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  Ultimo aggiornamento: 29-10-03

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Riflessioni intorno alla Margherita

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente articolo, al fine di favorire la discussione, i ragionamenti ed il dibattito sul futuro e sul ruolo del nostro partito.

RIFLESSIONI INTORNO ALLA MARGHERITA

 di Alfredo Bazoli

La Margherita ha recentemente avuto il suo battesimo elettorale anche a Brescia, raccogliendo, alle amministrative che hanno riconfermato Corsini alla guida della città, l’11% dei consensi.

Il risultato mi offre l’occasione per un ragionamento intorno allo stato di salute del nuovo partito, a oramai più di due anni dal suo esordio sulla scena politica, e a più di un anno dal congresso di Parma che ne ha sancito formalmente la nascita.

Con una doverosa premessa: che le mie riflessioni non sono “neutrali”, perchè la mia angolatura visuale è quella di chi ha vissuto dall’interno degli organismi dirigenti provinciali provvisoriamente costituiti la genesi della nuova formazione politica, condividendone le ragioni e le ambizioni.

La Margherita è nata direi con un obiettivo qualificante, quello di dar vita, dentro allo schieramento riformista, ad uno strumento di partecipazione politica in grado di rispondere alle esigenze della moderna società complessa, e dunque privo dei vizi e dei limiti che hanno reso sempre più complicato, per i vecchi partiti, raccogliere consensi e adesioni, per questa via impoverendoli nella loro attitudine di interpreti vivaci e coraggiosi della società.

Non dirò certo nulla di nuovo ricordando che l’origine di questa conclamata difficoltà delle formazioni politiche ancorate alle vecchie tradizioni e culture è rinvenibile in un fatto storico, nella fine di quello che lo storico inglese Eric Hobsbawn ha definito il “secolo breve”, quello iniziato con la prima guerra mondiale ed esauritosi con la caduta del muro di Berlino, dominato dalle grandi contrapposizioni ideologiche, dalla nascita e dal tramonto dei totalitarismi, dai conflitti mondiali e dallo scontro tra i blocchi.

Come noto, la fine di quell’epoca, con l’implosione dell’Unione Sovietica, ha avuto un impatto particolarmente rilevante da noi, in Italia, perchè ha portato con sè l’esaurimento delle ragioni della democrazia bloccata, dell’impossibilità dell’alternanza, giustificate dalla presenza del più grande partito comunista dell’occidente.

Il nuovo secolo si è dunque aperto per la società italiana in un orizzonte politico totalmente mutato, nel quale l’intero modo di partecipare e vivere la politica sono stati completamente modificati in ragione del faticoso avvio della democrazia matura, quella dove schieramenti politici diversi si contendono la guida del paese con la medesima legittimazione, sotto il rassicurante ombrello della comune condivisione dei valori di fondo della democrazia liberale.

Venuta meno l’emergenza democratica, cessate le ragioni ideologiche che costituivano vincoli in grado di legare in modo definitivo i cittadini ai partiti di riferimento, si è ammorbidito anche il cemento attorno al quale si erano costruite e poi cristallizzate le tradizionali identità politiche, e si è allentata in qualche misura anche quella spinta che favoriva una massiccia partecipazione alla vita politica attiva.

Dentro il nuovo orizzonte della democrazia matura, la scelta elettorale e di partecipazione dei cittadini non è più legata ed ancorata ad un vincolo di appartenenza a identità cresciute dentro la competizione ideologica, ma è finalmente libera, non solo di individuare partiti e movimenti da votare sulla base dei programmi e dei leader, ma persino di astenersi dalla partecipazione attiva limitandosi a operare una scelta al momento del voto.

La trasformazione epocale della democrazia italiana ha portato con sè, inevitabilmente, anche l’esaurimento delle funzioni e del ruolo non tanto dei partiti tout court ovvero delle tradizioni politiche da essi rappresentate, ma di quei partiti cresciuti e vissuti dentro la democrazia bloccata.

