La Riforma della scuola.
Ci
pare importante riportare all'inizio dell'anno scolastico questo articolo
di approfondimento sulla riforma scolastica prevista dalla "Ministra"
Moratti.
10-9-03
LA FORZA VIRTUALE DELLA RIFORMA MORATTI
di Paola Blondi
Ricordate quella forza da leone che una vecchia
canzone attribuiva alla televisione? Forse è questo il segreto per cui, di
fronte a un provvedimento epocale, di involuzione tolemaica, la scuola è
oggi sprofondata nel più cupo silenzio.
La riforma Moratti piace, si dirà; ma così non si
spiega perché non si oda il plauso.
Di fronte a tanto muto silenzio gli attuali
riformatori dovrebbero essere preoccupati, e forse lo sono. Il silenzio è
peggio di un urlo, poiché non si è mai data innovazione nella scuola che
non abbia comportato – per lungo o breve tempo – un mugugno e un
malcontento tendenzialmente sempre sopra le righe.
L’attuale freddo silenzio potrebbe essere il sintomo
di una profonda indifferenza o di una noncurante rassegnazione: facciano
pure, tanto la scuola resta quella che è, c’è sempre una porta da chiudere
quando si entra in un’aula. Che cosa allora accadrà quando, dentro le
aule, diminuiranno le ore, spariranno alcune materie e i rispettivi
insegnanti, ci sarà da scegliere a 13 anni tra il liceo e la scuola
“professionale”? Permarrà quel silenzio impenetrabile che ha già segnato
la scuola, nel 1962, quando la riforma della scuola media è rimasta
lettera morta per più di dieci anni?
Il silenzio potrebbe anche derivare dalla
disinformazione. Quanti italiani (insegnanti e studenti compresi) sanno
della riforma? Tutti, o quasi. Ma che cosa sanno? Quasi niente. Quando
parte la riforma, secondo la pubblica opinione? Subito, anzi non è già
partita? Se così fosse, appena ci si addentrerà nel vivo delle questioni,
ci sarà ancora silenzio?
Viene da pensare che le domande siano vecchie come le
categorie di interpretazione che andiamo utilizzando. Perché la riforma
Moratti poggia su una forza che induce al silenzio: il virtuale - come si
sa - non spaventa nessuno, permette a tutti di immedesimarsi, di
raccontarla a modo proprio. Nel virtuale funzionano anche le bugie, che
non sono nemmeno tali, tanta è l’abitudine al messaggio pubblicitario e
all’incredibile di certa fiction. Cosicché, se si è buoni comunicatori
come questo Ministro, tutti calzano le pantofole e si addormentano davanti
a un video che chiude una giornata e ne apre un’altra uguale.
E’ questo che ci apprestiamo a dimostrare: la forza
virtuale della riforma Moratti.
A colpi di spot
Sabato 5 aprile 2003 è andato in onda su tutte le televisioni italiane lo
spot sulla riforma della scuola. Il 28 marzo era stata votata dal
Parlamento la legge delega n. 53 e il Ministero ha creduto opportuno
diffondere la notizia attraverso il mondo virtuale della televisione,
provvedendo a inserire lo spot anche nel proprio web (dove ancora lo si
può vedere).
Un rassicurante filmato fa scorrere, con la
complicità di un’accattivante musica di sottofondo, le immagini di
studenti felici; c’è anche un gioviale insegnante, genitori dall’aspetto
americano e, nel finale, il dolce volto di una ragazza. Una voce fuori
campo dà l’informazione.
Abbiamo ascoltato i ragazzi, abbiamo ascoltato gli
insegnanti, abbiamo ascoltato i genitori e attraverso quello che abbiamo
ascoltato abbiamo costruito la nuova scuola. La scuola cresce proprio come
te.
Potremmo attardarci in luoghi comuni, chiedendoci ad
esempio se è così che vanno spesi i soldi dei cittadini e se si addice a
una istituzione dello Stato una campagna che – almeno nello spot – ha
tutte le caratteristiche di una pubblicità. Potremmo domandarci dove e
come il Ministero abbia ascoltato ragazzi, insegnanti e genitori; giacché
non ci risulta, vorremmo sapere perché non si sia data trasparente
informazione di tale consultazione, né vorremmo pensare che il riferimento
è a quegli Stati generali di cui nessuno ha più memoria e nei quali fu
presentato un progetto di riforma del Grl[1] che poco ha a che vedere con
l’attuale testo di legge.
