Come geloso, io soffro quattro volte: perché sono geloso, perché mi
rimprovero di esserlo, perché temo che la mia gelosia finisca col ferire
l'altro, perché mi lascio soggiogare da una banalità: soffro di essere
escluso, di essere aggressivo, di essere pazzo e di essere come tutti gli
altri.
Barthes, Roland
La gelosia è un particolare sentimento, che avviene non per caso, e
generalmente a partire dalla supposizione che ciò che io ho oggi, domani
potrei non avere. Supposizione legittima. Però, è come se preferissi
considerare questa eventualità piuttosto che un’altra, e cioè che non ho
motivo di pensare che cio che ho oggi non posso avere anche domani. Perché
dunque pensare la peggiore delle ipotesi, anche e soprattutto laddove di
fatto potrebbe non esserci nessun motivo? Ciò nondimeno si sa che
moltissime persone manifestano la loro gelosia in assenza di qualunque
fatto, di qualunque evento che possa giustificare una cosa del genere. È
letteralmente una costruzione. Sicuramente a molte delle persone sarà
accaduto di trovarsi di fronte a una cosa del genere, cioè ad una persona
che manifesta una fortissima gelosia senza che ne abbia nessun motivo.
La gelosia è fatta del timore di perdere qualche cosa che si ritiene
essenziale per il proprio benessere e che questo qualcosa, che si ritiene
essenziale, altri possano portarlo via. Però, ecco, anche in assenza di
qualunque eventualità possibile, si manifesta la gelosia. E parlo di avere
l'altro perchè si considera l'altro un "oggetto" piuttosto che un
"soggetto".
Accade, anche, che proprio la gelosia sia in alcuni casi la causa della
rottura di una relazione. Uno tanto teme che una relazione possa
interrompersi che, involontariamante, fa in modo che si interrompa.
Succede. Allora, questo timore che la relazione si interrompa, che il
partner possa tradire, si trasforma esattamente in ciò che si teme, come
se si cercasse, si tendesse a realizzare ciò che si teme che possa
accadere, e in linea di massima ciò che si teme accade. Questo, non per un
evento miracoloso o per una malasorte ma, temendo fortissimamente che
accada qualche cosa, i miei pensieri sono sempre indirizzati verso questa
cosa che temo possa accadere. Perché la temo? Non è che le persone temano
qualunque cosa in generale, temono delle cose particolari, c’è chi teme
una cosa, chi ne teme un’altra, ciò che teme una persona quell’altra non
la teme affatto. Cosa significa temere qualche cosa? Temere che si
verifichi un evento indesiderato o sgradevole, ecc. Però, talvolta è da
considerare se le cose stanno proprio così, se questo evento è così
indesiderato, così sgradito. Potrebbe non esserlo, tant’è che in
moltissimi casi il non accorgersi che la linea che divide il timore di
qualcosa dal desiderare che questo qualcosa si verifichi è sottilissima.
Questo non accorgersi induce, pur temendo qualche cosa, a fare in modo che
si verifichi. Faccio un esempio banalissimo, supponiamo che una certa
persona tema di essere abbandonata da qualcuno, perché lo teme? Perché
qualcuno lo ha abbandonato? Questo è successo a chiunque un sacco di
volte, non per questo lo teme, sa che è un’eventualità, niente di più, non
costruisce la propria esistenza a partire da questa eventualità, cioè di
essere abbandonato, perché dunque lo teme così fortemente? Non solo, ma si
accorge che poi di fatto avviene sempre nonostante affermi di non volerlo.
Se ci riflettiamo un momento non possiamo non considerare che questo
pensiero è sempre presente. Ora, nessuno glielo ha ordinato, nessuno
glielo ha chiesto di pensare una cosa del genere, perché lo fa? Come se
non potesse non pensarci continuamente, eppure di fatto non avrebbe in
teoria nessun motivo di pensare una cosa del genere, non più di chiunque
altro, però questa persona ci pensa ininterrottamente,come se questi
pensieri esercitassero una sorta di attrazione fatale, non può non
pensarci.
