6. Guerra del petrolio
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RADIO3MONDO
NUOVI
SCENARI NELLA GUERRA DEL PETROLIO
Intervista a
Gianmaria Gros-Pietro, presidente dell'Eni
TRATTO
DA RADIO3MONDO
22/11/2001
Sta
"scoppiando una guerra" tra Opec (Organization of the
Petroleum Exporting Countries) e Russia? C'è in atto una guerra dei
prezzi o delle quote?
No. No, non mi sembra che ci sia in atto una guerra; c'è in questo
momento un calo forte della domanda di petrolio, il che richiederebbe
una diminuzione dell'offerta. Tuttavia, una riduzione dell'offerta non
si produce, e quindi l'Opec si è fatta carico di ridimensionare
spontaneamente la produzione, però vorrebbe che anche la Russia, che è
un grande produttore, facesse altrettanto. Quindi non c'è una guerra,
ma un braccio di ferro, che è un fatto normale tra i cartelli.
Ricordiamo che il prezzo del petrolio è sceso da 30 dollari
a 20 dollari più o meno.
Sì. Le ultime quotazioni si attestano a 19 dollari al barile, per
il Brent, ed il paniere a cui fa riferimento l'OPEC, che è quello del
Golfo Arabico, vale almeno 1 dollaro di meno.
Lo scorso fine
settimana, in una riunione dell'OPEC a Vienna, ci sono state delle
dichiarazioni per far scendere il prezzo fino a 10 dollari al
barile. Ma un fatto del genere metterebbe fuori causa il petrolio
americano e probabilmente anche quello russo.
Sicuramente. Un livello di prezzi del genere si è già verificato tra
il '97 e il '98, quando l'Opec operò un errore congiunturale aumentando
l'offerta quando la domanda stava scendendo. Oggi l'Opec può agitare
questo spauracchio. La minaccia è di questo tipo: "Se nessuno ci
aiuta a sostenere il prezzo del greggio, allora ognuno produce ciò che
è in grado di produrre". Il costo di estrazione del petrolio
quando la perforazione è stata fatta, è molto basso e quindi si può
scatenare una guerra dei prezzi. L'Arabia Saudita ed i paesi del Golfo
Persico sono quelli che hanno i prezzi più bassi. Se si sviluppasse una
situazione conflittuale di questo tipo, sarebbero, da un punto di vista
aziendale, quelli che potrebbero reggere più a lungo un prezzo del
petrolio molto basso; non sarebbe lo stesso da un punto di vista
sociale, visto che il petrolio rappresenta l'unica fonte di reddito per
loro.
Noi abbiamo interesse a che si aumenti la fornitura di petrolio
da aree meno a rischio di quelle del Golfo Persico. Paesi dipendenti
come l'Italia preferiscono avere una pluralità di fonti e quindi una
pluralità di apporti, quindi il nostro interesse è rivolto all'area
russa o del Mar Caspio.
Beh certamente. Sta toccando un punto delicato. Da un certo punto di
vista si potrebbe pensare, che noi e i paesi consumatori abbiamo
interesse a prezzi bassissimi. Ma prezzi bassissimi permetterebbero di
estrarre solo i petroli del golfo. Mentre invece ci sono altri
giacimenti come Russia, Mar Caspio ma anche i giacimenti non
convenzionali come le sabbie bituminose del Canada che presto saranno
commerciabili, che richiederebbero prezzi attorno ai 20 $ al barile.
E quanto risparmierà l'Italia adesso con l'abbassamento del
prezzo, visto che è passato da 30 dollari a 18 dollari?
Beh, questo è difficile dirlo con esattezza, perché le oscillazioni
sono giornaliere, ma indubbiamente il risparmio sulla bolletta si misura
in migliaia di miliardi di lire.
E' andata in
giro ultimamente, anche via internet, la testimonianza del 1998 del Vice
presidente dell'UNOCAL, una grande compagnia petrolifera americana. John
Maresca, aveva detto di fronte al Congresso, quindi sotto giuramento,
che serviva sviluppare un oleodotto attraverso l'Afghanistan,
soprattutto per arrivare al mercato asiatico che nei prossimi anni
sarebbe un mercato ricco. Diceva che la rotta più breve e favorevole
passava attraverso l'Afghanistan. Quanto incide esattamente su ciò che
sta accadendo oggi?
Per quanto ne
sappiamo noi dell’ENI incide piuttosto poco. La nostra opinione è che
l’Afghanistan non sia una buona rotta per trasportare il petrolio dai
mercati dell’Asia verso i mercati del far east.
Le ragioni sono geografiche o di sicurezza?
Le ragioni sono due. La prima è che l’orografia e cioè
trasportare gas e soprattutto petrolio che è pesante su montagne alte
2000 metri, significa costruire molte stazioni di compressione per far
salire il petrolio di quota e stazioni di decompressione per evitare che
la pressione in discesa possa far esplodere i tubi e questo rende il
processo molto costoso anche dal punto di vista della costruzione e
questo vale anche per il gas che non ha peso. La seconda ragione è
geografica: la rotta la sanno tutti ed è quella attraverso l’Iran
perché è quella che arriva immediatamente al Golfo Persico da dove per
nave si può trasportare a basso costo. Naturalmente la rotta Iran è
attualmente fuori discussione per l’attrito tra Iran e Usa. E' un
fattore politico che ha finora impedito la rotta migliore, ma la rotta
afgana non può essere considerata una rotta tranquilla da un punto di
vista politico.
La Russia chiede di diventare membro effettivo dell’Opec.
L’Opec gradirebbe molto la collaborazione russa. La Russia da un certo
punto di vista ha interesse a stabilizzare il prezzo del greggio perché
è una grossa fonte di reddito per il paese ma non ci sono motivi
contro. La Russia sta privatizzando il settore idrocarburi e quindi non
si vede come un governo possa chiedere a delle compagnie private di
restringere una produzione che in percentuale è conveniente. Sarebbe
una contraddizione per il processo di liberalizzazione in Russia.
Nell’incontro tra Bush e Putin si è parlato anche di questo?
Non si può escludere perché è una riflessione che può essere fatta.
Una riflessione, che va al di là delle mie personali conoscenze, è che
l’Amministrazione Bush ha dichiarato di voler ridurre la propria
dipendenza dai greggi di importazione, soprattutto quelli del Golfo. Ma
questa riduzione implica una stabilizzazione dei prezzi del petrolio a
livelli che rendono convenienti le risorse di diversa collocazione
geografica: quelle russe, caspiche, canadesi, venezuelane e così via.
Quale potrebbe essere il punto di equilibrio?
Il punto di equilibrio potrebbe essere 18-20 dollari. Ma questo non
significa affatto che si sia trovato un punto di accordo e che lo si sia
cercato tra i paesi dell’Opec e gli Stati Uniti.