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Alle radici del terrore islamico
di Carlo Fracasso
Non voglio perdere tempo a smontare un pregiudizio radicato, ovvero che il terrorismo islamico sia figlio legittimo di una cultura, quella islamica, che a sua volta esprime una visione integralista e dogmatica. Nemmeno voglio mettermi a discutere la tesi che afferma una sostanziale aggressività della mentalità religiosa islamica nei confronti di tutto ciò che è diverso, quindi dell'Occidente "cristiano" o "ateo" che sia. Strada facendo, vedremo anche perché. Ciò che conta è che la nostra percezione dell'Islam, negli ultimi tempi, si presenta così e gli stessi islamici non fanno molto per rappresentarsi diversamente.
Dico solo che tale percezione non è completa, perché manca delle necessarie informazioni sulle forze laiche e democratiche e sull'altro Islam, quello che rifiuta la logica del Wali Faqih, cioè della guida suprema, tipico della teocrazia scita che domina a Teheran, e parimenti si oppone alle teologie più reazionarie presenti tra i sunniti, quelle che reclamano la restaurazione del califfato. Dobbiamo solo capire che queste forze d'opposizione all'integralismo formulano un giudizio negativo sulle società islamiche attuali, che è sostanzialmente identico alle critiche che i più ragionevoli tra gli occidentali rivolgono a queste società.
Eppure, se le stesse cose le diciamo noi, scatta sempre "qualcosa" di indefinibile in termini razionali. Saremmo viziati di orientalismo, cioè di una interpretazione deformante della realtà storica islamica, e il nostro giudizio sarebbe persino "offensivo". Siamo sempre rimproverati di non sapere abbastanza, di non comprendere che le nostre categorie di pensiero ed i nostri criteri di giudizio non si possono applicare al diverso e all'incommensurabile. Come se non fosse vero che gli uomini e le donne di tutto il mondo hanno in comune bisogni ed aspirazioni fondamentali e proprio in questo dovremmo cercare l'uguaglianza.
Ci troviamo inoltre a fronteggiare un avversario interno alla nostra cultura. Lo possiamo chiamare l'antimperialista totale, senza se e senza ma. Per costui il nemico è in ogni caso il grande Satana, cioè gli Stati Uniti, sempre e in ogni circostanza. Questo tipo di interpretazione pone in secondo piano, spesso fino alla disonestà intellettuale vera e propria, il carattere reazionario dell'integralismo islamico e rifiuta di prendere atto, per esempio, che le società dominate dagli integralisti sono disumane e i loro capi mirano a fermare il progresso e l'emancipazione, il diritto all'autodeterminazione degli individui. Non diversamente dagli stessi integralisti, questi nostri fondamentalisti della rivoluzione mondiale, considerano gli agenti terroristici nient'altro che carne da cannone da utilizzare senza scrupoli per la battaglia contro il grande Satana. Si tratta di una posizione aberrante che non possiamo accettare.
La mia tesi è abbastanza semplice: nel mondo islamico è in atto uno scontro gigantesco tra le forze della reazione - bene organizzate e con le idee molto chiare, anche se irrimediabilmente sbagliate - e le forze del progresso - mal rappresentate, divise, spesso con idee molto confuse, sostanzialmente deboli e incapaci di darsi una riconoscibile identità politica e intellettuale. La linea politica giusta, per l'insieme dell'Occidente, è dialogare con queste forze, e aiutarle a vincere nei tempi storici necessari. Tempi lunghissimi. Ciò esclude che siamo di fronte ad uno scontro di civiltà e di religioni. Siamo solo di fronte ad un momento di grandi e rapide trasformazioni delle società islamiche che dobbiamo comprendere e cercare di incanalare nella giusta direzione. E, certamente, siamo anche di fronte alla minaccia terroristica tout court. Su come affrontarla, i pareri sono discordi e la questione non si può risolvere in poche battute. Cercheremo di affrontare anche questo problema prossimamente.
Una controriforma mai finita
L'involuzione del mondo islamico comincia con il sacco di Bagdad, ad opera dei mongoli nel 1258, e prosegue con la resa dell'emiro di Granada nel 1492.
E' un periodo di crisi profonda e la sua natura non è solo politica o militare. Come sempre accade, è una crisi economica accompagnata da uno sconvolgimento culturale. La crisi culturale fu vissuta come determinante e venne superata unilateralmente con il dogmatismo degli ulema, cioè gli studiosi del Corano, insieme legislatori e giudici. Essi si sentivano gli eredi della tradizione di al-Ghazali, il quale aveva opposto la verità della teologia alle ingegnose e perverse costruzioni dei filosofi, grandi filosofi come al-Kindi, Avicenna e Averroè. (1)
Sul dettato di al-Ghazali, la cultura islamica si chiuse a riccio. Gli ulema cominciarono a criticare le interpretazioni del testo sacro come una rappresentazione di verità separata dalla vita. La proliferazione di libri, commenti, posizioni diverse nel periodo aureo dell'Islam, aveva contribuito a tale separazione. Il testo coranico si era aperto ad una molteplicità di interpretazioni estranee allo spirito del libro.
