Il Paradiso

San Tommaso d'Aquino

Monastero Compose numerose opere come la "Summa contra gentiles", il "De regimine principum", il "De unitate intellectus contra Averroistas" e il capolavoro, la "Summa Theologiae". Dopo l'estasi avuta nella chiesa di San Domenico smise di scrivere perché:"Tutto quello che ho scritto mi sembra un pugno di paglia a paragone di quello che ho visto e mi è stato rivelato. È venuta la fine della mia scrittura."
(Antonio Livi, dal senso comune alla dialettica)

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IL MONDO DOPO IL GIUDIZIO

  1. II mondo fu creato da Dio come abitazione degli uomini; l'abitazione deve convenire a chi l'abita; dopo il Giudizio l'uomo sarà glorificato, perciò anche il mondo, sua abitazione, avrà la sua innovazione, mediante l'aggiunta di una perfezione di gloria che meglio rispecchi la maestà di Dio.
  2. Tutto il mondo e anche gli astri del cielo furono creati per l'uomo, ma quando l'uomo sarà glorificato non avrà più bisogno di quegli influssi e moti degli astri che ora alimentano quaggiù lo sviluppo della vita: perciò quei moti degli astri allora cesseranno.
  3. L'innovazione che il mondo avrà dopo il Giudizio ha per scopo di rendere quasi sensibile Dio agli uomini, al che serve il maggiore splendore che il mondo avrà; e poiché lo splendore degli astri sta nella luce, alla innovazione del mondo gli astri avranno maggior chiarezza e luce. Le tenebre allora saranno ridotte al centro della terra, che perciò è luogo conveniente per i dannati.
  4. Alla innovazione del mondo avranno maggior chiarezza e luce gli astri del cielo, e per riflesso anche i corpi della terra; non tutti però egualmente, ma ciascuno secondo la sua attitudine.
  5. Ma di piante e di animali allora non ci sarà più bisogno, perché essi furono creati per conservare la vita dell'uomo, e l'uomo allora sarà incorruttibile.

LA VISIONE BEATIFICA

  1. Se la beatitudine, che è l'ultimo fine dell'uomo, consiste nella visione beatifica, bisogna dire che l'intelletto umano può vedere Iddio nella sua essenza, cioè può vedere Dio quale è, nonostante l'insuperabile distanza che c'è fra l'intelletto nostro e la divina essenza; in modo che l'essenza divina, la quale è atto puro, informi di sé conoscitivamente l'anima del beato e avvenga una specie di unione come c'è in noi tra l'anima spirituale, che è la forma, e il corpo, che è la materia.
  2. I Beati però non vedranno Dio dopo la Risurrezione con gli occhi corporale, perché questi percepiscono soltanto colori e dimensioni, che in Dio non ci sono; degli occhi corporali i beati potranno servirsi per vedere le bellezze del mondo innovato annuncianti Dio, e per vedere l'umanità di Cristo; cosi Dio potrebbe considerarsi per l'occhio un sensibile per accidens, ma non può mai essere un sensibile per se.
  3. Però i Santi, pur vedendo Dio, non vedono anche tutto ciò che vede Dio, il quale conosce tutte le realtà con la scienza di visione e conosce tutti i possibili con la scienza di semplice intelligenza: i Beati non possono conoscere tutti i possibili, perché a ciò occorre un intelletto uguagliante la infinita potenza di Dio, mentre il loro intelletto resta sempre un intelletto finito; non conoscono tutte le realtà, benché vedano Dio, perché conoscere la causa non vuol dire conoscerne tutti gli effetti: la scienza dei beati varia perciò secondo il grado del lume di gloria con cui vedono la divina essenza.

BEATITUDINE E MANSIONE DEI SANTI

  1. La beatitudine dei Santi sarà maggiore dopo il Giudizio, perché con l'anima riunita al corpo glorificato sarà più perfetta la loro natura e con ciò più perfetta anche la loro attività; sarà però maggiore estensivamente, non intensivamente.
  2. Mansione significa posto raggiunto in cui si rimane, perciò le mansioni dei Santi sono i modi coi quali raggiunsero mediante il moto di volontà l'ultimo fine; tali modi sono diversi, secondoché si trovano più o meno vicino al fine stesso: diverse quindi sono in Cielo le mansioni ossia i gradi di beatitudine.
  3. Le mansioni sono diverse secondo i diversi i gradi della carità, la quale quaggiù è la ragione del merito, principio remoto della beatitudine, e in Cielo è la ragione della visione beatifica, principio prossimo della beatitudine.

LA DOTE DEI BEATI

  1. II Paradiso è una specie di matrimonio spirituale dell'anima con Cristo, perciò come nei matrimoni terreni la sposa viene fornita di dote e di ornamenti, cosi per l'ingresso in Paradiso l'anima, come indica la Scrittura, viene dal Padre fornita di dote e di ornamenti spirituali.
  2. Poiché la beatitudine è un'operazione e la dote è invece un possesso, quest'ultima consiste in disposizioni e qualità ordinate alla beatitudine.
  3. A Cristo non compete avere tale dote, perché in lui l'unione della natura umana alla natura divina non è un matrimonio spirituale, ma è un'unione ipostatica; con ciò però non si nega che Cristo possegga in grado eccellente ciò che nei Santi forma la dote.
  4. Spose di Cristo diventano in Paradiso le anime dei fedeli che hanno conformità di natura con Cristo stesso; ma gli angeli non hanno tale uniformità, quindi ad essi non compete lo sposalizio con Cristo e non compete la dote del Padre; nulla tuttavia impedisce che si possano loro attribuire almeno metaforicamente quelle prerogative che formano la dote dei Beati.
  5. La dote dell'anima beata consiste in tré doni: vedere Dio, conoscerlo come bene presente, sapere che tale bene presente è da noi posseduto; ciò corrisponde alle tré virtù teologali della fede, speranza e carità.