Ci pare comunque più importante riflettere sulla
“assenza di informazione” dello spot. A guardarlo, sappiamo forse qualcosa
della nuova scuola? Sappiamo che esiste una legge? Che siamo in attesa dei
decreti di attuazione? Che è stata abrogata la l. 9/99 e con essa
l’obbligo scolastico? Che i bambini possono andare a scuola in anticipo
anagrafico? Che esistono solo licei e un “secondo” canale?
Si dirà che il messaggio è rivolto al grande
pubblico. In questo caso non servono certo informazioni tecniche, ma
informazioni sì, perché il grande pubblico può anche accontentarsi di
slogan, quando sia da pubblicizzarsi un prodotto commerciale, ma ben altra
cosa è la riforma della scuola.
Questo spot – istituzionale, non dimentichiamolo – è,
a nostro avviso, non solo inutile, ma anche pericoloso in quanto provoca
una coscienza civica strutturalmente volatile, assai simile ai riflessi
che la pubblicità commerciale deposita, noi inconsapevoli, negli
atteggiamenti che assumiamo di fronte ai prodotti di un supermercato.
Eppure è stato il ministro Moratti per primo ad
affermare[2], lungo il cammino del suo operare, che “troppe sono le
falsità sulla riforma”.
Troppe falsità sulla riforma. Il ministro Letizia
Moratti, sventola davanti alle telecamere di “Domenica in” un pacchetto di
volantini distribuiti in diverse scuole in giro per l’Italia. “Hanno
scritto che con la riforma del centrodestra non ci sarebbe stata più
l’educazione musicale e che avremmo abolito l’educazione fisica - dice il
ministro -. Ci hanno accusati di voler abolire il tempo pieno e la mensa e
voler istituire 300 ore a pagamento nelle scuole pubbliche. Una massa di
falsità".
Abbia pazienza, Ministro, ma alla fine di novembre
2001 il Grl, da Lei istituito, ha pubblicato un fiume di pagine: il
curricolo obbligatorio era di venticinque ore settimanali, esisteva un
curricolo facoltativo gratuito fino a trecento ore, poi a pagamento. Le
cosiddette “educazioni” (musicale, artistica, tecnica, fisica) sembravano
destinate al curricolo facoltativo. Oggi, dopo l’approvazione della legge
delega, le ore curricolari sono venticinque, esiste un curricolo
facoltativo (dalle novanta alle duecento ore), non si parla più di ore a
pagamento. Le “educazioni” sono profondamente trasformate rispetto agli
insegnamenti attuali, benché siano previste le materie “musica”, “arte e
immagine”, “attività fisica e sportiva”, mentre l’educazione tecnica è
volata via per coniugarsi in “informatica”, con l’aggiunta di nozioni di
tecnologia a stretta interfaccia con “scienze”, tanto che viene da pensare
che si sciolga la cattedra di “matematica e scienze”.
Non le pare, Ministro, che anche limitandoci alle
sole questioni da Lei sollevate urgano informazioni anziché spot?
E non sono certo sufficienti i due “libretti” inviati
alle scuole e alle famiglie – peraltro divulgati prima dell’approvazione
della legge n. 53 – dove si è ancora a livelli di grandi principi e di
altrettanto grandi bugie, come quella di attribuire alla riforma
costituzionale del Titolo V la necessità di una riforma e di scelte come
quelle attuate.
Il doppio scoop del via alla riforma
Sulla partenza della riforma l’informazione ministeriale prende le
sembianze dello scoop. A quando il via alla riforma? Subito. Ad affermare
ciò è il Ministro quando ancora – figuratevi un po’ - non era stata
approvata la legge[3].