Di qui, dunque, la necessità di ridefinire l’impianto, la filosofia e l’organizzazione degli strumenti di partecipazione alla vita politica.

Il nuovo tempo ha reso necessario costituire nuovi partiti fondati non più sul mero senso di appartenenza alle vecchie identità, ma sulla condivisione di valori di fondo, da promuovere e declinare attraverso i programmi, i progetti, le idee, nonchè attraverso la scelta dei leader sulle gambe dei quali potessero camminare.

Non poteva più bastare dichiarare le proprie generalità, o richiamarsi ai fasti del passato per garantirsi consenso e partecipazione, ma occorreva essere capaci di misurarsi liberamente e coraggiosamente sulle proposte e sulle persone, uniche vere ed autentiche cartine di tornasole dei valori di fondo enunciati.

E’ proprio su questi aspetti, a mio avviso, che i partiti sorti dalle ceneri del sistema politico del “secolo breve” hanno mostrato inadeguatezze e incapacità.

Per miopia politica, per piccole convenienze, per inutili tatticismi, per inevitabili rigidità: per tutti questi motivi, quei partiti si sono limitati a richiamarsi alle vecchie culture politiche di provenienza, senza essere in grado di rinnovarsi più profondamente come il nuovo tempo richiedeva.

Non solo, hanno preteso di essere gli unici autentici depositari ed interpreti di quelle culture, senza accorgersi che, in tal modo, le loro difficoltà rischiavano di condannarle alla definitiva marginalità e subalternità.

Non è certo un caso se, in questo contesto, il terreno incolto è stato seminato ed arato da un uomo di impresa, abituato per cultura e professione a rischiare del proprio per cogliere le opportunità offerte dalle curve della storia, che in pochi mesi dal nulla ha creato un partito in grado di collocarsi fin da subito, e da molti anni a questa parte, in cima al gradimento degli elettori italiani, pur non evocando alcuna identità politica di riferimento, pur essendo scarsamente radicato, pur non avendo mai celebrato un congresso, pur non abbondando di personale politico culturalmente preparato.

Un partito di plastica, come si dice evocando la cultura dell’apparenza cara al suo demiurgo, e tuttavia in grado di catalizzare consensi, ed anche adesioni, perchè capace di proporre una piattaforma politica semplice ma comprensibile, nonchè una leadership credibile ai fini del raggiungimento degli obiettivi proposti.

Non certo un modello da imitare pedissequamente, beninteso, ma comunque un esempio da cui trarre qualche utile ammaestramento.

La nascita dell’Ulivo ha rappresentato il primo tentativo di rispondere con lungimiranza e fantasia alle sfide della nuova epoca che già qualcuno, come visto, aveva raccolto, mediante la costruzione di un’alleanza della quale il cemento non era più il mero riferimento alle vecchie identità, ma piuttosto il richiamo a valori di fondo comuni, nonchè l’individuazione di un progetto per il paese e di un leader serio e credibile che ne divenisse il punto di riferimento.

Elemento portante ed ineliminabile di quell’esperienza, non credo per una semplice casualità, erano i comitati che, a sostegno dell’iniziativa, sorsero a migliaia in tutto il paese, raccogliendo, dentro una forma nuova e spontanea di partecipazione alla vita politica, militanti di tutti i partiti e di tutte le provenienze, e tanti giovani alla loro prima esperienza.

Sappiamo tutti come finì quel primo tentativo: con il ritorno prepotente e stolido delle gelosie e faziosità di partito che azzopparono e dimidiarono potenzialità e forza di quell’intuizione.

E’ in questo contesto politico, caratterizzato dall’incapacità dei partiti di più vecchia tradizione di liberarsi dai condizionamenti del passato, dalla frammentazione politica sempre più accentuata, dalla difficoltà di riprendere il cammino virtuoso interrotto con la caduta del governo Prodi, che è maturata via via la consapevolezza che fosse necessario dare vita ad una nuova formazione politica capace di raccogliere ed affrontare le sfide della modernità.

