| home | destra-sinistra |
Le destre nel Novecento
L'anomalia americana: destra ed estrema destra agli inizi del Novecento
di Carlo Fracasso
Gli Stati Uniti sono, si sa, un grande e strano paese, con un'anima conservatrice ed una testa progressista unita ad un'irriducibile vocazione antimarxista ed antisocialista.
Nel 1912, periodo "progressista" per eccellenza, al punto che alle elezioni presidenziali Theodore Roosvelt, fuoriuscito dal partito repubblicano, si presentò capeggiando una formazione chiamata partito progressista, i socialisti capeggiati da Debs ottennero il 6% dei voti. Il massimo storico. Venisse in mente a qualcuno di dimostrare che la causa dei conflitti sociali non sta nelle cose, ma nelle teste bacate di agitatori marxisti, ecco il benservito: negli Stati Uniti il marxismo è sempre stato proprietà riservata di piccoli gruppi intellettuali marginali, con scarsi o mancanti rapporti con sindacati e lavoratori. Eppure i conflitti sociali, politici, religiosi e razziali non sono mai mancati. Nemmeno in questo periodo definito progressista dagli storici perché caratterizzato non solo da progressi tecnologici, ma anche da conquiste sociali che miglioravano concretamente le condizioni dei lavoratori americani.
Ma l'America è un mondo di paradossi ed anomalie. Una di queste, ad esempio, fu che la vittoria del democratico Woodrow Wilson su Theodore Roosvelt fu ottenuta grazie al voto decisivo di alcuni stati del Sud. Questo significò un immediato peggioramento delle conquiste civili ottenuti dai neri. I quali furono licenziati o retrocessi in molti uffici governativi o amministrativi. Quello di Wilson era dunque un sinistrismo molto parziale, anzi fu una vera e propria politica di destra, quantomeno sul piano interno, una politica che rimise in discussioni le riforme realizzate in precedenza dal repubblicano Roosvelt.
Nel corso dell'Ottocento, la più forte organizzazione di lavoratori, The Knights of Labor, fu fondata da un ex-pastore battista, Uriah S. Stephens, insieme ad un gruppo di operai ed artigiani tessili. Era più simile ad una setta massonica che ad un moderno sindacato. Richiedeva un rituale d'iniziazione ed un giuramento sulla Bibbia, e non aspirava affatto al socialismo ma all'integrazione degli esclusi.
L'organizzazione toccò l'apice sotto la guida di un macchinista cattolico della Pennsylvania, Terence V. Powderly, grande sostenitore della "fratellanza universale". Ma l'organizzazione non piacque alle gerarchie cattoliche, che erano conservatrici. Solo dopo il 1886, in seguito ad alcuni incidenti a Chicago, l'alternativa ai "Cavalieri del Lavoro ed al loro ecumenismo biblico, divenne sostanziosa. L'AFL, cioè l'American Federation of Labor, organizzato su basi federali, si sviluppò soprattutto tra i lavoratori delle ferrovie, ed ebbe successo perché si proponeva di strappare concreti vantaggi per i lavoratori, ricorrendo anche allo sciopero, cosa che i vecchi Cavalieri osteggiarono in tutti i modi. Presidente dell'AFL fu per un lunghissimo periodo, dal 1886 al 1924, Samuel Gompers, ebreo ed olandese. Il punto nevralgico fu la conquista della giornata lavorativa di otto ore.
Difficile dimostrare, in tali condizioni, che esistesse una minaccia "rossa" al sistema. Eppure anche negli Stati Uniti si sviluppò una destra estrema e fanatica, con forti e radicate ramificazioni sociali. Forse occorrebbe una "psicoanalisi" della mentalità americana per scendere nelle profondità di questo mistero, ma io preferisco limitarmi ad un intervento descrittivo: parlando dei sintomi e non definendo la malattia altro che come una fobia per il diverso e l'alieno.