Presto compreso che l’iter parlamentare del disegno
di legge doveva rispettare i suoi tempi, il Ministro studia il modo di
dare comunque un segnale di efficienza: ed ecco la carta dell’anticipo
scolare per le iscrizioni alla scuola dell’infanzia ed elementare,
cosicché si può dire che “la riforma parte” e la gente ci crede. In
televisione, sui quotidiani, il ministro promette che questo avverrà
nell’anno scolastico 2002/2003, “a costo di riaprire i termini delle
iscrizioni”.
La doccia fredda viene subito dopo: slitta di un anno
la riforma Moratti[4], è la notizia che diffondono i quotidiani alla fine
di giugno.
Il ministro per i Rapporti con il Parlamento Carlo
Giovanardi ha affermato che la legge di riforma della scuola sarà
operativa per l'anno didattico 2003-2004, poiché i tempi parlamentari
porteranno alla sua approvazione non prima di ottobre. Niente riapertura
delle iscrizioni come aveva ventilato il ministro Moratti e nessuna
partenza ad horas, ovvero da settembre.
«I tempi delle riforme sono dettati anche da esigenze
di rapporti con il Parlamento — sottolinea Giovanardi — pur se la tabella
di marcia del governo è in sintonia ed è chiaro che l'esecutivo potrà
portarlo a compimento nei tempi prestabiliti, senza però possibilità di
accelerazione o di forzature che il nostro sistema parlamentare non
consente».
Si tende a scaricare il ritardo della riforma sul
Parlamento, ma in realtà i fatti sono assi più complessi e, nel luglio
2002, mentre il disegno di legge è in esame al Senato, l’articolo di legge
dedicato alla questione dell’anticipo scolare, ad esempio, viene
modificato: la possibilità resta, ma con riserva, limitatamente alle
disponibilità dei Comuni. I conti – prima di tutto finanziari – vanno
fatti anche con la Conferenza unificata[5] e in particolare con gli Enti
locali.
Solo gli addetti ai lavori e gli accaniti cacciatori
di informazione vengono a conoscenza dei cambiamenti, come recita la legge
n. 53[6].
Per gli anni scolastici 2003-2004, 2004-2005 e
2005-2006 possono iscriversi, secondo criteri di gradualità e in forma di
sperimentazione, compatibilmente con la disponibilità dei posti e delle
risorse finanziarie dei comuni, secondo gli obblighi conferiti
dall'ordinamento e nel rispetto dei limiti posti alla finanza comunale dal
patto di stabilità, al primo anno della scuola dell'infanzia i bambini e
le bambine che compiono i tre anni di età entro il 28 febbraio 2004,
ovvero entro date ulteriormente anticipate, fino alla data del 30 aprile
di cui all'articolo 2, comma 1, lettera e). Per l'anno scolastico
2003-2004 possono iscriversi al primo anno della scuola primaria, nei
limiti delle risorse finanziarie di cui al comma 5, i bambini e le bambine
che compiono i sei anni di età entro il 28 febbraio 2004.
Il Ministro non si dà per vinta e, nel settembre
2002, promuove ugualmente una sperimentazione nella scuola elementare:
sarà un fallimento, se non altro per la minima quantità di bambini e il
coinvolgimento di poche scuole, prevalentemente paritarie.
Passa un anno scolastico e la questione del via alla
riforma si ripropone. A quando? Subito, ridice il Ministro. Lo scoop è
notevole – anche se, al secondo tentativo, gli scettici aumentano – perché
le cose da fare sono davvero tante, in pochi mesi. C’è da approvare il
Piano programmatico di interventi finanziari[7] e c’è da varare il decreto
legislativo, il cui schema è in Consiglio dei Ministri, e occorre poi
attendere cinquanta/sessanta giorni rispettivamente per il parere del
Consiglio nazionale dell’istruzione e delle Commissioni della Camera e del
Senato. Ad andare di fretta, si arriva alla fine di agosto e la scuola
inizierebbe con una sorpresa davvero straordinaria. E’ in questo modo che
si allestisce una buona partenza di riforma?
