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Sviluppi del marxismo
Eduard Bernstein e la nascita della socialdemocrazia riformista

di Carlo Fracasso
A differenza delle altre ideologie a base filosofica o pseudo filosofica, la corrente di pensiero riportabile in qualche modo alle idee propugnate da Marx e da Engels si è sempre strettamente legata alle fortune ed alle sfortune del movimento operaio e socialista, al punto che i suoi successi non sono misurabili con criteri normali, cioè in base al consenso.o quantomeno all'interesse, dei filosofi e della cultura in genere, ma solo attraverso verifiche reali e sviluppi storici. Se per lo stesso pensiero di Marx l'unica verificazione possibile è la vicenda storica concreta, e secondo i criteri popperiani, è solo partire da qui che si possono offrire falsificazioni e smentite alla teoria stessa, dobbiamo guardare alla storia reale ed al movimento concreto delle gente che lavora , per capire la validità o meno del cosiddetto marxismo.

La prima considerazione da fare è che il movimento dei lavoratori non fu mai automaticamente marxista. E sebbene la sua "politica" e la sua condotta sindacale si ispirasse in gran parte al socialismo, questa non era la sua condizione necessaria. In Inghilterra, ad esempio, non ci fu un consistente partito socialista prima del 1914.
Nemmeno in Giappone, ci fu. Ma, rispetto al Giappone, si tratta certamente di capire che nonostante lo sviluppo capitalistico, mancavano le premesse filosofiche: il Giappone era sostanzialmente estraneo alla cultura occidentale, poco si sapeva di Hegel e della dialettica della storia, ancor meno si sapeva di Marx e del comunismo. Sarebbe interessante studiare le tensioni sociali ed i conflitti di classe del Giappone in una dimensione del tutto aliena alle influenze del pensiero occidentale. Purtroppo non ci sono materiali sufficienti, anche se non è escluso che arrivino in futuro. Potrebbero costituire un dato importante per riflettere su quanto vi sia di universale ed empiricamente fondato nella concezione dialettica della storia proposta da Marx, e cioè che sia la lotta di classe a determinare il corso delle cose, anche se le classi stesse non hanno coscienza di essere classi in senso marxiano. Un discorso più approfondito si potrebbe al contrario fare sulla Cina che, tra l'altro, almeno formalmente è un paese comunista. Ma anche qui, non ci si può nascondere dietro alle formule: il marxismo cinese fu sempre assolutamente diverso da quello occidentale, si sviluppò nelle campagne, divenne una forza pre-industriale, cioè qualcosa che in qualche modo, come del resto la stessa rivoluzione bolscevica del '17, andava contro e non a favore della pura teoria marxiana della classe operaia pienamente sviluppata in un regime capitalistico come unico e genuino soggetto rivoluzionario.

Tornando all'Europa, è certo vero quanto scritto da Donald Sassoon: «Contrariamente a quanto credevano in pratica tutti i socialisti dell'epoca, non esisteva alcun nesso causale necessario tra la formazione di un movimento operaio organico e l'ideologia del socialismo.» (1)
Quanto al fatto che il marxismo si sia "impadronito" dell'esclusiva del socialismo in condizioni di libera concorrenza ideologica (non di monopolio e non di terrore) fu certamente vero, ma la prima cosa da osservare che questo marxismo non era il marxismo di Marx, ma una sua versione volgare.
Un riscontro indicativo lo si può trovare facilmente in questa nota di Otto Bauer: «Dalla storia delle scienze naturali e della filosofia molti esempi si possono trarre a dimostrazione di come la semplificazione e la volgarizzazione di una nuova dottrina non siano che uno stadio della sua avanzata vittoriosa.» Cosa che se fosse vera assolutamente sarebbe quantomeno inquietante. Il fatto è che comunque risulta vera sotto determinate condizioni. Ed anche il marxismo, purtroppo, come l'evoluzionismo ed il darwinismo, fu ridotto a semplici slogans.
Donald Sassoon descrive molto bene la formula chimica del marxismo volgare. Essa si riassumeva in una trinità di proposizioni:
1) il sistema capitalistico è ingiusto. Formalmente esso si realizza nello scambio tra lavoro e salario, ma i capitalisti ingannano i lavoratori facendoli lavorare di più del necessario e si appropriano del plusvalore prodotto.
2) La storia procede per stadi. Ogni stadio corrisponde ad un sistema economico che altro non è se non un sistema di potere al servizio della classe economicamente dominante. Anche il capitalismo non è eterno.
3) I lavoratori dell'industria costituiscono una classe omogenea con interessi simili. Essi possono lottare per migliorare le loro condizioni di lavoro e di vita, ma debbono aver chiaro che il fine ultimo è la liberazione dall'ingiustizia fondamentale, cioè l'appropriazione privata del lavoro reso socialmente. Questo nuovo ordine non arriva da solo, occorre dunque lottare.

