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Ultimo aggiornamento: 15-10-03

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Cristiani e Politica

di Bartolomeo Sorge SI
Padre Gesuita direttore di Aggiornamenti Sociali;
 

Vademecum del cristiano in politica

Bartolomeo Sorge S.I.

 

Il documento che la Congregazione per la Dottrina della Fede ha indirizzato ai cattolici impegnati in politica non vuol essere un trattato sul rapporto tra etica e politica. Si propone invece di orientare i cristiani in politica di fronte ad alcuni nodi etici della vita democratica. Infatti, «la società civile si trova oggi all’interno di un complesso processo culturale che mostra la fine di un’epoca e l’incertezza per la nuova che emerge all’orizzonte. Le grandi conquiste di cui si è spettatori provocano a verificare il positivo cammino che l’umanità ha compiuto nel progresso e nell’acquisizione di condizioni di vita più umane. La crescita di responsabilità nei confronti di Paesi ancora in via di sviluppo è certamente un segno di grande rilievo, che mostra la crescente sensibilità per il bene comune. Insieme a questo, comunque, non è possibile sottacere i gravi pericoli a cui alcune tendenze culturali vorrebbero orientare le legislazioni e, di conseguenza, i comportamenti delle future generazioni» (n. 2). Senza negare i progressi che l’umanità ha compiuto grazie al consolidarsi del sistema democratico nel mondo, la Chiesa ritiene quindi che non si possano chiudere gli occhi su tendenze culturali che minacciano di compromettere i traguardi raggiunti e il futuro stesso della democrazia.

Nasce qui il problema per i cristiani in politica. Infatti, da un lato, non possono abdicare alla partecipazione alla vita politica, d’altro lato, devono fare i conti con orientamenti culturali ambigui, che spingono i legislatori a compiere scelte moralmente discutibili o inaccettabili. Come rimanere sempre fedeli alla propria coscienza e a valori che sono irrinunciabili? Si avvertiva il bisogno di un intervento chiarificatore.

Questo è venuto dalla Congregazione per la Dottrina della Fede con la Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica (L’Osservatore Romano, 17 gennaio 2003). Il documento insiste, in primo luogo, sulla necessità di dare un’anima etica alla vita democratica (n. 2). Seguono poi alcuni orientamenti, in particolare circa il pluralismo (n. 3), il rapporto tra identità cristiana e appartenenza politica (n. 4), la laicità (nn. 5-6).

 1. Dare un’anima etica alla vita democratica

Il primo compito dei cristiani — dice la Nota — è dare un’anima etica alla vita democratica, sanare la pericolosa frattura che si è aperta tra etica e politica. Dopo la fine del socialismo reale, la cultura neoliberista appare vincente e tende a divenire cultura egemone, «pensiero unico», col rischio di omologare le altre culture, dilapidandone il ricco patrimonio di valori. Il punto debole della cultura politica dominante sta nell’intreccio tra democrazia e relativismo etico, per cui le differenti opinioni politiche, culturali, morali e religiose sono ritenute tutte dello stesso valore e ugualmente legittime, mentre la libertà è intesa come la possibilità di fare e scegliere ciò che più aggrada con l’unico limite del rispetto della libertà altrui. La Nota prende chiaramente le distanze da questa concezione di democrazia permissiva e individualistica, e ribadisce che «la libertà politica non è né può essere fondata sull’idea relativista che tutte le concezioni sul bene dell’uomo hanno la stessa verità e lo stesso valore» (n. 3). La ragione è — come mostra l’esperienza — che così si riduce la vita democratica a mero pragmatismo; si toglie trasparenza al funzionamento delle istituzioni pubbliche le quali, anziché servire l’interesse comune, si trasformano in strumenti di potere e di interessi corporativi; si affievolisce il senso dello Stato nella classe dirigente e negli stessi cittadini. Pertanto non è esagerato concludere che oggi la «questione democratica» è essenzialmente una «questione morale».

Oltre tutto — prosegue il documento vaticano —, l’esigenza di dare un’anima etica alla politica è postulata dai traguardi raggiunti dalla scienza e dalla tecnica: «La conquista scientifica, infatti, ha permesso di raggiungere obiettivi che scuotono la coscienza e impongono di trovare soluzioni capaci di rispettare in maniera coerente e solida i principi etici. Si assiste invece a tentativi legislativi che, incuranti delle conseguenze che derivano per l’esistenza e l’avvenire dei popoli nella formazione della cultura e dei comportamenti sociali, intendono frantumare l’intangibilità della vita umana» (n. 4).