Col tempo, bisogna riconoscere che gli Stati Uniti hanno prodotto anche molta cultura e filosofia progressista, i cui vertici vanno cercati in John Dewey e John Rawls, pensatori che hanno qualcosa da insegnare anche a noi europei. Ma è indubbio che il pensiero di destra americano è quello che ha maggiormente fecondato il fertile terreno dell'immaginario politico e delle ideologie contemporanee, dando vita a paradossali intrecci, per i quali, da un lato, uno dei pilastri del pensiero conservatore fu il darwinismo sociale; dall'altro, nei ranghi del luteranesimo fondamentalista, venne a maturare una lotta senza quartiere contro l'evoluzionismo, considerata "dottrina del maligno" fino al punto che in alcuni stati ne venne vietato l'insegnamento nelle scuole. Siamo quindi a due concezioni antitetiche, dalla convivenza impossibile, e che pure sono insieme il nocciolo duro della filosofia politica della destra americana. Conclusione: siamo oggi al darwinismo sociale senza Darwin, che sarebbe davvero esilarante se non fosse tremendamente preoccupante.
Che dire?
Francamente la situazione è ancora più complicata se si pensa che sempre ad inizio secolo due ecclesiastici, tra cui spiccano i nomi di Henry Ward Beecher e Lyman Abbott, trovarono il modo di far convivere Darwin e la Bibbia, e che lo stesso Beecher, però, si distinse per impressionanti giaculatorie a favore dell'uso della forza pubblica negli scioperi. Per Beecher la povertà era "un peccato", come per Calvino. E quindi gli operai in sciopero andavano bastonati.
Per capire un po' meglio il groviglio converrebbe quindi procedere a distinguere tra posizioni e personaggi di tipo razionale e ideologie di tipo mistico ed irrazionale.
E' molto utile, su questo piano la lettura del libro di Giovanni Borgognone, La destra americana (1), guida indispensabile per trovare un primo orientamento.
Secondo Borgognone, dopo la guerra civile, il pensiero conservatore "classico", quello di John Adams e John C. Calhoun, che «aveva affidato ai valori religiosi e a un'aristocrazia naturale basata sull'educazione e sul codice morale la guida e la conservazione della nazione» venne parzialmente messo in ombra da un nuovo conservatorismo: quello influenzato dal filosofo inglese Herbert Spencer.
« Il più celebre esponente americano di tale filosofia, presto detta "darwinismo sociale", fu William Graham Sumner, un uomo di chiesa che, dopo aver studiato Darwin e gli economisti classici inglesi, perse interesse per le disquisizioni teologiche e si volle dedicare alla difesa del "libero mercato" e del "governo limitato".» (1)
Il libro Folkways del 1906 insegnava che la convivenza sociale si basava sulla competizione e che gli eventuali squilibri erano in realtà il sintomo di un buon funzionamento.
Sumner negava ai governi il diritto di intervento con le note argomentazioni dei liberali inglesi, nulla di veramente originale. Ma, abbiamo, secondo Borgognone, che «Il darwinismo sociale procurò agli americani di fine Ottocento una facile e diffusa giustificazione ideologica al capitalismo incontrollato, in opposizione alle proposte di intervento statale da parte dei riformisti. Si era così delineata una forma di conservatorismo ben diversa da quella religiosa e tradizionalista precedente.» (1)
Eppure, posizioni di questo genere, palesemente estremistiche, non vennero mitigate attraverso il confronto con la sinistra, ma trovarono dei correttivi nell'ambito dello stesso pensiero conservatore. Da un lato, Mark Hopkins, presidente del Williams College, cercò di fissare i confini etici dell'individualismo, sottolineando l'importanza morale di un atteggiamento non egoistico e filantropico, dall'altro, tra le fila dei grandi industriali, si fece luce Andrew Carnagie, che pure era uno strenuo sostenitore della libertà economica, cominciò ad affermare che il dovere di chi vince la competizione per la ricchezza è quello di realizzare "il bene pubblico". E diede il buon esempio investendo i suoi dollaroni, ad esempio, nel finanziamento di biblioteche in molte città del Sud e del Nord.
Un altro esponente razionale e rispettabile del pensiero conservatore fu certamente Irving Babbit. Definendo "Romanticismo" il pensiero di Rousseau e definendo la "democrazia" come figlia del Romanticismo, egli ebbe agio di sparare ad alzo zero su quella "grande esaltazione dell'animo impulsivo e incontrollato" che fu la filosofia del contratto sociale. L'ingiustificato ottimismo di Rousseau, radice dei guai del mondo contemporaneo, secondo Babbit, era frutto di una "visione idilliaca" della natura umana. A Rousseau, Babbit opponeva il maturo pensiero dell'inglese Edmund Burke, il simbolo stesso della vera saggezza che dovrebbe contraddistinguere un padre.