Quanto descritto sopra non è propriamente falso. In qualche modo, cioè coglie l'essenza del pensiero marxista, ma la coglie all'ingrosso e nell'ingrosso si perdono dettagli e sfumature altrettanto essenziali quali il concetto di contraddizione oggettiva crescente tra sviluppo delle forze produttive e rapporti di produzione. Concetto che è in qualche modo spiegabile se si comprende che per sviluppo delle forze produttive si intende soprattutto istruzione, non solo formazione professionale ma acquisizione di una cultura, la stessa cultura umanistica, scientifica e tecnica che possiedono i padroni. E' a quel punto che la contraddizione diventa insanabile e che l'eguale reclama la sua parte consapevole di averne diritto.
Potremmo dilungarci su questi aspetti, ma non è questo il fine del mio scrivere.
Chiarita sia pure a grandi linee la situazione sociologica del marxismo, dobbiamo guardare al marxismo concreto degli intellettuali socialisti e comunisti a cavallo tra fine Ottocento ed inizio del Novecento.
Siamo in piena epoca positivistica. E lo stesso ultimo pensiero di Marx, e di Engels, era parzialmente mutato rispetto a quello degli esordi. Non era più solo una critica delle ideologie borghesi e della filosofia tedesca (inglese e francese) e nemmeno solo più una critica all'insufficienza dell'economia politica inglese. Per l'ultimo Marx, il comunismo non è una filosofia, ma il punto di vista scientifico dei comunisti che si oppone alle ideologie ed alle false coscienze dei filosofi.
L'idea di Engels, espressa chiaramente in Ludwig Feuerbach ed il il punto d'approdo della filosofia classica tedesca, era che "con Hegel fosse finita la filosofia".
Per i marxisti di fine secolo, Marx non è filosofo, ma scienziato sociale al pari di Darwin nelle scienze naturali. Ciò è in parte spiegabile col fatto che il pubblico non dispone come ora di tutti i testi di Marx. Alla fine del secolo La sacra famiglia era una rarità bibliografica.
Come scrisse acutamente Karl Korsch, mentre i professori di filosofia si persuadevano l'un l'altro che l'impianto marxista era sprovvisto di un suo proprio contenuto filosofico, ed erano così convinti di dire qualcosa contro il marxismo, i marxisti erano convinti che questo fosse un argomento a favore ed a nessuno venne in mente di contestarlo. Nel clima positivistico era meglio passare per scienziati sociali anziché per filosofi d'accademia.
Tipico rappresentatnte di questo atteggiamento fu Rudolf Hilferding, per il quale il marxismo era solo una teoria delle leggi dello sviluppo storico e sociale, una dottrina scientifica "logica ed oggettiva".
Bisogna guardare soprattutto all'Austria ed alla Germania per avere idea di cosa avvenne nel dibattito tra marxisti prima delle rivoluzionarie apparizioni in scena di Rosa Luxemburg, Lenin e Antonio Gramsci. Ognuno di essi porterà fuori, a suo modo, il pensiero marxista dalle secche della scolastica volgare in cui si era intrappolato.

Eduard Bernstein fu l'esecutore testamentario di Engels, ma anche il primo revisionista della storia, che spostò volutamente e consapevolmente il problema della trasformazione sociale dalla rivoluzione alle riforme.
Al contrario, Karl Kautsky (1854-1938) cercò, quanto meno all'inizio della sua militanza e per un lungo tratto, di sistemare il marxismo come una scolastica, associando genuini spunti del pensiero di Marx ad una visione volgare del materialismo. Dopo il 1909, egli ritenne necessaria una collaborazione tra proletatariato tedesco e borghesia, pur continuando a sostenere che i modi reali della proprietà capitalistica non potevano essere eliminati solo con le riforme.
L'importanza storica di Eduard Bernstein (1850-1932) è legata strettamente alla nascita del riformismo socialista e quindi della socialdemocrazia europea. Alla base di questa impostazione, a mio avviso, era strettamente connessa l'idea che la classe operaia delle nazioni più evolute avesse la possibilità di trarre concreti vantaggi dall'esistenza di un regime capitalistico fondato sulla divisione internazionale dei mercati e del lavoro, quantomeno provvisoriamente. La sua era una visione ristretta alla Germania, all'imperialismo tedesco, ai privilegi dell'essere tedesco. Il passaggio da posizioni rivoluzionarie a posizioni riformiste non poteva che assumere caratteri opportunistici rispetto alla solidarietà internazionale tra i lavoratori. Ma non è detto che questo sia una sorta di "male assoluto" del socialismo europeo anche attuale. Si tratta solo di una caratteristica oggettiva. Avendone coscienza, si può correggere, nei limiti del possibile.
La conduzione democratica dello stato, ha per Bernstein un valore immediato ed assoluto. La si raggiunge attraverso la collaborazione tra classi diverse ed antagoniste, essendo ben consapevoli che in Germania esistono spinte autoritarie e conservatrici più forti che mai. A questo riguardo Bernstein scrisse una cosa imporatante:«Il principio della democrazia è la soppressione del dominio di classe.» E, sempre ne I presupposti del socialismo e i compiti della democrazia, aggiungeva:« Il suffragio universale è soltanto un frammento di democrazia, anche se è un frammento che alla lunga è destinato ad attrarre agli altri come il magnete attrae i frammenti di ferro. E' un processo che certamente avanza più lentamente di quanto molti desiderano, e tuttavia è in atto. Per favorire questo processo, la socialdemocrazia non ha strumento migliore di quello di porsi senza reticenza, anche sul piano dottrinale, sul terreno del suffragio universale e della democrazia, con tutte le conseguenze che ne derivano per la sua tattica.»
Assunta questa coscienza, i lavoratori, dice Bernstein ne Il movimento operaio non minacciano più lo stato ma "al massimo una determinata forma di stato o un determinato regime". Il movimento operaio è, anzi, diventato un fattore di forza dello stato:«... lo protegge, l'appoggia dall'interno contro gli interessi particolari di influenti gruppi economici o di altre condizioni sociali sfruttatrici, e ne rafforza la sicurezza esterna sia in via indiretta grazie al carattere internazionale del movimento operaio, sia direttamente, neutralizzando l'influenza degli elementi che entro gli stati cercano di provocare complicazioni internazionali.»

