Europa il sogno le scelte...
Ulivo
EUROPA:
IL SOGNO, LE SCELTE di Romano Prodi
10-11-2003
"Uniti, possiamo proporre un progetto politico forte, possiamo ridare
fiducia a chi guarda con preoccupazione ai grandi cambiamenti del mondo
d'oggi, possiamo essere artefici di una azione internazionale
dal volto umano.
Uniti, possiamo dare una risposta nuova alla crisi della politica e della
democrazia"
*****************
L'Europa è un sogno ed un progetto.
E' il sogno di un mondo più libero, più giusto e più unito.
E' il progetto che vogliamo, giorno dopo giorno, concretamente realizzare.
Consapevoli della nostra storia, guardiamo al mondo con spirito aperto,
con l'ambizione di essere nuovamente protagonisti.
Per l'Europa, questo è il tempo delle scelte.
1. Le sfide del ventunesimo secolo
Ci sono momenti nella storia nei quali i popoli sono chiamati a compiere
scelte decisive.
Per noi europei, all'inizio del ventunesimo secolo, è venuto uno di quei
momenti.
Ce lo impongono i fenomeni di lunga portata che stanno cambiando il mondo
e l'Europa e ci chiamano a nuove sfide.
La globalizzazione
I progressi e le innovazioni nei trasporti e nelle comunicazioni stanno
provocando una rivoluzione analoga a quella provocata cinquecento anni fa
dalla scoperta dell'America.
La terra è diventata allo stesso tempo più grande e più piccola.
Più grande perché non ci sono più limiti alla circolazione delle merci,
delle persone, delle idee, delle immagini.
E più piccola, perché niente di ciò che accade è ormai senza conseguenze
per gli interessi o le coscienze di ciascuno di noi.
Tutti troppo piccoli per garantire da soli sicurezza e benessere ai propri
cittadini, gli stati europei dovranno scegliere se insistere nella difesa
di una dimensione non più all'altezza dei tempi o se mettere in comune le
proprie forze in una entità più alta, più forte e più capace di competere
come l'Unione Europea.
Così come gli stati, anche le imprese e i cittadini dovranno scegliere se
aprirsi al nuovo o se chiudersi nella difesa del vecchio ordine.
Oggi come cinque secoli fa, i popoli che avranno vinto la sfida saranno
quelli che meglio avranno saputo adattarsi alle nuove dimensioni del
mondo.
L'innovazione tecnologica
L'innovazione tecnologica trasforma le nostre abitudini personali e
quotidiane, rimette in causa i sistemi di produzione e di scambio,
rimescola, in tempi rapidissimi, le relazioni e i rapporti di forza tra le
diverse regioni del mondo.
L'Europa si trova in una posizione di preoccupante debolezza di fronte a
un'America collocata sulle più avanzate frontiere dell'innovazione, ma
anche di fronte a paesi, come l'India e la Cina, che accompagnano bassi
costi del lavoro e una elevata capacità di incorporare le nuove
tecnologie.
L'evoluzione demografica
Nei nostri paesi si vive sempre più a lungo ma nascono sempre meno figli,
anche se qualche recentissimo dato può far sperare che qualche cosa stia
cambiando.
Se non interveniamo per tempo, ci aspetta un'Europa con una popolazione
ridotta e decisamente più anziana.
E' una prospettiva che ci impone di ripensare l'insieme delle nostre
politiche, da quelle della famiglia, del lavoro, della previdenza e della
sicurezza sociale sino a quelle dell'educazione, dei bilanci pubblici,
dell'immigrazione.
Scaricare il problema sulle generazioni di domani o limitarsi ad
affrontarlo da un unico, seppur importante versante, come quello della
sostenibilità dei sistemi previdenziali, è una scelta irresponsabile e
perdente.
Il degrado dell'ambiente
Il degrado dell'ambiente naturale sta letteralmente cambiando la terra
sotto i nostri piedi.
Stiamo consumando in modo scriteriato acqua, aria, terra ed energia.
Stiamo cancellando la bellezza stessa dell'Europa, il frutto di una natura
generosa e di secoli di lavoro e di genio artistico.
Se non facciamo della difesa dell'ambiente una priorità assoluta
incorporando le "ragioni della natura" in tutte le nostre politiche,
impoveriremo in modo irrimediabile le nostre società.
Ogni generazione ha il dovere morale di lasciare a quelle che la
seguiranno la possibilità di vivere una vita migliore.
Con il nostro disinteresse per l'ambiente stiamo venendo meno a questo
impegno di umanità.
Le democrazie in affanno
Le nostre democrazie vivono in una situazione di affaticamento sempre più
palese.
Esse sono in difficoltà nel resistere alle pressioni che derivano dagli
interessi organizzati, in difficoltà nell'impedire che i mezzi di
informazione da strumenti per il controllo sull'esercizio del potere si
trasformino in strumenti per condizionare e dominare la politica e
l'intera società, in difficoltà nel rispondere alla domanda di
partecipazione di uomini e donne che non trovano i mezzi per far sentire
la loro voce e ai quali i soli appuntamenti elettorali non bastano più.
Il divario tra Nord e Sud del mondo
Di fronte ai perduranti squilibri tra il Nord e il Sud del mondo, di
fronte alle terribili condizioni di vita di intere popolazioni, non
possiamo restare inerti.
E' una questione di giustizia.
La scelta individuale di uomini, donne e famiglie intere che affrontano la
pena e il rischio dell'emigrazione, la difesa, sempre più determinata, da
parte dei paesi poveri della terra dei loro interessi commerciali inviano
alle nazioni e alle società più ricche un segnale che non possiamo
lasciare cadere.
La forza dell'Europa
Reagire di fronte a questi grandi cambiamenti non è facile.
La difficoltà delle scelte è, tuttavia, pari all'ampiezza delle
opportunità che si aprono grazie ai progressi nelle scienze e nelle
tecniche della comunicazione, all'apertura degli scambi, alla progressiva
diffusione su scala mondiale della democrazia e della libertà.
Per cogliere queste opportunità, noi europei abbiamo straordinari punti di
forza sui quali contare.
Con un interscambio quasi pari a quello di Stati Uniti e Sud Est asiatico
messi insieme siamo già ora una potenza commerciale che non conosce
confronti mentre, con una popolazione che tende verso i cinquecento
milioni di persone, abbiamo un mercato di consumatori che si avvierà ad
essere quasi il doppio di quello americano.
Abbiamo una moneta comune, l'euro, che si sta imponendo accanto al dollaro
sui mercati finanziari internazionali, una rete di medie e piccole imprese
che tutto il mondo ci invidia.
Abbiamo dimostrato, in settori diversi come l'industria aeronautica o la
telefonia mobile, di essere capaci di collocarci al vertice della scala
mondiale.
Abbiamo sviluppato, in cinquant'anni di costruzione europea, un'esperienza
politica e istituzionale che ci ha permesso di allargare da sei a
venticinque e domani forse fino a più di trenta membri la nostra Unione e
che costituisce il più riuscito ed straordinario esempio di democrazia
sovranazionale.
Abbiamo nelle nostre nazioni, nelle nostre regioni, nelle nostre città una
ricchezza e una diversità di storie, di culture, di tradizioni senza pari.
2. I nostri valori
Giustizia e libertà, giustizia come libertà
Se queste sono le sfide del ventunesimo secolo, qual è la nostra visione
dell'Europa? Quali sono i nostri valori?
Quale tipo di società abbiamo in mente per il nostro domani?
Sono domande alle quali non possiamo sottrarci perché dalle risposte a
queste domande dovranno, con coerenza, derivare le nostre scelte.
Così è stato sin dall'inizio della costruzione europea.
Per quanto sia stata l'economia il cemento che ha progressivamente unito e
tenuto insieme i nostri paesi, dietro ogni disegno economico, dietro ogni
scommessa giocata sul campo dell’economia, ci sono state una chiara e
consapevole ispirazione politica e una nitida scelta di valori.