Babbit non esitò a schierarsi contro l'immaginanzione idealistica del presidente democratico Woodrow Wilson, il quale gli sembrava particolarmente infervorato delle idee progressiste in politica estera, ma si concentrò soprattutto a lottare contro la "democrazia" denunciando quanto essa fosse propizia a sviluppare i più bassi istinti dell'uomo.
« Mescolando elementi del classicismo, del puritanesimo e persino del buddismo, Babbit avvertiva che soltanto attraverso l'introduzione della disciplina, sia individualmente che socialmente, si sarebbero potute sopprimere le tentazioni egoistiche e realizzare così la vera dimensione umana.» (1)
Su linee parallele, quindi non convergenti, a quelle di Babbit, si sviluppò il pensiero di Paul Elmer More.
More partiva da Platone per incontrare successivamente il cristianesimo protestante e una dura polemica con la chiesa cattolica.
Era attratto dall'esistenza indipendente delle idee dal mondo fisico e fenomenico e condivideva quindi fino in fondo l'ipotesi di un dualismo tra mondo materiale ed ideale. Sostenne che questa era la via per ritrovare la perduta dimensione spirituale, causata ovviamente dal materialismo.
Nello scritto The Christ of New Testament e nel successvo The Sceptical Approach to Religion More indicava nel cristianesimo la porta maestra alla via della trascendenza. « Partendo dall'intuizione, egli attribuiva ad essa la capacità di distinguere il bene dal male, mediante un senso di auto-approvazione o di disapprovazione. Da ciò si poteva dedurre, a suo avviso, che la natura umana fosse dotata di un proposito in grado di dar forma alla vita, e di associarla ad un fine in grado di suscitare l'auto-approvazione.» (1)
Secondo More, nel mondo esterno non vi sono esempi di un simile teleologismo. Nella società non vi è alcun senso trascendente, e ciò è colpa di filosofie fisicaliste come quelle che giungono dall'Europa. Occore opporsi ad esse, attraverso la fede che ricongiunge l'uomo a Dio e consente di riplasmare la propria esistenza conformandola alla volontà di Dio. La polemica di More contro i cattolici poggiava su due argomenti particolari, la negazione del peccato originale e la questione dei sacramenti, interpretati come una commistione confusionaria tra religione e magia.
Con More, come si vede, siamo già ad un pensiero di confine, un pensiero in cui il razionale (cioè la distinzione ammissibile tra mondo delle idee e mondo reale) si confonde con un orientamento mistico ed una sostituzione della ragione con la fede.
Certo, non sono queste le posizioni che possono inquietare. Probabilmente, è persino possibile un confronto civile.
Ma questa "destra ragionevole" non fu la corrente maggioritaria nella vera destra americana, quella che condizionò radicalmente in senso negativo i mandati del democratico Woodrow Wilson.
A partire grosso modo dal 1880 e fino alla fine della I guerra mondiale, l'America fu invasa da milioni di immigrati provenienti in particolare dall'Italia, dal centro Europa, dalla Polonia e dalla Grecia. Avere questa manodopera a basso costo tornava comodo agli industriali e non solo. Ma creava non pochi problemi. Ci fu una reazione di tipo xenofobo. « La sua reazione più nota fu la rinascita del Ku Klux Klan, un'organizzazione che puntava a ristabilire la natura cristiana protestante dell'America, e che dunque intendeva purificare la società liberandola da influenze "aliene".» (1)
Il KKK era stato fondato nel dicembre del 1865 nel Tennessee. Il suo scopo fondamentale era impedire ai neri il godimento dei diritti civili. Si sciolse (o venne sciolto, non è chiaro) nel 1871, tuttavia risorse dalle sue ceneri ad Atlanta nel 1915, ad opera di William J. Simmons, che riuscì ad avviare un movimento di massa con slogans ispirati alla supremazia bianca e protestante, mobilitando i nativi americani, non gli indiani, certo, ma i discendenti dei padri pellegrini e delle prime ondate provenienti dall'Inghilterra. Nel mirino dell KKK stavano neri, ebrei e cattolici, in particolare gli irlandesi.
