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Appendice n.4: il continuo, questo sconosciuto
Forse, dal punto di vista operativo, la regina dell'Analisi Matematica, la derivata, presenta una falla sconvolgente, la prova decisiva che la matematica corrente non riflette la natura discreta della realtà.
Circa due mesi fa, intuii di aver raggiunto una tappa importante nell'ambito della mia ricerca, e precisamente quando, grazie ad un dibattito sul newsgroup sci.math, realizzai che il numero più piccolo nell'ambito della MOC (vedi Appendice n.1) era il numero 1,1 che, a seconda della scala impiegata, vale:
un-decimo
un-centesimo
e così via.

Anche se tutto appariva ancora confuso, mi convinsi che l'infinitamente piccolo esisteva, e che purtroppo non era quantificabile, perchè ci è ignota la più piccola scala di rappresentazione.

Quello che però non riuscivo a spiegarmi, era come mai quel vuoto, presente nell'ambito della MOC fra il nulla e 1,1 non fosse anche presente nella matematica corrente, visto che la MOC stessa era in sostanza del tutto analoga a quest'ultima, e comunque del tutto legittima.

Ma un giorno (vedi Appendice n.3) mi sono imbattuto nella frazione generatrice e nel numero periodico 0,(9) ed allora ho capito che, il vuoto di cui sopra, è presente anche fra i numeri della matematica corrente.

Ma ancora non ero soddisfatto.

Non riuscivo a capacitarmi, infatti, di come la matematica corrente riuscisse, attraverso la derivata, a calcolare la tangente in un punto del grafico di una funzione, nonostante esistesse solo il discreto numerico, e non anche il continuo numerico.

Non trovavo infatti ragionevole che il continuo geometrico esistesse, nonostante esistesse solo il discreto numerico.

Finchè un giorno, navigando sul web, mi sono imbattuto in Nicola Cusano (A.D. 1407-1464), uno studioso del quindicesimo secolo, rendendomi conto che il suo ragionamento per determinare l'area del cerchio, era accettabile alla luce delle mie considerazioni in merito all'infinitamente piccolo, che cioè esiste ma non è quantificabile.

Era la prova dell'esistenza anche del discreto geometrico (lineare, superficiale e volumetrico).

A quel punto non restava che capire di quella strana abilità della derivata, sopra descritta, ed allora mi sono detto:
"Vuoi vedere che c'è qualcosa che non và nella derivata ?"

Ebbene, se la si guarda dal punto di vista operativo, che è poi quello sostanziale, la derivata, effettivamente, nasconde un "trucco".

Un "trucco" geniale ed escogitato, io penso, in assoluta buona fede, e geniale tanto quanto la convenzione 0,(9)=1 .

E come a quest'ultima convenzione è da imputarsi la trasformazione del discreto numerico in continuo numerico, così al "trucco" della derivata è da imputarsi la trasformazione del discreto geometrico in continuo geometrico.

E come il metodo della frazione generatrice applicato al numero periodico 0,(9) non è in grado di restitutici alcuna frazione, così il metodo principe dell'analisi matematica, non è affatto in grado di restituirci il coefficiente angolare della retta tangente in un punto del grafico di una funzione.

Ma procediamo con ordine.

Intanto Nicola Cusano, in merito alla determinazione dell'area di un cerchio, così ragionò:

"La circonferenza può essere pensata come composta di un numero infinito di segmenti rettilinei tutti uguali tra loro e infinitamente corti.
L'area del cerchio è data allora dalla somma delle aree di triangoli infinitesimi.
E poiché l'area del triangolo è data dal semiprodotto della base per l'altezza, e dato che la somma delle basi dei triangoli fornisce la circonferenza, l'area del cerchio è allora data dal semiprodotto del raggio per la circonferenza."

Il risultato è corretto, ma all'epoca, come tuttora, fu respinto, perchè si disse, e si dice, che non è chiaro cosa si intenda con triangolo di base infinitesima:
la base, cioè, è zero o è diversa da zero ?

Nel primo caso l'area del triangolo è zero, e quindi la somma di termini nulli darebbe sempre zero.

Nel secondo caso avremmo la somma di infiniti termini non nulli, e quindi avremmo una somma infinitamente grande.