Bernstein si avvicinò al marxismo attraverso Engels. Come hanno osservato Gian Mario Bravo e Corrado Malandrino (2) : « legge [Engels] alla luce di un apparato critico e metodologico poco usuale nel coevo mondo socialista. Scinde il marxismo dall'hegelismo (politicamente da blanquismo) e lo accosta a Kant e all'etica: il che comporta la separazione del socialismo dalla considerazione esclusiva del mondo industriale e, all'inverso, l'analisi globale della società produttiva, istituzionale e civile. [...] Con realismo, Bernstein vuol rendere compatibili il socialismo, il marxismo e le società capitalisticamente progredite, in cui sono radicati regimi liberali e stanno crescendo regimi democratici.»
L'analisi di Bernstein è semplice. Il sistema non è crollato, non vi sono state catastrofi, il proletariato non si è immeserito come previsto da Marx, sta persino un po' meglio. Quindi alcune analisi di Marx vanno riviste, anche se, questo è il punto, né i capitalisti sono "maturi" a sufficienza per una sorta di autolimitazione in grado di alleggerire il peso portato dai lavoratori stessi, né questi, a loro volta, sono materialmente e culturalmente in grado di prendere il potere e governare.
In tale situazione, aperta a più soluzioni, nessuna delle quali abbastanza matura storicamente, ecco la tattica socialdemocratica, ovvero avanzare attraverso riforme graduali ed un uso intelligente della democrazia parlamentare.
Innegabilmente, il pensiero di Bernstein fu influenzato da pensatori di area kantiana e neokantiana e dalla loro critica al marxismo su basi antideterministiche. Ma un punto centrale della riflessione bernsteiniana era di tipo etico, questioni che non si trovano né in Marx, né in Engels se non in forme "naturalistiche" ed antiborghesi.
Nel già citato I presupposti del socialismo ed i compiti della socialdemocrazia, egli giunse ad invocare "un Kant" della socialdemocrazia, capace di dare al proletariato "una morale sana":«... ciò a cui penso è la mirabile connessione che Lange ha realizzato tra una leale e decisa presa di posizione a favore della lotta di emancipazione della classe operaia e una eccezionale spregiudicatezza scientifica, sempre pronta a confessare errori ed a riconoscere nuove verità.» Il passo può essere letto anche come una giustificazione alle posizioni antidogmatiche assunte dallo stesso Bernstein, ma è evidente che quando egli allude ad una morale nuova, allude anche al costume etico di non avere nell'armadio mostri sacri intoccabili, nemmeno Marx.
Il Lange citato da Bernstein era Friedrich Albert Lange, autore tra l'altro di Die Arbeiterfrage in ihrer Bedeutung für Gegenwart und Zukunft, del 1865. Lange, come tutti i kantiani del resto è autore poco noto in Italia, non tradotto, ma è certamente interessante anche per capire il travaglio di certo marxismo tedesco. La posizione di Lange è chiaramente anti-marxista. Fu assolutamente critico nei confronti del determinismo storico, e di Marx non accolse la tesi di una necessità naturale della negazione del sistema capitalistico. Lange vide in questa presunta naturalità antiborghese dell'uomo una "costruzione speculativa", succube della dialettica hegeliana. Si augurava un'azione riformatrice, un superamento delle insopportabile condizioni di "lotta per la vita" in cui erano costretti i lavoratori. Tuttavia, in Lange, non troviamo ancora l'idea di fondare il socialismo su basi etiche e kantiane. Ispirazione questa che troveremo invece in Hermann Cohen.

Bernstein fu combattuto aspramente da Karl Kautsky, fino a quando lo stesso non si trovò persino più a destra del socialdemocratico Bernstein.
Nei prossimi files dedicati agli sviluppi del marxismo, vedremo sia le posizioni di Kautsky che quelle, molto interessanti, di Hemann Cohen e dei cosiddetti socialisti neokantiani.
note:
(1) Donald Sassoon - Cento anni di socialismo - Editori Riuniti
(2) Gian Mario Bravo e Corrado Malandrino - Il pensiero politico del Novecento - PIEMME 1994

CF - 3 dicembre 2004