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Europa e radici cristiane

  Ultimo aggiornamento: 15-10-03

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Europa e radici cristiane

Europa e Radici Cristiane

Il dibattito aperto sulle "radici cristiane" dell'Europa, più volte richiamato all'attualità dal Santo Padre, sembra un tema su cui la destra italiana si sia fortemente impegnata. E' davvero così? Cosa intende Giovanni Paolo II e la Chiesa, quando richiama i cattolici al riconoscimento esplicito di queste "radici"? Questo testo, approfondisce il tema e ci porta a riflettere e discernere meglio quali siano i valori che meglio rappresentano il sentire cristiano. 

LE «RADICI CRISTIANE» DELL’EUROPA

Bartolomeo Sorge S.I.

 

Da una cinquantina d’anni l’Europa comunitaria è un cantiere aperto. Tanto cammino si è fatto da quando, nel 1951, i sei Stati fondatori (Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi) con il trattato di Parigi istituirono la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), e da quando, nel 1957, i trattati di Roma diedero vita alla Comunità Economica Europea (CEE) e alla Comunità Europea per l’Energia Atomica (EURATOM). Più vicini a noi, l’Atto Unico Europeo (1986), il trattato di Maastricht sull’Unione Europea (1992) e il trattato di Amsterdam (1997) hanno contribuito a creare tra gli Stati membri (che nel frattempo sono divenuti quindici) vincoli così saldi da rendere possibile un traguardo che a molti sembrava irrealizzabile: l’unione monetaria (1999) e l’adozione dell’euro come moneta unica (2002).


Nello stesso tempo, importanti passi avanti sono stati fatti pure verso l’unità sociale e politica del Continente. Tuttavia non si può negare che l’Unione Europea sia nata e si sia sviluppata soprattutto come comunità economica.

 È stato un bene o un male iniziare l’unificazione a partire dall’economia? Se lo chiedeva Jean Monnet, che dell’unità economica fu il principale architetto.

Pochi giorni prima di morire, confessava: «Se l’Europa fosse da rifare, comincerei dalla cultura»; infatti, commenta lo storico F. P. Braudel, «noi non coalizziamo gli Stati, noi uniamo gli uomini»; si tratta cioè di unire tra di loro non tanto i Governi, quanto i popoli: non l’Italia, la Francia e la Germania…, ma gli italiani, i francesi e i tedeschi (cfr M. A. MACCIOCCHI, Di là dalle porte di bronzo, Mondatori, Milano 1987, 206). Insomma, l’euro è certamente un traguardo significativo e importante, ma non basta. L’Europa è molto di più della sua economia. È soprattutto una idea, una cultura, uno spirito.

 

Ne siamo più consapevoli ora che altri tredici Paesi chiedono di far parte dell’Unione: nel 2004 ne entreranno dieci (Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Ungheria), due nel 2007 (Bulgaria, Romania), mentre i negoziati con la Turchia ancora non sono iniziati.

Come mettere insieme tante vedute e tanti interessi diversi? Come ottenere il consenso di venticinque o ventotto Paesi su un progetto comune, sulle priorità e sugli strumenti per attuarle?

È necessario costruire insieme un grande soggetto politico, che abbia forza e autorità di prendere democraticamente decisioni vincolanti per tutti, nel rispetto della identità degli Stati membri. Ma come avventurarsi in una simile impresa, senza un patrimonio culturale comune, senza essere d’accordo su quali valori fondare la convivenza tra i popoli del Continente?

 

In vista di questo traguardo politico, il 7 dicembre 2000 è stata varata a Nizza la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. «I popoli europei — si legge nel Preambolo —, nel creare tra loro un’unione sempre più stretta, hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni.

Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà; l’Unione si basa sui principi di democrazia e dello Stato di diritto. Essa pone la persona al centro della sua azione».

 La Carta dei diritti fondamentali si può considerare, quindi, un passo decisivo verso l’unità politica del Continente, da consolidare con il varo della Costituzione europea, a cui dal febbraio 2002 lavora una «Convenzione» ad hoc, che dovrà terminare i lavori entro il 2003.

1. Il dibattito sulle «radici cristiane»

Il 6 febbraio 2003 a Bruxelles il presidente della «Convenzione», V. Giscard d’Estaing, ha presentato all’assemblea plenaria la bozza dei primi 16 articoli della Costituzione.

Essi definiscono la natura dell’Unione, i suoi obiettivi e le sue competenze, nonché i diritti fondamentali dei cittadini europei. Ovviamente si tratta solo di una bozza, che dovrà essere discussa ed emendata, prima di venire approvata. Si spiega dunque perché la sua presentazione abbia aperto un ampio dibattito.