Gli ulema reagirono alla proliferazione selvaggia degli ermeneuti del tempo della crisi per due motivi. Uno, perché non potevano consentire agli eccessi interpretativi, quelli in cui si nega la letteralità del testo e si annegano le contraddizioni in un calice di vino. Due, perché sentivano che la loro stessa autorità veniva minacciata dalla crescita della "democrazia" degli intellettuali. Quella degli ulema fu quindi una specie di controriforma cattolica di fronte alla riforma protestante, anche se a parti invertite, cioè con la filosofia e la ragione umana sul banco degli imputati. Ciò che non è scritto nel Corano, non ha diritto di esistere. Ma i toni e i metodi furono, se possibile, ancora più duri (ma meno feroci) di quelli adottati dall'Inquisizione cattolica. La loro risposta si può sintetizzare così. Ridussero il concetto di 'ilm, conoscenza, a quello di semplice conoscenza religiosa. Trasformarono il concetto di igma, inteso come "consenso della comunità", in quello più restrittivo di "consenso dei dotti". Eliminarono il concetto di igtihad, cioè la ricerca e la discussione comune in materia di religione e filosofia. Solo gli ulema avevano il diritto di interpretare. Si può dire che da allora, siamo nel XIV secolo, il mondo islamico divenne un mondo dogmatico e autoritario. Al posto della igtihad troviamo taglid, cioè "l'imitazione cieca". Il pensiero islamico divenne oscurantista e la cultura islamica perse il suo dinamismo. Il fondamentale concetto di 'Adl, giustizia, che è un valore supremo, venne stravolto. Giusto non è chi si comporta con giustizia e moderazione -concetto presente nello stesso pensiero di Maometto - , ma chi sta coerentemente nell'ortodossia islamica. E' l'abito che fa il musulmano con barba e turbante. Possiamo dire, allora, che sono almeno settecento anni che l'Islam vive in un sonno dogmatico, etico ed estetico assieme, interrotto solo sporadicamente da qualche tentativo di riforma.
Nel Settecento nacque il pietismo wahabita, che è la corrente dominante tuttora in Arabia Saudita. Era un ritorno all'Islam più puro, ma aveva il grave difetto di essere espressione di una religione da nomadi del deserto, priva di un respiro culturale universalistico. Nel Novecento sorsero diverse teologie, tutte nel solco del rinnovamento dell'Islam inteso come religione pura nel solco tracciato da al-Ghazali, quindi attraverso la riproposizione dell'integralismo più intransigente. La grande tradizione libertineggiante dell'Islam, quella dei filosofi, non fu mai realmente resuscitata. Oggi possiamo scorgere qualche novità. Ma non dobbiamo nasconderci che nel suo insieme l'Islam religioso è reazionario anche quando pretende di rappresentare istanze popolari. I grandi ispiratori della cultura islamica del Novecento sono figure come l'egiziano Sayyid al-Qutb, il giurista palestinese Taqi al-Din al-Nabhani, l'ayatollah Khomeini, campioni di un pensiero retrivo anche quando si ammanta di concetti socialisteggianti. Non è un caso che il vero ispiratore della rivoluzione iraniana, ovvero Alì Shari'ati, fatto uccidere dal regime dello scià nel 1977, sia oggi un autore proibito dagli ayatollah.
La pubblicistica occidentale tende oggi a nascondere il rilievo che ebbero il filosofo sociale algerino Malek Bennabi, il poeta pakistano Muhammad Iqbal o il pensatore palestinese Ismail al-Faruqi, possibili ispiratori dell'altro Islam. Su Iqbal esistono opinioni contrastanti perché lo si potrebbe vedere come un fautore del nazionalismo islamico pakistano che volle la separazione dall'India invece che la coesistenza pacifica in un unico stato, tuttavia tra gli intellettuali islamici è diffusa la convinzione che egli fu un genuino modernizzatore. Al-Faruqi, fortemente sintonizzato con le correnti più autorevoli del pensiero europeo, analizzò acutamente la condizione di malessere della ummah, cioè la comunità universale dei credenti in Allah, e sostenne che gran parte di questo malessere derivava dalla pretesa degli ulema di affrontare i problemi attuali del mondo con categorie e concetti inadeguati. Ciò non solo sarebbe un vicolo cieco, ma sarebbe anche contrario allo spirito stesso dell'Islam. Al-Faruqi tentò, non troppo diversamente da Maritain in Europa - che cercava di rendere compatibili filosofia scolastica e scienza moderna - di islamizzare il sapere contemporaneo. Ricevette consensi e critiche, ma, quantomeno, tentò di aprire una strada nuova.
Perché prevale il fondamentalismo?
Naturalmente, la prima domanda che viene spontanea è la seguente: perché, nonostante la presenza di voci alternative, prevale il fondamentalismo?
Possiamo abbozzare una serie di risposte. La prima è che le politiche economiche e di sviluppo perseguite dai capi "modernisti" e nazionalisti, da Nasser in Egitto a Saddam in Iraq, a Hassad in Siria sono sostanzialmente fallite. Sotto un profilo marxista, potremmo dire che le borghesie nazionali non sono riuscite a decollare. I grandi profitti del petrolio sono stati utilizzati in modo distorto, o per arrichire le cricche del potere, o per perseguire una dissennata politica di armamenti, ma non hanno promosso uno sviluppo reale. Del resto, i fondamentalisti trovano facile denunciare questi regimi come corrotti: pura verità.
