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Le destre nel Novecento
Veri conservatori e fanatici nazionalisti
di Carlo Fracasso
Le radici dei "pensieri di destra" del Novecento sono molteplici: affondano nell'Ottocento, nel Romanticismo e persino nel Positivismo. L'involuzione di pensatori come H.Taine e E.Renan in Francia fa il paio con le critiche dei romantici inglesi all'età liberale e della trasformazione industriale. Le teorie razziste di Gobineau cominciano a seminare trame oscure nell'inconscio collettivo.
La crescente organizzazione dei lavoratori industriali in leghe, sindacati, partiti è guardata con sospetto e timore, soprattutto da chi è ancorato ad una filosofia della storia pessimista. Secondo Taine, ad esempio, 10 milioni di "ignoranze" non riescono a superare il sapere e la saggezza delle aristocrazie "naturali" destinate a guidare le masse, cioè milioni di "ignoranze". «Le masse - scrive Taine - non hanno mai avuto né mai avranno un ruolo creatore: la storia è opera delle grandi personalità o al più di minoranze attive che agiscono.»
Tra fine Ottocento e primi del Novecento fioriscono studi al confine tra sociologia e psicologia sulla cosidetta "psicologia delle folle". Due autori francesi si mettono in luce: Gabriel Tarde (1843-1904) e Gustave Le Bon (1841-1931). Nei Saggi e raccolte sociologiche Tarde scrive che la folla è «una bestia impulsiva e maniaca», animata e dominata da istinti incontrollabili e tendenzialmente criminali. Secondo Tarde, non ha alcun rilievo il fatto che l'individuo, preso singolarmente, possa risultare razionale. Nel contatto con la folla perde il controllo di sé e si annulla nella massa.
Le Bon, dal canto suo cerca di analizzare e trovare i fattori per i quali gli istinti malevoli emergono in particolari situazioni. Secondo Le Bon, vi è una forza oscura, del tutto opposta alla "chiarezza" del comportamento razionale individuale che pervade le masse fino a possederle. Ciò è evidente quando tra le masse si fa largo non un agitatore occasionale ma, un individuo con doti carismatiche, che diventa un "conduttore", esercitando un potere. Le Bon suppone che questi individui siano spesso affetti da qualche squilibrio psicologico.
Questo tipo di analisi, per quanto possa tornare utile anche a chi guarda ai problemi sociali con categorie di sinistra, spinge però in direzione di una interpretazione elitistica del governo politico e sociale. Il saintsimonismo aveva chiamato a raccolta gli industriali perché essi assumessero la responsabilità della guida. Ora, viene a presentarsi uno scenario parzialmente diverso, che sposta l'attenzione dalla classe sociale al gruppo sociologico dell'aristocrazia del pensiero.
Sono determinanti, in questa fase, le idee di Gaetano Mosca (1858-1941) e Vilfredo Pareto (1848-1910). La posizione di Mosca, pur muovendo da impostazioni dichiaratamente conservatrici, antidemocratiche ed antisocialiste, si vuole comunque liberale e coerentemente antifascista. In un discorso parlamentare del 1925 egli si schiererà coraggiosamente contro il nascente regime. Mosca giudica negativamente la classe politica nazionale, in particolare quella della Sinistra storica, che ha screditato le istituzioni e scavato un solco tra paese reale e paese legale.
Sul piano più teorico, secondo Mosca, un ragionamento sulle istituzioni ed il governo non si fa con i criteri di Aristotele e Montesquieu, partendo cioè dalla forma di governo. Questo è un approccio superficiale. Per un ragionamento sostanziale e realistico bisogna dire che «... i governanti, ossia quelli che hanno nelle mani ed esercitano i pubblici poteri, sono sempre una minoranza, e che al di sotto di questi vi è una classe numerosa di persone, che non partecipando mai realmente in alcun modo al governo, non fanno che subirlo; esse si possono chiamare i governati.» Di contro ai governati esiste la classe di governo, la "classe politica". Tale classe dev'essere adatta a dirigere. Ogni componente deve avere doti personali, culturali e morali. Essa si legittima in un principio astratto, che non è il "buongoverno", ma la "formola politica", un elemento ideologico che costituisce una "credenza o un sentimento" fondati, a seconda dei casi, sulla "presunta volontà del popolo o quella di Dio" ma, soprattutto sulla propria autocoscienza. Che spiega come "coscienza di formare una nazionalità distinta o un popolo eletto."

Poichè il problema del costante rinnovamento della classe politica non è affatto da sottovalutare, Mosca descrive due modelli, quello liberale e quello autocratico. Nel primo la selezione avviene dal basso verso l'alto. Il secondo si realizza attraverso una selezione operata dall'alto, tramite quella che nel partito comunista, ad esempio, si chiamava cooptazione. Di entrambi i modelli Mosca descrive i limiti ed i rischi. Il modello liberale è meno funzionale e sempre vicino all'instabilità. Tuttavia, Mosca che pur si dichiara liberale anche se antidemocratico (cioè sostanzialmente contrario al suffragio universale), opta per un sistema misto, che descrive come un regime nel quale «non prevale in modo assoluto né il sistema autocratico né il liberale, e la tendenza aristocratica viene temperata da un rinnovamento lento ma continuo della classe dirigente, che riesce così ad assorbire quegli elementi di sano dominio che man mano si affermano nelle classi dirette.»