Sembrerebbero mancare i tempi tecnici e il buon senso
suggerirebbe una maggiore gradualità, ma intanto si virtualizza l’avvio
della riforma, se ne parla, senza ben specificare se prende forma il nuovo
ordinamento o la sperimentazione dell’anticipo scolare. Nel qual ultimo
caso lo scoop non c’è: tutto è già scritto, come si è visto, nell’articolo
7, comma 4, della legge n. 53.
Anzi, una notizia c’è, tenuta in sordina: nella
circolare ministeriale n. 37 dell’11 aprile 2003, con oggetto “iscrizione
anticipata alla scuola primaria e alla scuola dell’infanzia”, per la
scuola dell’infanzia i problemi legati alle risorse paiono pregiudicare la
sperimentazione dell’anticipo.
A tal fine, sono in corso contatti e interlocuzioni
con l'ANCI (Associazione Nazionale Comuni d'Italia) per una ricognizione
congiunta dello stato delle cose e per una prima messa a punto degli
interventi e delle azioni da porre in essere.
Una volta acquisito, sulla base dei dati e degli
elementi occorrenti, il quadro completo delle diverse situazioni legate
alle varie realtà territoriali e valutate con l'ANCI e gli Enti locali
competenti l'esistenza delle reali condizioni di praticabilità della
sperimentazione degli anticipi, verrà fissato dallo scrivente il termine
entro cui sarà possibile, da parte delle famiglie delle bambine e dei
bambini che compiono tre anni entro il 28 febbraio 2004, produrre domanda
di iscrizione alla scuola dell'infanzia nelle istituzioni all'uopo
individuate.
Le cose vanno meglio per la scuola elementare, ma pur
con tutti gli artifici possibili che la circolare elenca per contenere le
spese – compreso un alto numero di alunni per classe – il Ministero sa
bene che potrà essere accolta una quantità limitata di richieste e
stabilisce la dotazione aggiuntiva di soli 1.472 insegnanti elementari, in
una ripartizione regionale dei posti. In relazione ai dati di fonte
ministeriale[8], si può valutare che l’organico aggiuntivo potrà
consentire l’aumento di circa 800 classi per un totale massimo di 20.000
alunni, pari al 4% degli iscritti in prima elementare.
Intendiamoci: se non ci trovassimo continuamente di
fronte a questo scoop ministeriale della repentina partenza, non ci
sarebbe granché da dire, perché sta nei fatti naturali che una riforma
della scuola – della portata di questa – abbia necessità di gradualità, ci
siano tante cose da sistemare e prevedere, siano complessi gli atti
procedurali. E’ invece irritante questa partenza virtuale della riforma,
sapendo poi – in notizie tenute in sordina – che notevoli sono le
complicazioni in relazione alle risorse finanziarie, tanto che trapela
perfino qualche “battibecco” tra i ministri Tremonti e Moratti, cosicché
Berlusconi è costretto a intervenire rassicurando il popolo italiano: sì,
qualche problema c’è, ma si troverà la soluzione. Caro Presidente, questo
potrebbe dirlo chiunque: noi vorremmo trasparenza e ci è dovuta una chiara
informazione.
Invece continua la danza virtuale e lo schema del
primo decreto legislativo di attuazione della legge n. 53 è presentato al
Consiglio dei Ministri: subito la notizia si diffonde nel web e nei mezzi
di stampa, rimettendo in scena lo scoop della fulminea partenza. Il 9
maggio 2003 gli interessanti sono in continuo collegamento con il web del
Governo, dove le sedute si possono seguire pressoché in diretta. Il
decreto per la scuola è all’ordine del giorno, ma in quella seduta non se
ne parla e così di settimana in settimana – ci sono di mezzo anche le
elezioni amministrative, un referendum, il lodo e l’avvicinarsi del
semestre europeo – la notizia rimbalza, si affievolisce l’attesa e tutti
riprendono a credere in una riforma che partirà l’anno prossimo.
Se il decreto legislativo dovesse essere approvato,
nella forma in cui è, in effetti la partenza è prevista per l’anno
scolastico 2003/04.