Una seconda ragione è ancora più evidente: questi stessi capi "modernisti" hanno perseguito i loro obiettivi con metodi di governo dittatoriali e cinici, eliminando con precisione stalininiana tutte le opposizioni. Il caso più evidente è il regime sanguinario di Saddam. Non hanno seguito una via alternativa al fondamentalismo. In un certo senso lo hanno favorito. Nasser riuscì a fare di al-Qutb un "martire" impiccandolo.
Una terza ragione è di tipo "psicologico", ma non per questo pare meno incisiva. L'Islam è stato ingiuriato, deriso, umiliato ripetutamente, in particolare dalla politica israeliana sostenuta dagli Stati Uniti. Ma non solo, anche da forze progressiste ateisticheggianti e liberaleggianti presenti nell'Islam stesso.
Una quarta ragione si può trovare, infine, nel fatto che i regimi impropriamente definiti come moderati (solo perché amici degli americani, in realtà reazionari e forcaioli quanto gli altri) non sono riusciti a far meglio. Anch'essi presentano un bilancio fallimentare. Inoltre sono colpevoli per aver collaborato con l'Occidente, tradendo il loro popolo, la loro religione, la loro identità, contribuendo in maniera decisiva a introdurre nell'Islam stili di vita corrotti e degeneri come nella Persia dello scià Reza Pahlevi o nel Libano.
C'è poi una quinta ragione, ed è forse la più inquietante: i fondamentalisti sono stati appoggiati, finanziati, armati dallo stesso Occidente in chiave antisovietica ed anticomunista negli anni della guerra fredda e, soprattutto a partire dall'occupazione sovietica dell'Afghanistan.
Il fondamentalismo islamico del Novecento si è sempre caratterizzato come avversario irriducibile del marxismo e del comunismo quali negatori dell'etica musulmana. L'appoggio ha avuto un canale ufficiale, per così dire, alla luce del sole, ma si è avvalso soprattutto di canali sotterranei e legami con la criminalità mafiosa, la produzione e il commercio della droga, le intermediazioni delle cupole di ogni tipo, dalla mafia siciliana a quella cecena, da quella russa a quella turca, siriana e libanese. In tale grande gioco ha avuto un ruolo di rilievo la loggia P2 di Licio Gelli e sono numerosi i politici italiani della prima repubblica che si sono arricchiti con il traffico d'armi con alcuni paesi mediorientali e gli eserciti privati dei fondamentalisti. (2) I grandi centri della coltivazione dell'oppio per la produzione di eroina furono la valle della Bekaa e l'Afghanistan. La prima era sotto il controllo diretto del fratello del dittatore siriano Hassad, il secondo sotto quello dei mujahaddin e poi dei talebani.
Il primo atto dei fondamentalisti ingrassati dai dollari americani e dal denaro sporco del narcotraffico è stato quello di attaccare dall'interno i regimi cosiddetti moderati, colpevoli della de-islamizzazione. Poi, a sconvolgere tutte le carte, intervenne la rivoluzione iraniana del 1979. Il più importante alleato degli Stati Uniti nell'area mediorientale veniva spazzato via da un fronte molto esteso che andava dai social-comunisti del Tudeh, ai progressisti eredi di al-Shari'ati e ai pasdaran della rivoluzione khomeinista. Fu un'alleanza fragile e durò poco, ma servì a sollevare grandi speranze del tutto infondate. Khomeini fu abilissimo nel tradirle sistematicamente, liquidando in primo luogo tutte le componenti laiche, socialiste e moderate della coalizione rivoluzionaria. Poi passò all'attacco dell'Occidente istituendo corpi speciali di infiltrati, cellule terroristiche pronte ad agire. In questo piano trovò un alleato nel leader libico Gheddafi e in gruppi sciti libanesi, costituiti in particolare da affaristi e finanzieri collegati a logge massoniche europee e associazioni segrete eversive di tipo nazifascista, dichiaratamente antisemite. L'Occidente non trovò di meglio che scagliare contrò la rivoluzione iraniana il regime di Saddam Hussein, giocando furbescamente sulla megalomania del rais. Fu una tragedia, una guerra lunghissima ed estenuante, combattuta senza esclusione di colpi. Saddam ricorse all'uso del gas nervino. I soldati iraniani furono spediti all'assalto per ondate. Una marea umana che sprofondava nel fango e nella sabbia, e poi finiva soffocata dai gas. I capi delle potenze occidentali e della stessa Unione Sovietica sono politicamente e moralmente responsabili al pari di Saddam e di Khomeini. Senza il loro sostegno, la guerra sarebbe finita per mancanza di munizioni. Qualcuno, su questa sporca guerra ha costruito la propria fortuna.
Ma esperienze come queste lasciano un segno indelebile. Gli islamici sanno, non dimenticano. L'odio inestinguibile che nutrono nei confronti degli americani, degli occidentali, degli europei, di tutto ciò che viene da Washington, il grande Satana, è strettamente legato a questa tragedia. La quale fu la vera, grande umiliazione del mondo islamico nel secolo trascorso.
