Riflessioni intorno alla Margherita
Riceviamo e volentieri
pubblichiamo il seguente articolo, al fine di favorire la discussione, i
ragionamenti ed il dibattito sul futuro e sul ruolo del nostro partito.
RIFLESSIONI INTORNO
ALLA MARGHERITA
di
Alfredo Bazoli
La Margherita ha
recentemente avuto il suo battesimo elettorale anche a Brescia,
raccogliendo, alle amministrative che hanno riconfermato Corsini alla
guida della città, l’11% dei consensi.
Il risultato mi offre
l’occasione per un ragionamento intorno allo stato di salute del nuovo
partito, a oramai più di due anni dal suo esordio sulla scena politica, e
a più di un anno dal congresso di Parma che ne ha sancito formalmente la
nascita.
Con una doverosa
premessa: che le mie riflessioni non sono “neutrali”, perchè la mia
angolatura visuale è quella di chi ha vissuto dall’interno degli organismi
dirigenti provinciali provvisoriamente costituiti la genesi della nuova
formazione politica, condividendone le ragioni e le ambizioni.
La Margherita è nata
direi con un obiettivo qualificante, quello di dar vita, dentro allo
schieramento riformista, ad uno strumento di partecipazione politica in
grado di rispondere alle esigenze della moderna società complessa, e
dunque privo dei vizi e dei limiti che hanno reso sempre più complicato,
per i vecchi partiti, raccogliere consensi e adesioni, per questa via
impoverendoli nella loro attitudine di interpreti vivaci e coraggiosi
della società.
Non dirò certo nulla di
nuovo ricordando che l’origine di questa conclamata difficoltà delle
formazioni politiche ancorate alle vecchie tradizioni e culture è
rinvenibile in un fatto storico, nella fine di quello che lo storico
inglese Eric Hobsbawn ha definito il “secolo breve”, quello iniziato con
la prima guerra mondiale ed esauritosi con la caduta del muro di Berlino,
dominato dalle grandi contrapposizioni ideologiche, dalla nascita e dal
tramonto dei totalitarismi, dai conflitti mondiali e dallo scontro tra i
blocchi.
Come noto, la fine di
quell’epoca, con l’implosione dell’Unione Sovietica, ha avuto un impatto
particolarmente rilevante da noi, in Italia, perchè ha portato con sè
l’esaurimento delle ragioni della democrazia bloccata, dell’impossibilità
dell’alternanza, giustificate dalla presenza del più grande partito
comunista dell’occidente.
Il nuovo secolo si è
dunque aperto per la società italiana in un orizzonte politico totalmente
mutato, nel quale l’intero modo di partecipare e vivere la politica sono
stati completamente modificati in ragione del faticoso avvio della
democrazia matura, quella dove schieramenti politici diversi si contendono
la guida del paese con la medesima legittimazione, sotto il rassicurante
ombrello della comune condivisione dei valori di fondo della democrazia
liberale.
Venuta meno l’emergenza democratica, cessate le
ragioni ideologiche che costituivano vincoli in grado di legare in modo
definitivo i cittadini ai partiti di riferimento, si è ammorbidito anche
il cemento attorno al quale si erano costruite e poi cristallizzate le
tradizionali identità politiche, e si è allentata in qualche misura anche
quella spinta che favoriva una massiccia partecipazione alla vita politica
attiva.
Dentro il nuovo
orizzonte della democrazia matura, la scelta elettorale e di
partecipazione dei cittadini non è più legata ed ancorata ad un vincolo di
appartenenza a identità cresciute dentro la competizione ideologica, ma è
finalmente libera, non solo di individuare partiti e movimenti da votare
sulla base dei programmi e dei leader, ma persino di astenersi dalla
partecipazione attiva limitandosi a operare una scelta al momento del
voto.
La trasformazione
epocale della democrazia italiana ha portato con sè, inevitabilmente,
anche l’esaurimento delle funzioni e del ruolo non tanto dei partiti tout
court ovvero delle tradizioni politiche da essi rappresentate, ma di quei
partiti cresciuti e vissuti dentro la democrazia bloccata.