Per l’attuazione delle disposizioni del presente
decreto sono avviate, dall’anno scolastico 2003-2004, la prima e la
seconda classe della scuola primaria e, a decorrere dall’anno scolastico
2004-2005, la terza, la quarta e la quinta classe.[9]
A decorrere dall’anno scolastico 2004-2005 è avviata
la prima classe del biennio della scuola secondaria di primo grado;
saranno successivamente avviate, dall’anno scolastico 2005-2006 la seconda
classe del predetto biennio e, dall’anno scolastico 2006-2007 la terza
classe di completamento del ciclo.[10]
Ci auguriamo che questa volta le notizie non si
fermino allo spot e allo scoop, perché qualcuno deve rispondere ad alcuni
interrogativi. Ne citiamo alcuni.
- Nell’anno scolastico 2003-2004 sono avviate la
prima e la seconda classe della scuola primaria (ex elementare) come
previsto dal nuovo ordinamento, con un tutor/maestro unico prevalente, i
nuovi programmi, i nuovi orari? Quando la scuola è informata e si prepara
a tutto ciò?
- Come verrà scelto il maestro unico prevalente?
- Saranno pronti i libri per studiare come la riforma
chiede?
- Ci sarà ancora un tempo “pieno” e la mensa?
- Qual è il significato della partenza di due classi
nello stesso anno? Vuol dire che i bambini della prima “tradizionale”
potranno (dovranno?) accedere alla seconda “riformata”?
- Nell’anno scolastico successivo (2004-2005) sono
avviate in contemporanea ben quattro classi, le tre che restano della
scuola primaria e la prima della scuola secondaria di secondo grado (ex
media). Ci auguriamo che il regolamento attuativo fornisca indicazioni
chiare e ragionevoli, giacché ai profani tutte queste classi nuove avviate
insieme sono incomprensibili. Da ogni classe “tradizionale” si potrà
accedere a una classe “riformata”?
- Eppure i programmi sono ben diversi! Valga
l’esempio della storia: nella nuova scuola “media” si parte dalla fine
dell’impero romano. I neo riformati dell’annata 2004-2005 si perderanno un
pezzo di storia?
- Oppure si tratta di un avvio “sulla carta” – che
tutt’al più potrà consentire qualche sperimentazione – cosicché ci
vorranno sei anni perché le nuove leve percorrano il loro cammino scolare
riformato, arrivando alla prima classe della nuova scuola media nel
2008/09?
L’anno scolastico 2003-2004 è ormai alle porte, non resta che aspettare
per verificare questo scoop dell’avvio della riforma.
E non vorremmo avere speso le nostre preoccupazioni
per una “falsa partenza”, dove tutto si risolve in una
“maxisperimentazione” (per dirla con la parola del Ministro) in cui si fa
un po’ di inglese in più (perché la lingua straniera c’è già nella scuola
elementare), s’impara ad accendere e spegnere un calcolatore, c’è qualche
bambino più giovane degli altri e l’efficienza del Governo si risolve in
un grande pasticcio, che ricade sui bambini, sugli insegnanti, sulle
scuole, sulle famiglie, sugli Enti locali, sull’editoria scolastica … ma
mette in salvo la “forza virtuale” della repentina partenza della riforma.
Tranquilli, tutto come prima? Non è così
C’è chi sostiene che i problemi fin qui sollevati non abbiano grande
significato, tanto la scuola primaria e secondaria di primo grado della
riforma sono del tutto simili all’attuale scuola elementare e media.
Se così fosse, la riforma sarebbe davvero cattiva:
perché mai mettere in piedi una grande macchina di trasformazione
ordinamentale per avere tutto come prima?
E infatti così non è.
Chi ha creduto in una riforma “che non cambia nulla”
è caduto nei lacci di uno slogan propagandistico. La prima regola della
comunicazione mediale è quella di soddisfare l’utente (da qui la guerra
degli indici di ascolto) cosicché la forza della riforma Moratti è stata
quella di raccogliere il malcontento della precedente riforma Berlinguer –
in particolare la presunta sottrazione di un anno alla scuola media –
promettendo di non cambiare nulla (o nulla di importante). Quando gli
insegnanti hanno saputo che gli anni restavano cinque per la scuola
primaria, tre per la scuola secondaria di primo grado, hanno tirato un
sospiro di sollievo e hanno abbassato la guardia, in ciò rafforzati da
parole d’ordine come “salvaguardia della tradizione scolastica”.