La rivolta dei cipays del 1857 e altre storie indo-pakistane
L'idea psicologica di un'umiliazione dell'Islam da parte dell'Occidente è radicata, antica e diffusa, la si può trovare nei manuali di storia scritti da islamici e risale alle crociate. La rappresentazione dei crociati come criminali ed assassini massacratori privi di onore e spirito cavalleresco viene spesso contrapposta alla lealtà ed alla generosità del vero cavaliere, il Saladino. Possiamo dire che alla dottrina di comodo dell'orientalismo, cioè un modo deforme di rappresentare l'Islam da parte degli studiosi occidentali, fa da contraltare una specie di occidentalismo degli islamici, che non va molto per il sottile nel rappresentare l'Occidente. A parte il facile umorismo che può scaturire dal confronto tra l'indubbia caratura cavalleresca del Saladino e lo squallore morale dei capi delle organizzazioni terroristiche attuali, c'è comunque da credere che la questione dell'umiliazione sia vissuta molto profondamente da parte degli agitatori islamici fondamentalisti. Essa ebbe una parte fondamentale nello scoppio della rivolta dei cipays del 1857 in India. I cipays erano le truppe coloniali arruolate nell'esercito inglese. La rivolta fu domata nel sangue, ma divenne qualcosa di indimenticabile, un esempio da seguire. Coinvolse molti popoli e molte etnie e fu in parte ispirata da una delle quattro scuole sunnite teologico-giuridiche, la hanafiyyah, sviluppata in modo particolare da due ordini: il movimento dei Deobandi, fondato nel 1851 da due maestri di teologia: Mohammed Qasim Nanautvi e Rashid Ahmad Gangohi. Subito dopo nacque il movimento dei Barelwi, che ebbe grande diffusione in tutta l'India ed anche in Afghanistan.
Si può privilegiare l'analisi del fondamentalismo pakistano e indiano perché è indubbio che in quest'area il pensiero integralista abbia trovato un terreno molto fertile. Il Pakistan è il primo paese islamico a possedere la bomba atomica e già la semplice storia di come fu possibile una cosa del genere potrebbe portarci molto lontano. Ma occorre prima mettere in chiaro altri aspetti.
Nel 1919, nove anni prima che sorgesse l'associazione dei Fratelli Musulmani in Egitto, nacque tra i musulmani del sub-continente indiano il Tahrik-i Khilifat, il Movimento per il Califfato ispirato ad una ideologia caratterizzata in senso antagonista al mondo cristiano, e nella fattispecie britannico. La figura del califfo è importante nella storia del movimento islamico perché è "scritto" che tutti i credenti nell'Islam, ovunque si trovino, debbano obbedienza e lealtà al capo dell'Islam politico e religioso. Il califfato come istituzione islamica è però messa in discussione da Kemal Ataturk, il leader turco che, finita la prima guerra mondiale con la sconfitta dell'impero ottomano, avvia la modernizzazione della Turchia.
La questione del califfato
Dopo il crollo dell'impero ottomano, la trasformazione della Turchia in stato nazionale moderno si realizza in una serie di tappe dal 1 marzo 1924 al 1 novembre del 1928. Il primo atto fu il pensionamento "forzato" degli ulema ed il passaggio di tutte le loro funzioni civili e giuridiche a organismi statali. Furono così aboliti i tribunali in cui vigeva la sari'a, la legge islamica. Nel 1925 vennero sciolti gli ordini mistici e le fondazioni religiose. Nel 1926 venne introdotto nella legislazione il matrimonio civile celebrato da un pubblico ufficiale. Nel 1927 venne introdotto il divieto di apporre scritte religiose negli edifici pubblici. Il 1 novembre 1928 venne adottato l'alfabeto latino. Se ben si guarda, fu un processo di laicizzazione della società scandito dall'alto. Furono atti che ferirono ed offesero la mentalità islamica, e che separaronno la Turchia dal mondo islamico nel suo insieme. A partire dal 1923 il Corano fu recitato in turco anziché in arabo.
Ma l'evento che sconvolse e sorprese negativamente fu l'abolizione del califfato e la sua apparente reintegrazione nell'ordinamento repubblicano. La legge del 3 marzo 1924 recitava al primo articolo: «Il califfo è stato deposto. L'ufficio califfale è stato abolito, dal momento che il califfato è contenuto sostanzialmente nell'idea e nel concetto di governo e repubblica.»
Ciò che urtava frontalmente contro quella che potremmo definire con molta imprecisione "l'opinione pubblica islamica", dal Senegal e la Mauritania fino all'Indonesia, era la pretesa dell'Assemblea nazionale turca di continuare a rappresentare il califfato universale, "panislamico" derivato dal diritto imperiale ottomano. Non c'era più califfo in Turchia, non poteva esserci califfo altrove, perché l'unico vero califfo era stato il califfo ottomano. La repubblica turca, non solo aveva violato la legge e la consuetudine islamica abolendo il diritto dei religiosi a dirigere la giurisdizione civile e l'istruzione. Pretendeva di estendere il suo significato a tutto il mondo islamico.
La deislamizzazione dell'Egitto
Questa spinta alla deislamizzazione delle società non gioca un ruolo rilevante solo in Turchia, ma comincia ad operare in Algeria, Egitto, fino all'India britannica e oltre. In essa giocano un ruolo sia le filosofie positiviste e liberali che quelle marxiste, e sono lentamente introdotte da intellettuali che hanno studiato in Europa e negli Stati Uniti. Il caso egiziano è emblematico.
