Eccovi alcuni interessanti siti italiani di controinformazione presenti in rete:

http://www.nonluoghi.it/ Nonluoghi nasce dal'esperienza di un gruppo di giornalisti che impegnati in una riflessione critica dei meccanismi dell'informazione nel paradigma
neoliberista con limitazione degli spazi democratici.All'analisi dello stato dei mass media si è poi affiancato il tenttivo di raccogliere e diffondere notizie e riflessioni sullo stato della democrazia, politica ed economica. con particolare attenzione ai costi sociali del mercato, alle aree di conflitto e alle repressioni spesso dimenticate (come quella dei kurdi irakeni), ai temi della convivenza interetnica, alle proposte alternative all'attuale sistema penale, alle esperienze storiche -presenti e passate - e all'elaborazione teorica di una convivenza realmente democratica (socialismo libertario e dintorni), ecologica e nonviolenta.

http://www.quintostato.it/ Scegliere un nome come Quinto stato suggerisce inevitabilmente una qualche intenzione di continuità con la grande tradizione progressista delle rivoluzioni borghesi e del movimento operaio. E’ il caso di chiarire che tale scelta è, al tempo stesso, seria e autoironica, nel senso che di quella tradizione non intendiamo salvare i principi astratti ma recuperare piuttosto l’originario ideale di una libertà economica fondata (non presupposta!) sulla libertà politica, in totale controtendenza nei confronti di quell’ideologia neoliberista che, mentre esalta il libero mercato, uccide innovazione e competizione armando i monopoli con leggi antidemocratiche sulla proprietà intellettuale e sulla privacy. Il web log è aperto: aspettiamo il vostro contributo! I fondatori di Quinto Stato:Carlo Formenti, Marco Barbieri, Stefano Porro, Igino Domanin, Walter Molino

http://donnealtri.it/ Chi siamo? Siamo giornaliste e giornalisti convinti che l’informazione quotidiana, nonostante i suoi grandi cambiamenti, continui a essere indirizzata a un lettore-utente apparentemente neutro, ma in realtà di genere maschile. Questo meccanismo finisce per produrre una certa gerarchia (e selezione) delle notizie. Un panorama informativo per grandi linee dedicato al lettore.E la lettrice. Per lei, se va bene, esistono, sparsi nelle varie pagine dei quotidiani (mai o quasi mai nel “primo sfoglio”) altri temi: stili di vita, consumi, salute, lavoro, famiglie, bambini. Molte sono le notizie tralasciate, o appena sfiorate quando riguardano la vita delle donne. E' documentato che nella nostra informazione su sei personaggi dei quali si narrano la vita, le avventure, si raccolgono i giudizi, si amplificano le polemiche, solo una è donna.
Certo, il femminile irrompe sulla scena mediatica quando gli eventi spezzano le certezze più radicate: la mamma assassina, i nuovi modi di riprodursi consentiti dalla tecnologia e mal regolati dalla legge, lo scandalo del burqa nella guerra tra occidente e oriente, le ragazze kamikaze, le "vedove nere" della Cecenia. Eccessi che fatichiamo a inscrivere in un sistema di opinioni consolidate. Manca, per lo più, il racconto della normalità delle donne, dell' essere donna, il racconto del « normale » mutamento nei rapporti tra i sessi nella nostra e nelle altre società. Noi scommettiamo sulla possibilità che questa situazione cambi. Del resto, non mancano significativi segnali della volontà di riconoscere una nuova opinione pubblica femminile da parte di alcuni media. Tra noi della redazione esistono scambi e esperienze di lavoro giornalistico che sono state comuni (per esempio, la storia di “Noidonne”, o l’esperienza della pagina dell’Unità “L’una e l’altro”). Naturalmente, abbiamo opinioni e posizioni diverse. Non le nasconderemo, quando ci sembreranno interessanti. D’altronde, non vogliamo coprire “tutto sulle donne”, né operare discriminazioni alla rovescia. Nessun progetto “totale”. Ma scelta, selezione, approfondimenti, e apertura al confronto. Allo scontro, se necessario, nella rete e fuori della rete, ma per contribuire a costruire una nuova civiltà della conversazione, contro strumentalismi e fondamentalismi che inquinano il discorso pubblico.
Insieme a quante e quanti vorranno costruire con noi questo progetto, cercheremo relazioni motivate piuttosto che dal denaro, dal gioco, dalla passione, e dal piacere di scoprire pratiche sociali innovatrici. Ci piacerebbe un’informazione che dei conflitti che attraversano la vita - la vita sociale, sentimentale, politica - faccia terreno di approfondimento e di scavo. Proviamo stanchezza per una scena mediatica sempre più simile a un pranzo di famiglia, dove nessuno ascolta chi parla, perché per ciascuno esiste già la casella, il giudizio, l’etichetta, la frase fatta. Alberto Leiss ha lavorato all'Unità dal 1974 al 2000, e poi come free-lance. Attualmente è direttore della Comunizione del Comune di Genova. Ha sempre cercato di fare un giornalismo politico non completamente preda del giornalismo e della politica. - Letizia Paolozzi ha lavorato all’Unità dal 1980 al 2000. Ha diretto la pagina “L’una e l’altro” sui rapporti tra i sessi, la parità e la differenza. Ha scritto saggi sull'informazione e il femminismo - Bia Sarasini, giornalista, ha scritto e condotto programmi di informazione e cultura per Radiotre. Per sei anni è stata la direttrice di "Noidonne". Oggi è free-lance e consulente, scrive tra l’altro per il SecoloXIX, il quotidiano di Genova, la città dove è nata.