Di qui, dunque, la
necessità di ridefinire l’impianto, la filosofia e l’organizzazione degli
strumenti di partecipazione alla vita politica.
Il nuovo tempo ha reso necessario costituire nuovi
partiti fondati non più sul mero senso di appartenenza alle vecchie
identità, ma sulla condivisione di valori di fondo, da promuovere e
declinare attraverso i programmi, i progetti, le idee, nonchè attraverso
la scelta dei leader sulle gambe dei quali potessero camminare.
Non poteva più bastare
dichiarare le proprie generalità, o richiamarsi ai fasti del passato per
garantirsi consenso e partecipazione, ma occorreva essere capaci di
misurarsi liberamente e coraggiosamente sulle proposte e sulle persone,
uniche vere ed autentiche cartine di tornasole dei valori di fondo
enunciati.
E’ proprio su questi
aspetti, a mio avviso, che i partiti sorti dalle ceneri del sistema
politico del “secolo breve” hanno mostrato inadeguatezze e incapacità.
Per miopia politica,
per piccole convenienze, per inutili tatticismi, per inevitabili rigidità:
per tutti questi motivi, quei partiti si sono limitati a richiamarsi alle
vecchie culture politiche di provenienza, senza essere in grado di
rinnovarsi più profondamente come il nuovo tempo richiedeva.
Non solo, hanno preteso
di essere gli unici autentici depositari ed interpreti di quelle culture,
senza accorgersi che, in tal modo, le loro difficoltà rischiavano di
condannarle alla definitiva marginalità e subalternità.
Non è certo un caso se,
in questo contesto, il terreno incolto è stato seminato ed arato da un
uomo di impresa, abituato per cultura e professione a rischiare del
proprio per cogliere le opportunità offerte dalle curve della storia, che
in pochi mesi dal nulla ha creato un partito in grado di collocarsi fin da
subito, e da molti anni a questa parte, in cima al gradimento degli
elettori italiani, pur non evocando alcuna identità politica di
riferimento, pur essendo scarsamente radicato, pur non avendo mai
celebrato un congresso, pur non abbondando di personale politico
culturalmente preparato.
Un partito di plastica,
come si dice evocando la cultura dell’apparenza cara al suo demiurgo, e
tuttavia in grado di catalizzare consensi, ed anche adesioni, perchè
capace di proporre una piattaforma politica semplice ma comprensibile,
nonchè una leadership credibile ai fini del raggiungimento degli obiettivi
proposti.
Non certo un modello da
imitare pedissequamente, beninteso, ma comunque un esempio da cui trarre
qualche utile ammaestramento.
La nascita dell’Ulivo
ha rappresentato il primo tentativo di rispondere con lungimiranza e
fantasia alle sfide della nuova epoca che già qualcuno, come visto, aveva
raccolto, mediante la costruzione di un’alleanza della quale il cemento
non era più il mero riferimento alle vecchie identità, ma piuttosto il
richiamo a valori di fondo comuni, nonchè l’individuazione di un progetto
per il paese e di un leader serio e credibile che ne divenisse il punto di
riferimento.
Elemento portante ed
ineliminabile di quell’esperienza, non credo per una semplice casualità,
erano i comitati che, a sostegno dell’iniziativa, sorsero a migliaia in
tutto il paese, raccogliendo, dentro una forma nuova e spontanea di
partecipazione alla vita politica, militanti di tutti i partiti e di tutte
le provenienze, e tanti giovani alla loro prima esperienza.
Sappiamo tutti come
finì quel primo tentativo: con il ritorno prepotente e stolido delle
gelosie e faziosità di partito che azzopparono e dimidiarono potenzialità
e forza di quell’intuizione.
E’ in questo contesto
politico, caratterizzato dall’incapacità dei partiti di più vecchia
tradizione di liberarsi dai condizionamenti del passato, dalla
frammentazione politica sempre più accentuata, dalla difficoltà di
riprendere il cammino virtuoso interrotto con la caduta del governo Prodi,
che è maturata via via la consapevolezza che fosse necessario dare vita ad
una nuova formazione politica capace di raccogliere ed affrontare le sfide
della modernità.