Negli anni Cinquanta, mettere insieme il carbone e l’acciaio voleva dire,
prima di tutto, togliere ad ogni singola nazione la libera disponibilità
di quelle che erano allora le materie prime essenziali alla guerra.
Negli anni Ottanta, lanciare e poi progressivamente realizzare il progetto
del mercato unico rispondeva alla volontà di unire in modo indissolubile,
attraverso l’economia, i destini stessi dei paesi europei.
Negli anni Novanta, dopo la caduta del Muro di Berlino, la scommessa sulla
moneta unica rifletteva - lo posso dire per esperienza personale - non un
disegno "da banchieri" ma la volontà, tutta ed esplicitamente politica, di
accelerare e rendere irreversibile l’unificazione dell’Europa.
Nessuna di queste grandi decisioni sarebbe mai stata presa sulla base di
un calcolo puramente economico.
Da Monnet, Schuman, Adenauer e De Gasperi sino a Mitterrand e Kohl ed
anche oggi l’elemento decisivo è sempre stato squisitamente politico. La
molla è sempre stata una visione condivisa e profondamente sentita
dell'Europa.
Per un'Europa che, dopo cinquant'anni di maturazione, ha raggiunto
dimensioni e complessità tali che impediscono di rifugiarsi in progetti ad
una sola dimensione, esiste ancora la possibilità di elaborare una visione
del suo presente e del suo futuro tanto salda e forte da ispirare scelte
coerenti e significative?
Io dico di sì. Perché la nostra visione del presente e del futuro
dell'Europa poggia su alcuni valori fondamentali e condivisi.
Penso ad un'Europa di giustizia.
Per giustizia intendo la libertà per ciascuno e per l'insieme dei
cittadini.
La libertà per ogni uomo e ogni donna di dare il meglio di se stesso, di
godere, con il massimo della equità possibile, della reale opportunità di
costruire una vita in piena dignità per se stesso e per la propria
famiglia, di potersi sentire parte attiva di una comunità e di una
democrazia vitali, di avere un lavoro, di vivere in un ambiente gradevole,
di essere protetto contro i rischi più gravi che l'esistenza può portare.
Ognuno di questi elementi condiziona gli altri e ne è condizionato.
L'esercizio pieno delle libertà politiche è premessa per la tutela dei
diritti sociali e delle opportunità economiche.
Il godimento di beni "sociali" come istruzione, sanità, giustizia e
sicurezza condiziona le possibilità di riuscita economica.
Vivere in una società che conduce in moto attivo politiche a favore
dell'ambiente e delle regioni più povere del mondo può contribuire,
soprattutto tra i giovani, a sviluppare un senso di appartenenza alla
comunità altrimenti non scontato.
Intesa come libertà di esprimere la propria umanità, la giustizia
abbraccia e comprende tutti gli aspetti della vita, è un valore, un
obiettivo che deve essere inteso e perseguito nella sua interezza.
La pace
Europa di libertà e di giustizia, dunque e innanzitutto, come aspirazione,
anzi, come diritto alla pace.
Perché la guerra è il concentrato di tutti i mali.
Perché, dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale e della Shoah, la
ricerca della pace è stata la prima ed essenziale ragione del progetto di
un’Europa unita.
Perché la pace tra nazioni e popoli che si erano da sempre combattuti è il
più grande e più straordinario successo dell’avventura europea.
L’aspirazione alla pace resta ancor oggi un tratto essenziale dell’idea
stessa dell’Europa, di quel modo di intendere la vita e le relazioni tra i
popoli che noi europei spontaneamente riconosciamo come nostro.
A nessuno oggi sembrerebbe realistico il rischio di una guerra tra la
Francia e la Germania o tra l’Italia e l’Inghilterra.
Questo non vuol dire che il tema della pace sia superato.
Al contrario, è la prova più evidente di quanto straordinario sia quanto
abbiamo compiuto nell’ultimo mezzo secolo. Gli uomini e le donne nati dopo
il 1945 sono i primi europei nella storia che potranno dire di avere
vissuto tutta la loro vita senza vedere le proprie terre e le proprie
famiglie colpite dalla guerra, i primi nella storia.
Io, seppure per poco, la guerra me la ricordo.
E così era stato per mio padre, per mio nonno e per tutte le generazioni
venute prima di loro.
“Mai più guerra”, dissero e vollero i padri fondatori dell’Europa, e così
è stato.
Qualcuno può pensare che gli appelli alla pace, se riferiti all'Europa,
possano oggi apparire vuoti e retorici.
Io non lo credo.
Non lo credo perché è ancora ben vivo in tutti noi il ricordo degli orrori
e dei massacri della guerra combattuta a due passi da casa nostra, in
Croazia, in Bosnia, nel Kosovo.
E perché, in giorni a noi ancora più vicini, quando si è trattato di
un’altra guerra in una terra non lontana dall’Europa, e mi riferisco
ovviamente all’Iraq, milioni di uomini e di donne, e soprattutto di
giovani, hanno sentito che ad essere in gioco era il loro stesso futuro,
il futuro della società nella quale vivevano e avrebbero vissuto.
E le strade e le piazze delle nostre città, di tutte le nostre piazze e le
nostre città, quale che fossero l'orientamento e la politica dei diversi
governi, si sono riempite delle bandiere arcobaleno della pace.
La democrazia
Europa di giustizia come libertà per tutti di godere in modo autentico e
pieno dei diritti democratici.
A qualcuno può apparire bizzarro che io parli di democrazia come di un
valore da riaffermare in società, come quelle europee, nelle quali lo
stato di diritto è un fatto acquisito.
Non è così.
La democrazia non è un premio che si conquista una volta per tutte.
E' una pianta delicata che richiede di essere curata ogni giorno.
Altre società, disposte a guardare all'ineguaglianza come al naturale
risultato delle capacità e dell'impegno individuali e come al necessario
motore della crescita, possono considerare fisiologico il fenomeno della
marginalità sociale.
Altre società possono tollerare che una quota importante dei loro
cittadini siano di fatto esclusi dalla vita democratica.
L'Europa ha altre tradizioni, altri valori, altre ambizioni.
L'Europa che noi vogliamo ha bisogno di una cittadinanza attiva.
Essa non potrebbe neppure esistere se non fosse fondata su una democrazia
viva e vitale della quale l'intera società si senta partecipe e
responsabile.
L'uguaglianza
Europa di libertà, poi, come scelta di giustizia sociale.
Se ritorniamo ai padri fondatori dell’Europa, e i nomi sono di nuovo
quelli di Schuman, di Adenauer, di De Gasperi, personaggi che non a caso
condividevano una medesima cultura e una medesima fede cristiana,
constatiamo come uno dei tratti distintivi della nuova Europa che essi
volevano costruire fosse un più alto grado di giustizia sociale. Essi, e
con loro grandi liberali e laici come Altiero Spinelli, volevano un’Europa
capace di crescere e di creare lavoro e benessere.
Per questo la volevano unita.
Perché avevano compreso che l’unione delle forze e dei mercati era la
strada giusta per lo sviluppo.
Volevano, però, che a quello sviluppo si accompagnasse una più equa
distribuzione delle risorse e delle opportunità.
A cinquant’anni di distanza quell’aspirazione ad una società più equa è
più che mai valida ed attuale.
Perché le condizioni economiche e, soprattutto, sociali che
corrispondevano e potevano, dunque, essere considerate accettabili negli
anni del passaggio da una società agricola a una società di prima
industrializzazione non lo sono più nell'Europa di oggi.
E perché molti elementi ci indicano che, invece di procedere nella
costruzione di società più eque, siamo tornati indietro.
Se guardiamo ai dati che misurano la distribuzione del reddito all’interno
delle singole società nazionali siamo costretti a riconoscere che le
diseguaglianze, dopo essere discese tra il 1970 e il 1980, sono nuovamente
cresciute tanto da essere ritornate, alla fine dello scorso decennio, dove
erano trent’anni prima.