In particolare, non poteva passare inosservata l’assenza di qualsiasi riferimento alle «radici cristiane» dell’Europa. Infatti, parlando dell’ispirazione ideale dell’Unione, la bozza si limita a dire: «L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, di libertà, di democrazia, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti dell’uomo, valori che sono comuni agli Stati membri. Essa mira a essere una società pacifica che pratica la tolleranza, la giustizia, la solidarietà» (art. 2). Come si vede, è caduto perfino il generico richiamo al «patrimonio spirituale e morale», che si trova invece nel Preambolo della Carta dei diritti fondamentali. Su questo punto è divampato il dibattito.


Si sono subito delineati due schieramenti: da un parte, coloro che — condividendo l’impostazione della bozza — vorrebbero fondare l’Unione sui «valori laici» in essa enunciati, senza alcun riferimento alla religione, quale fattore che concorre a fondare quei valori; dall’altra, coloro che insistono invece sulla necessità di definire l’Unione anche in base alla sua identità storica e culturale, quindi introducendo un richiamo esplicito alle sue «radici cristiane».

È prevedibile che, in un modo o nell’altro, si giungerà a un compromesso. Infatti, non dovrebbe essere impossibile introdurre nel Preambolo della Costituzione (ancora da scrivere) una menzione di «ciò che l’Europa deve alla sua eredità religiosa»; tanto più che la rilevanza della religione è già riconosciuta dall’art. 10 della Carta dei diritti fondamentali, che entrerà a far parte della Costituzione; ugualmente è possibile trovare un accordo che porti a riconoscere e rispettare lo status giuridico, di cui le Chiese e altre comunità religiose già godono all’interno degli Stati membri.
Tuttavia, al di là dei compromessi possibili, è evidente che la questione sulle «radici cristiane» dell’Europa non si risolve introducendo nella Costituzione un generico richiamo ai tradizionali valori religiosi e spirituali del Continente. Il problema è più complesso. Esso comprende: 1) anzitutto il discorso sui valori; 2) in secondo luogo, la questione del ruolo sociale delle Chiese; 3) infine, il richiamo formale alle radici religiose.

2. Il discorso sui valori

L’art. 2 della bozza della Costituzione propone come valori fondamentali dell’identità europea: la dignità umana, la libertà, la democrazia, lo Stato di diritto, il rispetto dei diritti dell’uomo. Anche se questi oggi sono considerati «valori laici», tuttavia non si può negare la loro originaria ispirazione cristiana. «Dopo venti secoli di storia — rileva Giovanni Paolo II —, nonostante i sanguinosi conflitti che hanno contrapposto tra loro i popoli di Europa e nonostante le crisi spirituali che hanno segnato la vita del Continente — fino a porre alla coscienza del nostro tempo gravi interrogativi sulle sorti del suo futuro —, si deve ancora affermare che l’identità europea è incomprensibile senza il cristianesimo, e che proprio in esso si ritrovano quelle radici comuni dalle quali è maturata la sua intraprendenza, la sua capacità di espansione costruttiva anche negli altri continenti; in una parola, tutto ciò che costituisce la sua gloria» (Atto europeistico a Santiago de Compostela, in L’Osservatore Romano, 11 novembre 1982).


In altre parole, nonostante tutti i sommovimenti, le lacerazioni e le trasformazioni sociali e culturali, l’identità dell’Europa affonda pur sempre le sue radici nel patrimonio spirituale e morale del cristianesimo, che ha accomunato fin dal loro sorgere i popoli che la compongono.

Certo, oggi il mondo è cambiato, ed è cambiata pure l’Europa. La visione dell’uomo e della società non è più quella della primitiva «cristianità»: la cultura europea si è accresciuta con quanto di positivo hanno prodotto le correnti moderne del pensiero filosofico e scientifico, anche di orientamento «laico» e razionalistico; cosicché — per usare una immagine di Giovanni Paolo II —, «la storia d’Europa è un grande fiume, nel quale sboccano numerosi affluenti, e la varietà delle tradizioni e delle culture che la formano è la sua ricchezza» (Omelia a Gniezno, in L’Osservatore Romano, 4 giugno 1997, n. 4). Tuttavia, l’avvento del pluralismo culturale, etnico e religioso che oggi caratterizza il Continente non solo ha rotto la vecchia unità, ma ha prodotto lacerazioni spirituali e divisioni politiche.