In realtà Nicola Cusano, secondo me, si sbagliò di pochissimo, avrebbe infatti dovuto dire le stesse cose, ma scambiare la parola infinito con la parola limitato,

e quindi dire:

L'area (A) di un cerchio può essere pensata come composta da un limitato ma sconosciuto numero di aree di triangoli infinitesimi
(T1, T2, .....), aree finite tutte uguali tra loro.

Il numero delle aree di triangoli infinitesimi è limitato ma sconosciuto perchè le basi (b1, b2, ....) dei triangoli infinitesimi stessi, pur essendo finite, essendo ognuna infinitamente piccola, non sono quantificabili.

Ma allora l'area (A) di un cerchio è data dalla somma delle aree dei triangoli infinitesimi (A = T1 + T2 + ......)

e poiché l'area (T1) di un triangolo di altezza h1 e base pari a b1, è data da:
T1 = (b1 * h1)/2

e siccome la somma delle basi dei triangoli infinitesimi fornisce la lunghezza (C) della circonferenza del cerchio
(C = b1 + b2 + ........)

l'area di un cerchio è allora data da:
A = (r/2) * C .

Infatti, essendo h=r, dove r è il raggio del cerchio, risulta:

A = T1 + T2 + ...... = (b1 * r)/2 + (b2 * r)/2 + ......... =
= (r/2) * ( b1 + b2 + ........) = (r/2) * C .

Identicamente si può anche dire che il volume (V) di una sfera può essere pensato come composto di un limitato ma sconosciuto numero di volumi di coni infinitesimi (C1, C2, .....), volumi finiti tutti uguali tra loro.

Il numero dei volumi di coni infinitesimi è limitato ma sconosciuto perchè l'area dei cerchi di base (A1, A2, ....) dei coni infinitesimi stessi, pur essendo finite, essendo ognuna infinitamente piccola, non sono quantificabili.

Ma allora il volume (V) di una sfera è dato dalla somma dei volumi dei coni infinitesimi (V = C1 + C2 + ......)

e poiché il volume (C1) di un cono di altezza h1 e area del cerchio di base pari ad A1, è dato da:
C1 = (A1 * h1)/3

e siccome la somma dei cerchi di base dei coni infinitesimi fornisce la superficie (S) della sfera (S = A1 + A2 + ........)

il volume di una sfera è allora dato da:
V = (r/3) * S

Infatti, essendo h=r, dove r è il raggio della sfera, risulta:

V = C1 + C2 + ...... = (A1 * r)/3 + (A2 * r)/3 + ......... =
= (r/3) * ( A1 + A 2 + ........) = (r/3) * S

In entrambi i casi (area di un cerchio e volume di una sfera) può notarsi che non esiste nessun pi-greco, che invece salta fuori solo nel momento in cui si stabilisce quanto deve valere l'unità.

E nello specifico, nella matematica corrente, si è stabilito di far coincidere l'unità con un singolo intervallo.

Ma non è l'unico modo legittimo di definire l'unità stessa, ne tanto meno la scelta operata è quella più precisa.

L'unica unità che ci consentirebbe di descrivere il discreto (in questo caso rappresentato dall'area del cerchio e dal volume di una sfera) in modo rigoroso è l'infinitamente piccolo, ma la sua maneggiabilità e la sua quantificabilità, ci sono purtroppo precluse.

Insomma, dato che i passaggi sopra riportati conducono a risultati corretti dell'area di un cerchio e del volume di una sfera, avendo ipotizzando tutto discreto, e cioè: circonferenza, area di un cerchio, superficie e volume di una sfera, si può concludere che, oltre a non esistere il continuo numerico, non esiste nemmeno il continuo geometrico, nè quello lineare, nè quello superficiale, nè quello volumetrico.

Come ben si può comprendere, tutto ciò getta dei pesanti sospetti sull'abilità della derivata di riuscire a determinare la tangente in un punto del grafico di una funzione, dato che abbiamo appena visto che esiste il discreto geometrico e non il continuo geometrico.

In effetti, a ben guardare, nel modo operativo di procedere della derivata, effettivamente c'è qualcosa che non và.