Un partito che fosse in grado di collocarsi al centro dell’iniziativa politica del centro sinistra, che ne diventasse il motore per la capacità di sperimentare il futuro tracciando nuove strade, dove trovassero collocazione le culture politiche che per la loro ispirazione ideale erano idonee più di altre a liberarsi dai recinti oramai angusti dell’epoca trascorsa, vale a dire le culture di governo della storia repubblicana, quelle abituate da sempre a misurarsi con le sfide difficili del riformismo possibile pesando, mediando e scegliendo tra interessi contrapposti.

Un partito che, per queste caratteristiche, fosse capace di proporsi come riferimento di tutti coloro che, oggi, rifiutano di limitarsi a rimpiangere il passato esecrando la modernità, abbracciano con fiducia il presente perchè credono nella storia come progresso ed evoluzione continui e non accidentali, che vogliono cercare soluzioni coraggiose ai problemi del nostro tempo liberi dai condizionamenti e pregiudizi del passato, e desiderano informare a questa libertà le scelte della politica.

Detto altrimenti, un partito giovane, come l’epoca che stiamo vivendo.

Di tale partito, la nascente Margherita, costituivano un motore essenziale, ancorchè non esclusivo, i cattolici democratici e liberali, finalmente tornati protagonisti di un soggetto politico capace di riportarli alla centralità dell’iniziativa politica italiana, come era stato, per l’ultima volta, ai tempi della costituzione dell’Ulivo.

Su questo punto intendo essere molto chiaro.

Molti, temendo che l’esaurimento dell’esperienza del partito popolare dentro la nuova formazione avrebbe comportato anche l’annacquamento o il definitivo tramonto della cultura politica da esso rappresentata, si sono opposti alla nascita della Margherita, ed ancor oggi guardano con malcelata diffidenza al nuovo partito.

Io invece, che di quella cultura sono figlio (in senso direi quasi letterale), sono persuaso che solo all’interno di un progetto di più ampio respiro possa tornare a recitare il ruolo che la storia italiana le ha assegnato, recuperando forza e prospettiva, e viceversa che il confino dentro un partito geloso della propria purezza ideale e chiuso come una riserva indiana ne avrebbe comportato, quello si, la condanna all’emarginazione.

E mi pare che la vicenda storica di quella tradizione confermi che la sua forza trasse sempre alimento dall’essere al servizio di un progetto che la travalicasse.

Sotto questo profilo, d’altro canto, un risultato positivo è già stato acquisito, se è vero, come è vero, che molti dei rivoli nei quali si era di fatto dispersa quella identità si sono ritrovati oggi nel nuovo partito.

Date dunque queste premesse ideali, occorre paragonarle con i risultati sin d’ora raggiunti, con una particolare attenzione alle recenti elezioni amministrative di Brescia.

Ricordo che, allorchè si presentò per la prima volta in una consultazione elettorale, alle elezioni politiche di due anni fa, la Margherita raccolse su scala nazionale il 14,5% dei voti, di cui una grande fetta venne raccolta nelle regioni del Nord, ossia nella parte del paese più avanzata economicamente e socialmente, nelle quali ottenne percentuali di consensi oscillanti tra il 15% della Lombardia ed il 21% del Friuli Venezia Giulia.

Anche in città si ebbe lo stesso successo, tanto che con il 17,5% dei consensi la Margherita divenne il secondo partito di Brescia

Un risultato che certo scontava il positivo effetto di trascinamento dovuto alla coincidenza tra il leader della coalizione e quello del partito, ma che, in verità, ad una analisi più approfondita, dimostrava che la scommessa politica era stata vinta.

Gli esperti del voto ci raccontarono infatti che la Margherita aveva raccolto molti voti di opinione, aveva intercettato in misura assai più rilevante di tutti gli altri partiti della coalizione il voto dei giovani, aveva catalizzato i consensi degli ulivisti, vale a dire di coloro che, sentendosi appartenere ad un’area di centro sinistra ma non riconoscendosi pienamente in nessuna delle vecchie identità politiche, avevano percepito nella nuova formazione ciò che vi era di più prossimo all’idea originaria dell’Ulivo, aveva riportato al voto molti di coloro che si erano astenuti alle precedenti elezioni.

