei riformisti ormai votati ad annullarsi nel "partito democratico", egli vede bene, sa, dalla storia, che questo riformismo non ha via d'uscita, non può che lavorare e funzionare in termini generici entro le coordinate gattopardiane in cui sembra che cambi tutto e in realtà non cambia nulla. E se cambia qualcosa è solo in peggio, cioè a vantaggio dell'impresa e a danno dei lavoratori precarizzati e dei ceti medi proletarizzati. Vogliono farci diventare tutti blairiani. Il che non significa, dal mio punto di vista, che tutto Blair sia da buttare. Ormai è noto come la penso. Pur considerando, come tutti, l'affare Iraq la più grande cazzata americana dopo il Vietnam, sono fermamente convinto che il fondamentalismo islamico non possa essere considerato parte del movimento antimperialista. E' puerile considerarlo tale, è masochistico inneggiare ai terroristi, è immorale sostenerlo proprio a partire dai diseredati e dai "dannati della terra".

Quanto alle considerazioni conclusive del libro di Vattimo, sottolinerei questo: "Il nome di Nietzsche non è qui ricordato a caso; e a esso andrebbe accostato quello di Heidegger. Il comunismo a cui pensiamo - dice Vattimo - è infatti una forma di società libera anche (o anzitutto) da quello che Heidegger chiama la metafisica, e cioè la pretesa di fondare le azioni umane e le relazioni umane su una conoscenza 'oggettiva' del 'reale'. Ma il reale - come si vede dagli esiti etici e sociali di tutti i realismi filosofici - è solo l'ordine esistente che i vincitori (li chiama così Benjamin, nelle Tesi sul concetto di storia) considerano razionale e che vogliono conservare. Nessuno che non stia completamente a proprio agio nel mondo crede che si dia, oggettivamente, il reale e che meriti di essere 'osservato' (dal sapere e nella pratica). Per l'elettrificazione, certo, serve sapere come funziona la pila; ma solo il soviet decide che cosa fare dell'elettricità. Il soviet, però, è sovrano, rispetta la 'natura' solo nella misura in cui gli serve per costruire una società libera dal dominio."
Da un punto di vista marxiano sarebbe facile ironizzare su queste idee che continuano a perpetrare il pensiero debole. Definire metafisica la pretesa di conoscere il reale e fondare le proprie azioni politiche, tecniche, personali sulla realtà è da sempre molto avventuroso. Non so su cosa si fondi Vattimo quando dice che il capitalismo è intollerabile, o la condizione umana catastrofica, se su una percezione ridotta o su una fantasia intuitiva che considera valida e sicura, o solo sulla compassione tutta interiore per ciò che sente, ma rifiuta di vedere. A me sembra che tutto ciò non aiuti né il comunismo, né i comunisti, né i democratici, e nemmeno gli altri. Io non mi sento affatto "a mio agio" nel mondo attuale e tuttavia credo che la mia pretesa di conoscere il reale e agire di conseguenza non sia metafisica. Tutto sta ad intendersi sul vero significato del termine. Per un realista o per un marxista la metafisica è l'idealismo e non la pretesa di conoscere.
Nel dare il benvenuto al compagno Vattimo a nome del comitato centrale del partito che non c'è, mi sembra onesto, da compagni, avvisarlo che la nostra sarà una convivenza difficile, perché noi avremo sempre la pretesa di conoscere il reale ed agire razionalmente. Privilegiando la pila e senza mai più mettere all'indice la letteratura, l'arte decadente e la religione.
CF - 14 maggio 2007