Con riferimento, infatti, alla definizione di derivata, come limite, per delta(x) che tende a zero, del rapporto incrementale, quando si costruisce il rapporto incrementale, viene specificato che delta(x) è maggiore di zero, ma, quando dopo aver fatto le opportune semplificazioni, si ottiene una forma semplificata del rapporto incrementale stesso, con delta(x) anch'esso presente, bellamente, effettuando il limite per delta(x) che tende a zero, si pone delta(x)=0 .

Prendiamo, ad esempio, la funzione:
y = f(x) = x^2

Ipotizzando delta(x) maggiore di zero riusciamo a ricavare il rapporto incrementale:
2*x + delta(x)

ma a questo punto avviene "la magia":

delta(x), che fino a ora lo si è ipotizzato maggiore di zero, lo si pone pari a zero, attraverso l'operazione di limite, e difatti sparendo, ma in realtà effettuando un salto logico tanto strano, quanto quello di eliminare la regola del fuorigioco durante una partita di calcio, e dopo che una squadra ha fatto gol.

Quando cioè facciamo il limite, il delta(x) non ha senso farlo sparire, perchè viene infranta la regola di partenza, ed appunto delta(x) imposto maggiore di zero.

L'unica cosa che è ragionevole dire è che delta(x), avendo appunto in partenza stabilito che dovesse essere maggiore di zero, nel procedimento di limite diventa una quantità d(x) infinitesima vicinissima a zero ma distinta da quest'ultimo, e attenzione, che purtroppo è non quantificabile.

Tutto ciò è esattamente quello che avviene nell'ambito della MOC, dove d(x) è il numero non quantificabile 1,1 ovvero la più piccola manifestazione del discreto, dato che in siffatta matematica gli intervalli sono designati con il nome dell'estremo superiore degli intervalli stessi.

La designazione numerica del medesimo d(x), nella matematica corrente, è viceversa complicata dal fatto che gli intervalli vengono designati con il nome dell'estremo inferiore degli intervalli stessi.

Questo provoca che, nella matematica corrente, il numero 0 è contemporaneamente il riferimento di partenza del sistema di numerazione, ed il numero che designa d(x), e cioè la più piccola manifestazione del discreto.

Nella MOC, invece, il riferimento di partenza del sistema di numerazione è un concetto logico, il nulla, distinto dal numero che designa la più piccola manifestazione del discreto, che è appunto 1,1 .

Senza rendercene conto, dunque, con la matematica corrente, confondiamo fra loro i distinti ruoli dello zero, ovvero quello di riferimento di partenza del nostro sistema di numerazione, con quello di marcatore della prima e più piccola manifestazione del discreto, e cioè di d(x).

Nella MOC i due ruoli sono rivestiti da enti distinti, e non c'è pericolo di confondersi.

Il fatto che 0 nella matematica corrente funga anche da marcatore della più piccola manifestazione del discreto, è attestata dal fatto che quel vuoto che è presente a destra del nulla nell'ambito della MOC, ovvero 1,1 è presente anche nella matematica corrente, ma a sinistra del numero intero 1. Vuoto che è stato colmato con l'apparente innocua convenzione: 0,(9)=1 .

Qual'è, dunque, il vero risultato che la derivata ci restituisce ?

La risposta è la stessa derivata a fornircela. Ascoltiamo cosa essa stessa dice:

"Dato che all'atto della mia creazione mi avete ordinato di far rimpicciolire al massimo il mio delta(x), senza però mai annullarlo, il risultato relativo, ad esempio, alla funzione
y = f(x) = x^2
che sono in grado di fornirvi, non è
y' = 2*x
ma
y' = 2*x + d(x)
dove d(x) è la conseguenza del massimo rimpicciolimento di
delta(x), ovvero è delta(x) ridotto ai minimi termini senza però essere mai zero, insomma è la più piccola manifestazione del discreto.

Ciò comporta che, ad esempio, nel punto x=2 la derivata non è il coefficiente angolare m=4 della retta tangente alla funzione
y = f(x) = x^2
nel punto di coordinate (2, 4)
ma essendo
y' = 2*x + d(x)
è
m = 4 + d(x)
che individua una retta con una inclinazione d(x) infinitesima maggiore della precedente, e quindi una retta che non è tangente alla funzione nel punto di coordinate (2, 4), ma che a partire da siffatto punto, viceversa, si appoggia sulla funzione stessa, individuando sul grafico della funzione il discreto geometrico, che è l'immagine del discreto lineare d(x) presente sull'asse x.