Ora, che cosa distingue una cosa del genere dal desiderio? Come ciascuno
sa il desiderio è qualcosa che muove verso una certa direzione, muove i
pensieri, l’agire, il fare. Anche in questo caso questa persona è mossa in
quella direzione, visto come abbiamo detto che nessuno la obbliga a fare
una cosa del genere. Ciò che la muove in quella direzione sono comunque
dei pensieri che ha costruito lui, nessun altro, cioè si costruisce una
serie di pensieri dopodiché li ritiene veri, assolutamente veri. Non solo
li ritiene assolutamente veri ma si affeziona a questi pensieri e si
immagina immediatamente tutto ciò che accade o accadrà nel momento in cui
sarà abbandonata. Si costruisce una scena, questa scena che si costruisce
non è del tutto indifferente o marginale, è importante, molto importante,
perché questa scena che si è costruita è esattamente ciò che porrà in atto
prima o poi, farà di tutto perché si realizzi. Come mai? Beh, non è
difficile rispondere a questa domanda. Quand’è che una persona fa di tutto
perché una cosa si realizzi? Comunemente, si dice che lo fa quando la
desidera fortemente e allora si adopera in quella direzione perché si
verifichi ciò che desidera. Nel caso di questa persona di cui dicevamo
avviene esattamente la stessa cosa, si muove, si adopera con
determinazione, con metodo, perché si verifichi quella scena che afferma
di temere. Però, non possiamo non considerare che, visto che nessuno lo
costringe ad andare in quella direzione e che questa scena è costruita dai
suoi pensieri, allora se l’ha costruita avrà dei buoni motivi per averlo
fatto. Quali?
Perché una persona va a vedere un film, va a teatro, a un concerto? Perché
è una cosa che gli piace, invece nel nostro caso continua a dire che
questa cosa non la vuole, che la teme, nonostante stiamo dicendo che
nessuno la obbliga, che questa scena è stata costruita da lui senza che
nessuno glielo abbia mai chiesto. E allora ecco che interviene un elemento
che è fondamentale, che è quello che distingue, che separa tutto ciò che
desidero da ciò che temo. Questo elemento possiamo chiamarlo
responsabilità. Nel primo caso io mi assumo la responsabilità di andare a
vedere un film, nel secondo caso no, è come se subissi questo evento che
io ho creato, che io mi attendo, che nessuno mi ha costretto a pensare.
Quindi, nel primo caso lo desidero, nel secondo lo subisco, il primo lo
agisco, il secondo lo subisco.
Ora, a questo punto un aspetto del lavoro analitico, è anche quello di
porre la persona nelle condizioni di potere considerare che ciò che
costruisce i suoi pensieri, le sue parole, gli appartiene, non appartiene
ad altri né ad eventi esterni imponderabili. Questo timore non è altro che
la costruzione di una scena che lui si attende, che desidera, ma della
quale non può accogliere la responsabilità perché se la accogliesse non
potrebbe più goderne. Per questo motivo molto semplice, che se immagino
per esempio una cosa che mi fa soffrire e la attribuisco al mio desiderio
allora ne sono responsabile ed essendone responsabile posso cessare di
farlo. Non solo, potendo cessare di farlo perde buona parte della sua
attrattiva, della sua forza, del suo fascino. Se invece continuo a pensare
di subirla ecco che allora tutto funziona perfettamente, posso soffrire
dicendo che non voglio quella cosa, magari anche lamentandomene, mentre se
sono io ad agirla lamentarmene diventa più complicato. Tutto questo per
porre una questione rispetto a ciò che comunemente si costruisce, queste
scene, queste fantasie, si costruisce la scena più terrificante che si
possa immaginare, se l’è costruita, l’ha fatto perché ha un tornaconto,
direbbe Freud. Il tornaconto è poterne godere, esattamente così come
avviene quando uno va a vedersi un film, magari uno di quei film che fanno
paura oppure fanno piangere, ci va lo stesso, non è che perché fa piangere
lo scarta a priori, anzi molte volte è proprio questo il motivo per cui lo
sceglie, perché fa soffrire e soffrirà. Ma se noi a questa sofferenza che,
come dice la parola stessa è subita, fornissimo l’occasione di accorgersi
che anziché subita è agita, e cioè che sono io che voglio soffrire, la
questione cambia, se voglio posso anche soffrire ma ne sono responsabile,
posso fare questo come qualunque altra cosa però ne sono responsabile e
questo comporta il fatto che non posso esimermi dal confrontarmi con
questa cosa, quantomeno chiedermi perché lo voglio fare, visto che lo
faccio, e soprattutto non posso dire di non volere farlo, ché sono io a
sapere di volerlo fare. La questione complicata in tutto questo è
compiere questa operazione, e cioè accorgersi che la propria sofferenza,
che il soffrire per una scena che si è costruita, che si immagina che
debba accadere, è una costruzione utilizzata a questo scopo, poter
soffrire.
