I Celti e le altre potenze della penisola italiana (Roma esclusa)
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Celti - Etruschi (prima parte)
Nel V secolo le relazioni tra Etruschi e Celti erano buone,
costanti e proficue. I Celti andavano alla ricerca di vino, olio e ceramica
(anche greca); in cambio vendevano minerali e ambra. Ciascuno dei due poli commerciali
offriva qualcosa di cui disponeva in esclusiva.
La svolta avvenne allorché i Celti si insediarono nella Valle padana, diventando
un popolo confinante con quello etrusco e proponendosi essi stessi come produttori
di materie prime. A partire dal IV secolo, i Celti scesero in tutto il nord
Italia. Superiori nel numero, sottrassero a poco a poco tutta la pianura padana
agli Etruschi (solo il territorio dei Veneti rimase inviolato). Alla fine del
secolo erano diventati il gruppo linguistico prevalente nella Valle Padana.
Il processo non fu traumatico poiché si realizzò lentamente. Ma quando il quadro
si fu stabilizzato, alla fine del secolo, la composizione demografica della
pianura padana era mutata completamente. Gli Etruschi si ritrovarono i Celti
"in casa propria". I Sénoni cercarono anche di costituire un proprio
stato nell’Italia centrale, confinante con quello etrusco, ma non ebbero mai
il consenso dei Tirreni.
Sopravvivenza delle città etrusche
I Boi, alla fine del IV secolo, dopo aver tolto agli Etruschi Velzna (che ribattezzarono
Bona), presero il controllo di Spina e, con essa, dei traffici
lungo il Reno verso Bona e, tramite i passi appenninici, fino all'Etruria.
L'insediamento di Marzabotto, privato della funzione di "cerniera"
tra i due versanti dell'Appennino, venne progressivamente abbandonato. Modena
e Mantova rimasero invece città etrusche fino all'epoca romana.
In Romagna entrava in crisi l'abitato di Verucchio (forse gli Etruschi non potevano
più rifornirlo), mentre sopravvivevano le città costiere di Rimini
e Ravenna. Gli empori costieri non furono sfruttati dai Galli, in genere estranei
ai commerci marittimi.
Popolamento celtico della pianura padana
I celti si stanziarono fuori dai centri abitati etruschi, continuando a perpetuare
le proprie tradizioni, essendo abituati ad abitare in villaggi sparsi sul territorio.
Occuparono le terre già
dissodate e lasciarono agli Etruschi solo il controllo dei commerci in cambio
di tributi. Le due popolazioni, all'inizio, non si integrarono. Inizialmente
l'economia non subì un contraccolpo, i flussi commericiali non vennero interrotti.
L'archeologia ha dimostrato infatti che i mercanti etruschi continuarono a convivere
pacificamente con i celti, a volte anche con reciproco vantaggio. Nonostante
gli Etruschi non riuscissero a contrastare le spinte celtiche, queste ultime
non causarono la fine della presenza etrusca a nord degli Appennini.
È comunque evidente che la Valle padana, dopo
l'avanzata dei Galli, subì un arresto sul piano commerciale e produttivo.
I Celti erano più arretrati degli Etruschi sul piano tecnologico: non
conoscevano le tecniche avanzate di coltivazione della vite e nemmeno le tecniche
di costruzione dei canali; infatti lasciarono andare in stato di abbandono
la rete di canalizzazione che gli Etruschi avevano realizzato.
Cessò la produzione di vasi attici, anche perché i Celti si rifornivano
già dalla città greca di Marsiglia. I corredi funerari
di lusso nelle tombe femminili non indicarono più la presenza di oggetti
di fattura italica. Continuò
ad essere coltivato solo il grano, che Spina commerciava con la Grecia.
Gli Etruschi conservarono, con ogni probabilità, il controllo della fascia
lungo il Po da Spina a Mantova e alcune posizioni strategiche lungo le vallate
appenniniche. Il flusso degli scambi tra Valle padana ed Etruria tirrenica si
spostò così ad Est del territorio dei Boi, coinvolgendo le vie
appenniniche che dal Marecchia e dal Savio giungevano fino alla val tiberina.
Tentativi di invasione
Nel IV secolo i Galli irruppero in maniera consistente verso l'Italia centrale:
[1] 390 a.C. I Celti prepararono un piano per occupare alcune terre che si trovano
in territorio etrusco, situate oltre il crinale appenninico fino al lago Trasimeno.
Secondo le loro informazioni, le città che le dominavano erano tra le
più deboli città etrusche. Passata Arezzo, scesero in Val di Chiana,
raggiunsero il Trasimeno e, poco più a sud, giunsero a Chamars
(Chiusi), che strinsero d'assedio. L'attacco a Chiusi fece da preludio al sacco
di Roma. Qui serve ricordare che l'assedio su Chiusi fu tolto solo perché
i Celti decisero di scendere verso l'Urbe: infatti nessun esercito venne schierato
a difesa della città.
[2] 360 a.C. I Celti puntarono direttamente su Roma, nel tentativo di ripetere
il sacco di trent'anni prima (vedi). Nessuno in
Etruria li contrastò.
[3] 299 a.C. Quando gli Etruschi scesero in guerra contro Roma, assoldarono
truppe celtiche mercenarie. Come contropartita i Celti chiesero delle terre
su cui stanziarsi. Ma la risposta degli Etruschi fu negativa. Allora i Celti
ruppero l'alleanza, invasero il territorio etrusco e, dopo avere razziato un
ingente bottino, si ritirano nei loro territori.
Pochi anni prima del 300 a.C. gli Etruschi avevano dovuto pagare un riscatto ai Celti per una questione simile. Nuove genti celtiche erano calate d'Oltralpe, attirate dalle ricchezze della Val Padana. Appena giunti chiesero delle terre dove sistemarsi ai Celti cisalpini, ma questi ultimi non fecero loro spazio. Piuttosto, scaricarono il problema ai vicini Etruschi. Ma gli Etruschi non volevano venire in contatto con popolazioni non ancora integrate, quindi potenzialmente pericolose, per cui rifiutarono. I Celti minacciarono allora l'invasione dell'Etruria. Gli Etruschi, per scongiurarla, dovettero pagare un forte riscatto.
A partire dal III secolo si assisté al costituirsi di alleanze etrusco-celtiche in funzione antiromana. Ma Roma aveva già avuto il tempo di crescere ed ora si presentava rinnovata in potenza e in numero.
Celti ed Etruschi (seconda parte)