Tutto ciò perchè la natura della geometria delle linee è discreta.

Rassegnatevi dunque cari miei, perchè, fra l'altro, la natura dell'Universo è discreta e non continua."

Il continuo nell'Analisi Matematica, dunque, esiste, ma solo perchè, mentre calcoliamo una derivata, facciamo la "magia" di far sparire del tutto, nell'ultimo passaggio, la variabile delta(x), nonostante che in partenza si sia imposto che quest'ultima non potesse mai essere uguale a zero.

Tutto ciò conferma quello che io penso, e cioè che i problemi che affliggono la Matematica sono tutti concentrati lì, nell'infinitamente piccolo, e non solo nella sua non quantificabilità, ma anche nella sua non maneggiabilità.

Se si è deciso che l'unità di riferimento debba essere un singolo oggetto, un campione di misura, un singolo intervallo, e così via, non possiamo pretendere di arrivare all'infinitamente piccolo e di misurarlo.

Dividere l'unità che abbiamo scelto come riferimento per descrivere il discreto, significa semplicemente divisione concettuale dell'unità di riferimento e basta.

Dividere all'infinito l'unità di riferimento, insomma, non ha alcun senso, perchè dopo un numero finito ma sconosciuto di divisioni dell'unità di riferimento, ci saremo letteralmente seduti sopra l'infinitamente piccolo del discreto, ovvero il piccolo estremo ed assoluto, oltre il quale non c'è niente di più piccolo, se non il nulla, nulla che a me piace pensare che forse è il posto dove si nasconde il Creatore.

E procedere con ulteriori divisioni concettuali dell'unità di riferimento, non significa affatto dividere l'infinitamente piccolo del discreto, ma semplicemente che stiamo procedendo con ulteriori inutili divisioni concettuali dell'unità di riferimento e basta.

Visto però che all'infinitamente piccolo non possiamo arrivarci, perchè non sapendo come è fatto, non siamo in grado di metterlo in relazione con la nostra unità di riferimento, quello che possiamo fare, e che è poi ciò che esattamente facciamo, è capire, più o meno, quanto siamo vicini all'infinitamente piccolo, a partire da quanto ci siamo allontanati dall'unità di riferimento. Il che avviene, appunto, attraverso le rappresentazioni numeriche:
un-decimo
un-centesimo
un-millesimo
e così via.

Gli algoritmi aritmetici, e il resto delle procedure matematiche note, sono impostati a partire da quello che abbiamo deciso che debba valere uno. E la cosa è del tutto arbitraria.

Ove mai un giorno fosse possibile arrivare all'infinitamente piccolo, quello sarebbe anche il giorno della fine della Matematica fatta di divisioni, radici quadrate, derivate e tutto il resto.

Tutta la Matematica, a partire da quel giorno, dovrebbe essere riscritta dalle fondamenta, e sarebbe l'unica Matematica veramente rigorosa e precisa. Ma quel giorno fortunatamente non verrà mai.

Tutto ciò non deve voler dire che dobbiamo buttare a mare tutto, ma rassegnarci al nostro ruolo di esseri umani che si "accontentano" di rappresentare il discreto attraverso la matematica che viene fuori dalle posizioni:
unità=(singolo oggetto)
unità=(singolo intervallo)
unità=(singolo campione di misura)
e così via.

Capisco io stesso che è del tutto sconcertante ammettere che la realtà in sostanza ci affanniamo soltanto a rappresentarla, e non a descriverla in modo rigoroso.

Ma ciò non è forse anche quello che ci dicono oggi i fisici in merito alla possibilità di descrivere l'infinitamente piccolo della materia soltanto in termini probabilistici ?

Non reputo che ci si debba far prendere dallo sgomento, ma soltanto lavorare serenamente e con calma, ad una risistemazione teorica della matematica corrente, che infatti operativamente funziona alla grande. E ciò perchè è esattamente una matematica del discreto, incolpevolmente camuffata da matematica del continuo.