L’altro problema è che se si toglie la sofferenza agli umani ci si crea un
sacco di nemici, perché è una cosa che detestano, nonostante se ne
lamentino; di fatto la cercano ininterrottamente e se non ce l’hanno se la
procurano, quindi non è un gesto popolare togliere e in alcuni casi è
vista così, come una minaccia, minacciare di togliere la sofferenza. Tant’è
che una volta una persona mi disse “ma se non soffro più che cosa
faccio?”. È una bella questione, la sofferenza è uno degli strumenti più
utilizzati per darsi da fare, per pensare, se non altro per toglierla di
mezzo, e quindi è un materiale vastissimo, inesauribile. Per esempio, la
felicità si presta molto meno, perché è un punto di arrivo e una volta
arrivati che si fa? È chiaro che la felicità quasi sempre è la meta ma è
una meta potremmo dire paradossale, con tutti gli inganni che sono stati
perpetrati negli ultimi duemila anni, il mondo migliore, i paradisi,
artificiali o naturali che siano, come dire “quando sarete arrivati lì
allora sarete felici”. È falso, assolutamente falso, però induce a
crederci per il solo fatto che dà alle persone una quantità enorme di
opportunità per darsi da fare, pensare, sognare, costruire, immaginare,
una serie di cose infinite e delle quali cose vivono. Ecco perché la
promessa del mondo migliore funziona sempre, tutte le religioni sono
fondate su questo, vivono di questo, se gli levate questo di sotto crolla
tutto. C’è sempre qualcosa da modificare, da cambiare, da migliorare, che
è anche legittimo, certo, però non ci si accorge talvolta che il
raggiungimento dell’obiettivo è catastrofico. Questo non significa che non
si debba avere obiettivi, è sufficiente sapere che questo obiettivo non è
niente altro che un rilancio della questione. Per questo la felicità, come
ciascuno sa, oltre che molto difficile da ottenere è anche molto
problematica perché spesso dopo comporta una sorta di depressione. La
sofferenza no, produce una quantità enorme di pensieri, sogni,
fantasticherie, di lavoro da fare, ed è per questo che gli umani la
cercano. Io non pongo la questione se facciano bene o facciano male, non
mi interessa minimamente, sto solo dicendo come funziona. Chi vuole
soffrire può farlo, non c’è nessuna controindicazione, non è proibito, se
invece non vuole farlo non lo faccia, è semplice. E così anche la gelosia,
che si ritiene subita, di fatto è agita, costruita, anche bene magari,
però è una costruzione della quale il costruttore occorre che sia
responsabile, poi può farlo oppure no.
Combattere la propria gelosia
Per combattere la propria gelosia occorre un duro lavoro interiore , non
basta dirselo.
