Dannazione
Gesù chiama gli abissi eterni: "Luogo di tormento".
(Lc 16, 28)
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La pena del danno
Quando un'anima entra nell'eternità, avendo lasciato nel mondo tutto ciò che aveva ed amava e conoscendo Dio così com'è nella sua infinita bellezza e perfezione, si sente fortemente attratta ad unirsi a Lui, più che il ferro verso una potente calamità. Riconosce allora che l'unico oggetto del vero amore è il Sommo Bene, Dio, l'Onnipotente.
Ma se un'anima disgraziatamente lascia questa terra in uno stato di inimicizia verso Dio, si sentirà respinta dal Creatore: "Via, lontano da me, maledetta! nel fuoco eterno! preparato per il diavolo e per i suoi angeli!" (Mt 25, 41 ).
Aver conosciuto il Supremo Amore... sentire il bisogno impellente di amarlo e di essere riamati da Lui... e sentirsene respinti... per tutta l'eternità, questo è il primo e più atroce tormento per tutti i dannati.
La pena dell'amore Impedito
Chi non conosce la potenza dell'amore umano e gli eccessi a cui può giungere quando sorge qualche ostacolo?
Che cos'è l'amore umano in confronto all'Amore divino...?
Che cosa non farebbe un'anima dannata pur di arrivare a possedere Dio...?
Pensando che per tutta l'eternità non potrà amarLo, vorrebbe non essere mai esistita o sprofondare nel nulla, se fosse possibile, ma essendo questo impossibile sprofonda nella disperazione.
Ognuno può farsi una sua pur debole idea della pena di un dannato che si separa da Dio, considerando ciò che prova il cuore umano alla perdita di una persona cara. Ma queste pene, che sulla terra sono le sofferenze più grandi tra tutte quelle che possono straziare il cuore umano, sono ben poca cosa davanti alla pena disperata dei dannati.
La perdita di Dio, dunque, è il più grande dolore che tormenta i dannati.
- San Giovanni Crisostomo dice: "Se tu dirai mille inferni, non avrai ancora detto nulla che possa uguagliare la perdita di Dio".
- Sant'Agostino insegna: "Se i dannati godessero la vista di Dio non sentirebbero i loro tormenti e lo stesso inferno si cambierebbe in paradiso".
- San Brunone, parlando del giudizio universale, nel suo libro dei "Sermoni" scrive: "Si aggiungano pure tormenti a tormenti e tutto è nulla davanti alla privazione di Dio".
- Sant'Alfonso precisa: "Se udissimo un dannato piangere e gli chiedessimo "Perché piangi tanto?", ci sentiremmo rispondere: "Piango perché ho perduto Dio!". Almeno il dannato potesse amare il suo Dio e rassegnarsi alla sua volontà! Ma non può farlo. È costretto a odiare il suo Creatore nello stesso tempo che lo riconosce degno di infinito amore".
- Santa Caterina da Genova quando le apparve il demonio lo interrogò: "Tu chi sei?" - "lo sono quel perfido che si è privato dell'amore di Dio!".
La pena del tormento e del rimorso
Parlando dei dannati, Gesù dice: "il loro verme non muore" (Mc 9, 48). Questo "verme che non muore", spiega San Tommaso, è il rimorso, dal quale il dannato sarà in eterno tormentato. Mentre il dannato sta nel luogo dei tormenti pensa: "Mi sono perduto per niente, per godere appena piccole e false gioie nella vita terrena che è svanita in un lampo... Avrei potuto salvarmi con tanta facilità e invece mi sono dannato per niente, per sempre e per colpa mia!". Nel libro "Apparecchio alla morte" si legge che a Sant'Umberto apparve un defunto che si trovava all'inferno; questi affermò: "il terribile dolore che continuamente mi rode è il pensiero del poco per cui mi sono dannato e del poco che avrei dovuto fare per andare in paradiso!".
La pena del senso
Si legge nella Bibbia: "Con quelle stesse cose per cui uno pecca, con esse è poi castigato" (Sap 11, 10). Quanto più dunque uno avrà offeso Dio con un senso, tanto più sarà tormentato in esso. La più terribile pena del senso è quella del fuoco, di cui ci ha parlato più volte Gesù.
Dice Sant'Agostino: "A confronto del fuoco dell'inferno il fuoco che conosciamo noi è come se fosse dipinto". La ragione è che il fuoco terreno Dio l'ha voluto per il bene dell'uomo, quello dell'inferno, invece, l'ha creato per punire le sue colpe.