E le preoccupazione aumentano ancora di più se, dalle diseguaglianze
strettamente economiche, allarghiamo l'osservazione al complesso delle
condizioni sociali (scuola, salute, famiglia, giustizia, sicurezza) che
determinano la possibilità di sviluppare e sfruttare le proprie capacità.
Quando nelle imprese le scale delle retribuzioni vanno letteralmente in
pezzi perché i più alti dirigenti raggiungono guadagni stratosferici,
quando chi lavora nella finanza è pagato infinite volte di più di chi
lavora nella produzione o, ancor peggio, nella ricerca, quando
l'ostentazione della ricchezza è offerta come lo stile di vita da
perseguire e da imitare, quando i padri e le madri non possono più contare
di offrire ai propri figli una vita migliore di quella che loro stessi
hanno vissuto, allora vuol dire che nell’equilibrio di quella società
qualche cosa si è rotto.
Se non vuole mettere a repentaglio il proprio futuro, l’Europa deve
riparare questi strappi nel tessuto delle proprie società.
Noi respingiamo l'idea stessa di un'Europa divisa tra coloro che hanno e
sanno e coloro che non hanno e non sanno.
L'ambiente
Europa di giustizia, come scelta di rispetto e tutela dell'ambiente.
La difesa e il più intelligente consumo delle risorse naturali, la cura
per la bellezza dei luoghi in cui viviamo non sono solo un investimento
per il nostro futuro e un segno di rispetto per le generazioni che
verranno dopo di noi.
Sono anche la condizione, oggi, per una vita migliore, più sana, per una
società più equa e più prospera.
Le città ordinate e ben conservate sono più facilmente scelte come luoghi
di investimento dalle imprese e le montagne, le coste e i mari ben
protetti costituiscono una fonte di ricchezza perché permettono di
attrarre il turismo.
I centri urbani degradati, inquinati e congestionati fanno fuggire persone
e lavoro e le periferie abbandonate incoraggiano comportamenti
antisociali.
3. Le nostre scelte
Conosciamo le sfide, abbiamo chiari i valori ai quali vogliamo ispirarci,
ora dobbiamo indicare le politiche concrete che debbono dare corpo e
sostanza all'Europa che vogliamo.
Questo vuol dire operare delle scelte.
Perché non è possibile avere tutto e subito, ambiente pulito e nessun
limite ai consumi e all'inquinamento, maggiori aiuti dallo Stato e tasse
più basse, maggior peso internazionale dell'Europa e difesa ad oltranza
delle politiche estere e di difesa nazionali, più felici rapporti con i
paesi poveri e aiuti allo sviluppo ridotti.
Questo è un mondo di sogni e di false promesse.
E non è vero che di fronte a ciascun problema esiste sempre e soltanto
un'unica risposta, come se i valori e gli orientamenti politici non
contassero.
Attenti, però. Le risposte alle sfide alle quali l'Europa è chiamata non
possono e non debbono venire tutte da Bruxelles.
Che si tratti di economia, di tutela della salute o dell'ambiente, di
politiche per l'occupazione, l'immigrazione, la ricerca scientifica o
l'istruzione, ad essere chiamati in causa sono tutti i livelli di governo,
da quello europeo a quelli nazionali e locali.
Se parliamo di politiche per l'Europa, se siamo sinceri e seri nel nostro
europeismo, è questo il quadro che dobbiamo tenere a mente.
Sapendo che l'elemento decisivo è la coerenza dell'insieme, la coerenza
tra le singole politiche settoriali, tra le politiche per il corto e per
il più lungo termine, tra le politiche adottate dalle diversità autorità e
istituzioni su scala europea, nazionale e regionale.
La democrazia tra partecipazione e informazione
Le nostre democrazie vivono un momento delicato.
Il primo fenomeno che fa dubitare del loro stato di salute è il
funzionamento visibilmente più stentato dei tradizionali canali di
partecipazione.
Di questo sono segnali evidenti la ridotta e calante partecipazione al
voto, il senso di distacco che si avverte tra cittadini e istituzioni, la
minore capacità dei partiti di operare come canali per la formazione e la
partecipazione politica, l'emergere di organizzazioni dalla chiara
impronta populista e xenofoba, la protesta violenta contro le maggiori
istituzioni internazionali.
Una indicazione della ricerca di nuove forme di partecipazione e di nuove
sensibilità politiche viene, tuttavia, anche da fenomeni di segno del
tutto opposto, come l'impegno a favore della pace, dell'ambiente e dei
paesi più poveri o come la straordinaria popolarità e capacità di attirare
consenso e affetto da parte di personaggi, come il papa o il presidente
della Repubblica Italiana, che sanno essere portatori di messaggi di pace
e solidarietà con i più deboli o del senso dell'unità nazionale ed
europea.
Il secondo fenomeno che mette in causa la natura profonda delle nostre
democrazie è l'estendersi, ad ogni aspetto della vita sociale e, dunque,
della politica, della presenza e del condizionamento dei mezzi di
comunicazione.
Con la loro influenza diretta, continua e pervasiva i mezzi di
comunicazioni e, in modo particolare, la televisione, da strumento
principe per il controllo sull'esercizio del potere da parte delle
istituzioni, delle forze politiche e delle singole persone abilitate ad
esercitarlo, stanno diventando essi stessi il principale e diretto
strumento di conquista, di esercizio e di condizionamento del potere
politico.
Di fronte a fenomeni di questa portata non è permesso restare passivi.
La risposta da dare a quello che ho chiamato l'affaticamento delle nostre
democrazie è la più difficile in termini intellettuali e politici, perché
si tratta di individuare, se non di inventare, forme di partecipazione e
dialogo più diffuse, più continue, più capaci di portare nel circuito del
dibattito politico persone che oggi se ne sentono escluse.
Insieme e accanto ai partiti, ai quali spetta la rappresentanza politica
degli interessi collettivi, altri soggetti, forze sociali, organizzazioni,
corpi intermedi e movimenti dovranno farsi carico del compito di
raccogliere e dare corpo alle voci, alle attese, alle domande che vengono
dalla società.
Più facili nell'individuazione dei possibili strumenti di intervento, ma
ardue per la forza degli interessi che si debbono contrastare, sono le
scelte da compiere nel campo dell'informazione.
La difesa ad ogni costo del pluralismo dell'informazione è la via maestra
da seguire.
Non è un caso che questa sia stata la via indicata e richiesta, con
impegnative deliberazioni assunte a larghissima maggioranza, dal
Parlamento Europeo.
A dimostrazione del fatto che si tratta di un tema che riguarda, su scala
europea, la difesa dell'essenza stessa della democrazia.
La donna in primo piano
Un'attenzione speciale, specialissima deve essere riservata alle donne.
Se vogliamo un'Europa più attenta ai bisogni delle persone, più
determinata nella difesa delle libertà, dobbiamo incentivare la
partecipazione delle donne al governo delle nostre società.
Non è uno sviluppo che si determina per caso.
Si richiedono scelte precise e non di rado controverse, che vanno dal
sostegno alle madri che lavorano sino alle procedure per facilitare la
partecipazione delle donne alla vita pubblica.
La crescita come priorità economica numero uno
L'Europa vive da troppi anni una situazione di crescente iniquità.
Se consideriamo che questa sia una realtà intollerabile e se davvero
vogliamo porvi rimedio, allora la scelta che dobbiamo operare è quella di
una efficace strategia di crescita.
La crescita non riduce di per sé l’ineguaglianza.
Ma l’esperienza europea insegna che è negli anni di più alta crescita,
come sono stati gli anni dal ’60 all’80, che si riesce con più successo a
ridurre le diseguaglianze, mentre questo avviene in misura molto minore o
non avviene per nulla negli anni di crescita più lenta, come sono stati
gli anni dall’80 al 2000.
Non solo. Se la prima e più grave delle diseguaglianze, se la più
intollerabile delle iniquità è quella che colpisce coloro che sono senza
lavoro, allora la più efficace delle medicine non può che essere quella
che permette una più robusta crescita dell’economia e dell'occupazione.