Cos'era il KKK? Lo spiega il rev. E. H. Laugher: «una crociata del popolo americano che ha cominciato a capire di aver ripudiato il proprio dovere pubblico e religioso di schierarsi in difesa dell'americanismo.» (1)
Per coerenza massima con le proprie posizioni anticattoliche, i capi del del KKK dovettero persino attaccare Mussolini dopo i Patti Lateranensi. Pare comunque assodato che alcune organizzazzioni vicine al KKK, come il German American Bund, furono finanziate dal governi della Germania nazista.
L'ondata xenofoba colpì sia i cattolici italiani ed irlandesi, sia le nazionalità in quanto tali, in particolare i tedeschi egli ebrei, che avevano il torto di essere o socialisti, o sporchi capitalisti congiurati nel patto plutocratico per il dominio del mondo.
Nel 1916 uscì il fortunato libro The Passing of the Great Race, un vero e proprio manifesto razzista composto da Madison Grant, che si scagliava contro il melting pot esaltato dai progressisti e dai tolleranti con l'argomento che esso avrebbe portato al dominio della mediocrità. Bisognava difendere la purezza della razza nordica minacciata dall'immigrazione di slavi, italiani e peggio.
In questo quadro l'antisemitismo trovò un argomento curioso e quantomeno originale. I veri discendenti delle dieci tribù disperse dell'antico regno d'Israele, secondo questa teoria, sarebbero stati i popoli britannici precedenti la conquista normanna. Gli attuali ebrei, al contrario, sarebbero i discendenti del regno di Giuda, mescolati con razze inferiori e quindi non più popolo eletto ma razza bastarda. In tali scemenze ebbe un ruolo guida il pastore della della Union Congregational Church of Brooklyn, il famigerato Joseph Wild, ma ai fini della nostra ricerca dovrebbe avere una certa importanza il fatto che a sostenere l'antisemitismo americano fu in particolare l'industriale Henry Ford, che attaccò il capitale finanziario, giudeo-massonico, e definì gli ebrei, non diversamente da Hitler, come "cisti nella carne del corpo politico". Ford si distinse per la pubblicazione a sue spese de I protocolli degli anziani di Sion, un falso della polizia zarista, che fece epoca perché denunciava il presunto complotto ebraico per la conquista del mondo. Hitler lo utilizzò per avviare lo sterminio.
Continuando la nostra ricognizione nel paradosso, dobbiamo ora constatare come le idee di questa destra estrema ed ultranazionalista toccarono anche settori definibili come progressisti. Un esempio significativo, e nemmeno del tutto isolato, fu quello di Edward A. Ross, "uno dei più famosi intellettuali dell'epoca. Ross era molto interessato alle idee del socialismo e mise più volte a repentaglio la propria carriera accademica per sostenere il movimento sindacale. Ma credeva fermamente nell'eugenetica e si opponeva all'immigrazione perché la diseguaglianza razziale era dura realtà della natura e non un pregiudizio di menti limitate.
In parziale polemica con le idee di Ross, troviamo un altro illustre intellettuale della sinistra radicale, ebreo, anzi, finalmente fiero di essere ebreo anche in America: Horace Kallen. Un suo saggio, Democracy Versus the Melting Pot, pubblicato sul Nation nel 1915 era infatti un'esplicita risposta a Ross. Kallen era convinto, per farla breve, che un individuo potesse cambiare abito, cultura, mentalità, lingua e religione, ma non potesse "cambiare i propri nonni". L'identità culturale, nazionale, razziale veniva così presentata come un valore positivo che portava ad un pluralismo tollerante, ma era contrario ad annullare le differenze etniche sulla base di artifici sociali e culturali. In particolare era contrario a quella che eufemisticamente chiamava l'ibridazione. I neri con i neri, gli ebrei con gli ebrei. Come si vede, anche Kallen, pur muovendo da posizioni di estrema tolleranza predicava una sorta di "razzismo positivo", una posizione di destra, comunque la si guardi, basata su un mascheramento della segregazione con gradevoli richiami alla bellezza estetica della società multietnica.
note:
(1) Giovanni Borgognone - La destra americana - Laterza 2001
CF - 12 dicembre 2004