Presi e portati in un angolo remoto
del mondo, dove potrebbero essere giustiziati, dove i diritti umani
non contano. Come nel Medio Oriente. Incatenati, incappucciati,
minacciati di morte da "tribunali" che non lasciano
difesa. Che non ammettono innocenza. Proprio come a Beirut negli
anni ottanta.
Io ho già scritto questa storia.
L'ultima volta mi ricordo che la scrissi a proposito di un cronista
dell'Associated Press, il mio amico Terry Anderson,
prigioniero di un gruppo "islamico" nel Libano, legato
mani e piedi, incappucciato e costantemente minacciato di morte dai
suoi rapitori.
Eravamo tra il 1986 e il 1991 e
Terry - questa distinzione è importante - non era un uomo violento.
Era un giornalista, un compagno, un amico trattato con crudeltà,
isolato dalla sua famiglia, imprigionato all'addiaccio e minacciato
di morte. Minacciato della stessa morte con la quale vengono
minacciati gli uomini di al-Qa'ida dai tribunali militari americani.
Poi mi ricordo la disgustosa
prigione di Khiam dov'erano rinchiusi gli avversari d'Israele, i
libanesi shiiti - avversari veri e presunti, perché nessuno era
stato regolarmente processato. Anche loro arrivavano incatenati,
incappucciati e drogati. E poi venivano interrogati. Gli
interrogatori avvenivano sotto tortura - scosse elettriche ai
genitali e sui capezzoli (per le donne) - cosa che non potrebbe mai
succedere nella Baia di Guantanamo, perché i libanesi cristiani
avevano appreso quelle tecniche dal grande alleato americano,
Israele, e poi le avevano insegnate agli shiiti.
L'America avrebbe potuto far
pressione sull'amico Israele e chiedere la chiusura di quella
disgustosa prigione, e invece scelse il silenzio. I prigionieri
shiiti furono lasciati soli con uomini che applicavano elettrodi ai
testicoli. La nazione che qualche tempo dopo avrebbe dichiarato una
del guerra del bene contro il male, non ebbe niente da dire sulla
prigione di Khiam.
E ora, un viaggio nella memoria.
Negli anni 80, quando io ero di
servizio nell'Afghanistan e mi occupavo della guerra fra i
coraggiosi mujahedin e l'esercito sovietico, i guerriglieri arabi,
per lo più egiziani - armati dagli americani e pagati dai sauditi e
dall'occidente - venivano occasionalmente catturati, dai sovietici o
da qualche satrapo afgano schierato dalla loro parte, portati in
televisione e giustiziati come "terroristi". Allora si
chiamavano "freedom fighters". Il presidente Reagan
arrivò persino a dichiarare che i loro capi erano molto simili ai
padri pellegrini.
Ogni tanto questi guerriglieri
rivoluzionari si avventuravano oltre il fiume Amu Darya e
attaccavano l'esercito sovietico. Gli afgani "arabi"
attaccavano sempre dall'entroterra afgano. Combattevano contro
l'occupazione, e noi li sostenevamo, perché erano "freedom
fighters", combattevano per la libertà. Adesso che si sono
opposti alle forze americane, che hanno osato difendersi dalle forze
americane - non solo in Afghanistan, ma anche in Kuwait e
nell'Arabia Saudita - sono diventati "fuorilegge",
"detenuti da battaglia".
Anche i russi negli anni 80 li
chiamavano così, e li portavano a Pol e-Chowkri, un'orrenda
prigione fuori Kabul, per incarcerarli come animali e poi
trascinarli davanti ai loro tribunali.
Gli Stati Uniti non torturano, ma
si stanno comportando come i regimi arabi si comportano da decenni:
arrestano i nemici "islamici", li isolano, li incatenano,
li incappucciano e li preparano per un processo sleale. Il
presidente egiziano Mubarak approverebbe. Anche
Abdullah di Giordania. Anche i sauditi con il loro ridicolo
senso di giustizia "islamica" approverebbero il
trattamento di questi prigionieri. Certo, le celle di Saddam
sarebbero peggio - è giusto mettere le cose in prospettiva - ma
nella maggior parte del mondo arabo e in Israele i prigionieri di
al-Qa'ida sarebbero trattati come li stanno trattando gli americani.
Che ci piaccia o meno, la maggior parte dei sauditi crede che
l'America abbia occupato il loro paese, che la presenza dei soldati
americani nel loro regno è un reato. E' vero che Re Fahd li aveva
invitati nel 1990, dopo l'invasione del Kuwait, ma Bush senior
aveva promesso che se ne sarebbero andati appena il pericolo di
un'occupazione irachena si sarebbe risolto. E invece sono ancora là.
Anni fa scrissi per l'Independent
che il Principe Abdullah - sovrano a tutti gli effetti ora che il re
è gravemente malato - voleva che gli americani se ne andassero. I
cronisti americani la presero con ironia. Ora che lo dice nientemeno
che il Washington Post, i cronisti americani tacciono. Tutti meno il
Segretario di Stato, Colin Powell. Per lui, la presenza americana in
Arabia Saudita dovrà restare fino al giorno in cui il mondo diventerà
"il luogo che tutti sogniamo". Le truppe americane in
Arabia Saudita non solo servono come deterrente per Saddam, ha
ricordato Powell lo scorso weekend, ma sono anche un
"simbolo" di influenza americana.
Ci serve un motivo più effettivo
per giustificare la continua resistenza di al-Qa'ida?
L'occupazione dell'Arabia Saudita
rimane la pietra miliare della battaglia tra Osama bin Laden e gli
Stati Uniti, la ragione principale della sua lotta spietata contro
americani. Lo ha detto Mr Powell "non imporremo la nostra
presenza al governo oltre il minimo assoluto delle nostre
esigenze". La frase "oltre il minimo assoluto" la
dice tutta. Saranno gli Stati Uniti a decidere fino a quando
resteranno in Arabia Saudita, non saranno i Sauditi - che poi è
quello che bin Laden va dicendo da tempo.
Adesso abbiamo appreso che gli americani
hanno arrestato sei arabi rilasciati in Bosnia. I bosniaci hanno
dovuto rilasciarli perché gli Stati Uniti si sono rifiutati di
testimoniare contro di loro - per proteggere i servizi segreti
americani. Appena rilasciati sono stati catturati dagli
americani. E cosa ci ha raccontato il Washington Post? Che
l'operazione è stata condotta da una truppa americana indipendente
dall'esercito americano in Bosnia.
Ma davvero? Ma sono stupidi al
Washington Post? O credono che lo siamo noi?
E così che si mantiene la pace?
Sì, l'occidente sta combattendo un
nemico crudele. Chiunque ha visto Osama bin Laden in televisione si
rende perfettamente conto che la guerra che gli si è armata contro
- la guerra in Afghanistan - è solo cominciata, ma ci siamo
trasformati nelle persone false e spietate che bin Laden sperava che
fossimo.
Incatenati, incappucciati, drogati.
Preparati per essere processati senza prove e con tutta probabilità
giustiziati. Siamo diventati il nemico modello fra i nemici di bin
Laden. Quello che lui voleva.
Chissà come sarà felice.