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Nella baia di Ieranto, lungo tutto l'arco compreso fra il Capitello e punta della Campanella, si aprono numerose grotte, alcune sulla terraferma, altre in parte o completamente invase dal mare. Ne sono segnalate tre nella seicentesca Descrittione della città di Massa Lubrense di Giovanbattista Persico: "Sotto il Tempio della Minerva v'è un bellissimo Porto verso Ponente detto comunemente Ieranto, dove v'è un braccio di monte, che si stende più d'un quarto di miglio, ivi si rinchiude il mare e vi sono tre grotte; due nel principio. La prima si chiama la Grotta di Zenzinada, la seconda Salara, la terza è nel fine, e si chiama del Capitello". Dal Filangieri, invece, sono menzionate solo due grotte e ad esse è aggiunta quella contigua all'approdo orientale di punta della Campanella: "Altre due grotte stanno nella baia di Ieranto, quantunque il Persico (Descritt., cap.  IX, p. 41) ne nomina tre, chiamandole Zenzinada, Salara e Capitello. Alla punta della Campanella ve n'è un'altra, scavata probabilmente dal mare in un conglomerato di rocce calcaree". Per i tempi più recenti è necessario far riferimento alle ricerche condotte dal Radmilli: in una delle grotte furono scoperte, cementate dalle stalagmiti, tracce del riempimento con strumenti del Paleolitico medio e resti faunistici.  Si tratta di lembi di un deposito simile a quelli della già ricordata grotta dello Scoglione e di una grotta dello scoglio d'Isca, mentre a grotta Cuparo fu rinvenuta industria mesolitica insieme a gusci di molluschi marini (trochus, patella), come negli strati superiori di grotta La porta, presso Positano. La situazione speleologica della baia riflette i caratteri di una morfologia costiera complessa, nella quale anche l'uomo ha causato alcuni profondi sconvolgimento.  Il più grave riguarda il versante a franapoggio della monoclinale di Montalto, che è stato deturpato in modo irreparabile da una cava impiantata nel secolo scorso e rimasta attiva fino alla prima metà del 1900. Per questo tratto, purtroppo, dobbiamo limitarci a deprecare le devastazioni avvenute, in specie se confrontiamo il paesaggio odierno con una rara testimonianza di come appariva il promontorio prima che l'estrazione del calcare ne divorasse una parte cospicua. Nelle condizioni attuali è difficile intervenire senza che nel paesaggio siano inseriti elementi posticci, con lo scopo palese di camuffare una ferita per la quale, ormai, rimane ben poco da fare.  Quindi saremmo propensi per una soluzione che, favorendo lo sviluppo della flora arbustiva spontanea di tipo mediterraneo e con la messa a dimora di talune appropriata specie arboree, rendesse meno evidenti lo sbancamento e la spianata venutasi a creare a pochi metri dalla superficie del mare. Merita qualche cenno anche l'edificio costruito sul ciglio di questo terrazzo artificiale: piuttosto che lasciarlo andare in rovina potrebbe essere restaurato, in quanto esso rappresenta, assieme a tutto il complesso, un interessante documento dell'attività estrattiva.  Sarebbe una buona occasione per raccogliere materiali e promuovere studi sulla produzione, sui metodi e le condizioni di lavoro, sulle influenze economico - sociali prodotte nei paesi vicini dallo impianto e dall'abbandono della cava. Tra i fenomeni naturali rientra, invece, un altro importante fattore da prendere in considerazione per la conoscenza e la tutela dell'ambiente di cui fanno parte le grotte costiere.  Sulla falesia al fondo della baia si distingue facilmente un'ampia conoide detritica, che scende dal S. Costanzo verso il mare.  L'erosione ne ha inciso la zona centrale, ma alcuni lembi ancora rimangono sulle due rive per un'estensione di un centinaio di meri. Per tutto il loro spessore, che raggiunge anche i dieci metri, questi conglomerati sono costituiti da una matrice in prevalenza calcarea.  In alcuni punti, però, essa risulta composta da prodotti piroclastici (ceneri, pomici, lapilli), gli stessi che a Vico Equense presentano una chiara giacitura post-tirreniana. I clasti, il cui diametro varia da qualche centimetro ad un metro, provenendo da rilievi sovrastanti, nei quali si osservano i segni dei distacchi delle masse rocciose, sono calcarei e calcareo dolomitici.  Il fatto che tali elementi siano caratterizzati dallo scarso arrotondamento dei contorni e da quel particolare tipo di deposizione, la classazione inversa, alla quale si è accennato a proposito dei tratto di costa sotto la torre di Montalto, dimostra che l'accumulo è stato provocato dalla gravità e non dall'azione delle acque superficiali, che sotto questo aspetto è stata ed è ancora trascurabile. Ad essa, piuttosto, devono essere attribuite le incisioni calancoidi che si riscontrano nella cataclasite. L'età dei conglomerati, che, essendo ben stratificati, non hanno avuto origine da un'unica frana, ma si sono formati in un lungo periodo di tempo, fu determinata dal Brancaccio sulla base di due solchi di battigia con cui possono essere posti in relazione.  Il più antico, scavato dal mare tirreniano II nei calcari del Cretacico superiore ad otto metri dalla superficie attuale, è coperto dai detriti, tanto che i fori dei litodomi sono riempiti dalla matrice calcarea e piroclastica.  