La storia dell’Europa unita è fatta di tanti, straordinari successi, e
nessuno lo sa meglio degli italiani, che negli ultimi cinquant'anni,
grazie alla scelta europea compiuta nell'immediato dopoguerra, hanno visto
letteralmente cambiare, e per il meglio, il volto del proprio paese e le
loro stesse vite.
Abbiamo creato le condizioni per un’Europa solida e prospera. Ma lo
sviluppo che ci aspettavamo, quella crescita dell’economia che volevamo
per creare benessere, occupazione, lavoro, non è arrivata o è arrivata
solo in parte.
Il male è profondo e non può essere spiegato solo con ragioni contingenti,
legate a questa o a quell’altra temporanea crisi dell’economia mondiale.
La crescita deve diventare la priorità economica numero uno dell’Europa.
La terapia per curare la nostra bassa crescita può, tuttavia, derivare
solo da una diagnosi del male.
Un male che si riassume nell’incapacità dell’Europa di adattare il proprio
sistema economico, cioè il complesso delle politiche, delle istituzioni e
dei modelli organizzativi dell’economia e della produzione ad un mondo e a
dei mercati messi sotto sopra dalla globalizzazione, dall’innovazione
tecnologica e da una concorrenza sempre più aperta.
Un mondo e dei mercati dove i modelli di consumo e di produzione cambiano
con estrema velocità richiedono una capacità di adattamento e,
soprattutto, di innovazione del tutto nuove.
Sono indispensabili strutture, istituzioni, norme e regole che favoriscano
la concorrenza e l’ingresso sui mercati di nuovi operatori, una maggiore
mobilità dei lavoratori all’interno e tra le imprese, mercati finanziari
più efficienti e disponibili al rischio sul nuovo, una partecipazione
piena delle donne al mondo del lavoro, una politica dell’immigrazione che
non dimentichi l’apporto di innovazione e di competenza scientifica che
può arrivare dai paesi lontani.
Istruzione, ricerca e innovazione
Occorre uno straordinario impegno sull’istruzione, da quella prescolare,
decisiva per diffondere in modo equo l'attitudine all'apprendimento, a
quella universitaria e post-universitaria, e sulla ricerca.
Non c’è solo l’America tra i nostri concorrenti.
All’orizzonte, anzi, ormai dietro l’angolo, ci sono, soprattutto, l’India
e la Cina, con i loro numeri, con i loro inarrivabili costi di produzione
e, soprattutto, con la loro straordinaria capacità di assimilare le nuove
e più avanzate tecnologie.
Noi respingiamo con decisione ogni richiesta di un ritorno al
protezionismo.
Si tratta di una ricetta sbagliata, dannosa e impraticabile.
L’unica speranza per l’Europa è quella di porsi, potremmo anche dire di
ritornare, all’avanguardia dell’innovazione.
Andiamo a Bologna, e nelle aule medievali della sua università vedremo gli
stemmi degli studenti che venivano da tutta l’Europa per frequentare
quello che era uno dei massimi centri del sapere dell’epoca.
Facciamo un salto di secoli e andiamo alla Humboldt Universitaet di
Berlino: vedremo l’impressionante sequenza di ritratti dei docenti di
quell’ateneo, da Max Planck ad Albert Einstein, che nella prima metà del
Novecento ricevettero un premio Nobel per le loro ricerche nei campi della
fisica, della chimica o della biologia.
L’Europa deve tornare a creare grandi università, laboratori e centri
d'eccellenza come questi capaci di attirare i migliori cervelli da tutto
il mondo e di produrre ricerca alle frontiere della scienza e
dell’innovazione.
Non si tratta di cosa facile.
Ci vuole il coraggio di adottare rigidi criteri di qualità nella scelta
degli investimenti, di resistere alla facile tentazione di distribuire
finanziamenti a pioggia e alle pressioni per costruire in ogni città una
nuova università.
Nel coniugare ricerca e crescita, l'Europa può fare molto.
In campi come quelli delle biotecnologie, dell'economia dell'idrogeno
collegata all'utilizzo delle fonti d'energia rinnovabili, dei sistemi per
il posizionamento e per l'osservazione del territorio dallo spazio - e non
sono che pochi esempi - l'Europa ha capacità, strumenti concreti di
intervento e risorse finanziarie che, se opportunamente indirizzati e
concentrati, possono dare una spinta decisiva allo sviluppo di iniziative
di grande respiro e ad alto contenuto di innovazione.
Mercati liberi e concorrenza. Ma non tutto può e deve essere privato
Istruzione e ricerca da sole non bastano a rimettere l'Europa su un solido
cammino di sviluppo.
Soprattutto, non possono crescere nel deserto. Il punto di partenza
consiste nell’assicurare le condizioni di base per la crescita.
Dobbiamo mantenere e, se necessario, riportare i nostri conti pubblici in
ordine nell’immediato e dobbiamo garantire la loro solidità nel tempo.
E quindi riconsiderare e adattare il complesso dei nostri sistemi di
solidarietà sociale, a partire dai sistemi pensionistici, all’allungamento
della vita.
Dobbiamo continuare a tenere l’inflazione sotto controllo perché
l'esperienza ci ha insegnato, con lezioni molto dure, che l'aumento
generalizzato e incontrollato dei prezzi distrugge la crescita e produce
iniquità.
Dobbiamo garantire la concorrenza, sapendo che per essere autenticamente
libero, il mercato non può essere lasciato a se stesso.
Esso, infatti, ha continuamente bisogno di essere difeso da tutti coloro,
nei mondi dell'industria, della finanza e dei servizi come in quelli del
commercio e delle professioni, che vogliono piegarlo ai propri interessi
particolari.
Dopo anni di pensiero a senso unico, dobbiamo, tuttavia, essere anche
pronti a riconsiderare i confini tra il mercato e lo Stato.
Abbiamo visto che non in tutti i settori i privati sono necessariamente i
più bravi o i più adatti ad offrire un servizio che risponda all'interesse
generale.
Non meno importante è sfruttare l’intero potenziale offerto dal mercato
unico, abbattendo gli ostacoli che ancora rimangono, dal settore dei
trasporti aereo e ferroviario a quello dell’energia o al fondamentale
mercato dei capitali.
Le straordinarie opportunità offerte alle nostre imprese dall’allargamento
non potranno essere colte se non completeremo la rete di collegamenti,
soprattutto stradali e ferroviari, tra gli attuali paesi membri
dell’Unione, se non realizzeremo in fretta efficaci collegamenti tra l’est
e l’ovest dell’Europa.
Lo Stato sociale e la difesa dei più deboli
La crescita, torno a ripeterlo, deve diventare la priorità economica
numero uno dell'Europa.
Ma la crescita da sola non assicura una maggiore giustizia sociale. Per
questo servono politiche specifiche e, in particolare, specifiche
politiche pubbliche.
Inventato e sviluppato in Europa, lo Stato sociale è sociale è per noi
europei uno dei motivi di più profondo orgoglio, uno dei capisaldi del
nostro modo di intendere la vita, i rapporti tra le persone e tra queste e
le istituzioni.
Esso, tuttavia, deve essere adattato ai tempi.
Perché oggi si vive molto più a lungo. Perché con l'evolversi della
società, oggi così diversa da quella del primo dopoguerra, sono cambiate
le esigenze, le attese e le domande dei cittadini, degli anziani, dei
giovani, dei lavoratori, dei consumatori.
Le politiche per la famiglia sono sempre più inadeguate rispetto ad una
realtà che vede l'ampliarsi del numero delle famiglie con un solo
genitore, schiere sempre più larghe di anziani soli e senza parenti ai
quali appoggiarsi, di donne che pagano il loro lavoro accettando o
scegliendo di non avere figli o di averne solo uno.
L'istruzione secondaria e professionale che era stato il fondamento per
l'ingresso nel mondo del lavoro nell'Europa dell'industrializzazione di
massa non è più sufficiente nell'odierna economia dei servizi e delle
nuove tecnologie.