LE AUREOLE

  1. In Paradiso il premio consiste essenzialmente nell'unione perfetta dell'anima con Dio posseduto e amato; questo premio è detto metaforicamente corona aurea; l'aureola, invece, diminutivo, è qualcosa di inferiore e accidentale, derivato o sopraggiunto; perciò si chiama aureola il gaudio delle proprie opere buone, in cui si vede la propria vittoria che si aggiunge al gaudio di possedere Dio, e così l'aureola è distinta dalla corona aurea.
  2. Dall'aureola differisce il frutto, che consiste nel gaudio che proviene dalla stessa disposizione d'animo del beato per un maggior grado di spiritualità conseguente al fatto di avere approfittato della parola di Dio : esso viene dalla Scrittura attribuito anche a coloro ai quali non si attribuisce l'aureola.
  3. frutto spetta più alla continenza che alle altre virtù, perché essa, liberando l'uomo dalla soggezione della carne, lo introduce nella vita spirituale,
  4. e proporzionatamente alla misura di spiritualità che la continenza procura ci sono tre frutti, menzionati dal Vangelo, cioè il trentesimo, dovuto alla continenza coniugale, il sessantesimo, dovuto alla continenza vedovile e il centesimo, dovuto alla continenza verginale.
  5. La verginità poi, per ragione della particolare vittoria sopra la carne che essa rappresenta, importa anche l'aureola; poiché però la verginità è virtù in quanto è volontà di perpetua integrità di mente e di corpo, tale aureola compete a coloro che ebbero il proposito di conservare perpetuamente la verginità.
  6. Se è dovuta l'aureola alla verginità, che è perfetta vittoria interna, si deve l'aureola anche alla perfetta vittoria esterna, che è quella dei martiri; ed è perfetta la vittoria dei martiri perché essi affrontano la stessa morte che è il maggiore dei mali esterni, e la affrontano per Cristo, cioè per la causa più bella che ci sia; bene dice S. Agostino: «Fa martire non la pena, ma la causa». Se causa del martirio non è precisamente la fede, ma Cristo, tutte le virtù infuse che hanno per fine Cristo sono causa di martirio;
  7. e poiché una perfetta vittoria è anche quella che riportano i dottori cacciando il diavolo da sé e dagli altri con la predicazione e la dottrina, perciò anche ai dottori si deve l'aureola, come la si deve ai vergini e ai martiri per la vittoria riportata sulla carne e sul mondo.
  8. A Cristo, che è la ragione principale e piena di ogni vittoria, non si deve l'aureola, che è soltanto partecipazione di vittoria; e questo si dice non per negargli un pregio, ma per affermarlo superiore all'aureola, che è voce diminutiva.
  9. Agli angeli non si deve aureola, perché essa corrisponde a una vittoria che riguarda anche il corpo e gli angeli non hanno corpo.
  10. L'aureola l'hanno già adesso i Santi del Paradiso; essa consiste in gaudio e merito che sono propri dell'anima: al corpo quindi non è dovuta aureola se non come ridondanza dello splendore dell'anima.
  11. Tre sono le battaglie che incombono ad ogni uomo: contro la carne, contro il mondo e contro il diavolo; tre le vittorie privilegiate che se ne possono quindi riportare; tre i privilegi o aureole corrispondenti, cioè l'aureola dei vergini, dei martiri e dei dottori.
  12. Assolutamente parlando, l'aureola dei martiri è la più eccellente, perché la loro battaglia è la più aspra; ma in un certo senso è superiore l'aureola dei vergini, perché la loro battaglia è più lunga, più pericolosa, più stringente.
  13. II premio si proporziona al merito, e questo può essere maggiore o minore; maggiore o minore perciò può essere anche il premio accidentale, cioè l'aureola: uno può quindi avere un'aureola più fulgida dell'altro.

LA GIUSTIZIA DI DIO E I DANNATI

  1. Chi pecca mortalmente contro Dio, che è infinito, merita una pena infinita e questa deve scontarsi con l'Infèrno eterno: difatti nelle pene si distingue l'acerbità e la durata; alla colpa poi viene proporzionata l'acerbità, non la durata; per es. un adulterio, che pure si compie in un momento, non si punisce con la pena di un solo momento nemmeno per legge umana; la durata della pena si proporziona invece alla disposizione d'animo di chi pecca, e come il traditore della patria si è reso per sempre indegno della sua città, così chi offende Dio si rende per sempre indegno del suo consorzio; e chi sprezza la vita eterna merita la morte eterna.
  2. Che le pene dell'Inferno, sia degli uomini che dei demoni, abbiano fine per divina misericordia è un errore di Origene, contrario alla Scrittura e alla giustizia stessa di Dio, perché se hanno termine le pene dei dannati, dovrebbe altrettanto finire anche il gaudio dei Beati.
  3. La misericordia di Dio non impedirà che anche gli uomini, oltre ai demoni, siano puniti in eterno, perché gli uni e gli altri sono per sempre ostinati nel male e non possono essere perdonati.
  4. Non terminerà per la divina misericordia neppure la pena di quei dannati che furono cristiani, perché anch'essi come gli altri dannati non hanno tenuto la via della salvezza, benché l'abbiano conosciuta; anzi, per questo sono più rei degli altri;
  5. anche i cristiani che fanno opere di misericordia saranno eternamente puniti se moriranno in stato di peccato, perché senza la grazia nulla giova per meritare la vita eterna.