La progressiva colonizzazione romana della Valle padana
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Nuove colonie
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La fondazione di tre nuove colonie in
Cispadana
Mentre nelle regioni poste a settentrione del fiume Po non vennero dedotte colonie,
il piano dei romani sulla sistemazione della Cispadana previde, dopo la ricostruzione
di Placentia (cui nel 190 a.C. vennero conferite 6.000 nuove famiglie
italiche), la fondazione di nuove colonie con finalità di difesa da invasioni
da nord e di controllo del territorio boico da poco conquistato. La Lex Flaminia venne ripristinata e si procedette all'assegnazione delle terre alle famiglie
dei coloni latini nelle zone di Bologna, Modena e Parma.
L'area di Modena era già stata resa abitabile dagli
Etruschi. La zona di Parma, invece, era ancora soggetta alle esondazioni dei
fiumi, con relativa formazione di paludi. Fu necessario quindi un intervento
di bonifica. Entro la fine del secolo (115 a.C.), il console Marco Emilio Scauro
realizzò un’ampia attività di bonifica nel parmense, con canalizzazione
delle acque e prosciugamenti dei torrenti. Alla fine dei lavori il Po era diventato
navigabile fino a Parma (al tempo di Augusto il Po sarà ormai quasi del
tutto navigabile, dalla foce fino a Torino).
Con queste ultime due colonie, che si aggiungevano a Piacenza e Cremona, saliva
a quattro il numero degli insediamenti romani nel settore occidentale della
Cispadana. Non fu invece dedotta alcuna colonia ad oriente di Bologna, probabilmente
perché vennero incaricati gli abitanti del luogo (i celti Sénoni
e Lingoni) a prestare servizio come ausiliari dell’esercito romano per la difesa
del territorio. Abbiamo già ricordato infatti che, almeno nella Cispadana
orientale, le popolazioni indigene, seppur espropriate, non vennero allontanate
dalle loro terre.
La prestazione d'opera come mercenari facilitò il processo di romanizzazione:
già nell'anno 178 a.C. tremila celti, guidati da propri ufficiali, parteciparono
alla spedizione romana contro l'Istria e, dieci anni più tardi, 600 cavalieri
furono arruolati per la campagna contro la Macedonia.
Rimane da spiegare il fatto che l'idronimo Senio, direttamente correlato
con l'etnonimo Senoni, sia relativo ad un fiume che in realtà non apparteneva al territorio dei Senoni nel periodo della loro indipendenza.
Forse la spiegazione sta nel fatto che i Senoni furono indotti a spostarsi ad
ovest del Montone (il loro confine occidentale) per fare spazio ai nuovi coloni
provenienti dall'Italia centrale.
Rimini,
Piacenza, Bologna, Modena e Parma furono le uniche città esistenti
lungo la Via Emilia all'inizio del II secolo. Tutti gli altri centri,
sia quelli che sono sopravvissuti fino ad oggi sia quelli conosciuti
tramite l'archeologia, nacquero come centri di mercato e di
amministrazione della giustizia con le assegnazioni di terre approvate
nel 173 a.C. dal Senato romano e si trasformarono in vere e proprie
città solo nel corso del I secolo a.C.
Confini a Sud e a Nord.
Il fiume Rubicone segnava il confine fra la Gallia Cisalpina e il
territorio di Roma. A Nord, il Po non era ancora percepito come
confine: per i romani la laguna del Po, da Adria a Ravenna, era un
unico territorio, forse per i comuni caratteri geografici. Solamente
con Augusto il Po diventerà il confine geografico tra la regione
emiliana e la regione veneta.
Il nuovo assetto del territorio