Persino le nostre università, così come organizzate e concepite, appaiono
largamente insufficienti e incapaci ad assicurare possibilità di lavoro
adeguate all'investimento operato dagli studenti e dalle famiglie e a
garantire il livello di eccellenza necessario per permettere all'Europa di
primeggiare nell'innovazione e di competere da pari a pari con i paesi più
avanzati, Stati Uniti in testa.
La tutela della salute sta essa stessa cambiando connotati con
l'affermarsi di una popolazione sempre più anziana che pone il problema, e
spesso il dramma, delle degenze di lunga durata, delle assistenze
famigliari, della cura dei malati terminali.
Nessuno è più debole di chi è malato.
Nessuno è più debole e bisognoso di chi è vecchio e malato.
Sulla salute, sull’assistenza agli anziani, l’Europa si gioca il diritto
di considerarsi una società civile.
La previdenza, il singolo tema sul quale si concentrano la più parte dei
discorsi relativi alle politiche sociali, deve fare in ogni paese i conti
con un allungamento della vita che mette a repentaglio la sostenibilità
nel tempo dei vecchi sistemi di finanziamento.
Tuttavia, ipotizzare misure e politiche uniformi per tutti i paesi europei
proponendo, com'è stato detto da qualcuno, una "Maastricht per le
pensioni" è due volte sbagliato.
E' sbagliato da un punto di vista economico, perché i dati di partenza e
le situazioni di fondo differiscono talmente da paese a paese da escludere
una singola ricetta valida per tutti.
Ed è sbagliato dal punto di vista politico, perché i sistemi previdenziali
vanno talmente al cuore del contratto sociale proprio delle singole
comunità che una imposizione dall'esterno e dall'alto sarebbe vista come
un'inaccettabile interferenza.
Dove l'Europa può intervenire è, invece, nel promuovere una prudente
gestione dei conti pubblici attraverso il coordinamento e la sorveglianza
delle politiche di bilancio nazionali.
In questa prospettiva, sempre più importanza dovrà essere data alla
sostenibilità nel tempo degli assetti di finanza pubblica, guardando
progressivamente più ai dati che esprimono la consistenza del debito che
non a quelli che misurano, anno dopo anno, il variare del disavanzo.
Quali che siano le scelte che ogni paese sceglierà di fare per garantire
che i sistemi previdenziali non mettano a rischio l'equilibrio dei conti
pubblici, l'armonizzazione dei trattamenti e l'equità tra le generazioni
sono principi che dovranno essere alla base di qualsiasi ipotesi di
intervento.
Una particolare attenzione merita, in ogni caso, di essere prestata allo
studio di come agevolare, e magari ritardare, il passaggio dal lavoro al
non lavoro attraverso forme di occupazione più flessibile mano a mano che
l'età progredisce.
Accanto al diritto di andare in pensione di chi, avendone maturato i
requisiti, vuole porre fine alla propria stagione di lavoro, dobbiamo
imparare a tutelare anche il diritto di continuare a lavorare di chi
vorrebbe protrarre una vita attiva.
Si tratterà di processi sui quali chiunque si preoccupi di non lacerare il
tessuto delle proprie società dovrà operare cercando di creare le
condizioni per un vasto consenso.
La concertazione tra le parti sociali è un aspetto essenziale del nostro
modo di intendere la società e il mondo del lavoro.
Per questo, per trovare nuove forme di tutela per i più deboli, capaci di
rispondere ai bisogni di una società e di una economia in rapida
trasformazione, serve un sindacato forte e rinnovato.
Una rete di solidarietà
Come per la riforma dei sistemi previdenziali, anche nel caso del mondo
del lavoro non si possono proporre ricette per l'intera Europa.
Esse sarebbero tanto sbagliate quanto inutili.
Nel porsi l'obiettivo primario di tutelare i diritti, le attese e la
dignità dei lavoratori, le politiche dell'occupazione debbono, in ogni
caso, essere pensate in modo tale da agevolare le dinamiche di crescita
dell'economia.
Esse devono, pertanto, tendere più a proteggere e, quando necessario, a
sostenere il lavoratore che non a difendere il singolo posto di lavoro.
Devono, insomma, essere politiche dentro e non contro il mercato.
Un aspetto dell'attuale evoluzione del mercato del lavoro suscita
particolare apprensione e merita una specifica attenzione.
Il mondo del lavoro si sta segmentando in modo preoccupante.
Tra il gruppo di coloro che hanno un'occupazione e godono di una
efficiente protezione dei loro diritti e quello di coloro che sono in
cerca o hanno perso un'occupazione e spesso non riescono più a rientrare
nel mondo del lavoro attivo, sta emergendo e allargandosi una categoria di
lavoratori precari, a tempo, quasi tutti giovani, privi di reale tutela,
di fatto inabilitati a crearsi una sicurezza e una protezione per il
futuro.
Sono tutti temi che condizionano e determinano la vita di uomini e donne
in carne ed ossa.
E si tratta di problemi che non possono essere risolti semplicemente
facendo ricorso alla leva della spesa pubblica.
Non si può credere, pretendere o promettere che si possa avere tutto.
Bisogna fare delle scelte che saranno inevitabilmente difficili. Ma esse
saranno rese meno impraticabili se si studieranno e si illustreranno non
soltanto i costi che si dovranno coprire o tagliare ma anche i vecchi e i
nuovi bisogni ai quali le riforme potrebbero dare risposta.
Quando parlo dei nuovi bisogni, mi riferisco in particolare ai gruppi dei
più deboli tra i deboli: di coloro che sono rimasti senza lavoro, di
coloro che soffrono, o che hanno un famigliare che soffre di una malattia
incurabile, di coloro che vivono in condizioni di povertà tali o che sono
colpiti da emergenze così dure o improvvise da mettere in pericolo la
possibilità stessa di vivere una vita decente.
Per queste persone, per queste situazioni, l'Europa, se vuole essere
all'altezza della propria civiltà, deve prevedere di stendere una rete di
protezione.
A questa rete non può mancare la maglia di un reddito minimo garantito.
Ancorché tradotto in cifre che possono variare da un paese all'altro, si
tratta di un principio che deve, ripeto deve, essere accettato e fatto
proprio dall'intera paesi europea.
Immigrazione, integrazione e cittadinanza europea
L'immigrazione, fonte spesso di timori, è portatrice di ben più
consistenti e reali opportunità.
E' un fenomeno da governare, contrastandolo con durezza nei suoi aspetti
illegali ma agevolandolo laddove esso risponde tanto alle legittime
speranze di una vita migliore di uomini e donne che vengono da paesi meno
fortunati dei nostri, quanto alle esigenze ormai consolidate delle nostre
società.
Esse non possono più fare a meno degli immigrati, avendo bisogno tanto di
lavoratori pronti a svolgere le attività che i nostri cittadini ormai
tendono a rifiutare quanto di specialisti che possano contribuire a un
rilancio delle nostre imprese.
Quando si tratta di politica dell'immigrazione, nessuno Stato può essere
lasciato solo o può pensare di fare da solo. E’ indispensabile una
politica dell'immigrazione coordinata su scala europea.
Perché possa essere efficace e credibile (e nulla suscita più timori nelle
nostre popolazioni dell'impressione di essere di fronte ad un fenomeno non
governato e non controllato), tale politica deve comprendere più elementi.
Serve un'attività di contrasto all'immigrazione illegale basata su un
controllo delle frontiere esterne dell'Unione avvertito e gestito come una
responsabilità collettiva dei paesi membri.
Serve una politica dell'asilo basata su criteri validi su scala europea e
che non scoraggino ma aiutino l'inserimento nel mondo del lavoro.
Serve una politica di ammissione che, comunque le si voglia chiamare,
preveda quote europee costruite sulla base di indicazioni provenienti dei
singoli stati.
Serve un dialogo con i paesi di origine dei grandi flussi migratori che
preveda tanto investimenti quanto accordi di riammissione.
