La temperanza
a cura di Eleonora Nesi
La temperanza è la virtù morale che
modera l’attrattiva dei piaceri e rende capace di equilibrio nell’uso
dei beni creati. Assicura il dominio della volontà sugli istinti e
mantiene i desideri nei limiti dell’onestà Essa non consiste, quindi,
nella placidità soddisfatta di una vita facile e comoda, né con l’apatia
inerte dello spirito, ma- come afferma S. Tommaso- il primo fine a cui
tende la temperanza è la "pace dell’animo", intendendo con
animo il libero arbitrio.
Vivere bene altro non è che amare Dio
con tutto il proprio cuore, con tutta la propria anima e con tutto il
proprio agire. Gli si dà (con la temperanza)un amore totale che nessuna
sventura può far vacillare (e ciò mette in evidenza la fortezza), un
amore che obbedisce a lui solo (e questa è la giustizia), che vigila al
fine di discernere ogni cosa (e questa è la prudenza).
L’elemento distintivo della
temperanza rispetto alle altre virtù cardinali è il suo esclusivo
rapporto all’operante stesso; essa infatti prende di mira la propria
condizione. L’uomo ha due modi di convergere su di sé: l’uno
disinteressato e generoso, l’altro egoistico. Il primo è capace di
produrre autoconservazione, il secondo è distruttore. La temperanza è
l’autoconservazione generosa e disinteressata. Dopo il peccato
originale, infatti, l’uomo tende ad amare più se stesso che Dio. La
temperanza perciò disciplina e corregge quest’egoistico sovvertimento
dell’ordine interiore, sul quale si fonda la persona umana. Tutte le
forme di cupidigie morbose, testimoni di quest’ordine violato, quali
le morbosità sessuali, l’alcoolismo, la megalomania, l’iracondia
furiosa sono sempre accompagnate dalla disperazione. Essa è dovuta alla
ricerca pervicace dell’acquietamento del proprio io, che improntato su
di uno scopo egoistico, comporta inevitabilmente una disperata ed
inutile fatica. L’uomo ,che nella sua caparbia sregolatezza mira a
soddisfare il proprio compimento nell’ambizione o nel piacere, cammina
a grandi passi verso la disperazione. Con ciò non si vuol intendere che
il mangiare e il bere , il piacere sessuale e ogni altro istinto al
godimento sensibile siano da condannare. Essi sono l’espressione delle
più potenti forze di conservazione dell’uomo; ed è per questo che
quando degenerano egoisticamente sopraffanno l’ordine morale.
Questi istinti sono buoni nel momento
in cui sono regolati dalla giusta misura e dall’ordine conveniente.
Ecco perché l’ordine della ragione deve essere compagno di questi
beni. Con esso si intende l’ordine conforme alla realtà concreta,
quale essa si mani festa all’uomo nella fede e nella scienza. L’ordine
di ragione impone - per esempio- che la forza sessuale non venga
repressa, ma abbia compiacimento nel matrimonio e nei suoi tre
"beni": comunione di vita, prole e bene sacramentale. A tal
riguardo, la castità non solo rende atti alla percezione della realtà,
ma ci abilita all’armonia con il reale, con l’affidarsi alla
conoscenza e alla dedizione generosa dell’amore; essa dispone l’uomo
alla contemplazione della verità suprema.
Un altro esempio di concretizzazione
della temperanza si può avere per quanto riguarda l’ira. Spesso si
vuole scorgere unicamente in essa l’aspetto d’intemperanza, l’elemento
disordinato e negativo. In realtà l’ira rappresenta l’espressione
più chiara dell’energia umana nel conseguire un "bene
arduo", nel superare una contrarietà ,un’avversità. Essa è la
vera passione di difesa e di resistenza dell’anima. Quando, però
,diventa sregolata e infrange l’ordine di ragione diviene male, si
trasforma in collera, astio e spirito di vendetta.
Dunque l’essenza della moralità
umana consiste nell’essere aperti alla verità delle cose reali e
vivere la verità conosciuta. La temperanza ha lo scopo di fungere da
argine alla corrente impetuosa delle tendenze umane e di orientarle alla
perfezione, alla purità e
all’amore.
Bibliografia
"Sulla
temperanza " di Josef Pipier