In altre parole, aveva pienamente corrisposto, pur nella fretta della sua costituzione per l’appuntamento elettorale, alle sue ambizioni.

Se paragonato dunque su quei risultati, e su quelle ambizioni, mi pare di poter dire che l’esito elettorale delle recenti amministrative cittadine, quell’11% di consensi complessivi, debba qualificarsi come risultato francamente deludente, più ancora sotto il profilo politico che per il dato numerico.

Queste elezioni costituivano infatti la prima autentica occasione su scala locale per dispiegare tutte le potenzialità del nuovo partito.

Occorreva spendere il coraggio che la dignità dell’impresa meritava, facendo scelte coerenti con la filosofia e gli obiettivi della nascente formazione politica.

Tanto più in un momento come questo, in questa fase embrionale nella quale occorreva, ed occorre, provarsi a selezionare il più possibile quella nuova partecipazione, quella nuova classe dirigente che costituisce una delle autentiche “mission” della Margherita, e nella quale pertanto l’immagine percepita dalla pubblica opinione assume una rilevanza particolare.

Ma le scelte operate sono andate, a mio avviso, in altra direzione.

E’ infatti prevalso il desiderio, certamente legittimo ma a parer mio politicamente miope, di offrire un’immagine di piena continuità con la vecchia tradizione politica, rifiutando qualsiasi ipotesi mirata a far percepire, insieme alla tradizione, altresì quegli elementi di discontinuità e di rinnovamento coerenti con l’idea e il progetto del nuovo partito.

La Margherita è stata così assai impoverita, privata delle sue potenzialità, proposta agli elettori e percepita da questi, di fatto, come vecchio contenitore appena riammodernato, e si è limitata a svuotare, con l’ausilio della consueta generosità dei militanti, i tradizionali serbatoi del voto di appartenenza, ma nulla più.

Così quel voto mobile, meno legato alle vecchie identità, che oggi è largamente dominante nei ceti più giovani e moderni della società, è stato interamente raccolto dalla lista civica, che ha occupato uno spazio politico lasciato completamente scoperto, raccogliendo un consenso pressochè identico.

L’occasione, dunque, a mio avviso è stata persa, e credo che ciò debba consigliare di cambiare la rotta.

Occorre dare, non solo nominalmente, diritto di parola, sostegno e rappresentanza a tutte quelle voci diverse che sono in grado di arricchire la Margherita, promuovendo e valorizzando la classe dirigente capace di garantire questa apertura.

Occorre cominciare a guardare con la dovuta attenzione, e non già con sufficienza, ai simpatizzanti che si proclamano estranei alle vecchie culture politiche, perchè quello è il serbatoio al quale attingere per ottenere adesioni che portino nuova energia e nuove idee.

Occorre andare a cercare sostegno e interlocuzione con i movimenti sempre più fecondi della società civile, anche al di fuori dei tradizionali mondi di riferimento.

Occorre avere il coraggio di misurarsi sui temi e sulle questioni della città con spirito innovativo e riformista, con coraggio e fantasia, rimodulando la scala delle priorità, tornando ad occuparsi di quegli aspetti centrali nelle scelte di una amministrazione locale sui quali si misura, più che altrove, la forza del disegno e dell’interesse pubblico rispetto agli appetiti economici privati (penso in particolare all’uso del territorio ed alle tematiche ambientali).

I recenti congressi cittadino e provinciale hanno portato ai vertici della Margherita persone che mi pare abbiano presenti queste priorità.

Confido abbiano il coraggio di abbandonare il tragitto “nostalgico” improvvidamente intrapreso, perchè proprio non vorrei che, tra non molto, ci trovassimo a rimpiangere ciò che poteva essere e non è stato.

 

ALFREDO BAZOLI

 

 
 

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Ultimo aggiornamento: 01-10-03