Serve, infine, una strategia per l'integrazione degli immigrati legali che
preveda un forte investimento sulle condizioni di vita delle famiglie e
nell'istruzione degli adulti ma soprattutto dei bambini come
indispensabile primo momento, la concessione del voto alle consultazioni
amministrative come opportuna tappa intermedia, e un più facile accesso
alla cittadinanza come logica conclusione dell'intero processo.
Di piena integrazione e di cittadinanza si dovrebbe parlare non solo per
gli immigrati provenienti da paesi esterni all'Unione ma anche per i
cittadini europei residenti in un paese dell'Unione diverso dal loro paese
d'origine.
Per questi europei, che hanno scelto di vivere in un nuovo paese, che
hanno quasi sempre sviluppato un senso di appartenenza al loro paese
d'elezione che non contrasta con l'attaccamento al loro paese d'origine e
che sono, in genere, portatori di un accentuato "spirito europeo", è tempo
di adottare una politica più generosa della cittadinanza.
E' tempo di dare contenuto concreto a quella cittadinanza europea che
rischia, altrimenti, di restare poco più che un concetto vago.
Ai cittadini dell'Unione, in qualunque paese essi risiedano, dovrebbe
essere riconosciuto il diritto di voto non solo alle consultazioni
amministrative ma anche alle elezioni politiche.
La certezza del diritto e la sicurezza
Uniti dal mercato e dalla moneta, gli europei chiedono di vivere, liberi e
garantiti, in un unico ed efficiente spazio di giustizia, con leggi chiare
e uguali per tutti.
Lo chiedono le famiglie per rispondere ai nuovi bisogni creati da società
aperte, unite e mobili.
Lo chiedono le imprese che trovano nell'incertezza dei loro diritti e
doveri un ostacolo che impedisce una proficua programmazione della loro
attività e dei loro investimenti.
Lo chiedono i cittadini, soprattutto i più deboli, per i quali una
giustizia frammentata e spesso intollerabilmente lenta equivale spesso a
nient'altro che ingiustizia, alla mancanza di difesa di fronte al più
forte e al più ricco.
Gli europei chiedono sicurezza e protezione: contro le grandi e terribili
minacce del terrorismo, contro la criminalità organizzata nel mondo
dell'economia, contro i pericoli che si incontrano nella vita quotidiana,
nelle città, di giorno e di notte, dove, una volta di più, sono i più
deboli e gli anziani ad essere i più esposti.
Governare vuol dire farsi carico anche delle ansie e dei timori dei
cittadini.
La più gran parte delle risposte possono e debbono venire dalle autorità
nazionali e locali. Ma molto può e deve essere fatto su scala europea
perché la criminalità e la vita stessa dei cittadini e delle imprese non
conoscono frontiere.
La collaborazione e il reciproco riconoscimento tra le autorità
giudiziarie e di polizia nazionali costituiscono la base indispensabile
per qualsiasi azione.
Chi ad esse si sottraesse, così come chi ponesse in discussione
l'autonomia e l'indipendenza dei sistemi giudiziari, si metterebbe, di
fatto, contro l'Europa e contro gli europei.
L’ambiente, un investimento che rende
Quasi sempre, quando si parla di crescita si pensa alla tutela
dell’ambiente come ad un vincolo, ad un costo aggiuntivo.
Ma questo è vero solo se appiattiamola nostra visuale e i nostri conti sul
tempo immediato.
Se alziamo la testa e guardiamo più lontano, vediamo che, quando ci
preoccupiamo di ridurre le emissioni inquinanti, di contenere il consumo
di energia, di alzare gli standard di sicurezza delle nostre produzioni
stiamo in realtà investendo sul nostro futuro.
Acque e aria non inquinate, prodotti agricoli e cibi sicuri sono garanzia
di una migliore salute dei nostri cittadini, di minori spese sanitarie.
Suoli, letti dei fiumi, boschi ben curati costituiscono la più efficiente
e conveniente protezione contro i disastri ai quali una natura abbandonata
e devastata ci sta drammaticamente abituando, anno dopo anno, estate dopo
estate.
Se, poi, guardiamo allo sviluppo dalla prospettiva dell’innovazione,
possiamo renderci conto di come quello dell’ambiente possa rappresentare
un campo privilegiato per lo sviluppo di nuove tecnologie e, dunque, un
vantaggio competitivo per l’industria europea.
Basta pensare - e le ho già ricordate - alle straordinarie opportunità
offerte dalla ricerca nel campo dell'economia dell'idrogeno e sulle celle
a combustibile specialmente se collegate all'uso delle risorse energetiche
non rinnovabili, o alle prospettive che potrebbero aprire, applicate al
controllo del territorio, le tecnologie di verifica del posizionamento
attraverso i satelliti.
L’ambiente è essenziale per la crescita e lo sviluppo dell’Europa anche
sotto un altro aspetto, altrettanto decisivo.
L’Europa è la regione più bella del mondo. I nostri mari, le nostre
montagne, le nostre città d'arte, grandi e piccole, non conoscono uguali.
In nessun’altra parte della terra è bello vivere come in Europa.
Ma l’Europa sta diventando più brutta: nelle sue campagne, nelle sue
coste, nelle sue città e, in modo particolare, nelle periferie delle sue
città, quasi tutte ugualmente brutte e invivibili.
La bellezza dell’Europa è una componente fondamentale della nostra
civiltà, del nostro modo di vivere.
E’ un patrimonio che non possiamo distruggere e che richiede un impegno
massiccio ed urgente.
Si tratta di fare delle scelte.
Scelte che in alcuni casi devono prendere la forma di semplici divieti
(divieti di costruire, di scaricare rifiuti, di sorvolare i centri
abitati), in altri casi, e penso in modo specifico alla politica
energetica, possono tradursi in incentivi per stimolare consumi,
investimenti e tecnologie a servizio di una migliore tutela dell'ambiente.
Una voce determinante può essere quella dei consumatori.
Con le loro scelte essi possono condizionare in modo decisivo quelle dei
produttori, tanto da indurre le imprese a considerare come paganti anche
sul breve termine politiche aziendali apertamente ispirate al rispetto per
l'ambiente o per i diritti dei produttori dei paesi più poveri.
Altrettanto importante è il contributo che possono portare i giovani.
Dalle nostre società europee sta progressivamente scomparendo la leva
obbligatoria.
E' giusto che sia così perché il servizio militare obbligatorio rispondeva
sempre meno alle moderne esigenze di difesa e i giovani lo vivevano come
una troppo lunga e costosa perdita di tempo tra la fine degli studi e
l'ingresso nel mondo del lavoro.
Ma sostituire il periodo del servizio militare con uno più breve, ma
ugualmente obbligatorio, di servizio civile potrebbe essere una buona
cosa.
Soprattutto se lo si collegasse alla tutela dell'ambiente e alla
protezione dei più deboli, non solo nel proprio paese di origine ma anche
negli altri paesi membri dell'Unione.
Le politiche per la pace
Ho lasciato di proposito per ultimo il tema della pace.
Senza pace non ci può essere alcuna libertà, alcuna giustizia.
Le politiche in favore della pace e, più in generale, l'intera politica
internazionale dell'Europa sono il riflesso della sua storia.
Il primo contributo che l’Europa può offrire è quello della sua stessa
esperienza.
L’Unione che abbiamo costruito è il frutto di un lungo, paziente dialogo,
della continua e spesso difficile ricerca di un superiore e comune
interesse e di un più alto e stabile equilibrio nel quale ciascuna parte
potesse riconoscersi.
E' un metodo di gestione delle relazioni tra gli stati che in cinquant'anni
ha permesso risultati, come l'allargamento dell'Unione da sei fino a
venticinque e domani a più di trenta paesi membri, o la pacifica adozione
di una moneta comune da dodici e domani molti più paesi, che non conoscono
precedenti nella storia.
L'Europa si presenta al mondo come il più straordinario esempio di governo
democratico della globalizzazione. Un esempio al quale, non a caso,
guardano continenti come l'America Latina e l'Africa che ricercano nuove
forme di collaborazione per superare antiche divisioni.
