L’OLOCAUSTO DEI NERI:
la pena di morte.
Di Nico Gibaldo (nicogiba@libero.it)
Se ne è andato con un occhio aperto che ha tenuto
spalancato anche oltre la fine, fisso sulla finestra oltre la quale i
testimoni lo guardavano morire. Sfidando con tutto quello che gli restava,
una palpebra, il languore del veleno che gli ha troncato la parola a mezza
frase, ma che non è riuscito a chiudergli quell’occhio. E’ stata l’ultimo
momento di un uomo sconfitto, Gary Graham morto la notte del 23 giugno
scorso da una iniezione letale nello Stato del Texas. Fu accusato di
omicidio per aver sparato a Bobby Lambert all’uscita di un supermercato
di Houston ben 19 anni fa. I giudici hanno condannato Graham, uomo di
pelle nera, sulla base di un’unica testimonianza: quella di Bernardine
Skillern, oggi cinquantaduenne, che vide il killer per una frazione di
secondo da dieci metri di distanza. L’arma del delitto non fu mai
trovata e contro Graham non esisteva una sola prova materiale, nemmeno il
test del Dna è stato eseguito.
Ogni due settimane qualcuno viene ucciso nel nome di
una legge che giustizia i poveri difesi da avvocati d’ufficio alquanto
incompetenti e risparmia invece i ricchi con i buoni avvocati.
Stessa sorte toccherà a Rocco Bernabei, l’italo-americano
accusato di aver ucciso la ragazza senza che ci siano le ben minime prove?
A quanto pare questa sembra essere la triste realtà della nazione che si
proclama la più liberal al mondo.
Di recente è la visita nel nostro paese della mamma di
Rocco Bernabei che sta portando avanti la causa dell’innocenza di suo
figlio nella speranza che i governi dei paesi più avanzati si rivolgano
direttamente alle autorità statunitensi e in particolare allo stato della
Virginia per salvargli la vita.
E la lotta anti-boia dell’Europa è approdata in
Italia anche in occasione del vertice di Assisi, il 4 luglio scorso, nel
convento di San Francesco dove i parlamentari dell’ Europa si sono
incontrati per ribadire un no convinto alla pena capitale.
Ma uno dei casi processuali più contestati degli
ultimi tempi è costata la condanna a Mumia Abu-Jamal.
Mumia è nato a Filadelfia nel 1954, già da ragazzo
milita nelle organizzazioni antirazziste, nel 1968 diventa membro
fondatore e ministro dell’informazione di una sezione del Black Panther
Party.
Più volte segnalato, fermato e tenuto sotto controllo
dalle autorità, riesce ad ottenere la licenza di giornalista e lavora per
tutti gli anni Settanta nella Corporation for Public Broadcasting, in
breve si fa conoscere come la "voce dei senza voce" grazie ai
suoi notiziari su diverse emittenti. Fu costretto a lavorare come tassista
notturno a causa di numerosi boicottaggi e licenziamenti subiti. Nel
dicembre 1981 viene arrestato e accusato per l’omicidio di un poliziotto
bianco, sottoposto a un processo farsa, e nonostante le evidenti
incongruenze delle accuse e la testimonianza di quattro persone di aver
visto una diversa persona sparare il poliziotto, ci fu la condanna a
morte. La Corte Suprema nega più volte la revisione del processo, e solo
una grande mobilitazione internazionale è riuscita ad ottenere la
sospensione dell’esecuzione.
Dalla reintroduzopne della pena capitale nel 1976 gli
Stati Uniti hanno giustiziato 576 persone (fino ad ottobre 1999). 38 stati
mantengono la pena di morte e 36 di questi prevedono un limite di tempo
per la presentazione di nuove prove. Per fortuna ci sono stati anche casi
di condanne annullate grazie all’emergere di nuove testimonianze o
prove, come ad esempio il test del DNA che è stato concesso solo in
pochissimi casi. La Corte Suprema della Florida, poi, ha riscontrato
errori processuali nell’83% degli appelli capitali esaminati solo quest’anno,
dove in alcuni casi le sentenze sono state commutate in ergastolo, mentre
in altri casi sono stati ordinati nuovi processi. La Florida ha eseguito
44 condanne, ponendosi al terzo posto per numero di esecuzioni dopo Texas
e Virginia.
Però qualcosa sta cambiando.
Tredici condannati a morte sono stati liberati quest’anno
"per non aver commesso il fatto" soltanto nella Stato dell’Illinois
dove il governatore sconvolto, un repubblicano conservatore, ha ordinato
il blocco immediato di tutte le esecuzioni. L’America non è ancora
divisa, come dicono i luoghi comuni giornalistici, ma comincia almeno a
dubitare. Nei sondaggi diminuisce il numero di coloro che sostengono il
patibolo per la prima volta da 25 anni, scendendo al 66%. Persino la Corte
Suprema vacilla dichiarando che, se accadono troppi di errori giudiziari,
bisogna rivedere il meccanismo. Inoltre giornali e telegiornali americani,
che ormai relegavano le esecuzioni in notizie brevi e trasecolavano
davanti alle critiche del resto del mondo, agli appelli del Papa, alla
richiesta di grazie, ora spalancano teleschermi ed editoriali, scoprendo
che due terzi dei condannati a morte in primo grado vengono poi scagionati
in appello, che i test del DNA, non disponibili in passato, quando vengono
applicati oggi rivelano che molti sono innocenti.
Purtroppo c’è ancora chi sostiene che la pena di
morte è necessaria, perché unico valido deterrente alla criminalità. Ma
la pena di morte non ha alcun tipo di influenza sul tasso di criminalità,
poichè nei paesi dove è applicata (in primis gli Stati Uniti) la
criminalità non è affatto diminuita, anzi in casi è addirittura
aumentata.
La pena di morte è una pena inutile che oltre ad
andare contro il diritto fondamentale della nostra esistenza, il diritto
alla vita, lede una serie di disposizioni normative di carattere
internazionale approvate dalla maggioranza dei paesi.
Del resto basta guardare i fatti (a prescindere a quale
etica morale e religiosa si appartenga) per condannarla. Vengono uccise
persone innocenti e gli appartenenti alle minoranze etniche più deboli e
povere hanno molta più probabilità di essere condannate a morte dei
bianchi e benestanti accusati degli stessi crimini. E la pena di morte
negli U.S.A. è usata prioritariamente per punire chi uccide i bianchi e
questo si chiama razzismo. I soggetti appartenenti a fasce deboli
non possono permettersi un avvocato decente che adduca in processo prove
che potrebbero scagionarli dimostrando la loro innocenza. La stortura del
processo americano la si è vista con il processo ad O.J. Simpson dove
nonostante la sua evidente colpevolezza la giuria lo ha dichiarato
innocente nel giudizio penale.
Inoltre gli U.S.A. sono i primi del mondo nell’uccisioni
di minorenni nonostante abbiano firmato la Convenzione dell’Onu sui
diritti del fanciullo dove si afferma che la pena capitale non può essere
pronunciata per crimini commessi da persone sotto i 18 anni.
Infliggere la pena di morte, insomma , distrugge le
possibilità di rinnovamento e riabilitazione per le persone condannate e
distrugge anche l’opportunità per un criminale di compensare in qualche
modo il male che lui o lei ha commesso.
L’abolizione lancia il messaggio che possiamo
spezzare il ciclo della violenza e della vendetta in nome dello Stato, che
non abbiamo bisogno di prendere una vita per una vita e che possiamo
diventare più umani e più ricchi di speranza.