Un partito che fosse in
grado di collocarsi al centro dell’iniziativa politica del centro
sinistra, che ne diventasse il motore per la capacità di sperimentare il
futuro tracciando nuove strade, dove trovassero collocazione le culture
politiche che per la loro ispirazione ideale erano idonee più di altre a
liberarsi dai recinti oramai angusti dell’epoca trascorsa, vale a dire le
culture di governo della storia repubblicana, quelle abituate da sempre a
misurarsi con le sfide difficili del riformismo possibile pesando,
mediando e scegliendo tra interessi contrapposti.
Un partito che, per
queste caratteristiche, fosse capace di proporsi come riferimento di tutti
coloro che, oggi, rifiutano di limitarsi a rimpiangere il passato
esecrando la modernità, abbracciano con fiducia il presente perchè credono
nella storia come progresso ed evoluzione continui e non accidentali, che
vogliono cercare soluzioni coraggiose ai problemi del nostro tempo liberi
dai condizionamenti e pregiudizi del passato, e desiderano informare a
questa libertà le scelte della politica.
Detto altrimenti, un
partito giovane, come l’epoca che stiamo vivendo.
Di tale partito, la
nascente Margherita, costituivano un motore essenziale, ancorchè non
esclusivo, i cattolici democratici e liberali, finalmente tornati
protagonisti di un soggetto politico capace di riportarli alla centralità
dell’iniziativa politica italiana, come era stato, per l’ultima volta, ai
tempi della costituzione dell’Ulivo.
Su questo punto intendo
essere molto chiaro.
Molti, temendo che
l’esaurimento dell’esperienza del partito popolare dentro la nuova
formazione avrebbe comportato anche l’annacquamento o il definitivo
tramonto della cultura politica da esso rappresentata, si sono opposti
alla nascita della Margherita, ed ancor oggi guardano con malcelata
diffidenza al nuovo partito.
Io invece, che di
quella cultura sono figlio (in senso direi quasi letterale), sono persuaso
che solo all’interno di un progetto di più ampio respiro possa tornare a
recitare il ruolo che la storia italiana le ha assegnato, recuperando
forza e prospettiva, e viceversa che il confino dentro un partito geloso
della propria purezza ideale e chiuso come una riserva indiana ne avrebbe
comportato, quello si, la condanna all’emarginazione.
E mi pare che la
vicenda storica di quella tradizione confermi che la sua forza trasse
sempre alimento dall’essere al servizio di un progetto che la
travalicasse.
Sotto questo profilo,
d’altro canto, un risultato positivo è già stato acquisito, se è vero,
come è vero, che molti dei rivoli nei quali si era di fatto dispersa
quella identità si sono ritrovati oggi nel nuovo partito.
Date dunque queste
premesse ideali, occorre paragonarle con i risultati sin d’ora raggiunti,
con una particolare attenzione alle recenti elezioni amministrative di
Brescia.
Ricordo che, allorchè
si presentò per la prima volta in una consultazione elettorale, alle
elezioni politiche di due anni fa, la Margherita raccolse su scala
nazionale il 14,5% dei voti, di cui una grande fetta venne raccolta nelle
regioni del Nord, ossia nella parte del paese più avanzata economicamente
e socialmente, nelle quali ottenne percentuali di consensi oscillanti tra
il 15% della Lombardia ed il 21% del Friuli Venezia Giulia.
Anche in città si ebbe
lo stesso successo, tanto che con il 17,5% dei consensi la Margherita
divenne il secondo partito di Brescia
Un risultato che certo
scontava il positivo effetto di trascinamento dovuto alla coincidenza tra
il leader della coalizione e quello del partito, ma che, in verità, ad una
analisi più approfondita, dimostrava che la scommessa politica era stata
vinta.
Gli esperti del voto ci
raccontarono infatti che la Margherita aveva raccolto molti voti di
opinione, aveva intercettato in misura assai più rilevante di tutti gli
altri partiti della coalizione il voto dei giovani, aveva catalizzato i
consensi degli ulivisti, vale a dire di coloro che, sentendosi appartenere
ad un’area di centro sinistra ma non riconoscendosi pienamente in nessuna
delle vecchie identità politiche, avevano percepito nella nuova formazione
ciò che vi era di più prossimo all’idea originaria dell’Ulivo, aveva
riportato al voto molti di coloro che si erano astenuti alle precedenti
elezioni.
