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ABDIA di Adlbert Stifer

Recensione di Alessandra Ruggiero

Mi sono accorta, nei miei precedenti tentativi di porre dei libri alla vostra attenzione, di quanto sia difficile, almeno per me, riuscire a trasferire a parole il senso dell’identità complessa, ma organica di un bel libro. Questa sensazione di parzialità nel raccontare e una sorta di rispettoso pudore nei confronti di un autore e della storia che racconta, li ho ritrovati in Abdia di Adalbert Stifter. Sono, perciò, convinta che a seconda del vostro modo di sentire, questo libro vi colpirà in modo diverso, ma non vi lascerà indifferenti.

Stifter, scrittore dell’Ottocento, di origine cecoslovacca, si avvicinò alla scrittura, solo dopo essere stato un pittore paesaggista. Leggere Abdia, infatti, è come entrare in un quadro, ci si confonde mimeticamente con il libro. Mi sono ritrovata immersa nella sabbia del deserto, poi, nell’umida vegetazione di un paesaggio europeo e, ancora, nell’azzurro-ruvido dei campi di cotone. I paesaggi erano così nettamente delineati e altrettanto poeticamente evocativi, che li vedevo davanti a me e ne sentivo gli odori e i profumi. Il fulcro del libro è, però, rappresentato, oltre che da questa capacità descrittiva così raffinata e suggestiva, dalla scoperta dell’ impossibilità degli uomini di capire la sequenza degli eventi della propria vita. Il perché accadano le cose, se esiste un progetto di vita per ogni uomo è qui un affascinante mistero. Anche il modo in cui il racconto termina, con un evento naturale, apparentemente lieto, che segna per sempre la vita di Abdia; è la cifra dell’impossibilità dell’uomo di capire i veri motori dell’esistenza. Spero che questo libro vi appassioni, come ha appassionato me, che ringrazio l’amico, che mi ha consigliato la lettura.

 

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