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documento della Direzione Nazionale dei Democratici di sinistra
 
LA FINANZA PUBBLICA


Le promesse
Questo è probabilmente l’unico capitolo sul quale la destra non ha mai enunciato mirabolanti risultati. L’unica cosa che ha spesso ripetuto è l’impegno a rispettare i vincoli europei, cosa, peraltro, obbligatoria e ovvia.

Le ragioni di questa scarsa attenzione al capitolo “finanza pubblica” da parte della destra possono essere molteplici:

Il risanamento – definito “straordinario” dai partner europei – era stato già realizzato dal centrosinistra;
La contraddittorietà fra una prudente gestione del bilancio e le promesse di elargizioni necessarie per conquistare il consenso;

La consapevolezza che il governo della destra avrebbe comunque cercato di gestire i conti nel modo più disinvolto;

Lo scarso appeal dell’argomento presso la generalità dell’elettorato di riferimento

Oltre a tutto ciò, probabilmente, occorre mettere in conto una dose di oggettiva incompetenza e di conseguente disinteresse su questa materia diffusa tra gli uomini della destra.

Nel repertorio degli annunci della destra, va comunque ricordata la grottesca campagna sul presunto “buco” lasciato dai governi precedenti. Indicato prima nella cifra di 60.000 miliardi di lire, poi passato a 25.000, poi dichiarato a 35.000, poi, secondo un comunicato emesso dal ministero dell’Economia, del tutto scomparso, come, del resto, era risultato inesistente al vaglio dei conti pubblici della Commissione europea. Adesso, con il crescere dei malumori per le promesse mancate, di tanto in tanto esponenti del governo tornano a parlarne, ma non si accorgono di essere in contraddizione con se stessi. Il comunicato del ministero dell’economia emesso il primo marzo scorso all’indomani della pubblicazione del dato Istat sullo scostamento del risultato 2001 nel rapporto indebitamento netto/Pil rispetto alle previsioni, infatti, recitava:

Lo scostamento per 0,3, relativo alla previsione 1,1%, è essenzialmente dovuto ai seguenti fattori: 1) accelerazione straordinaria, operata negli ultimi tre mesi del 2001, delle spese di investimento in cofinanziamento con fondi strutturali Ue, a chiusura del Programma Comunitario del Mezzogiorno 94-99 e accelerazione del nuovo Programma 2000-2006; 2) Scostamento della crescita del Pil, rispetto alle previsioni (1,8 invece di 2%); 3) impatto sul 2001 della correzione operata sul 2000

Il “buco”, dunque, non c’entrava niente e non c’era: era – e resta – solamente un argomento di propaganda per giustificare le inadempienze e i ritardi rispetto alle promesse pronunciate davanti al Paese con inconsapevolezza della realtà dei conti (o con vera e propria scelta di non tenerla in considerazione).

In ogni modo, un impegno c’era, come si è detto: rispettare i vincoli europei. In sintesi: 0,5% nel rapporto indebitamento/Pil nel 2002, pareggio di bilancio e stock del debito al 100% del Pil nel 2003.


I fatti
Il fatto più recente riguarda il debito. E’ di questi giorni l’indicazione Bankitalia sulla crescita record del debito pubblico. L’elemento che suscita preoccupazione non è tanto la crescita nominale (che è fisiologica) quanto la sua dimensione percentuale: 3,6%, vale a dire più o meno uguale alla crescita nominale del Pil. Questo significa che se l’andamento del debito dovesse essere costante in ragione d’anno, alla fine del 2002 il rapporto fra stock del debito e Pil avrebbe interrotto la sua graduale discesa, come vogliono gli impegni europei.

Ma i fatti che suscitano allarme per il potenziale peggioramento dei conti in essi implici, sono numerosi: norme senza copertura, sovrastime delle entrate e dei risparmi programmati, sottostime delle spese, mancanza di poste per la copertura di impegni assunti o in corso di assunzione. Per fare un solo esempio, fra i tanti possibili, l’adeguamento del contributo italiano per i Paesi in via di sviluppo alla media europea, a cui il Paese è chiamato entro il 2006 e che lo stesso presidente del Consiglio ha recentemente confermato di voler realizzare, costerà circa 5.000 miliardi, ma non se ne ha traccia nelle poste di bilancio.

Infine, la certezza oramai acquisita di una crescita del Pil inferiore alla stima di 2,3 indicata dal governo avrà come conseguenza inevitabile una proporzionale riduzione delle entrate: se la crescita sarà dell’1,4 (come dicono le previsioni internazionali più favorevoli), mancheranno all’appello 5 miliardi di euro, vale a dire quasi 10.000 miliardi di vecchie lire.