Vilfredo Pareto nacque in una famiglia di origine ligure ma trasferita in Francia. Fu ingegnere ed economista, in questa veste successe a Léon Walras alla cattedra di economia politica all'università di Losanna. Il pensiero di Pareto è antropologicamente pessimista, come quello di Mosca, del resto. Nelle cose umane, diceva "la logica assoluta ha poca parte". In una lettera a Maffeo Pantaleoni del 1897 scriveva che il principio della sua sociologia stava «nel separare le azioni logiche dalle non logiche
e nel far vedere che per il più degli uomini la seconda categoria è di gran lunga maggiore della prima.»
Secondo Pareto, «Abbiamo due strati di popolazione: 1) lo strato inferiore, la classe estranea all'élite, e 2) lo strato superiore, l'élite, che si suddivide in due: a) l'élite di governo; b) l'élite di non governo.» Lo scontro tra le due èlites è spesso aspro, ed i suoi esiti sono determinati dalla forza. «E' con la forza che le istituzioni sociali si stabiliscono, è con la forza che si mantengono. Ogni élite che non è pronta a dar battaglia, per il difendere le sue posizioni, è in piena decadenza; non le resta che lasciare il suo posto a un'altra élite, avente le qualità virili che a lei mancano. Semplice chimera se crede che i principi umanitari ch'essa ha proclamato le saranno applicati: i vincitori faranno risuonare ai suoi orecchi l'implacabile vae victis.»
Paradossalmente, Pareto ammettela visione marxista della storia come storia di lotte tra le classi. Ma ne trae conclusioni del tutto opposte a quelle di Marx. Lo scontro non produce né progresso, né formazioni storico-sociali superiori, ma solo il succedersi di una nuova élite a quella precedente.

Da quanto detto finora, emerge che in questa "destra" sociologica ispirata al più ammirevole pessimismo conservatore, si trovano elementi di disprezzo per le masse, ritenute incapaci di pensare politicamente ed immature da sempre e per sempre, ma non vi si trovano né elementi di razzismo, né di fanatismo. Tutt'altro: si tratta di una "destra" razionale che fonda i suoi principi su una netta distinzione tra l'aristocrazia non più del sangue, ma del pensiero, e la massa dei cabrones.
Purtroppo, su un piano del tutto diverso si muove un'altra destra, intrisa di forti elementi irrazionalistici e di una considerazione del tutto differente della massa.
Intorno alla rivista "Il Regno", diretta da Enrico Corradini, convergono scrittori come Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini, fieri rappresentanti di una corrente autoproclamatasi di rinascita spirituale dell'Italia e degli italiani.
Scriveva ad esempio Corradini:«Una voce dunque contro la viltà presente. E prima di tutto contro quella dell'ignobile socialismo, di questo gigantesco tumulto delle nuove forze mondiali finito in pochi Saturnini che ne hanno fatto il proprio saturnale con le loro fecce. In luogo d'ogni ordine di idee generose fu posta l'ira dei più bassi istinti della cupidigia e della distruzione. Tutte le classi furono messe al bando per una sola, e la mercede di braccianti diventò principio e termine dell'umana società. le furie del numero furono scatenate contro tutti i valori ecc...»

Se questa "sanguigna" e deformata descrizione del socialismo pare inquietante, non meno sorprendenti sono le affermazioni di Papini contro la democrazia, intesa «come quel confuso miscuglio di bassi sentimenti, di idee vuote, di frasi debilitanti e di aspirazioni bestiali, che va dal comodo radicalismo del piede di casa al lacrimoso tolstoianismo antimilitare, dallo pseudo positivismo ingenuamente progressista e superficialmente anticlericale fino all'apoteosi delle rimbombanti blagues della Rivoluzione francese: Giustizia, Fraternità, Eguaglianza e Libertà.»

La destra di Corradini, Papini e Prezzolini non si limita a predicare contro tutto ciò, è guerrafondaia per ispirazione profonda. «Mentre - scrive Prezzolini - i bassi democratici gridano contro la guerra come a barbaro avanzo di trapassati feroci, noi la pensiamo come massima risvegliatrice di spiriti infiacchiti, come unico mezzo rapido ed eroico di potenza e di ricchezza.»

"Ecco il tempo degli assassini" aveva scritto il poeta maledetto Arthur Rimbaud. Lucida profezia che sgorgava dalla semiconsapevolezza che forze oscure, torbide ed irrazionali si erano messe in movimento.
note:
Quasi tutte le citazioni sono tratta da Il pensiero politico del Novecento di Gian Mario Bravo e Corrado Malandrino - PIEMME 1994

CF - 7 dicembre 2004