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Aulularia Atto I Testo Aulularia Atto II Testo Aulularia Atto III Testo Aulularia Atto IV Testo Aulularia Atto V Testo

Aulularia Trad. Atto I Aulularia Trad. Atto II Aulularia Trad. AttoIII Aulularia Trad. Atto IV Aulularia Trad. Atto V

 

                  

                                             Aulularia  Atto III

                                                Traduzione


CONGRIONE
CONGRIONE (esce correndo dalla casa di Euclione)
Largo! Pista! Cittadini, popolani, gente di qui, gente di campagna,
forestieri, tutti quanti voi, fatemi largo perché io possa fuggire. Le
piazze, tutte quante, sgombratele, tutte! No, non c'ero mai stato, io,
prima d'oggi, a fare il cuoco alle baccanti, in mezzo a un baccanale! O
povero me! Ci hanno coperto di legnate, me e i miei aiutanti. Sono tutto
un dolore. No, sono morto. E così quel vecchiaccio mi ha preso per una
palestra. Ahimè, per Ercole, ahimè! Sono morto, povero me. Si riapre il
baccanale, mi corre dietro, è qui! Ma so io come regolarmi. Me l'ha
insegnato lui, il maestro. Mai vista mai, da nessuna parte, una provvista
di legna così ricca, che ci ha sbattuto fuori tutti quanti, me e questi
qui, carichi di legnate.

EUCLIONE CONGRIONE
EUCLIONE (compare sulla porta, esce)
Torna qui! Ma dove scappi adesso? Pigliatelo, fermatelo!
CONGRIONE
Pazzo, perché gridi?
EUCLIONE
Perché io denuncio ai triumviri il tuo nome, e subito.
CONGRIONE
Perché?
EUCLIONE
Perché tu hai in mano un coltello.
CONGRIONE
Deve avercelo, un cuoco.
EUCLIONE
Perché mi hai minacciato?
CONGRIONE
Ho sbagliato. Sì, perché non ti ho bucato la pancia.
EUCLIONE
Peggiore di te, fra i vivi, non c'è nessuno, oggigiorno. Nessuno cui farei
del male con più gusto.
CONGRIONE
Per Polluce, anche se stai zitto, la faccenda è scoperchiata. I fatti
parlano. Perché io, causa le tue bastonate, mi son fatto più floscio di un
frocio. Ma tu, razza di morto di fame, che ragione hai di lisciarmi?
EUCLIONE
Ragione? Forse perché ho fatto meno di quel che era giusto fare?
CONGRIONE
Per Polluce, mollami, o tanto peggio per te, se questa mia testa è ancora
in grado di ragionare.
EUCLIONE
Per Polluce, non lo so, io, che cosa succederà dopo: per ora la tua testa
è in grado di ragionare. Ma tu, in casa mia, che ci stavi a fare in mia
assenza e senza l'ordine mio? È questo che voglio sapere.
CONGRIONE
Allora sta' zitto. Perché noi siamo venuti per le nozze, a cucinare.
EUCLIONE
Ma a te, farabutto, che te ne frega se mangio crudo o cotto? Sarai mica il
mio tutore?
CONGRIONE
Voglio saperlo: permetti o non permetti che noi prepariamo la cena da te?
EUCLIONE
E io voglio sapere se la roba di casa mia si salverà.
CONGRIONE
Magari potessi portarla via intera, la mia roba che ho portato qui. Non
m'importa d'altro. La roba tua non la voglio.
EUCLIONE
So tutto, io, non parlare, ho già capito.
CONGRIONE
Ma perché ci impedisci di cuocere la cena in casa tua? Che abbiamo fatto,
che abbiamo detto che ti possa dispiacere?
EUCLIONE
E lo domandi pure, mascalzone? Voi ficcate il naso in tutti gli angoli, in
tutti i buchi di casa mia. Se tu fossi rimasto al posto tuo, accanto al
fuoco, mica te ne andresti con la testa rotta. Hai avuto quel che
meritavi. Perché tu possa conoscere, da subito, la mia sentenza, eccola:
se ti avvicini a questa porta senza l'ordine mio, io ti riduco come il più
disgraziato dei mortali. E ora conosci la mia sentenza.
CONGRIONE
Ma dove vai? Torna indietro. Poi, che la dea dei ladri mi protegga, se non
mi fai ridare le mie stoviglie, io ti combino, proprio qui dinanzi a casa
tua, un grandissimo casino. (Euclione intanto è rientrato in casa sua.) E
adesso che faccio? Per Polluce, sono arrivato qui sotto cattiva stella. Mi
hanno ingaggiato per un nummo; ora dovrò spender di più per farmi curare
dal medico.