Proprio per questo, per costruire come «casa comune» un’Europa culturalmente pluralistica, plurietnica e plurireligiosa, occorre fondarne l’unità su valori fondamentali condivisi. Questi, però, nel mutato contesto socio-culturale, non si possono più proporre nella forma della vecchia «cristianità».

La laicità degli Stati e dei rapporti culturali, sociali, economici e politici è un’acquisizione pacifica anche per la Chiesa. Superare il confessionalismo, però, non significa strappare la pianta dalle sue radici: «La marginalizzazione delle religioni, che hanno contribuito e ancora contribuiscono alla cultura e all’umanesimo dei quali l’Europa è legittimamente fiera — ha ribadito Giovanni Paolo II al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede —, mi sembra essere al tempo stesso un’ingiustizia e un errore di prospettiva. Riconoscere un fatto storico innegabile non significa affatto disconoscere l’esigenza moderna di una giusta laicità degli Stati e, dunque, dell’Europa» (L’Osservatore Romano, 11 gennaio 2002).


In conclusione, i valori comuni richiamati dall’art. 2 della Costituzione, pur essendo divenuti «laici», rimangono in radice valori cristiani. Ciò non impedisce che essi si possano ulteriormente specificare e che esistano lacune e divergenze nella loro comprensione e applicazione, anche su temi di fondamentale importanza, quali la famiglia, l’istruzione, l’applicazione delle nuove tecnologie alla vita umana, la giustizia sociale, le relazioni internazionali, la costruzione della pace.

3. Il ruolo sociale delle Chiese

La questione del riconoscimento giuridico delle comunità religiose è importante, non solo perché esse costituiscono un forte elemento di coesione morale e spirituale, ma anche per il servizio che esse compiono di adattare i valori tradizionali alle nuove esigenze della nostra epoca di rapido progresso scientifico e tecnico.

Perciò — ribadisce la Commissione degli Episcopati della Comunità Europea (COMECE) — non basta tutelare il diritto alla libertà religiosa; occorre pure riconoscere il diritto che le Chiese e le comunità religiose hanno, in quanto «soggetti sociali», di intervenire e di essere consultate anche su temi non specificamente religiosi nell’interesse stesso dei cittadini.


Infatti, «nel corso dei secoli le comunità religiose hanno costruito una tradizione di promozione dei valori fondamentali per la condizione umana e di adattamento di questi valori al mutamento dei tempi. […] Esse si impegnano a servire la società — inter alia, nei settori dell’istruzione, della cultura, dei media e del sociale — e svolgono un compito importante nella promozione del rispetto reciproco, della partecipazione, dei diritti del cittadino, del dialogo e della riconciliazione tra i popoli dell’Europa dell’Est e dell’Ovest. Esse pongono l’accento sulla responsabilità dell’Europa, non solo nei confronti dei suoi vicini, ma di tutta la famiglia umana» («Il futuro dell’Europa», in Notiziario della CEI, n. 5 [20 luglio 2002], 186).
Perciò — insistono i vescovi europei —, affinché il prezioso contributo delle Chiese non vada perduto, occorre dare rilevanza costituzionale ai rapporti tra le comunità religiose e le istituzioni comunitarie, rispettando almeno lo status giuridico che esse già hanno all’interno dei singoli Stati membri. Questa richiesta, sulla quale tornano oggi gli episcopati europei, fu già avanzata alla Conferenza Intergovernativa di Amsterdam (1997), con scarso successo. Non venne accolta neppure come Protocollo aggiuntivo. Si ripiegò invece su una Dichiarazione (n. 11) di scarso rilievo costituzionale, perché non soggetta a ratifica da parte degli Stati membri. Essa si limita ad affermare che «l’Unione Europea rispetta e non pregiudica lo status previsto nelle legislazioni nazionali per le Chiese e le associazioni o comunità religiose degli Stati membri». Si otterrà di più da parte della Costituzione?