In altre parole, aveva
pienamente corrisposto, pur nella fretta della sua costituzione per
l’appuntamento elettorale, alle sue ambizioni.
Se paragonato dunque su
quei risultati, e su quelle ambizioni, mi pare di poter dire che l’esito
elettorale delle recenti amministrative cittadine, quell’11% di consensi
complessivi, debba qualificarsi come risultato francamente deludente, più
ancora sotto il profilo politico che per il dato numerico.
Queste elezioni
costituivano infatti la prima autentica occasione su scala locale per
dispiegare tutte le potenzialità del nuovo partito.
Occorreva spendere il
coraggio che la dignità dell’impresa meritava, facendo scelte coerenti con
la filosofia e gli obiettivi della nascente formazione politica.
Tanto più in un momento
come questo, in questa fase embrionale nella quale occorreva, ed occorre,
provarsi a selezionare il più possibile quella nuova partecipazione,
quella nuova classe dirigente che costituisce una delle autentiche
“mission” della Margherita, e nella quale pertanto l’immagine percepita
dalla pubblica opinione assume una rilevanza particolare.
Ma le scelte operate
sono andate, a mio avviso, in altra direzione.
E’ infatti prevalso il
desiderio, certamente legittimo ma a parer mio politicamente miope, di
offrire un’immagine di piena continuità con la vecchia tradizione
politica, rifiutando qualsiasi ipotesi mirata a far percepire, insieme
alla tradizione, altresì quegli elementi di discontinuità e di
rinnovamento coerenti con l’idea e il progetto del nuovo partito.
La Margherita è stata
così assai impoverita, privata delle sue potenzialità, proposta agli
elettori e percepita da questi, di fatto, come vecchio contenitore appena
riammodernato, e si è limitata a svuotare, con l’ausilio della consueta
generosità dei militanti, i tradizionali serbatoi del voto di
appartenenza, ma nulla più.
Così quel voto mobile,
meno legato alle vecchie identità, che oggi è largamente dominante nei
ceti più giovani e moderni della società, è stato interamente raccolto
dalla lista civica, che ha occupato uno spazio politico lasciato
completamente scoperto, raccogliendo un consenso pressochè identico.
L’occasione, dunque, a
mio avviso è stata persa, e credo che ciò debba consigliare di cambiare la
rotta.
Occorre dare, non solo
nominalmente, diritto di parola, sostegno e rappresentanza a tutte quelle
voci diverse che sono in grado di arricchire la Margherita, promuovendo e
valorizzando la classe dirigente capace di garantire questa apertura.
Occorre cominciare a
guardare con la dovuta attenzione, e non già con sufficienza, ai
simpatizzanti che si proclamano estranei alle vecchie culture politiche,
perchè quello è il serbatoio al quale attingere per ottenere adesioni che
portino nuova energia e nuove idee.
Occorre andare a
cercare sostegno e interlocuzione con i movimenti sempre più fecondi della
società civile, anche al di fuori dei tradizionali mondi di riferimento.
Occorre avere il
coraggio di misurarsi sui temi e sulle questioni della città con spirito
innovativo e riformista, con coraggio e fantasia, rimodulando la scala
delle priorità, tornando ad occuparsi di quegli aspetti centrali nelle
scelte di una amministrazione locale sui quali si misura, più che altrove,
la forza del disegno e dell’interesse pubblico rispetto agli appetiti
economici privati (penso in particolare all’uso del territorio ed alle
tematiche ambientali).
I recenti congressi
cittadino e provinciale hanno portato ai vertici della Margherita persone
che mi pare abbiano presenti queste priorità.
Confido abbiano il
coraggio di abbandonare il tragitto “nostalgico” improvvidamente
intrapreso, perchè proprio non vorrei che, tra non molto, ci trovassimo a
rimpiangere ciò che poteva essere e non è stato.
ALFREDO
BAZOLI