EUCLIONE CONGRIONE
EUCLIONE (esce di casa con la pentola nascosta sotto la veste)
Per Ercole, dovunque io vada, questa resterà insieme con me, con me la
porterò, mica permetterò che resti qui in mezzo a tanti pericoli. (Rivolto
al cuoco) Voi, entrate pur dentro, tutti quanti, cuochi e flautiste. Fa'
entrare, se ti gira, pure una mandria di servi. Cucinate, sgobbate,
muovetevi come vi pare.
CONGRIONE
Alla buonora! Dopo che col bastone mi hai riempito di buchi la capoccia!
EUCLIONE
Va' dentro. L'opera vostra, non le vostre chiacchiere, è stata presa in
affitto.
CONGRIONE
Ehi, vecchio, ti chiederò la paga anche per le bastonate! Sono stato
ingaggiato, io, per cucinare, non per farmi bastonare.
EUCLIONE
Fammi causa ma non rompere. Va', prepara la cena: oppure vattene via da
questa casa e fatti mettere in croce.
CONGRIONE
Vacci tu invece! (Entra in casa insieme con i suoi aiutanti.)

EUCLIONE
EUCLIONE
Se ne è andato. Dèi immortali, in che rischio di affare si caccia il
povero che si mette a trattare con il ricco... Megadoro, per esempio, mi
attacca in cento modi, povero me. I cuochi, lui, ha fatto finta di
mandarli in onor mio, e invece no, lui voleva che mi svaligiassero, povero
me. Degno di lui è il mio gallo. Ma sì, il gallo del peculio della
vecchia, che per un pelo non mi ha rovinato. Questa pentola mia era stata
appena seppellita che lui, con le sue unghiacce, si mette a raspare
tutt'intorno. C'è bisogno di dirlo? M'infurio di brutto, afferro un
bastone e giù, via la testa a quel ladro pescato sul fatto. Per Polluce,
sono convinto che i cuochi, al gallo, gli avevano promesso un bel
compenso, se scopriva il segreto. Gli ho strappato l'elsa dalle mani. Che
altro dire? Fu la guerra del gallo gallinaceo. Ma eccolo qui, Megadoro, il
mio genero. Se ne ritorna dal foro. No, non posso più ignorarlo, bisogna
che lo fermi, che gli parli.

MEGADORO EUCLIONE
MEGADORO (tra sé)
Ho parlato con molti amici del mio proposito di sposarmi. Dicono un gran
bene, loro, della figlia di Euclione; dicono che sono stato saggio e l'ho
pensata bene. È certo: se anche gli altri facessero come me, sposando le
figlie dei più poveri, portandosele a casa senza dote, in città ci sarebbe
più concordia, e quanto! Noi ricchi saremmo meno invidiati, le nostre
mogli avrebbero maggior timore di comportarsi male, e noi, spenderemmo
meno di quel che ora spendiamo. Tutto questo va bene, benissimo, per la
maggioranza. Il contrasto sarebbe con quei pochi spilorci che sono così
avidi e insaziabili che neppure la legge e il calzolaio possono prendergli
le misure. Qualcuno potrebbe dire: «E le donne ricche, quelle con la dote,
con chi si sposeranno, se per le povere si fa una legge come questa?».
Be', sposino chi gli pare, purché la dote non le segua. Se le cose
andassero così, le donne cercherebbero di aver miglior costume, da portare
in dote, altro che la dote di adesso. I muli, che costano più dei cavalli,
io li farei calar di prezzo, a buon mercato più che i ronzini della
Gallia.
EUCLIONE (a parte)
Dio come l'ascolto volentieri quest'uomo! Il suo discorso sul risparmio è
proprio bello!
MEGADORO
Nessuna donna si azzarderebbe più a dire: «Io, a te, ti ho portato una
dote che val più del tuo patrimonio; perciò è giusto che mi vengan
regalati porpora e gioielli, serve, muli e mulattieri, valletti e
messaggeri, e carrozze che mi portino in giro».
EUCLIONE
Come conosce bene gli usi delle dame, lui! Vorrei che lo nominassero
prefetto dei costumi delle donne.
MEGADORO
Oggi come oggi, dovunque tu vada, vedi più vetture in città che in
campagna, quando ti rechi in villa. Ma son rose e fiori al confronto di
quel che ti fanno spendere. Eccoli lì: lavandaio, ricamatore, orefice,
lanaiolo. E poi e poi: trafficanti in trine e camicie, tintori in
arancione e violetto e giallo; sarti per le tuniche con le maniche;
profumieri e venditori di biancheria; calzolai e scarpari e ciabattini;
fabbricanti di sandali e di tessuti specialissimi. Eccoli lì, tutti!
Eccoli lì. I lavandai bussano a denari, battono cassa i sarti. E arrivano
quelli dei busti insieme con quelli delle cinture. Tu credi di averli
liquidati, se ne vanno, ma subito ti assaltano in trecento, mentre già
premono nell'atrio, con la borsa in mano, tessitori, merlettai e
stipettari. Li fai entrare, li paghi sull'unghia, pensi di aver finito,
invece no, irrompono tintori in zafferano, qualche canchero ancora, tutti
a pretendere qualcosa.
EUCLIONE
Vorrei chiamarlo ma non vorrei che smettesse di lodare i costumi delle
donne. Be', per ora lascio che continui.
MEGADORO
Appena li hai pagati, quei venditori di bagatelle, ecco che ti sbuca fuori
un soldato che vuole la sua parte. Tu corri dal banchiere, fai i conti con
lui e intanto il soldato se ne sta lì a pancia vuota e aspetta la pecunia.
Però, alla fine dei conti, risulta che sei tu in debito con il banchiere.
Le speranze del soldato vengono rimandate a un altro giorno. Queste sono,
queste e tante altre, le gioie che ti dà una ricca dote. Queste sono le
spese che ti schiacciano. La donna, se non ci ha la dote, sta sotto il
potere del marito; se ce l'ha, lo sistema e l'accoppa, il maritino... Ma
eccolo là, dinanzi a casa, il suocero mio... Che stai facendo, Euclione?