4. Il richiamo formale alle radici religiose

Il Papa continua a chiedere con insistenza che sia introdotto nella Costituzione europea il richiamo esplicito alle radici religiose. Il 16 febbraio 2003, dopo aver ricordato quanto l’opera dei patroni d’Europa, Cirillo e Metodio, abbia contribuito «al consolidarsi delle comuni radici cristiane dell’Europa, radici che con la loro linfa hanno impregnato la storia e le istituzioni europee», ha ribadito: «Proprio per questo è stato chiesto che nel futuro Trattato costituzionale dell’Unione Europea non si manchi di far spazio a questo patrimonio comune dell’Oriente e dell’Occidente. Un simile riferimento non toglierà nulla alla giusta laicità delle strutture politiche (cfr Lumen gentium, n. 36; Gaudium et spes, nn. 36 e 76), ma, al contrario, aiuterà a preservare il Continente dal duplice rischio del laicismo ideologico, da una parte, e dell’integralismo settario, dall’altra. Uniti sui valori e memori del proprio passato, i popoli europei potranno svolgere appieno il loro ruolo nella promozione della giustizia e della pace nel mondo intero» (L’Osservatore Romano, 16-17 febbraio 2003).
Gli stessi non credenti, del resto, non possono fare a meno di confrontarsi con l’eredità storica, culturale e spirituale della tradizione ebraico-cristiana, a cui si rifà la concezione della esistenza umana, propria della civiltà europea, con i suoi elementi caratteristici: primato della persona umana, rispetto della vita, tutela dell’infanzia e della famiglia, parità tra uomo e donna, libertà di coscienza, di pensiero e di religione, giustizia sociale ed economica, tutela del pluralismo culturale e politico, pace basata sul diritto. Negare la matrice religiosa di questi valori, oggi ritenuti «laici», sarebbe fare violenza alla verità e renderebbe incomprensibile la storia dell’Europa. Il problema, dunque, non è «se» parlare nella Costituzione delle radici cristiane — scelta che appare doverosa —, ma «come» parlarne.

5. Quale atteggiamento assumere?

Di fronte a questi aspetti del dibattito, quale atteggiamento assumere?
a) In primo luogo, è ovvio che nell’Europa di oggi secolarizzata, culturalmente pluralistica, multietnica e multireligiosa, non si può parlare delle sue radici religiose e cristiane nella forma confessionale come ai tempi della «cristianità», quando potere temporale (il trono) e potere spirituale (l’altare) erano strettamente congiunti. Perciò è comprensibile la diffidenza di chi teme che dietro il richiamo alle «radici cristiane» si nasconda l’intenzione di imporre o privilegiare una precisa identità confessionale.

D’altra parte, è impossibile non tener conto che l’Europa è ormai un Continente multietnico e multireligioso (è significativo il possibile prossimo «allargamento» alla Turchia). Secondo stime recenti, insieme ai 555 milioni di cristiani (di cui 269 cattolici, 170 ortodossi, 80 protestanti, 30 anglicani) vivono in Europa 32 milioni di musulmani, 3,4 milioni di ebrei, 1.600.000 induisti, 1.500.000 buddhisti, 500.000 sikh (cfr Jesus, settembre 2002, 54). Dal canto suo, il Concilio Vaticano II ha definitivamente chiarito che il cristianesimo non si identifica con nessuna civiltà, neppure con quella europea e occidentale.


b) In secondo luogo, si deve ammettere che, molto più di un generico richiamo alle radici cristiane (che pure è doveroso), è importante che nella Costituzione siano accolti di fatto i valori che a quelle radici si ispirano. Perciò, l’art. 2 va ritenuto già di per sé un traguardo positivo, anche se i valori in esso richiamati possono essere ulteriormente arricchiti e meglio specificati.

 

c) In terzo luogo, bisogna chiaramente affermare che la religione non potrà mai essere ridotta a mero affare privato, ma avrà sempre rilevanza sociale. Pertanto rimane aperta la questione del riconoscimento giuridico delle Chiese e delle comunità religiose. La reciproca collaborazione, leale e rispettosa, con le istituzioni comunitarie va garantita nell’interesse non tanto delle confessioni religiose e delle istituzioni, quanto soprattutto dei cittadini e del bene comune.

 

d) Infine, la natura dell’evangelizzazione è essenzialmente profetica. Se è vero che il fatto religioso non può essere relegato nel privato e che il riconoscimento giuridico delle confessioni religiose risulta utile ai cittadini e al bene comune, tuttavia è altrettanto vero che tale riconoscimento non si richiede affatto affinché i cristiani siano «sale della terra». Talvolta le garanzie giuridiche possono essere controproducenti: alcuni potrebbero scorgervi il tentativo delle Chiese e delle comunità religiose di cercare sicurezze e privilegi; altri vi vedrebbero una indebita imposizione confessionale e un vulnus alla laicità dello Stato. Va dunque ribadito con coraggio che la forza della Chiesa non sta nei privilegi o nel favore del potere di turno; la sua vera e unica forza sta nella santità dei suoi figli, nella potenza disarmata della Parola di Dio, nella povertà evangelica. Proprio per questo — ricorda il Concilio Vaticano II — la Chiesa «non pone la sua speranza nei privilegi offertile dall’autorità civile; anzi essa rinuncerà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso potesse far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni» (Gaudium et spes, n. 76).

 


 

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