Che la riforma cambi profondamente la scuola – in
modi che sta a ciascuno giudicare - lo sanno coloro che hanno letto il
testo di legge e le Indicazioni nazionali. Tutti gli altri sono in
condizioni di sapere mediatico, convinti forse ancora che tutto resti come
prima.
Viene da chiedersi che cosa possa renderci contenti
del fatto che una riforma non cambi nulla. Una riforma – lo dice la parola
– cambia. Se tutto deve restare come prima, allora non si faccia nulla, se
non altro in considerazione del fatto che una riforma costa. Quel che
temiamo è che il pensiero virtuale e volatile si sia insediato nelle
nostre teste, permettendoci di credere alla telenovela di una riforma che
conserva ciò che vogliamo conservato e riforma tante altre cose, che
saranno senz’altro importanti, ma che non ci toccano negli interessi
personali.
A dire il vero avremmo potuto cogliere, strada
facendo, alcuni segnali davvero curiosi, che avrebbero potuto metterci in
sospetto circa il presunto “tutto resta come prima”. Della scuola media ed
elementare il Ministro più volte ha intessuto le lodi, “le migliori del
mondo” ha detto spesso. Che siano le migliori del mondo forse è
un’esagerazione, ma che in questi cicli gli insegnanti sappiano fare cose
straordinarie, questo è vero. Per anni i docenti elementari e medi hanno
combattuto la loro lotta di professionalità, facendosi carico degli enormi
problemi che incombevano fuori e dentro la scuola, nonostante mancasse una
riforma e quindi si dovessero fare i conti quotidiani con i vincoli di un
sistema scolastico rigido e inadeguato. E ora, improvvisamente, la scuola
va bene così com’è? Forse, ministro Moratti, le resistenze dei docenti
andrebbero interpretate.
E’ d’altra parte il Ministro per primo a navigare
nelle più sconcertanti contraddizioni. Proprio nel mediatico dice due
cose: quanto è bella la scuola elementare e media, quanto sono “ignoranti”
e in difficoltà i nostri ragazzi (formati da quella scuola elementare e
media), tanto che bisogna pensare – per molti – a un canale formativo
parallelo. Il ragionamento non torna.
Anche nei confronti della proposta Berlinguer è
andata in onda una controproposta Moratti davvero singolare. Spieghiamo:
la precedente riforma aveva suscitato le ire degli insegnanti della scuola
media inferiore. Per molti mesi era circolata la convinzione che il
riordino dei cicli avesse spazzato via la scuola media, che i bambini
della scuola elementare fossero destinati a convivere con i ragazzi più
grandi in una commistione disdicevole per il processo educativo e che i
docenti della scuola media fossero costretti ad andare a insegnare nelle
classi elementari senza alcuna preparazione per farlo. L’allora
opposizione – oggi governo – fece di tutto per indurci a credere tanti
misfatti.
E’ certamente vero che la riforma Berlinguer parlava
di una “scuola di base” della durata di sette anni. Qualcosa era
sicuramente cambiato rispetto alle attuali scuole elementari e medie.
Innanzi tutto entrambe avevano perso il “nome” e mancava un anno rispetto
alla somma – otto anni – dei due cicli. Perché questo dovesse penalizzare
necessariamente la scuola media è un mistero che resterà tale se non nella
generica considerazione della potenza della manipolazione delle
informazioni. Altrettanto curioso è che qualcuno abbia potuto pensare che,
per costrizione, i professori della media dovessero improvvisarsi maestri.
Più ragionevole era paventare che sette anni al posto di otto potessero
comportare una perdita di posti di lavoro.