Insediamenti sionisti, i Fratelli Mussulmani e l'Islam moderno
La storia del fondamentalismo islamico contemporaneo inizia in Egitto, con la fondazione dei 'Fratelli Mussulmani', in un clima reso complicato dalle vicende internazionali, dalla prima guerra mondiale, dalla presenza coloniale francese e britannica in molte aree del Medio Oriente e dal progressivo squagliamento dell'impero ottomano.
Da poco, siamo negli anni '20, il movimento sionista ha cominciato a prendere piede, convincendo migliaia di ebrei sparsi per l'Europa e il Medio Oriente a tornare in Palestina. Non è ancora un vero e proprio esodo, ma il fenomeno assume proporzioni crescenti in pochi lustri. I primi ebrei che tornano in Palestina non si concentrano nelle città, ma raggiungono le campagne. Non tutti hanno denaro sufficiente per comprare la terra. Molti si assoggettano al lavoro salariato. Si tratta soprattutto di russi e polacchi, per ragioni ovvie: Russia e Polonia sono state la culla dell'antisemitismo più odioso. Vittime dei pogrom e di ripetute violenze, gli ebrei russi e polacchi sono anche i più ferventi sostenitori dell'Organizzazione sionista mondiale, sorta a Basilea nel 1897. Non tutti scelgono la via della Palestina, molti vanno in America. La prima ondata di emigrati raggiunge la Palestina nel periodo 1881-1903. Una seconda ondata si sviluppa tra il 1904 e il 1914. I primi insediamenti sono pacifici e non provocano una vera e propria ostillità tra le popolazioni.
Tuttavia, la prima crisi, segno evidente che qualcosa non funziona, non tarda a manifestarsi. Con le nuove ondate d'immigrazione (si parla sempre di poche decine di migliaia) gli ebrei cominciano ad insediarsi in un centro come Haifa. Poi è la volta di Gerusalemme. La crisi economica che colpisce in particolare l'agricoltura provoca, a partire dal '22 una caduta del prezzo del grano ed una riduzione dei salari agricoli pari al 50%. Anche il proletariato rurale palestinese va in città, attirato dal miraggio di un possibile impiego nelle manifatture. Ma l'estensione della popolazione ebraica ai centri urbani determina uno sbarramento ai proletari agricoli palestinesi. Quando, nel '29, la crisi si farà paralizzante, le frizioni e le tensioni lungamente accumulate esploderanno. E chi continua a sostenere che sono motivi religiosi e razziali a determinare il primo scontro, non ha forse compreso che si tratta di una lotta per la vita, il lavoro e le risorse, una lotta tra poveri. E' sui morti ed il sangue di questa prima battaglia combattuta con fucili (pochi) e bastoni (molti) che si origina la spirale di violenze senza fine che accompagna tutto il secolo trascorso e si trascina tuttora. Nel frattempo il movimento sionista si è organizzato militarmente. L'organizzazione si chiama Haganah ed è terribilmente efficiente. In grado di rispondere colpo su colpo, provoca immediatamente 133 vittime 'civili' tra i palestinesi. Subito controbilanciate da oltre 160 ebrei uccisi in scontri aperti ed agguati.
Sarebbe però sbagliato vedere la nascita dei Fratelli Mussulmani come una reazione al sionismo. L'organizzazione nasce facendo leva su questioni che interessano l'intellighentsia egiziana e l'identità smarrita degli intellettuali, i quali avevano studiato sia nelle scuole islamiche che nelle università europee e americane. Si può capire meglio il punto se afferriamo il concetto di de-islamizzazione della società egiziana, dovuto all'occupazione britannica. Il paese è attraversato in lungo e in largo da archeologi assatanati alla ricerca di piramidi e tombe. L'Egitto è una tradizione antichissima, un'identità remota che ben poco ha a che fare con l'Islam. Essere "egiziani" è riconnettersi agli antichi fasti, recuperare un'identità che venne ben prima di Maometto. Non si tratta di una "moda culturale". E' una ricerca di identità nazionale: "siamo egiziani, non arabi!" Questa riscoperta passa per l'Europa e le sue università. E passa per l'acquisizione di un concetto storico-politico tipicamente europeo: quello di "nazione". L'egiziano aspira a farsi europeo, alla cultura europea, ad una "nazionalità". Si riconosce nell'ammirazione che questa stessa cultura europea prova, non già per l'Egitto degli ulama e delle scuole coraniche, ma per l'Egitto dei Faraoni, la culla di tutte le civiltà.
E' in questo senso e su questo piano che si deve cogliere la reazione islamica all'invasione culturale europea. C'è persino uno scrittore importante, tale Salama Musa, un copto, che aveva scritto: «Non mi dispiacerebbe che la letteratura nazionale egiziana fosse europea al 99 per cento, attenta, cioè, a lavorare non sulle parole, come gli arabi, ma sui concetti e significati.» (3) Ha così buon gioco Reinhard Schulze a dire: «Vittime di una moda "faraonica", letterati e consumatori erano intenti a liberarsi del "marchio arabo" e a diventare "egiziani", riscoprendo il loro legame con la cultura dell'antico Egitto.» (4)
Occorre aver chiaro, tuttavia, che non tutto l'Islam egiziano reagisce in modo negativo alla europeizzazione e alla modernizzazione.. Come sottolinea Schulze, c'è una parte di ulama che spinge a caratterizzare la religione in senso progressista e moderno. Si può datare questa apertura agli ultimi decenni dell'Ottocento e non restringerla al solo Egitto. «Ulama operanti in varie zone della umma (5) cominciarono a darsi da fare per formulare una nuova teologia islamica della modernità, sperando soprattutto di conciliare la modernità con la teologia e consentire al mondo islamico di accedere al mondo moderno attraverso la cultura islamica.» L'Islam poteva orientarsi al futuro con una teologia favorevole alla scienza ed alla tecnica. Anche volgendosi indietro non era difficile trovare delle radici. Bastava guardare alla tradizione dell'umanesimo islamico dei secoli X-XIII.