Nata per dire basta alla guerra tra popoli e in terre che avevano
conosciuto tutti gli orrori delle armi, delle distruzioni, delle violenze,
l'Europa unita si conferma con l'allargamento un fattore di pace, di
stabilizzazione, di sicurezza su scala continentale.
Oggi a nessuno verrebbe più in mente di considerare l’Europa orientale
come un’area a rischio. Ai paesi di questa regione nessuno più associa
un’idea di pericolo.
La storia si è ripetuta.
Quello che era successo tra i paesi fondatori dell’Europa, tra
Francia,Germania e Italia, è avvenuto di nuovo tra e con i nuovi paesi
membri, tra Polonia e Ungheria così come tra Germania e Polonia o tra
Italia e Slovenia.
La stessa cosa, e per tanti versi si tratta di un’evoluzione ancor più
straordinaria, sta avvenendo, anzi è già avvenuta, tra i paesi dell’ex
Jugoslavia i quali, con e grazie alla concreta prospettiva di un ingresso
nella comune casa europea, hanno di fatto cancellato ogni ipotesi di
conflitto tra loro.
Appresa la lezione del Kossovo, e dei massacri che solo l'intervento della
Nato e dell'America riuscirono a fermare, possiamo con serenità e con
orgoglio affermare che l’Europa ha fatto la sua parte fino in fondo,
Se i Balcani cesseranno per sempre di essere quel focolaio di crisi
internazionali che sono stati per secoli, il merito fondamentale sarà
stato dell’Europa.
Dal Baltico ai Balcani, l'Europa sta dimostrando in modo tangibile quanto
essa sia in grado di fare, come potenza regionale, per la sicurezza e la
stabilità internazionali.
In questa prospettiva regionale, le sfide successive saranno quella del
Mediterraneo e dell'arco dei paesi che si collocano immediatamente al di
là delle frontiere dell'Europa riunificata.
Il Mediterraneo è per l’Europa un’area cruciale, è una scommessa
obbligata.
L’Europa, e l’Italia in particolare, non potranno realizzare appieno le
proprie potenzialità di sviluppo, non potranno essere certe della propria
sicurezza fino a che il Mediterraneo non si sarà trasformato in un’area di
pace, di democrazia e di stabilità.
Solo attraverso un intenso rapporto con i paesi della riva sud del
Mediterraneo sarà possibile arrivare ad un pieno ed efficace controllo
dell’immigrazione.
Sul futuro di quest'area continua a pesare come un macigno che ostruisce
ogni strada di vera speranza, il conflitto israelo-palestinese.
La via obbligata da seguire, anche in questo momento in cui le speranze di
pace sembrano di nuovo allontanarsi, resta quella della cosiddetta Road
Map, elaborata e proposta in origine proprio da noi europei.
L’obiettivo finale di questo percorso resta, e non può che essere così,
l'esistenza, l’uno accanto all’altro, in pace e in sicurezza, dello Stato
d’Israele e dello Stato di Palestina.
Due stati liberi e sovrani, parti integranti e protagonisti di un Medio
Oriente finalmente capace di vivere in democrazia, in pace, nel benessere.
Per questo Medio Oriente, per la pace definitiva tra israeliani e
palestinesi, l’Europa deve essere pronta ad impegnarsi con risorse
finanziarie e umane.
Così come deve essere pronta ad operare per dare una nuova prospettiva ai
rapporti con i paesi, dalla Russia e dall’Ucraina fino al Marocco, che
sono e saranno i vicini dell’Europa allargata, che ne segnano il confine.
Se non mantenesse una propria identità che è culturale, politica e
istituzionale, l'Europa cesserebbe di essere tale. Per noi un'identità
forte è un'identità salda e aperta.
Pertanto, con questo arco dei paesi amici, dobbiamo puntare a condividere
tutto, tranne le istituzioni politiche.
Dobbiamo porci l’obiettivo di un rapporto così amichevole e stretto che ci
consenta di essere parte di un unico spazio economico, commerciale,
giuridico e culturale ben sapendo, però, che le nostre istituzioni
resteranno distinte.
Il valore esemplare della sua storia, un metodo di gestione delle
relazioni tra gli stati basato sul dialogo e il diritto, il determinante
contributo di stabilizzazione portato attraverso l'allargamento ad un'area
che si avvia ad abbracciare un intero continente, e una strategia
mediterranea aperta e generosa: questi sono i fondamenti della politica di
pace dell'Europa.
Noi europei abbiamo l'ambizione e sentiamo la responsabilità di
contribuire alla pace, alla stabilità e alla sicurezza su scala non solo
regionale ma mondiale.
Anche in questa più ampia e difficile prospettiva, intendiamo essere
fedeli a noi stessi, ai valori di quel mondo di giustizia che vogliamo
conservare come punto di riferimento per l'intera nostra azione.
Dall’accordo di Kyoto per una più efficace politica ambientale
all’istituzione della Corte penale internazionale, sino all’apertura
unilaterale dei propri mercati alle merci e ai prodotti provenienti dai
paesi più poveri, l’Europa ha con coerenza operato nella persuasione che
la via maestra per assicurare la stabilità internazionale è quella che
favorisce il superamento degli squilibri tra le diverse aree del pianeta.
Anche nei momenti in cui le divisioni al suo interno sono state più
evidenti, l'Europa ha costantemente dimostrato di privilegiare le
politiche e le azioni condotte attraverso le grandi istituzioni
sovranazionali.
L’Onu e, su una scala geograficamente più limitata, l’Alleanza Atlantica
sono gli indiscussi pilastri sui quali si fonda la politica estera
dell'Europa, che non può pensarsi né separata né, tanto meno, contrapposta
agli Stati Uniti.
L’Alleanza Atlantica, in particolare, è l’arco che da più di cinquant’anni
tiene insieme America ed Europa.
E come ogni altro arco, per essere solido e resistere nel tempo esso deve
reggersi su due pilastri egualmente forti: un pilastro americano e un
pilastro europeo.
Il che vuol dire, per l’Europa, accettare, anche sul piano strettamente
militare, le crescenti responsabilità, comprese quelle di bilancio, che si
collegano alla sua ambizione di essere un protagonista di primo piano
della politica mondiale.
La pace, la libertà e la sicurezza non sono date una volta per tutte e in
ogni parte del mondo.
Esse possono richiedere di essere difese anche con le armi.
Ma il quadro irrinunciabile di riferimento, allo stesso tempo politico e
giuridico, per l’agire internazionale dell’Europa sono le Nazioni Unite.
Per quanto evidente sia la necessità di una riforma dei meccanismi di
funzionamento e di decisione di questa istituzione, è all’Onu e nell’Onu
che si può costruire la risposta più forte e legittima al bisogno di
governo delle relazioni internazionali.
La linea di coloro che pensano che il mondo sia più stabile se affidato ad
un’unica superpotenza non è quella dell’Europa.
4. Il governo dell'Europa
Ho affrontato le sfide che ci attendono, i valori ai quali dobbiamo
ispirare le nostre risposte, le scelte che dobbiamo operare per dare corpo
e sostanza alla visione di un'Europa di giustizia.
Ho usato infinite volte la parola Europa.
Come se l'Europa fosse già oggi un soggetto capace di esprimere e attuare
una politica unitaria, come se disponessimo di un governo europeo o, per
essere più precisi, di un efficiente sistema di governo dell'Europa.
Ma non è ancora così.
La costruzione di un sistema di governo efficiente e coerente è una meta
che non possiamo dire di avere raggiunto, non da ultimo perché l'Europa è
una realtà complessa.
Unione di Stati e di popoli, l'Europa ha un sistema di governo al quale
concorrono istituzioni ed autorità europee, nazionali, regionali e locali.
Ad esso non si adattano rigide e permanenti distinzioni di competenze tra
i diversi livelli di governo.
Si richiedono, invece, collaborazioni intense e continue tra tutte le
istituzioni.