Fa infine torto all’umana intelligenza il tanto
cianciare sulla pericolosa convivenza dei bambini più piccoli con i
ragazzi preadolescenti, suscitando l’allarme per i dannosi modelli cui
poteva essere esposta l’infanzia italiana. Se avessimo potuto ragionare
con la nostra testa – e non con quella televisiva – ci saremmo resi conto
della risibilità delle preoccupazioni. La convivenza della scuola
elementare e media è un fatto “normale” nei numerosi istituti comprensivi
e nella quasi totalità delle scuole non statali, comprese quelle
religiose. Pensando a queste realtà, avremmo subito compreso che tale
“convivenza” è tutt’al più quella di un innocuo “condominio”. Spesso è una
realtà che riguarda il corpo docente, mentre bambini e ragazzi frequentano
le proprie classi in edifici diversi.
La pace è tornata quando il ministro Moratti ci ha
tutti tranquillizzati sul fatto che la nuova riforma porgeva i suoi omaggi
alla scuola elementare e media, lasciandole inalterate. Le trombe dei
mass-media hanno suonato di nuovo, intonando la marcia trionfale di una
giustizia ripristinata.
Legge n. 53 alla mano, si può uscire dalle opinioni
virtuali e verificare che la riforma Moratti propone un’innovazione
profonda, assai simile a quella Berlinguer.
- La scuola elementare e la scuola media perdono la
loro identità, per essere comprese in un unico “primo ciclo” la cui
continuità è segnata profondamente dalla soppressione dell’esame di quinta
elementare.
- Entrambe le scuole perdono il “nome”: la prima si
chiama “primaria”, la seconda si chiama “secondaria di primo grado”.
- Gli anni sono otto e non sette, ma le ore
curricolari sono decisamente minori delle attuali in tutti gli anni,
cosicché forse la perdita è anche superiore. E con ciò la possibilità
della perdita dei posti di insegnamento.
- Alla fine del primo ciclo gli alunni risultano più
giovani, non di un anno, ma di mezzo anno, dato il marchingegno
dell’anticipo scolare: questo è il compromesso studiato per tentare di
condurre i nostri giovani a un diploma al diciottesimo anno di età, come i
loro colleghi europei, in modo da garantire pari opportunità di
inserimento nel mondo del lavoro.
- Restano gli istituti comprensivi, i “condomini”
dove studiano i bambini e i preadolescenti, data la riaffermata continuità
di un primo ciclo unitario.
- Restano forse le materie e i programmi attuali?
Assolutamente no.
Si è ristretto il curricolo e il suo orario
Per chi ancora fosse scettico sulle novità della riforma Moratti, andiamo
a dimostrare i fatti partendo da un dato di immediata visibilità, l’orario
del curricolo, ad esempio nella nuova scuola media.
Recita lo schema del decreto legislativo,
all’articolo 10:
1. Al fine di garantire l’esercizio del diritto-
dovere di cui all’articolo 4, comma 1, l’orario annuale delle lezioni
nella scuola secondaria di primo grado, comprensivo della quota riservata
alle regioni, alle istituzioni scolastiche autonome e all’insegnamento
della religione cattolica in conformità alle norme concordatarie, di cui
all’articolo 3, comma 1, ed alle conseguenti intese, è di 891 ore.
2. Le istituzione scolastiche, al fine di
realizzare la personalizzazione del piano di studi, organizzano,
nell’ambito del piano dell’offerta formativa, tenendo conto delle
prevalenti richieste delle famiglie, attività e insegnanti, coerenti con
il profilo educativo, e con la prosecuzione degli studi del secondo ciclo,
per ulteriori 198 ore annue, la cui scelta è facoltativa e opzionale per
gli allievi. Al fine di ampliare e razionalizzare la scelta delle
famiglie, le istituzioni scolastiche possono, nella loro autonomia,
organizzarsi anche in rete.
3. L’orario di cui ai commi 1 e 2 non comprende il
tempo eventualmente dedicato alle mensa.
Sono dunque 891 le ore annuali a fronte delle attuali
990 per il tempo normale (e le 1320 per il tempo pieno). Cento ore in
meno, non poco.
Un eventuale incremento di attività è previsto dalla
riforma, per un massimo di 198 ore; attenzione però, sono attività che le
istituzioni scolastiche debbono organizzare, ma sono facoltative e
opzionali per gli allievi (niente dunque di curricolare).