In sostanza, la Nota accusa la cultura neoliberista egemone di non rispettare la dignità trascendente della persona e di minare alla radice la stessa vita democratica, privandola di punti sicuri di riferimento. Su questo pericolo Giovanni Paolo II già altre volte aveva richiamato l’attenzione: «Dopo la caduta, in molti Paesi, delle ideologie che legavano la politica ad una concezione totalitaria del mondo — e prima fra esse il marxismo —, si profila oggi un rischio non meno grave per la negazione dei fondamentali diritti della persona umana […]: è il rischio dell’alleanza fra democrazia e relativismo etico, che toglie alla convivenza civile ogni sicuro punto di riferimento morale e la priva, più radicalmente, del riconoscimento della verità» (enciclica Veritatis splendor [1993], n. 101).

Posta questa premessa, ogni degenerazione è possibile: «Se non esiste nessuna verità ultima, la quale guida e orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono essere facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia» (Id., enciclica Centesimus annus [1991], n. 46). Infatti — spiega la Nota vaticana — avviene che «da una parte, i cittadini rivendicano per le proprie scelte morali la più completa autonomia mentre, dall’altra, i legislatori ritengono di rispettare tale libertà di scelta formulando leggi che prescindono dai principi dell’etica naturale per rimettersi alla sola condiscendenza verso certi orientamenti culturali o morali transitori, come se tutte le possibili concezioni della vita avessero uguale valore» (n. 2).

Ebbene, mentre la Chiesa non dubita che la democrazia sia il sistema che meglio garantisce la partecipazione dei cittadini alla vita politica, nello stesso tempo però insiste che non vi può essere vera democrazia se non si fonda sulla retta concezione della persona. «Su questo principio — afferma pertanto la Nota — l’impegno dei cattolici non può cedere a compromesso alcuno, perché altrimenti verrebbero meno la testimonianza della fede cristiana nel mondo e la unità e coerenza interiori dei fedeli stessi. [...] è il rispetto della persona, peraltro, a rendere possibile la partecipazione democratica» (n. 3). Perciò, di fronte agli attentati che oggi si perpetrano contro la persona umana, i cristiani «hanno il diritto e il dovere di intervenire per richiamare al senso più profondo della vita e alla responsabilità che tutti possiedono dinanzi ad essa» (n. 4). Si tratta, appunto, di dare un’anima etica alla vita democratica.

2. Il pluralismo

Le medesime ragioni che motivano il rifiuto del relativismo etico, fondano il retto concetto di pluralismo. La Nota introduce in proposito una distinzione importante: il pluralismo — dice — non riguarda i principi etici, «che per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono “negoziabili”» (n. 3); riguarda invece la possibilità di strategie politiche differenti, data «la possibilità di interpretare in maniera diversa alcuni principi basilari della teoria politica, nonché la complessità tecnica di buona parte dei problemi politici» (ivi).

Il pluralismo delle opzioni politiche dunque non solo è legittimo, ma è necessario alla vita democratica. Infatti, esso è postulato dalla natura stessa della politica, che per definizione è «l’arte del possibile», dovendo essa affrontare e risolvere problemi complessi, condizionati dalle concrete situazioni sociali, culturali, economiche o di altra natura. Chi potrebbe mai pretendere di conoscere a tal punto una determinata situazione politica, da ritenere che per affrontarla non esista altra via possibile che quella da lui proposta? è del tutto normale perciò che sulla via da seguire vi siano pareri politici differenti e discordanti, anche tra quanti si ispirano ai medesimi valori etici e ideali.

è quindi fuori discussione «la legittima libertà dei cittadini cattolici di scegliere, tra le opinioni politiche compatibili con la fede e la legge morale naturale, quella che secondo il proprio criterio meglio si adegua alle esigenze del bene comune» (n. 3). Il dovere che i cristiani hanno di agire in coerenza con la fede e con i principi etici fondamentali, non impedisce affatto che differiscano tra di loro sul giudizio da dare circa la opportunità, le priorità, l’efficacia o la valutazione prudenziale di un programma di partito o di governo: «Nelle situazioni concrete e tenendo conto delle solidarietà vissute da ciascuno — scriveva Paolo VI già anni fa — , bisogna riconoscere una legittima varietà di opzioni possibili. Una medesima fede cristiana può condurre a impegni diversi» (Lettera apostolica Octogesima adveniens, n. 50).