Questo non è in contraddizione col fatto che, in quelle sfere di attività
in cui nessuno stato da solo può pensare di potere efficacemente agire da
solo e, al contrario, soltanto un'azione comune su scala europea può dare
risultati, l'Europa deve essere messa in condizioni di parlare con una
voce sola, di operare con una unica e riconosciuta capacità di governo.
E' già così oggi per campi diversi come quelli della concorrenza e dei
negoziati commerciali internazionali, e non è un caso che proprio in
questi settori l'Europa sia un attore a pieno titolo sulla scena mondiale.
Ma troppi sono i campi e troppe le occasioni in cui l'azione europea è
frenata dalla mancanza di chiare linee di autorità, dai diritti di veto,
da procedure che non permettono di far seguire con immediatezza l'azione
alla decisione.
Penso al governo dell'economia, con la Banca Centrale Europea, custode e
responsabile della politica monetaria, alla quale manca un interlocutore
altrettanto forte e stabile, responsabile della politica di bilancio.
Ma penso anche, alle politiche sull'immigrazione, alla giustizia, al
controllo delle frontiere esterne, alla ricerca scientifica oltre che,
ovviamente, alla politica internazionale e, in un tempo più lontano ma che
ha bisogno di essere preparato sin d'ora con decisioni concrete, alla
difesa.
La forma delle istituzioni europee non è ancora all'altezza delle nostre
ambizioni.
La sua evoluzione dipende dalle nostre scelte, dalla nostra visione
dell'Europa come vera e profonda unione politica, oppure come niente più
che un'area di libero scambio.
La capacità dell’America di reagire con prontezza al peggiorare della
situazione economica o di esprimere una precisa linea di politica estera
non dipende dal fatto che il Texas, la California e la Florida e tutti gli
altri stati abbiano miracolosamente prodotto una visione comune dei
problemi dell’economia o della politica internazionale ma dal fatto che il
sistema costituzionale prevede e offre gli strumenti per produrre
decisioni rapide ed impegnative.
Se vogliamo governare in modo efficace e coerente la nostra economia, se
vogliamo competere da pari a pari sui mercati internazionali, se vogliamo
pesare sulle scelte e sugli indirizzi della politica mondiale, dobbiamo
essere in grado di decidere in modo altrettanto veloce ed efficiente.
Siamo pronti ad adottare come regola generale per le decisioni delle
istituzioni europee il sistema del voto a maggioranza?
Siamo pronti ad accettare che, in un campo essenziale per il completamente
del mercato unico come quello delle imposte indirette, debba cadere il
diritto di veto dei singoli stati? Siamo pronti a dar vita ad un'agenzia
europea per la protezione civile, mettendo in comune le nostre sparse
risorse nazionali contro terremoti, alluvioni ed incendi, magari
dipingendo con il blu e le dodici stelle gialle della bandiera europea i
nostri Canadair? Siamo pronti ad istituire una Fondazione Europea per la
Scienza per assicurare alla ricerca scientifica europea un livello di
qualità e indipendenza comparabile a quello permesso sull'altra sponda
dell'Atlantico dalla American Science Foundation?
Siamo pronti a rinunciare ai seggi nazionali a favore di un unico seggio
europeo al Fondo Monetario Internazionale?
Siamo pronti ad adottare strumenti che permettano all'Europa di essere
effettivamente rappresentata in modo unitario e coerente nel Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite?
Queste sono le scelte che ci stanno davanti e che definiscono, ben più
concretamente di tante vuote proclamazioni di fede europeista, il vero
atteggiamento che ciascuno di noi, che ciascun governo, che ciascuna forza
politica ha nei confronti dell'Europa.
5. Le forme della politica
L'Europa di oggi è ancora lontana, nelle sue istituzioni, nelle sue
strutture, nei suoi confini, nei suoi compiti e nelle sue politiche,
dall'avere raggiunto il grado di maturità e consolidamento propri degli
Stati nazionali.
Essa è un cantiere aperto.
Per farlo avanzare è ancora necessario, in questa fase storica, un
consenso molto largo, che non permette le divisioni delle quali si nutrono
la politica e la democrazia su scala nazionale.
Si spiega così, ad esempio, il fatto che l'organo esecutivo dell'Unione,
la Commissione, sia tuttora concepito come una istituzione tenuta, nel suo
operare, a prescindere non solo come è ovvio dalle divisioni nazionali, ma
anche dalle distinzioni politiche.
Questo non vuol dire che per la politica europea sia appropriato, anche
per il futuro, un modello che mette in qualche modo la sordina a un aperto
confronto politico.
Al contrario, di pari passo con il consolidarsi dell’Unione Europea come
soggetto dotato di una precisa identità istituzionale e come attore di
primo piano sulla scena internazionale, è auspicabile che venga a piena
maturità anche il sistema della politica europea.
Al di là delle differenze che continueranno ad esistere tra paese e paese,
anche su scala europea emergeranno e si affermeranno poche e grandi
famiglie politiche nelle quali finiranno naturalmente per ritrovarsi
forze, movimenti e tradizioni che avranno constatato di condividere
analoghi valori e fonti di ispirazione.
Questo implicherà evoluzioni non superficiali dei soggetti politici
esistenti e forse l'emergere di soggetti nuovi, perché le famiglie
politiche di oggi sono ancora in larga parte l'espressione di realtà e di
divisioni che risalgono a una stagione ormai antica della politica
europea, a prima della caduta del Muro di Berlino.
Sono consapevole di quanto fortemente sentite siano le identità delle
forze politiche europee.
Questo è particolarmente vero sul versante riformatore della politica
europea.
Si tratta, tuttavia, di forze che condividono una visione dell’Europa
fondata sui valori della libertà e della giustizia sociale, che sono
accomunate
da un’esplicita passione europea.
Su scala europea e nel nome dell'Europa, esse possono trovare ragioni
forti per unirsi in una nuova e grande famiglia politica.
E' in questa prospettiva che, guardando all'Italia e alle elezioni della
primavera prossima per il rinnovo del Parlamento Europeo, ho proposto a
tutti i riformatori che si riconoscano in una comune visione dell'Europa,
e che siano pronti a condividere un programma comune, di unirsi in una
singola lista.
Forti del consenso ricevuto, essi dovrebbero poi operare in modo
altrettanto unitario nel Parlamento Europeo.
.
E' una iniziativa politica nuova, autenticamente europeista, aperta ai
diversi raggruppamenti riformatori, ai cittadini, ai movimenti.
L'ispirazione, tuttavia, resta quella che fu all'origine dell'Ulivo.
Un disegno che rappresentava e rappresenta un tempo nuovo, un modo nuovo,
una forma nuova della politica.
Di fronte a coloro che strumentalizzano i timori legati alle
trasformazioni economiche e sociali per spingere gli europei a ripiegarsi
egoisticamente su se stessi e a chiudersi al nuovo e al resto del mondo,
una lista comune dei riformatori italiani offrirebbe una visione di
apertura, di innovazione, di solidarietà.
Rappresentando in modo unitario questo progetto di fronte ai cittadini,
essa sarebbe coerente, anticiperebbe e aiuterebbe l'evoluzione e la
ristrutturazione in senso bipolare del sistema politico europeo.
Anche su scala europea, il sistema che meglio garantisce il buon governo è
l’aperto confronto tra due schieramenti, l’uno alternativo all’altro.
La strada che la politica europea dovrà compiere per arrivare a questa
meta sarà certamente lunga.
Ma ogni cammino, anche quello lungo mille miglia, deve cominciare con un
primo passo. E più lungo è il cammino che si deve percorrere, più è
importante che quel primo passo sia fatto con rapidità.
Questo è il tempo delle scelte.
Uniti, possiamo proporre un progetto politico forte, possiamo ridare
fiducia a chi guarda con preoccupazione ai grandi cambiamenti del mondo
d'oggi, possiamo essere artefici di una azione internazionale dal volto
umano.
Uniti, possiamo dare una risposta nuova alla crisi della politica e della
democrazia.