Mi riferisco a un lavoro analitico, si tratta di capire perché una persona
ama costruire una scena del genere, a che scopo, da dove viene questa
necessità, cosa la muove in quella direzione. Finché non sa questo è
difficile che la gelosia scompaia. È come quando un bambino ha paura del
buio, si accende la luce mostrando che non c’è nessuno e il bambino si
tranquillizza, spegne la luce e lui ha di nuovo paura del buio. Funziona
allo stesso modo, cioè è qualcosa che siccome è temuto, e quindi a questo
punto potremmo dire desiderato, non abbandona questo pensiero, a meno che
non sia costretto a farlo da altri pensieri che intervengono e smontano
questa costruzione. In caso contrario, non la abbandonerà mai, così come
non si abbandona qualcosa che dà molto piacere o soddisfazione, non la si
abbandona per niente al mondo.
Il lavoro che si tratta di compiere è inizialmente questo, cominciare a
parlarne di questa cosa, parlandone ci si accorge delle connessioni con
altre fantasie, con tutto ciò che un poco alla volta ha costruito questa
scena perché ciò che importa, in questo caso specifico della gelosia, è la
scena finale, quella scena di abbandono, quella scena in cui ci si sente
abbandonati, traditi, ecc., oppure la fantasia che il proprio partner
possa fare con altri le stesse cose che faceva con me. Però, questa
costruzione, viene fatta ad hoc e l’obiettivo è il vivere questa scena
finale che è terribilissima, provoca una grande sofferenza, questa grande
sofferenza è l’obiettivo finale, esattamente ciò che si adopera per
vivere, per trovare, per esperire, per godere. Tant’è che, come dicevo
all’inizio, in molti casi poi si riesce in questa operazione,
effettivamente si raggiunge l’obiettivo, cioè ci si ritrova abbandonati,
con tutto ciò che questo comporta. Ora, la scena dell’abbandono si
configura per ciascuno in modo differente, non è per tutti la stessa cosa,
c’è sempre comunque, e questo è necessario che sia, l’idea che una cosa,
dalla quale dipende il mio benessere e la mia felicità, cessa di essere
presente, non c’è più, e quindi, se è quella la condizione per essere
felici, se quella non c’è più allora sono infelice. Accade che si possa
demandare a qualcuno la propria e assoluta felicità, è un’operazione
rischiosissima, perché l’altro non risponde ai nostri desideri, primo,
perché non li conosce; secondo, se anche li conoscesse, ciò che desidero
io per me significa una certa cosa, per l’altra persona significa
un’altra; terzo, occorre che lo voglia fare; quarto, occorre che lo sappia
fare. Insomma, ci sono un sacco di condizioni tutt’altro che semplici da
soddisfare perché si verifichi questo, e cioè che questa persona soddisfi
interamente il mio desiderio. C’è l’attesa che lo faccia, le relazioni
funzionano così generalmente, finché c’è questa attesa tutto fila liscio,
quando questa attesa viene disattesa ecco che c’è il contraccolpo, con
tutto ciò che ne segue. Certo, una questione di notevole interesse è
proprio questa, perché si tende a compiere questa operazione, cioè
immaginare che una certa persona, non soltanto una persona ma anche
un’idea, debba soddisfare tutte le mie richieste, cioè darmi quella
pienezza, quella realizzazione totale e assoluta che talvolta gli umani
cercano. Perché avviene una cosa del genere, che cosa mi induce a pensare
questo?
C’è ancora da aggiungere che la causa, cioè tutte le varie connessioni che
la tengono in piedi, non sono sufficienti. Occorre anche si assuma la
responsabilità, che compia questo passo in più, non è una scena che può
capitarmi tra capo e collo ma è esattamente ciò che desidero che succeda.
A questo punto, lei cessa immediatamente di avere questa necessità di
soffrire e siccome la gelosia è uno strumento per soffrire allora cessa
anche di essere geloso.
I motivi principali che spingono le persone ad essere gelose sono la paura
dell’abbandono, la paura che qualcuno soffra, la paura che possano
succedere cose terribili, ecc. Non è che sia insicura, semplicemente
elabora un modo più congeniale per avere la possibilità di soffrire, la
gelosia è uno di questi strumenti, non è l’unico ma funziona esattamente
come tutti gli altri: ci si costruisce una scena che va a parare in una
cosa tremendissima e si continua a pensare a questa scena e più la si
pensa e più si soffre.