Oggi la Nota ammette in forma ancora più esplicita che «vi possa essere una pluralità di partiti all’interno dei quali i cattolici possono scegliere di militare per esercitare — particolarmente attraverso la rappresentanza parlamentare — il loro diritto-dovere nella costruzione della vita civile del loro Paese» (n. 3). è, questa, una scelta che dipende dalla coscienza e dalla sensibilità socio-culturale dei singoli: «Non è compito della Chiesa formulare soluzioni concrete — e meno ancora soluzioni uniche — per questioni temporali che Dio ha lasciato al libero e responsabile giudizio di ciascuno, anche se è suo diritto e dovere pronunciare giudizi morali su realtà temporali quando ciò sia richiesto dalla fede o dalla legge morale» (ivi).

 

3. Identità cristiana e appartenenza politica

Tuttavia — precisa subito il documento vaticano —, pluralismo non è sinonimo di indifferentismo. L’identità cristiana è molto esigente. Perciò, ferma restando la legittimità di opzioni diverse, bisogna riconoscere che non tutti i programmi, i partiti e gli schieramenti politici sono ugualmente vicini alla visione sociale cristiana e all’insegnamento della Chiesa.

Ciò pone al cristiano in politica un altro grave interrogativo: come rimanere fedele alla propria identità e ai propri ideali, quando l’appartenenza a un partito o a uno schieramento non consente di esprimere pienamente i valori in cui crede, quando il rispetto del metodo democratico pone di fronte a scelte che contrastano con valori morali irrinunciabili, quali il bene integrale della persona, la vita, la famiglia, l’educazione, la libertà religiosa, la pace?

La Nota ribadisce anzitutto la necessità di una coraggiosa testimonianza pubblica: «I cattolici, in questo frangente, hanno il diritto e il dovere di intervenire per richiamare al senso più profondo della vita e alla responsabilità che tutti possiedono dinanzi a essa. […] hanno il “preciso obbligo di opporsi” ad ogni legge che risulti un attentato alla vita umana» (n. 4). La testimonianza però non basta. Perciò, mentre dichiarano apertamente il proprio dissenso e ribadiscono la piena adesione ai valori etici irrinunciabili, i cristiani in politica dovranno pure servirsi di tutti gli strumenti che il metodo democratico offre per ottenere il maggior bene concretamente possibile nelle diverse situazioni. Il documento — a modo di esempio — riporta l’orientamento dato da Giovanni Paolo II a proposito della legge sull’aborto: «un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione all’aborto fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica» (enciclica Evangelium vitae [1995], n. 73).

Il card. Martini, a suo tempo, spiegò con chiarezza perché questo comportamento è lecito. Se è vero — disse — che i principi etici sono assoluti e immutabili e l’azione politica deve sempre ispirarsi a essi, è pur vero però che «l’azione politica [...] non consiste di per sé nella realizzazione immediata dei principi etici assoluti, ma nella realizzazione del bene comune concretamente possibile in una determinata situazione» (Intervento all’incontro conclusivo delle scuole di formazione socio-politica sul tema: «La politica, via alla santità» [1998], in Martini C. M., Il Padre di tutti. Lettere, discorsi e interventi 1998, edb - Centro Ambrosiano, Bologna 1999, 290). In altre parole, l’azione politica comporta sempre una certa gradualità nella realizzazione del bene comune, secondo le possibilità concrete in cui ci si trova a operare. I cristiani, dunque, commetterebbero un gravissimo errore se abbandonassero la politica per il timore di compromettere la propria identità o se si chiudessero in uno splendido isolamento rifiutando ogni dialogo: «vale più la proposta di cammini positivi, pur se graduali — concludeva il card. Martini —, che non la chiusura su dei “no” che, alla lunga, rimangono sterili. […] Non ogni lentezza nel procedere è necessariamente un cedimento. C’è pure il rischio che, pretendendo l’ottimo, si lasci regredire la situazione a livelli sempre meno umani» (C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare [1995], Centro Ambrosiano, Milano 1995, 22 s.).