Il dannato è circondato dal fuoco, anzi, è immerso in esso più che il pesce nell'acqua; sente il tormento delle fiamme e come il ricco epulone della parabola evangelica urla: "perché spasimo dal dolore in questa fiamma" (Lc 16, 24).
Parlando a chi vive incoscientemente nel peccato senza porsi il problema della finale resa dei conti, San Pier Damiani scrive: "Continua, pazzo, ad accontentare la tua carne; verrà un giorno in cui i tuoi peccati diventeranno come pece nelle tue viscere che farà più tormentosa la fiamma che ti divorerà in eterno!".
La pena del fuoco comporta anche la sete. Quale tormento la sete ardente in questo mondo! E quanto più grande sarà lo stesso tormento all'inferno, come testimonia il ricco epulone nella parabola narrata da Gesù! Una sete inestinguibile.
Il grado della pena
Dio è infinitamente giusto per questo all'inferno da pene maggiori a chi l'ha offeso di più. Chi è nel fuoco eterno per un solo peccato mortale soffre orribilmente per quest'unica colpa; chi è dannato per cento, o mille... peccati mortali soffre cento, o mille volte... di più. Più legna si mette nel forno, più aumenta la fiamma e il calore. Perciò chi, inabissato nel vizio, calpesta la legge di Dio moltiplicando ogni giorno le sue colpe, se non si rimette in grazia di Dio e muore nel peccato, avrà un inferno più tormentoso di altri.
Per chi soffre è un sollievo pensare: "Un giorno finiranno queste mie sofferenze".
Il dannato, invece, non trova alcun sollievo, anzi, il pensiero che i suoi tormenti non avranno fine è come un macigno che rende più atroce ogni altro dolore.
Non è un'opinione, ma è verità di fede, rivelata direttamente da Dio, che il castigo dei dannati non avrà mai fine. Ricordo soltanto quanto ho già citato delle parole di Gesù: "Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno" (Mt 25, 41 ).
Sant'Alfonso scrive: "Quale pazzia sarebbe quella di chi, per godersi una giornata di spasso, accettasse la condanna di star chiuso in una fossa per venti o trent'anni! Se l'inferno durasse cento anni, o anche solo due o tre anni, pure sarebbe una grande pazzia per un attimo di piacere condannarsi a due o tre anni di fuoco. Ma qui non si tratta di cento o di mille anni, si tratta dell'eternità, e cioè di patire per sempre gli stessi atroci tormenti che non avranno mai fine.
Dice San Tommaso - la pena non si misura secondo la durata della colpa, ma secondo la qualità del delitto. L'omicidio, anche se si commette in un momento, non viene punito con una pena momentanea.
Dice San Bernardino da Siena: Con ogni peccato mortale si fa a Dio un'ingiustizia infinita, essendo Egli infinito; e a un'ingiuria infinita spetta una pena infinita.
La pena del tormento del corpo
La risurrezione dei corpi avverrà certamente e Gesù stesso che ci assicura di questa verità. "Non vi meravigliate di questo, perché viene l'ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri udranno la mia voce, e quelli che hanno operato il bene ne usciranno per la risurrezione della vita; quelli, invece, che fecero del male, per la risurrezione della condanna." (Gv 5, 28-29). Quindi anche il corpo, essendo stato strumento di male durante la vita, prenderà parte ai tormenti eterni.
Dopo la risurrezione tutti i corpi saranno immortali e incorruttibili. Non tutti però saremo trasformati allo stesso modo. La trasformazione del corpo dipenderà dallo stato e dalle condizioni in cui si troverà l'anima nell'eternità: saranno gloriosi i corpi dei salvati e orrendi i corpi dei dannati.
Per cui se l'anima si troverà in paradiso, in stato di beatitudine, rifletterà nel suo corpo risorto le caratteristiche proprie dei corpi degli eletti: la spiritualità, l'agilità, lo splendore e l'incorruttibilità.
Se invece l'anima si troverà all'inferno, nello stato di dannazione, imprimerà nel suo corpo caratteristiche del tutto opposte. L'unica proprietà che il corpo dei dannati avrà in comune col corpo dei beati è l'incorruttibilità: anche i corpi dei dannati non saranno più soggetti alla morte.
Riflettano molto coloro che vivono nell'idolatria del loro corpo e lo appagano in tutte le sue brame scellerate! I piaceri immorali del corpo saranno ripagati con molti tormenti per tutta l'eternità.