Leggendo, tuttavia, le parole di uno storico marocchino, al-Nasiri al-Salawi, potrebbe sorgere qualche dubbio circa la genuinità e autenticità di tale apertura. «Sappiamo - scriveva al-Nasiri al-Salawi nel 1895 - che allo stato attuale i cristiani hanno raggiunto l'apogeo della forza e della potenza e che, al contrario, i musulmani - che Dio sappia ricondurli all'unità e portarli sulla retta via - sono quanto mai deboli e scompigliati. Siamo, loro [le nazioni europee] e noi come due uccelli, l'uno provvisto d'ali, capace di raggiungere qualsiasi luogo gli piaccia, e l'altro con le ali tarpate, condannato a ricadere sempre sulla terra senza riuscire a volare.»
A leggere queste parole, può anche venire il sospetto di un'adesione alla modernità puramente strumentale, dettata dalla necessità di possedere scienza e tecnica per non perire nel confronto con l'Occidente.
Come spesso accade, è però difficile separare del tutto motivazioni differenti quando si presentano unite nelle stesse persone. Al-Nasiri al-Sarawi si sta rivolgendo ai tradizionalisti per esortarli ad uscire dal guscio. I modernisti, ovviamente, non hanno bisogno di un tale appello ai vantaggi della modernizzazione per comprendere l'importanza di una nuova teologia.
Ma, in tale prospettiva rimane un margine di ambiguità, ed è su tale ambiguità che si scatena la reazione.
Sayyid al-Qutb
Gli uomini della reazione sono principalmente due intellettuali egiziani: Hasan al-Banna e Sayyid al-Qutb. Entrambi nati nel 1906, entrambi istruiti religiosamente. Entrambi finiscono in modo violento. Al-Banna è assassinato, al-Qutb viene fatto impiccare nel 1966 dal regime di Nasser dopo anni di detenzione. Secondo il suo biografo S. Badrul Hasan, Qutb è attratto in gioventù dalle dottrine socialiste, e forse non le abbandonerà mai completamente, anche quando arriverà ad indicare nel comunismo e nella psicoanalisi i nemici mortali dell'Islam. Schulze lo cataloga come un fondamentalista della sinistra islamica. Io credo che su questo, Schulze abbia preso una sorta di abbaglio. Per definire Qutb "de sinistra" bisogna avere un'idea di sinistra presa dal post-moderno più profondo e confusionario.
Evidentemente, Qutb comprende che per combattere lo spettro del comunismo bisogna in qualche modo neutralizzare la sua efficacia critica con riforme sociali in grado di risolvere i problemi della povertà e della diseguaglianza. Ma il punto d'attacco del pensiero di Qutb non sta nel comunismo in sé. Il suo primo passo è una toccante difesa dell'identità musulmana e dell'autosufficienza dell'Islam. Non c'è alcun bisogno di una filosofia europea, e non si deve parlare di una scienza europea. Anzi, e questo può essere vero storicamente, se c'è qualcuno che deve ringraziare, questa è propria l'Europa, la quale si è nutrita delle grandi conquiste islamiche negli bui della sua storia. Il che, è paradossalmente vero. Basta ricordare che al-Kuhuwarizmi inventò i logaritmi e l'algebra; Abd al- Wafah sviluppò la trigonometria e la geometria della sfera e scoprì le variazioni del moto lunare. Ibn al-Haytham fu un pioniere dell'ottica. E sembra che al-Battani abbia elaborato persino modelli planetari simili a quelli di Copernico, dopo aver misurato la circonferenza della terra. La stessa chimica, intesa come alchimia (al-kimia, termine arabo) applicata, ha conosciuto grandi studiosi medioevali. Le parole del linguaggio scientifico geografico come azimut, zenit, nadir, sono di origine araba, e così via. Dalla medicina all'architettura, l'Occidente ricevette dall'Islam una grandissima eredità. Per non dire della filosofia di Avicenna e Averroè. Ma per Qutb, questo non può essere un vanto per l'Islam.
Il pensiero di Qutb si sviluppa negli anni, a mio avviso involvendo in chiusure sempre più estreme ed esclusive. Ma all'inizio non manca di qualche pseudo-originalità. Rituffandosi nella sorgente del Corano, studiandolo passo a passo e commentandolo, Qutb dà vita ad un'imponente opera di commento che consta di una trentina di volumi: All'ombra del Corano. Solo una piccola parte di essi è stata tradotta in inglese, ma da quella piccola parte, Paul Berman ha estratto, a mio parere con qualche forzatura, il senso fondamentale delle filosofia di Qutb. (6)
Va detto, innanzi tutto, che Qutb si impadronisce di tratti importanti della filosofia occidentale. Studia negli Stati Uniti, all'università del Nord Colorado di Greeley e ottiene un master in pedagogia. Ma il soggiorno negli Usa non lo porta ad apprezzare la cultura e lo stile di vita americani. Al contrario, tutto ciò che è americano, dal razzismo alla libertà sessuale, gli pare una degenerazione dovuta all'edonismo, che è un modo soggettivo di vivere il capitalismo.. Quando Qutb torna in Egitto, nel 1951, aderisce ai "Fratelli Musulmani" di al-Banna, che è già scomparso.