In fondo i nostri stessi computers e noi stessi, operiamo in modo discreto.

L'abbandono del continuo per il discreto, insomma, non dovrebbe comportare nella sostanza (calcoli e procedure concrete) grandi sconvolgimenti.

Ed in fondo l'adozione del discreto ci consente di capire anche di quanto sbagliamo nel tentativo di rappresentare numericamente la realtà.

Infatti, come adesso mostrerò, siffatto errore è compreso fra l'infinitamente piccolo del discreto (finito ma non quantificabile), e meno di una singola unità di riferimento, e ciò a seconda se ci si allontana dall'unità di riferimento, rispettivamente, verso l'estremamente piccolo o verso l'estremamente grande.

Vediamo.

Il discreto, in sostanza, è una sorta di grande oceano chiuso e limitato, che si compone di un enorme numero, limitato ma sconosciuto, di infinitesimi tutti uguali, ognuno dei quali è a sua volta finito e non frazionabile.

Siccome l'infinitesimo, la vera-unità, ci è del tutto ignoto, l'infinitesimo stesso non sappiamo nè cos'è, nè siamo in grado di quantificarlo. E la cosa rende impossibile una rigorosa descrizione numerica del discreto (l'oceano).

Quello che allora abbiamo deciso di fare è di immergere alla cieca, in questo oceano, una bottiglia, e di riempirla fino all'orlo, bottiglia che è diventata l'unità della nostra matematica, e che in realtà è una pseudo-unità.

In siffatta bottiglia piena, il numero di infinitesimi, non potendo contarli, ci è del tutto sconosciuto, ma siccome siamo comunque interessati a descrivere numericamente il discreto, abbiamo cominciato a dividere la pseudo-unità, ovvero la bottiglia, in settori sempre più piccoli, perchè l'unica cosa che possiamo fare, è capire, più o meno, quanto siamo vicini all'infinitamente piccolo (la vera-unità), a partire da quanto ci allontaniamo dalla pseudo-unità (la bottiglia), e che è poi ciò che avviene attraverso le rappresentazioni numeriche:
un-decimo
un-centesimo
un-millesimo
e così via.

Dividendo ad esempio in 10 parti la pseudo-unità, ovvero in 10 settori la bottiglia, siamo infatti in grado di dire che l'infinitamente piccolo del discreto (la vera-unità), è, al massimo, grande la decima parte di una bottiglia.

Le cose funzionano in modo analogo se proviamo a dividere la bottiglia in 100 settori, in 1000 settori e così via, dando vita ad altrettante scale rappresentative del discreto.

In aggiunta a tutto ciò, possiamo dire che è con un procedimento di divisione della pseudo-unità, limitato ma sconosciuto, che si arriva all'infinitamente piccolo del discreto, e che ulteriori divisioni, eventualmente protratte all'infinito, coinvolgono la bottiglia e non certo l'infinitamente piccolo del discreto.

La cosa interessante che si può anche dire è che l'oceano di infinitesimi non quantificabili, pur essendo limitato, è esso stesso non quantificabile.

Si potrebbe obiettare che basta riempire in successione tante bottiglie tutte uguali, fino a svuotare del tutto l'oceano, e poi contare siffatte bottiglie piene.

Ma riempire e contare siffatte bottiglie piene, per determinare l'estensione dell'oceano, non ha alcun senso, visto che non abbiamo nessuna garanzia che anche l'ultima bottiglia sia piena fino all'orlo.

Svuotare del tutto l'oceano e scoprire che l'ultima bottiglia è semipiena, infatti, vanifica tutti i nostri sforzi, visto che ci costringerebbe a contare gli infinitesimi che essa stessa contiene, per capire cosa aggiungere al numero ottenuto con il conteggio della penultima bottiglia. Ma contare gli infinitesimi ci è impossibile.

Ne del resto possiamo affidarci ad una delle scale rappresentative del discreto presenti anche sull'ultima bottiglia, dato che ognuna di siffatte scale, come si è visto sopra, comporta comunque un errore.