Sugli stessi conglomerati, poi, ha operato la trasgressione versiliana, che vi ha inciso il solco di battigia più recente, alto due metri sul livello ora raggiunto dal mare. Quindi appare evidente che la conoide detritica è il risultato della degradazione termoclastica e crioclastica subita dalla roccia del S. Costanzo durante la glaciazione del Wúrm. Contemporaneamente e per ragioni non diverse, come è stato detto in precedenza, si sono verificati i crolli dalla volta delle grotte. Del resto una prova della formazione dei conglomerati in un periodo glaciale è data dal colore della matrice, che, non essendo stata soggetta ad ,ossidazione, è giallina, mentre sarebbe stata rossastra se questo processo avesse avuto luogo, favorito da una temperatura più elevata. Tra la conoide detritica e il versante Pezzalonga la roccia presenta a mezza costa circa una cavità bene in vista per chi la guarda dal mare, soprattutto quando le condizioni di luce sono propizie.  In particolare essa attrae l'attenzione dell'osservatore per le numerose stalattiti, che non avrebbero avuto modo di depositarsi in una posizione tanto aperta ed esposta. Tuttavia il fenomeno può essere spiegato, in quanto la cavità anzidetta costituisce l'ultimo avanzo di una grotta un tempo caratterizzata da un intenso carsismo. I crolli dalla volta e le frane ancora frequenti in questo pendio molto acclive del S. Costanzo, l'hanno demolita fino alla parte terminale, scoprendo le concrezioni che vi si erano formate. Più in basso le stratificazioni compatte e fortemente inclinate della falesia sono interrotte da una grotta ben conservata per tutta la sua lunghezza (la grotta dei Presepe) i cui contorni si stagliano precisi nella parete rocciosa, dalla quale sono avvenuti considerevoli distacchi di blocchi secondo l'inclinazione degli strati. Il mare si spinge all'interno con violenza, in specie nel corso delle tempeste suscitate dai venti dei quadranti meridionali. Quindi esso esercita un'energica azione meccanica e chimica, che ha provocato il modellamento delle stalagmiti e del pietrisco rimasto cementato nelle anfrattuosità, come nella grotta antistante lo scoglio Scruopolo. Ne sono derivate alcune forme insolite, nelle quali la fantasia popolare ha ravvisato le immagini di un fiabesco presepe di pietra. Il mare ha operato pure sulle formazioni stalattitiche e sulla volta stessa. Da questa non è cessato lo stillicidio. Un'altra grotta, in massima parte originata dall'erosione marina, si incontra nell'ultimo tratto di costa prima di doppiare punta della Campanella. In alto, su cinque terrazzi decrescenti ricavati nelle estreme propaggini sud-occidentali del S. Costanzo, sorgeva la villa romana e ora domina la torre di Minerva, costruita dagli Angioini nel luogo in cui i Greci avevano innalzato il tempio di Athena.  Davanti si schiude un'insenatura anche oggi usata come approdo per piccole imbarcazioni, la quale era collegata al quarto terrazzo da una ripida scala. Di essa rimangono i gradini più bassi a quelli della rampa superiore, scavata in una fenditura della roccia tanto stretta da consentire il passaggio ad una sola persona.  Il resto è franato assieme al pendio e ad un muro dal parametro in opera reticolata, eretto con funzione di sostegno fino all'imboccatura della gola. Delle tre aperture naturali della grotta, una è rivolta verso la scala e due si affacciano sul mare. Quindi è ragionevole supporre che il suo interno, spazioso e ben conformato, servisse da ricovero ai naviganti almeno da quando esisteva il tempio su punta della Campanella. In vari punti le pareti recano segni di adattamenti e della frequentazione dell'uomo; inoltre fu avvertita l'esigenza di elevare un muro, ora in rovina, contro l'impeto dei flutti.Negli ultimi anni queste tracce sono diventate sempre più labili e stanno per essere cancellate dall'accresciuto e incontrollato afflusso turistico determinato dallo sviluppo della nautica da diporto.  A causa della posizione e del fatto che è di facile accesso, in specie dal mare, la grotta è visitata con frequenza e, purtroppo, senza alcun rispetto per quanto essa rappresenta dal punto di vista naturalistici e storico.  Spesso vi vengono accesi fuochi, il suolo è sconvolto per tutte la sua estensione ed in più parti si è prodotto lo scalzamento di masse rocciose. Le caratteristiche peculiari del sito in rapporto al complesso archeologico e architettonico sovrastante pongono un duplice ordine di problemi: da un canto è necessario por fine alle devastazioni, dall'altro occorre ripristinare il collegamento con il quarto terrazzo, in modo da permettere a chi si reca nella villa romana un'agevole discesa all'approdo orientale. Esso, infatti, più di quello occidentale, conserva i tagli originari nella roccia per i gradini, ed entrambi sono elementi essenziali e strettamente connessi sia al tempio, ed entrambi sono elementi essenziali e strettamente connessi sia al tempio greco, sia, in seguito, alla struttura e alla funzione dell'impianto romano, sorto come supporto delle ville imperiali di Capri.

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