Sembra che alla vigilia del colpo di stato del 1952, che rovescerà la monarchia, Nasser vada a trovare Qutb per conquistarsi l'appoggio dei "Fratelli Musulmani". Pare che gli offra il ministero dell'istruzione. Ma Qutb vuole cose che Nasser non può dare, come ad esempio il proibizionismo e l'applicazione integrale della legge islamica. Il dissenso è destinato ad aumentare, fino a diventare opposizione aperta. Il movimento dei Fratelli Musulmani diventa "politico", e Nasser, nel 1954, ne vieta l'organizzazione, salvo ricredersi poco dopo. I Fratelli Musulmani, tuttavia, organizzano un attentato alla vita del leader egiziano. E' troppo. L'organizzazione viene ufficialmente sciolta, ma sopravvive nella clandestinità.
Le idee di al-Qutb
L'idea che le idee si facciano strada tra la gente indipendentemente dalle circostanze storiche e dai rapporti di forza economici e politici non ha mai avuto grande fortuna nella mia testa. Ed anche nel caso particolare che stiamo trattando, non vedo perché dovremmo credere che le idee procedano del tutto autonomamente. Le interpretazioni di al-Qutb trovano consenso in aree sociali e culturali che si sentono minacciate in vario modo dallo sviluppo sociale e civile. Ognuno perde i suoi privilegi in modo diverso, ognuno, perdendo i privilegi, perde anche le certezze ed è costretto a rinunciare alle abitudini più comode per avventurarsi sulla strada con molte incognite e molte scomodità. Forse crede che il mondo vada in confusione, mentre è solo di fronte a nuove logiche, nuovi equilibri, nuove giustizie e, naturalmente, nuove ingiustizie che perpetuano e forse dilatano quelle vecchie. Lasciamo stare Marx; i saggi sanno che la gente abituata a procurarsi da vivere in un certo modo, è restia ad accettare quei cambiamenti che peggiorano la propria situazione.
Qutb diventa un faro per tutti quelli che non sono disposti ad accettare il mondo in confusione, la fine della dittatura del maschio sulla femmina, del padrone sul servo, del ricco sul povero, dell'ulema sul libero intellettuale, della religione sull'arte e così via. Quando scrive che il Corano è simile ad una palma frondosa che procura ristoro nel deserto, egli pone l'accento sul bisogno di sicurezza che interessa decine di migliaia, o centinaia di migliaia, di egiziani, e di più, islamici di ogni nazionalità, che si vedono minacciati nelle loro abitudini, nei loro costumi e nelle loro credenze.
Scrive Paul Berman: «Il Corano, osserva Qutb, non offre un corpus di conoscenze da raccogliere a proprio piacimento, come fosse un albero. Il Corano offre un modo di vivere. Capire la sua verità, quindi, richiede un impegno attivo nella vita, forse un impegno doloroso, bruciante, sebbene Qutb metta in evidenza anche la bellezza del Corano e il piacere che ebbe nello studiarlo.»
Nello studio del Corano emerge il concetto di totalità, Tawhid o unicità di Dio, che distingue e caratterizza l'Islam rispetto a tutte le altre visioni del mondo. Ogni riga del Corano porta ad una reiterata affermazione: "non vi è altro Dio all'infuori di Allah." E solo nell'Islam questo concetto è veramente assoluto.
«Vivere all'ombra del Corano è una grande benedizione che può essere apprezzata pienamente solo da chi ne fa esperienza. E' un'esperienza ricca che dà significato alla vita e la rende degna di essere vissuta. Sono profondamente grato a Dio onnipotente che mi ha concesso questa esperienza di arricchimento per un tempo notevole, che è stato il periodo più felice e fecondo della mia vita: è un privilegio di cui gli sono eternamente grato.»
Queste parole sono indubbiamente la testimonianza di un raggiunto "stato di grazia". Diventa difficile comprendere come chi trova queste forme di appagamento estremo, possa poi giungere a predicare l'intolleranza, la restrizione etica, l'applicazione integrale di una legge che ordina punizioni corporali di estrema crudeltà, la lapidazione di chi commette adulterio. Come fa un uomo in possesso di una relazione privilegiata con l'assoluto a degradarsi fino al punto di predicare la violenza?
E' uno dei grandi misteri contemporanei. Forse, studiando al-Qutb, possiamo venire in possesso di quella chiave che apre alla comprensione più profonda dell'enigma che è tuttora l'uomo fanatico.
Al-Qutb dice che, ovunque si trovi l'individuo contemporaneo, è in crisi, a disagio, alienato nei confronti della propria natura. La qualità umana sta degenerando. Le relazioni sessuali stanno cadendo a un livello inferiore di quello della bestie. Le funzioni intellettive superiori sono debilitate e atrofizzate.
Nell'esegesi della sura 2 del Corano, La vacca, al-Qutb scrive che nelle società occidentali più ricche la gente vive in modo miserabile e ha perso contatto con la propria anima. Ma, anche fosse vero, può esser questa ragione sufficiente per distruggere la società della miseria e le gente che la abita?