A ciò vanno aggiunti i 3.600 milioni (7.000 miliardi di lire) del costo previsto per la “Tremonti bis”, che è privo di copertura, i mancati proventi dell’emersione che non sta avvenendo, i costi dell’abolizione dell’imposta di successione (300 milioni) e della tassa sulle insegne (400 milioni), nonché i legittimi dubbi su una misteriosa posta indicata dal governo come “effetti di trascinamento di provvedimenti assunti nel 2001” cifrata per 2.580 miliardi che non si capisce da che cosa debbano scaturire.

Anche lo “scudo fiscale”, peraltro, avrà effetti di dubbio valore: chi ne avrà usufruito potrà contare sulla comoda regolarizzazione della propria posizione, ma da quanto risulta a tutt’oggi la motivazione principale addotta dal governo – cioè quella di rendere l’Italia più attrattiva per l’impiego di capitali – si sta rivelando del tutto falsa: i dati della bilancia dei pagamenti di febbraio, infatti, indicavano un rientro di circa 7 miliardi di euro, a fronte dei quali però si registrava un’eguale somma di circa 7 miliardi di euro in uscita. In altre parole, al rientro di capitali farebbe riscontro una tendenza al deflusso che, essendo oramai vigente la libertà di circolazione, non può trovare altro freno se non l’attrattività degli investimenti. Attrattività che, evidentemente, il nuovo governo non sembra in grado di creare.

Il recente dato comunicato dalla Banca d’Italia sul forte calo delle entrate tributarie del primo trimestre 2002, come è noto (e come i governi di centrosinistra furono ripetutamente chiamati a spiegare ogni volta che, alle stesse comunicazioni di Bankitalia, corrispondeva un furibondo attacco dell’opposizione delle destre), non può essere considerato indicativo del reale andamento del gettito. Tuttavia, questo dato, letto insieme alle preoccupazioni sopra indicate e in un clima che sembra diffondersi sempre più favorevole ad una ripresa dell’evasione fiscale, potrebbe essere sintomo di una tendenza preoccupante.

Alle preoccupazioni sempre più incalzanti per la tenuta dei conti pubblici, del resto, il governo ha cercato di reagire con la micromanovra delle scorse settimane che, in ogni modo, resta lontana dal risolvere il problema. Perciò appare molto fondato il timore che la creazione delle due nuove S.p.a. del Tesoro (“Patrimonio S.p.a.” e “Infrastrutture S.p.a.”) sia stata escogitata per predisporre un meccanismo capace di consentire la collocazione fuori bilancio di quote di debito pubblico. Si tratta, peraltro, di un’iniziativa che ha suscitato diffuse perplessità e preoccupazioni, esposte anche dal presidente della Corte dei Conti nella sua audizione in Parlamento.

Tutto ciò, in presenza anche di un cattivo andamento della spesa sanitaria, rende l’obiettivo di rapporto deficit/Pil allo 0,5% come del tutto inattendibile. La stima dell’Ue – che è molto preoccupata – indica l’1.3. Un recente rapporto del Centro Studi “Nuova Economia Nuova Società” segnalava un rischio del 2,1%.

Né la situazione è destinata a migliorare nel 2003: anche per quell’anno le previsioni dell’Ue sono molto peggiori delle stime del governo (-1,3 invece del pareggio al quale l’Italia è impegnata), e bisogna poi considerare che un peggior risultato nel 2002 pesa inevitabilmente sull’anno successivo (il rischio segnalato dal “Nens” segnala addirittura il 2,3).

In conclusione, in base ai dati e alle norme fino ad oggi varate, si possono formulare le seguenti osservazioni:

Lo stato dei conti pubblici appare precario e i risultati per l’anno in corso e per quello successivo sembrano destinati, in assenza di adeguati interventi, a mancare gli obiettivi e gli impegni comunitari, riportando la finanza pubblica a situazioni di disordine dalle quali con tanta fatica il Paese era finalmente riuscito a liberarsi;

Lo stato dei conti pubblici non consente di reperire le risorse necessarie per mantenere le molte promesse fatte agli italiani. Di conseguenza quelle promesse sono destinate ad essere disattese o – come è il caso degli sgravi fiscali – mantenute solo in parte marginale e secondo le stesse linee già indicate e imboccate dal centrosinistra che prevedevano, infatti, sia l’innalzamento della quota di reddito esente sia la riduzione del carico tributario sui redditi più bassi;

Mancano le risorse per onorare impegni già assunti o in via di assunzione, come i nuovi contratti per il pubblico impiego e quelli, prossimi, della scuola;

A fronte di questa situazione, esistono evidenti segnali di tentativi di ricorrere ad operazioni di cosiddetta “finanza creativa” che in realtà nasconderebbero operazioni di cosmesi contabile inevitabilmente destinate ad essere smascherate e bocciate in sede europea, esponendo il Paese ad una ulteriore perdita di prestigio e alle pesanti ammende che vi sarebbero connesse.


  documento della Direzione Nazionale dei Democratici di sinistra

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