Quello che però possiamo dire è che, includendo nel conteggio anche l'ultima bottiglia, possiamo commettere un errore compreso fra l'infinitamente piccolo del discreto (la vera-unità) e meno di una singola pseudo-unità, e cioè meno di una bottiglia.

Ma abbracciare il discreto, ci consente anche di capire che si può dar luogo ad una rappresentazione del discreto stesso ottenuta:

- o solo con i numeri interi, facendo in sostanza coincidere l'infinitamente piccolo del discreto (finito ma non quantificabile) con l'unità

- o solo con i numeri razionali-decimali, facendo in sostanza coincidere l'infinitamente grande del discreto (finito ma non quantificabile) con l'unità.

Vediamo come, cominciando dalla rappresentazione del discreto ottenuta solo grazie ai numeri interi, e con riferimento a pi-greco, che scopriremo essere, in realtà, un numero come tutti gli altri.

Immaginiamo di aver diviso il raggio unitario (la pseudo-unità) di un cerchio in 100 parti.

In base a quanto sopra riportato, possiamo dire che la lunghezza della relativa circonferenza è 6,28 più una quantità piccolissima, il cui valore preciso ci è ignoto, visto che ci è impossibile quantificare l'infinitamente piccolo del discreto (la vera-unità), che è però finito.

Quantità piccolissima, che però possiamo dire che è compresa fra l'infinitamente piccolo del discreto (la vera-unità, finita ma non quantificabile) ed un-centesimo della pseudo-unità (il raggio).

Ma è proprio necessario esprimere la quantità di circonferenza nella forma non intera 6,28 ?

La risposta è : No.

Vediamo come.

Lasciando la pseudo-unità quale essa è, e cioè un singolo raggio, in effetti quello che possiamo fare è rinunciare ad usare siffatta pseudo-unità come unità riferimento, in favore di un nuovo riferimento, ovvero la tacca un-centesimo della scala, scala che divide il raggio in 100 parti.

Di modo che possiamo dire:

la quantità di circonferenza vale un numero di tacche, relative alla scala che divide la pseudo-unità (il raggio) in 100 parti, una quantità di tacche, dicevo, pari a 628 (in forma intera), più una quantità piccolissima, il cui valore preciso ci è ignoto.

Quantità piccolissima, che però possiamo dire che è compresa fra l'infinitamente piccolo del discreto (la vera-unità, finita ma non quantificabile) ed un-centesimo della pseudo-unità (il raggio).

E siccome la tacca vale proprio un-centesimo della pseudo-unità (il raggio), possiamo anche dire:

la quantità di circonferenza vale un numero di tacche, relative alla scala che divide la pseudo-unità (il raggio) in 100 parti, una quantità di tacche, dicevo, pari a 628 (in forma intera), più una quantità piccolissima, il cui valore preciso ci è ignoto.

Quantità piccolissima, che però possiamo dire che è compresa fra l'infinitamente piccolo del discreto (la vera-unità, finita ma non quantificabile) ed 1 tacca (ovvero un-centesimo di raggio).

In tale matematica, dove sono presenti solo i numeri interi (mentre altrove siffatti numeri si travestono, ma sempre interi sono) l'infinitamente piccolo del discreto (la vera-unità, finita ma non quantificabile) è diventata unità, ovvero la tacca, dato che l'infinitamente piccolo del discreto vale, in siffatta matematica, al massimo una singola tacca, ovvero una singola unità.

Inventarsi dunque una matematica dove sia possibile far coincidere l'infinitamente piccolo del discreto con l'unità è senz'altro possibile, e nel modo in cui ho appena fatto vedere, con ciò dando luogo ad una rappresentazione del discreto in forma solo ed esclusivamente intera.

Ma è possibile inventarsi anche una matematica dove viceversa l'infinitamente grande del discreto diventi l'unità ?

Con ciò dando luogo ad una rappresentazione del discreto in forma solo ed esclusivamente razionale-decimale (e cioè la rappresentazione 0 seguita dalla virgola e poi da un numero finito di cifre dopo la virgola) ?

Ebbene si.

Vediamo come.

Si procede in modo quasi analogo a quello che si è visto appena sopra, semplicemente basta sostituire alle frazioni (le tacche) della pseudo-unità (il raggio), una popolazione di pseudo-unità (una popolazione di raggi), con quest'ultima che diventa ora la nuova unità di riferimento.