Lettera aperta sulla Rai
Giovanna Melandri
(da Aprile, N.100, dic. ’02)

La Rai, che è la principale impresa culturale del nostro paese, sta attraversando oggi una crisi drammatica. E' una crisi economica, culturale, politica ma, soprattutto, una crisi di funzione e ruolo. Non occorre, credo, dilungarsi su quanto sia difficile "depurare" il dibattito sul futuro della Rai dalle tossine che hanno circolato in questi mesi per effetto di una situazione che ha forse l'unica analogia nel Kazakhstan (dove la moglie del premier possiede tutte le televisioni del paese). I palinsesti decisi in Bulgaria dal presidente del consiglio ("via Biagi e Santoro!"), la desertificazione del pluralismo a dispetto di tutti i messaggi (a partire da quello alle Camere di luglio) del presidente Ciampi, il vero e proprio rischio di un regime (sì, proprio regime) televisivo a fronte di una crescente disaffezione del pubblico.
E, tuttavia, considerando il fatto che la crisi che si è aperta in Rai con le dimissioni di Zanda e Donzelli è ancora in pieno svolgimento e non ne conosciamo ancora l'esito, vorrei provare ad inviare una lettera aperta ai futuri amministratori della Rai sperando (illudendoci ancora?) che questa volta la scelta di Pera e Casini possa corrispondere alle esigenze di democrazia e pluralismo che questo paese esprime. Ma, prima, una premessa: sulla Rai abbiamo sbagliato e grandemente anche noi quando nella scorsa legislatura mancammo la riforma del sistema delle comunicazioni. Non voglio tornare sulle ragioni profonde che impedirono al centrosinistra di varare due riforme importanti come quella del conflitto di interessi e del riassetto del sistema televisivo ma riproporre, semmai, un punto di vista che purtroppo fu ampiamente minoritario nei Ds e nell'Ulivo per molto tempo. Un punto di vista che non muoveva né dall'ossessione di "privatizzare" la Rai né di difenderla per come era. Il punto di vista era questo: rompere il monopolio della pubblicità (che oggi viene di fatto confermato e aggravato dal disegno di riforma Gasparri), procedere ad un "dimagrimento bilanciato" di Rai e Mediaset (imponendo da subito a Rete 4 di andare sul satellite) e imporre alla Rai una maggiore trasparenza nelle scelte che riguardano l'obiettivo primario della qualità della programmazione anche attraverso la netta separazione contabile delle sue fonti di finanziamento (canone e pubblicità). Questo al fine di identificare e definire meglio la sua missione di servizio pubblico rispetto all'esigenza di rimanere "competitiva" sul mercato degli ascolti. Credo che se vogliamo discutere della Rai strategicamente dovremmo ripartire da lì. E non solo perché la stessa Unione europea si è espressa a favore della distinzione tra fonti di finanziamento del servizio pubblico (canone e pubblicità), ma soprattutto perché l'attuale intreccio ha portato ad uno scadimento oggettivo del servizio pubblico in Italia. Troppa sinistra (riformista?) ha tergiversato per anni sulla prospettiva di una futura privatizzazione della Rai senza preoccuparsi di come non farla intanto scivolare verso una condizione di pallida emulazione delle televisioni commerciali. E senza preoccuparsi di fatto di rompere o sbloccare il mercato delle risorse pubblicitarie oggi destinate a Mediaset. E, allora, ecco la lettera aperta ai futuri amministratori:
1) Sperimentate la separazione contabile delle risorse che finanziano la Rai anziché discutere di una privatizzazione fuori da ogni contesto. Sperimentate quella proposta che alcuni fanno da anni di "segnalare" al pubblico (attraverso un bollino o qualcosa di simile) ciò che viene prevalentemente finanziato con il canone e dunque corrisponde alla autentica missione di servizio pubblico e ciò che, invece, viene prevalentemente finanziato da pubblicità e, dunque, deve competere con la televisione commerciale. Decidete cioè che attraverso un meccanismo di identificazione lo spettatore possa capire le vostre scelte editoriali. Vi dovrete così assumere quelle responsabilità editoriali che negli ultimi anni poche volte i vertici dell'azienda si sono assunte.
2) Non temete ed anzi incoraggiate una pubblica discussione sulle vostre scelte. E' servizio pubblico il programma di Tizio o Caio? I cittadini italiani devono sapere dove vanno a finire prevalentemente le risorse del canone e devono poter percepire una differenza tra voi e la tv commerciale.
3) Se farete questo, nel rispetto del pluralismo produttivo e informativo, potreste perfino chiedere un aumento del canone, potreste cioè perfino rafforzare la natura pubblica di questa strana creatura bicefala che è oggi la Rai. E, così facendo, magari liberereste risorse per altri soggetti che operano nel sistema.
Con buona probabilità questa lettera non arriverà mai a destinazione e invece con molta probabilità occorrerà attrezzarsi per una vigorosa battaglia di libertà dal regime televisivo italiano. Ma l'abbiamo scritta comunque nelle more della più drammatica crisi della Rai perché vogliamo essere (come siamo) radicalmente riformisti e radicalmente propositivi.


 

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