Eppure, le parole di al-Qutb sono inequivicabili. Egli si mostra convinto che sia l'ebraismo contemporaneo che il cristianesimo siano una degenerazione ed un tradimento dell'antica religione. E crede anche esista un complotto ebraico per distruggere l'Islam. «La Storia - scrive nel commento alla sura 5 - ha registrato l'opposizione perfida degli Ebrei all'Islam fin dal suo primo giorno a Medina. Il loro complotto contro l'Islam è proseguito fino ad oggi, e quelli che continuano ad essere i suoi capi, nutrono un rancore malvagio e ricorrono sempre a piani sleali per minare l'Islam.»
E per precisare, aggiunge: «Gli Ebrei sono sempre stati i principali protagonisti della guerra dichiarata su tutti i fronti contro i sostenitori del revival islamico nel mondo. La dottrina atea e materialistica del nostro mondo è stata sostenuta da un ebreo e la dottrina permissiva chiamata a volte "rivoluzione sessuale" è stata sostenuta da un ebreo. La maggior parte delle teorie malvage che cercano di distruggere tutti i valori e tutto ciò che l'umanità ha di sacro sono sostenute da Ebrei.»
Al-Qutb è convinto che anche l'abolizione del califfato operata da Kemal Ataturk, il padre della Turchia moderna, sia opera degli ebrei.
Osserva Paul Berman: «Nei suoi scritti gli Ebrei, dal periodo preislamico fino a oggi, presentano una caratteristica cosmica, atemporale e demoniaca. Le sue accuse agli Ebrei erano teologiche, non politiche. In queste opere si può forse individuare l'influenza di persone come von Leers, il collaboratore di Goebbels, sulla vita culturale in Egitto. Vediamo l'atmosfera che avrebbe permesso a un governo rivoluzionario panarabo di accogliere i fuggitivi nazisti. L'antisemitismo di Qutb era islamico, ma non solo. Era classico.» Con ciò, Berman vuol dire che la purezza del pensiero islamico di Qutb non era affatto verginea. Nel pensiero di Qutb entrano elementi del nazionalsocialismo tedesco e della parte più squallida delle teorie razziali nate in Inghilterra nel XIX secolo.
Vero?
I dati oggettivi, le espressioni, i contenuti del pensiero, sembrano confermarlo. Ma dobbiamo guardarci dalle facili semplificazioni. Nessun fondamentalista islamico potrebbe avallare una teoria ed una pratica della soluzione finale. Nessuno ha mai parlato di sterminio della razza ebraica. Ciò che si propongono i fondamentalisti è la distruzione dello stato di Israele, che non è visto come uno stato religioso, ma come un avamposto dell'Occidente, come uno stato laico cresciuto surretiziamente nelle viscere dell'Islam. Considerare il fondamentalismo islamico di al-Qutb come una derivazione del nazismo potrebbe impedirci di vedere la specificità. L'Islam è una realtà culturale e spirituale autonoma. Su questo, Qutb ha ragione. Anzi, come evidenziato dallo stesso al-Qutb, l'Islam è un perfezionamento della rivelazione di Dio incominciata dall'ebraismo. Non è l'inizio assoluto, ma un suo approfondimento in senso spirituale, perché l'ebraismo non è mai stato sufficientemente spirituale. Pertanto, ridurre il fondamentalismo islamico ad una sottospecie di nazismo ispirato da Allah anziché dalla mitologia germanica, pare un attentato all'esattezza e alla storia delle idee. Le due tradizioni convergono, ma non c'è alcun motivo per non continuare a credere che il nazismo non abbia considerato gli "arabi" e l'Islam come razza inferiore e cultura inferiore. Le due tradizioni si rispecchiano l'una nell'altra, ma sono ben lontane dall'essere identiche, e quantomeno, commensurabili. Nell'Islam non c'è alcuna teorizzazione della superiorità razziale. Non si può diventare ariani se si è negri od ebrei. Ma si può diventare musulmani con un semplice atto di conversione. Sembra una banalità, ma a me pare una grande differenza.
D'altra parte non si può dimenticare una specie di convergenza oggettiva voluta dalla storia: combattendo inglesi e francesi per ottenere l'indipendenza nazionale e liberarsi del colonialismo, molti islamici si trovarono nelle stesse condizioni di Gandhi, il quale, com'è noto, non esitò ad incontrare esponenti nazisti, e forse ricevette anche qualche aiuto dalla Germania. Non solo, egli trovò del tutto naturale frequentare i fondamentalisti islamici dell'India. Molte volte non siamo in grado di sceglierci gli alleati: devi prendere o lasciare.
(continua)
(1) Ho trovato questi spunti in un libretto di Ziauddin Sardar e Zafar Abbas Malik - Maometto - Feltrinelli 1995
(2) Tutto ciò è ampiamente documentato nel lavoro del giudice Carlo Palermo - Il quarto livello - Editori Riuniti 2002
(3) Queste considerazioni sono tratta da R. Schulze - Il mondo islamico nel XX secolo - Feltrinelli 1998, 2004
(4) idem
(5) ummah è la comunità dei credenti in Allah che riconosce Maometto come profeta
(6) P. Berman - Terrore e liberalismo - Einaudi 2004
CF - 1 agosto 2006