Lasciamo allora la pseudo-unità quale essa è, e cioè un singolo raggio, come pure lasciamo che siffatta pseudo-unità continui a rimanere divisa in 100 parti.

Chiamiamo la nuova unità di riferimento, ovvero la popolazione di pseudo-unità, con la sigla POP.

Se immaginiamo ora che POP valga 10000 (ovvero diecimila raggi), tutte le possibili rappresentazioni numeriche di POP sono (100*10000)=1000000, ovvero un milione di rappresentazioni razionali-decimali, con valori compresi fra 0 ed 1.

Per cui possiamo dire:

la quantità di circonferenza vale una quota parte di POP, ovvero la rappresentazione del discreto 0,000628 (e cioè 6,28 diviso 10000) più una quantità piccolissima, il cui valore preciso ci è ignoto.

Quantità piccolissima, che però possiamo dire che è compresa fra l'infinitamente piccolo del discreto (la vera unità, finita ma non quantificabile) ed un-centesimo della pseudo-unità (il raggio).

E siccome POP vale 10000 pseudo-unità (10000 volte il raggio), possiamo anche dire:

la quantità di circonferenza vale una quota parte di POP, ovvero la rappresentazione del discreto 0,000628 (e cioè 6,28 diviso 10000) più una quantità piccolissima, il cui valore preciso ci è ignoto.

Quantità piccolissima, che però possiamo dire che è compresa fra l'infinitamente piccolo del discreto (la vera unità, finita ma non quantificabile) ed

(1/100)*(1/10000)*POP = (1/1000000)*POP

che con POP=10000 diviene, infatti, pari ad un-centesimo di raggio.

In tale matematica, dove sono presenti i soli numeri razionali-decimali (ma che in realtà sono numeri interi) l'infinitamente grande del discreto è diventato l'unità, ovvero il discreto stesso, dato che l'infinitamente grande del discreto vale, in siffatta matematica, al massimo tutto il discreto, unico e compatto, ovvero una singola unità.

Inventarsi dunque una matematica dove sia possibile far coincidere l'infinitamente grande del discreto con l'unità è senz'altro possibile, e nel modo in cui ho appena fatto vedere, con ciò dando luogo ad una rappresentazione del discreto in forma solo ed esclusivamente razionale-decimale.

Si potrebbe obiettare che siffatto ragionamento non ha senso, visto che POP è un numero ben lontano dall'infinitamente grande del discreto.

Ma vediamo cosa succede ripetendo lo stesso ragionamento questa volta facendo POP=10.

Lasciamo allora la pseudo-unità quale essa è, e cioè un singolo raggio, come pure lasciamo che siffatta pseudo-unità continui a rimanere divisa in 100 parti.

Se immaginiamo ora che POP valga 10 (ovvero 10 raggi), tutte le possibili rappresentazioni numeriche di POP sono (100*10)=1000 rappresentazioni razionali-decimali, con valori compresi fra 0 ed 1 .

Per cui possiamo dire:

la quantità di circonferenza vale una quota parte di POP, ovvero la rappresentazione del discreto 0,628 (e cioè 6,28 diviso 10) più una quantità piccolissima, il cui valore preciso ci è ignoto.

Quantità piccolissima, che però possiamo dire che è compresa fra l'infinitamente piccolo del discreto (la vera unità, finita ma non quantificabile) ed un-centesimo della pseudo-unità (il raggio).

E siccome POP vale 10 pseudo-unità (10 volte il raggio), possiamo anche dire:

la quantità di circonferenza vale una quota parte di POP, ovvero la rappresentazione del discreto 0,628 (e cioè 6,28 diviso 10) più una quantità piccolissima, il cui valore preciso ci è ignoto.

Quantità piccolissima, che però possiamo dire che è compresa fra l'infinitamente piccolo del discreto (la vera unità, finita ma non quantificabile) ed

(1/100)*(1/10)*POP = (1/1000)*POP

che con POP=10 diviene, infatti, pari ad un-centesimo di raggio.