Due punti li abbiamo già individuati, uno è il cogliere che cosa l’ha
costruita, sono le connessioni, ciò che la sostiene; secondo,
l’assumersene la responsabilità inesorabilmente di ciò che si fa; terzo,
accorgersi che è una costruzione operata da linguaggio, al pari di
qualunque altra. Che una persona costruisca proposizioni terribili,
catastrofiche o tragiche, oppure tranquille, pacifiche o benevolenti, è
assolutamente indifferente. È un po’ come davanti a un computer, che lei
scriva cose terribili o cose bellissime, per il computer non cambia
granché. Stessa cosa per il linguaggio, il linguaggio deve soltanto
funzionare, ha questo unico obiettivo, proseguire se stesso.
In alcuni casi sì, certo, però sono pensieri in genere ben protetti,
perché uno non è che abbandoni facilmente una cosa che vuole, li difende
strenuamente, ciascuno difende la propria sofferenza con forza, tant’è che
se uno la sminuisce o la deride se ne ha a male. È come se fosse una cosa
importante e per lui lo è, è la fonte e l’occasione di un piacere
notevole, quindi la protegge da tutti i nemici.
In alcuni casi accade questo, certo, soprattutto quando all’origine, per
così dire, c’è la tentazione di farlo fuori, e allora sì lo proteggo, ma
lo proteggo da me. Capita che una persona sia sempre molto preoccupata per
un’altra, “mi raccomando, fai molta attenzione quando attraversi la strada
perché una macchina ti può investire” oppure “ci sono i banditi per
strada”, oppure “può succederti un sacco di malanni”. Sì, è una
possibilità, certo, come qualunque altra, però questa costruzione viene
fatta perché c’è effettivamente una minaccia presente ma non da parte dei
banditi o delle macchine, ma da parte mia e allora lo difendo da me. È un
po’ come fa la mafia: “adesso devi darci la tangente così ti proteggiamo”,
l’altro dice che non ha nemici, “ci siamo noi se non ci paghi”. Funziona
esattamente così; sì, certo, la mafia lo fa in modo più esplicito, le
persone lo fanno in modo più implicito, più nascosto, però la struttura è
la stessa.
È possibile che accada una cosa del genere, che in qualche modo qualcuno
si accorga che l’altro vuole questo e che glielo fornisca. In molti casi è
così, una fanciulla cerca di scatenare una gelosia nel proprio uomo al
solo scopo di interessarlo, immaginando che a lui interessi una cosa del
genere, che poi sia vero o falso questa è un’altra questione, però
l’intendimento è questo, in questo caso è funzionale, serve a qualche
cosa, serve a farlo interessare, il più delle volte è così. Però, questo è
un discorso ancora diverso, la funzione che ha all’interno di una
relazione, al pari di qualunque cosa può essere utilizzata. Adesso mi
riferivo a un aspetto più semplice, cioè al fatto di accorgersi di provare
una fortissima gelosia per una persona senza sapere perché e senza nessun
motivo. Semplicemente, costruisce questa scena terribile alla quale pensa
continuamente. Si può anche fingere di essere gelosi ma questo è un
discorso diverso.
AFORISMI
V'è una passione profondamente radicata nella sessualità, e che è
esasperata dall'età: la gelosia.
Beauvoir, Simone
Spesso, la gelosia non è che un presentimento.
Gervaso, Roberto
La gelosia è un misto d'amore, d'odio, d'avarizia e d'orgoglio.
Karr, Alphonse
La gelosia è un abbaiare di cani che attira i ladri.
Kraus, Karl
Nella gelosia c'è più egoismo che amore.
La gelosia è il più grande di tutti i mali e quello che ispira meno pietà
alle persone che la provocano.
La Rochefoucauld, François
Gelosia, infinita incertezza di sé.
Rossanda, Rossana
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