EUCLIONE MEGADORO
EUCLIONE
Il tuo ragionamento, l'ho ascoltato proprio con piacere.
MEGADORO
L'hai ascoltato?
EUCLIONE
Dal principio alla fine.
MEGADORO
Però, se mi è lecito dirlo, tu dovresti cercare di essere un poco più
elegante per il matrimonio di tua figlia.
EUCLIONE
Eleganza secondo l'avere, decoro secondo il potere: chi se ne sta alla
regola è fedele all'origine sua. No, Megadoro, nella casa dei poveri non
c'è nulla di più di quel che ci si può aspettare.
MEGADORO
Avete quel che vi basta, però. Vogliano gli dèi che sia sempre così e che
salvaguardino sempre meglio tutto ciò che hai.
EUCLIONE (tra sé)
Mica mi piace quel «tutto ciò che hai». Lui lo sa, come lo so io, ciò che
ho. La vecchia ha parlato!
MEGADORO
Ma perché solo soletto ti allontani dal senato?
EUCLIONE
Mi stavo preparando ad accusarti, per Polluce! E a giusto titolo.
MEGADORO
Che c'è?
EUCLIONE
E me lo domandi? Tu mi hai riempito la casa, in ogni pertugio, di un
branco di ladroni, povero me. Tu ci hai infilato cinquecento cuochi,
ciascuno con sei mani, al modo di Gerione. A sorvegliarli tutti, non ci
riuscirebbe nemmeno quell'Argo che era tutt'occhi, al quale Giunone affidò
una volta la custodia di Io. E poi quella flautista: mi prosciugherebbe la
fonte Pirena di Corinto, se mai buttasse vino. Quanto alle provviste...
MEGADORO
Per Polluce, quelle basterebbero ad un esercito. Ti ho mandato pure un
agnello.
EUCLIONE
L'agnello? Sono certo che in tutto il mondo non esiste animale più curione
di quello.
MEGADORO
Un agnello curione? Vorrei sapere cos'è.
EUCLIONE
Tutto quanto pelle e ossa perché le cure l'hanno macerato. Alla luce del
sole gli puoi vedere le budella, pure da vivo. È trasparente come una
lanterna punica.
MEGADORO
L'ho comperato per mangiarlo.
EUCLIONE
Per portarlo al cimitero, dovevi. Perché io lo vedo già morto.
MEGADORO
Euclione, oggi voglio brindare con te.
EUCLIONE
Per Ercole, non ci sto.
MEGADORO
Da casa mia ti farò portare un barile di vin vecchio.
EUCLIONE
Per Ercole, no. Ho deciso di bere solo acqua.
MEGADORO
Hai deciso di bere solo acqua? E io, se vivo, ti ridurrò ubriaco fradicio.
EUCLIONE (tra sé)
Lo so io a che cosa mira. Mi stronca col vino e si apre la strada, dopo di
che la roba mia cambia indirizzo. Ma io starò in guardia, io, l'andrò a
seppellire fuori casa. Farò in modo che la sua fatica ed il suo vino
vadano in malora tutti insieme.
MEGADORO
Be', hai altro da dirmi? Io vado a lavarmi per il sacrificio. (Si
allontana.)
EUCLIONE
Per Polluce, pentola mia, ce ne hai di nemici, tu e l'oro che ti è
affidato. Adesso, per me, la cosa giusta è portarti via, carissima
pentola, là, nel tempio di Buona Fede. Ti nasconderò nel modo più sicuro.
Tu mi conosci, Fede, ed io conosco te. Bada bene, ti prego: non cambiare
il tuo nome, poi che ti affido questo bene. Corro da te, Fede, confidando
nella tua fedeltà.


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Ultimo aggiornamento: 21-03-05.