 

4. La laicità

Dunque, per armonizzare la fedeltà alla propria identità cristiana e alle regole della politica, è necessaria una mediazione etica e antropologica, che eviti da un lato il clericalismo di chi vorrebbe tradurre immediatamente i valori cristiani in politica e, dall’altro, il qualunquismo di chi è disposto a scendere a patti con la coscienza pur di ottenere qualche vantaggio immediato.

La Nota prende le distanze dal clericalismo e dal qualunquismo e ripropone invece le acquisizioni dottrinali e pastorali del Concilio Vaticano II e del Magistero sociale. Come ogni altra realtà temporale — afferma il documento —, anche la politica è laica: ha come fine, cioè, il bene temporale della comunità civile, possiede leggi e strumenti propri che sono autonomi, non mutuati dalla fede e dall’ordine soprannaturale. Dalla fede non si può dedurre direttamente un modello di società, di governo o di partito; la fede non libera il cristiano dalle responsabilità e dai rischi propri dell’azione politica, né dalla fatica di cercare le necessarie mediazioni che la vita democratica impone.

La laicità, secondo il documento vaticano, è dunque «autonomia della sfera civile e politica da quella religiosa ed ecclesiastica […], è un valore acquisito e riconosciuto dalla Chiesa e appartiene al patrimonio di civiltà che è stato raggiunto» (n. 6). Qui la Nota cita un brano di Giovanni Paolo II del 1991: «Identificare la legge religiosa con quella civile può effettivamente soffocare la libertà religiosa e, persino, limitare o negare altri inalienabili diritti umani»; e conclude: «Il riconoscimento dei diritti civili e politici e l’erogazione dei pubblici servizi non possono restare condizionati a convinzioni o prestazioni di natura religiosa da parte dei cittadini» (ivi).

Detto questo, però, il documento puntualizza: autonomia dalla sfera religiosa non significa affatto autonomia dalla sfera morale. Il fatto poi che i valori morali fondamentali (riguardanti la vita sociale, la giustizia, la libertà, la pace, il rispetto della vita e degli altri diritti della persona) siano conformi alla dottrina cristiana non li trasforma in valori «confessionali», né sminuisce la legittimità civile e la laicità dell’impegno politico di coloro che li riconoscono. Non ha senso, dunque, ed è deviante presentare come battaglie «confessionali» i dibattiti su questioni etiche, che sono semplicemente civili ed essenzialmente umane. Dal canto suo, poi, «il Magistero della Chiesa non vuole esercitare un potere politico né eliminare la libertà d’opinione dei cattolici su questioni contingenti. Esso intende invece — come è suo proprio compito — istruire e illuminare la coscienza dei fedeli, soprattutto di quanti si dedicano all’impegno nella vita politica, perché il loro agire sia sempre al servizio della promozione integrale della persona e del bene comune» (ivi). Rimangono quindi intatte la laicità e la autonoma responsabilità dell’impegno politico dei cristiani.

 

***

La Nota si chiude con un invito al coraggio. Sarebbe «insufficiente e riduttivo pensare che l’impegno sociale dei cattolici possa limitarsi a una semplice trasformazione delle strutture» (n. 7). I cristiani non possono accontentarsi di ottenere l’uno o altro obiettivo, rinunciando a partecipare alla elaborazione del progetto globale di società. Essi sono chiamati a mediare in termini antropologici,  accettabili da tutti, i valori etici fondamentali, che sono parte del patrimonio dei valori cristiani. Occorre perciò ricominciare dalla cultura. I cristiani, nel rispetto del pluralismo, della laicità e della legalità democratica, non si possono permettere una «diaspora spirituale e culturale», che minerebbe alla radice la loro testimonianza e priverebbe d’ogni efficacia il loro impegno politico.

In conclusione, il documento pone l’accento sulla responsabilità e sull’autonomia della coscienza personale di fronte alle scelte politiche, nella fedeltà ai valori cristiani e all’insegnamento della Chiesa. Nonostante le cautele e le distinzioni, la Nota non è dunque un«ritorno al passato» o un «salto all’indietro», come alcuni commentatori hanno frettolosamente affermato. Certo, il cammino è ancora lungo, ma il Concilio Vaticano II non è passato invano.

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Ultimo aggiornamento: 06-09-03