Ebbene: confrontando ora quello che avviene quando POP=10 con quello che avviene quando POP=10000, si scopre che, in realtà, chi determina realmente l'effettiva rappresentazione del discreto, quando si fa coincidere l'infinitamente grande del discreto con POP, è il numero di volte in cui la pseudo-unità stessa viene divisa, che in questo caso è 100.

Infatti, quando POP=10000, il milione di rappresentazioni numeriche razionali-decimali del discreto, si ottengono, semplicemente, traslando 10000 volte le 100 rappresentazioni (attenzione: 100 rappresentazioni) numeriche razionali-decimali del discreto relative al primo intervallo, ovvero quello che va da 0 a 0,0001 .

Quando, invece, POP=10, le mille rappresentazioni numeriche razionali-decimali del discreto, si ottengono, semplicemente, traslando 10 volte le 100 rappresentazioni (attenzione: 100 rappresentazioni) numeriche razionali-decimali del discreto relative al primo intervallo, ovvero quello che va da 0 a 0,1 .

Tutto ciò dimostra che l'effettiva rappresentazione del discreto non è affatto influenzata da quanto è grande POP, ma dal numero di parti in cui si divide la pseudo-unità (il raggio), numero che nel nostro caso vale 100 .

In generale, possiamo allora dire che, se 1/N è la più piccola parte in cui è stata divisa la pseudo-unità, il più grande numero, ovvero l'infinitamente grande del discreto, è in realtà N (che qui si supposto pari a 100) .

Nella matematica dunque dove le rappresentazioni numeriche del discreto sono tutte razionali-decimali, potendosi porre 1 uguale ad un generico valore di POP, l'1 stesso può anche essere uguagliato all'infinitamente grande del discreto, e siccome le rappresentazioni che comunque si ricavano sono influenzate dal numero N, dove 1/N è il più piccolo intervallo che viene ad originarsi dalla suddivisione della pseudo-unità (il raggio), possiamo concludere che l'infinitamente grande del discreto è in realtà la pseudo-unità (il raggio): insomma l'infinito del discreto vale 1 .

Si potrebbe anche obiettare:

che per POP si è scelto un valore intero che è poi diventato il valore intero 1, ma chi ci dice che l'infinitamente grande del discreto è un numero intero della pseudo-unità ?

Più sopra ho già spiegato che se consideriamo che l'ultima pseudo-unità sia "colma fino all'orlo" (e cioè sia intera), si commette un errore maggiore dell'infinitamente piccolo del discreto (finito ma non quantificabile), e minore di una singola pseudo-unità.

Per cui non ci sono problemi a uguagliare POP ad un valore intero di pseudo-unità, dato che è quantificabile l'errore che si commette nel fare ciò.

Se viceversa consideriamo tutto il discreto pari a una singola pseudo-unità, ugualmente non ci sono problemi, visto che la frase:

si commette un errore:

- maggiore dell'infinitamente piccolo del discreto

- e minore di una singola pseudo-unità

diventa rispettivamente:

si commette un errore che:

- o consiste nel considerare il discreto come composto di quantità infinitesime e non un blocco compatto

- o consiste nel considerare il discreto come un blocco compatto e non come composto di quantità infinitesime.

La qual cosa ha poca importanza ai fini del suo trattamento numerico, perchè il discreto può appunto essere indifferentemente maneggiato (e nel modo in cui ho fatto vedere) come se tutto intero valesse 1, o, in alternativa, come se ogni suo infinitesimo valesse 1, ed in entrambi i casi commettendo un errore che è però quantificabile, errore dovuto al fatto che noi scegliamo un'unità di riferimento, quella che io ho chiamato pseudo-unità, che non è: nè tutto il discreto, nè uno degli infinitesimi di cui quest'ultimo è composto.

Concludo facendovi partecipi di quella che al momento è una mia semplice intuizione, e cioè che se abbracciare la matematica del discreto comporta, in termini operativi, ben poche differenze sostanziali, rispetto a ciò che già conosciamo della matematica corrente, dove invece probabilmente si apriranno nuovi incredibili scenari, è viceversa nell'ambito della fisica, scenari che forse potrebbero addirittura mettere in discussione l'esistenza di alcune grandezze fisiche.


Giovanni
martedi 22° giorno di gennaio 2002



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