Ricordiamo che i giorni di scuola sono 200, in tutto 33 settimane: le 891
ore annuali restituirebbero 27 ore a settimana, sennonché c’è da
considerare la quota riservata alle Regioni, quindi c’è da ragionare su 25
ore curricolari settimanali.
E sono dolori quando si va ad attribuire un “valore
orario” alle materie, pur senza entrare nel merito delle differenze dei
programmi.
Che cosa sarà disposto nei regolamenti di attuazione
della riforma è difficile da immaginare, ma certo i conti debbono tornare,
considerando che si aggiunge anche l’insegnamento di una seconda lingua
straniera.
Possiamo divertirci a “dare qualche numero”,
arrivando come si vedrà a un’unica ragionevole conclusione: in generale il
curricolo “si restringe” e alcune materie – qualche voce corre già nei
corridoi ministeriali – si coniugano insieme, rivisitando la composizione
delle “cattedre” di docenza.
Dando per assodate l’ora di “religione cattolica” (e
l’aggettivo crea qualche fastidio) e le due ore di “Attività fisica e
sportiva”, sembra plausibile che:
- si formi una cattedra di “Storia e Geografia” in
cui sparisce l’educazione civica[11], cui assegnare non più di 3 ore
settimanali, penalizzando crediamo soprattutto la geografia;
- sia istituita una cattedra di “Lingue” chiedendo
allo stesso docente di insegnare l’inglese e una seconda lingua
comunitaria in non più di 4 ore settimanali; e se è vero che i docenti di
lingue conoscono una seconda lingua, è altrettanto vero che essa varia da
laurea a laurea, cosicché la seconda lingua comunitaria sarà determinata
da tale condizione, piuttosto che da una libera scelta delle famiglie;
- si formi una cattedra di “Scienze, Informatica e
Tecnologia” cui assegnare non più di 3 ore settimanali; le voci in tal
senso sono insistenti, ma ancor di più convince la lettura incrociata dei
programmi contenuti nelle Indicazioni nazionali, dove è palese una
riorganizzazione dei contenuti delle scienze e delle tecniche; è peraltro
significativa la scomparsa dell’informatica dall’insegnamento di
matematica; gli estensori delle Indicazioni nazionali hanno evidentemente
previsto l’utilizzo “unitario” degli attuali insegnanti di “Matematica e
Scienze” e di “Educazione tecnica”;
- resta aperta l’incognita della preminenza
dell’insegnamento di italiano o di matematica, nella doppia combinazione
di 5+3 oppure 4+4 ore settimanali; l’impronta “classica e legata alla
tradizione” della riforma indurrebbe a credere più veritiera la prima
ipotesi;
- c’è poi un’ulteriore variabile da considerare,
legata alle “ex educazioni”; arte e musica potrebbero conservare il rango
di materie, ma trovarsi con 1 sola ora settimanale, per ridare fiato
all’italiano e alla matematica.
A queste condizioni, tutto resta come prima?
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[1] Gruppo Ristretto di Lavoro, presieduto dal prof.
Bertagna.
[2] “Il Giornale”, 18 febbraio 2002, articolo di
Francesca Angeli.
[3] Ricordiamo che la legge n. 53 è del 28 marzo
2003, con attuazione dal 17 aprile.
[4] “Resto del Carlino”, 25 giugno 2002, articolo di
Silvia Mastrantonio.
[5] Stato, Regioni e Autonomie locali.
[6] Legge 28 marzo 2003, n. 53, art. 7, comma 4.
[7] Entro 90 giorni dall’entrata in vigore della
legge, quindi entro il 17 luglio.
[8] Dati del Ministero dell’Istruzione, Servizio per
l’Automazione Informatica e l’Innovazione Tecnologica EDS, Servizio di
Consulenza all’Attività Programmatoria, Scuola elementare a.s. 2002/2003.
La fonte non fornisce i dati disaggregati per classe.
[9] Articolo 13, comma 2.
[10] Articolo 14, comma 1.
[11] L’educazione civica è rimandata a una
“Educazione alla convivenza civile” in cui sono raggruppate tutte le
educazioni (alla salute, stradale e così via) trasversali a tutte le
materie.