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Aulularia Atto I Testo Aulularia Atto II Testo Aulularia Atto III Testo Aulularia Atto IV Testo Aulularia Atto V Testo

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                                       Aulularia Prologo e Atto I

                                                 Traduzione


PERSONAGGI


GENIO DELLA FAMIGLIA: PROLOGO
EUCLIONE VECCHIO
STAFILA VECCHIA SERVA
EUNOMIA MATRONA
MEGADORO VECCHIO
STROBILO SERVO di Megadoro
CONGRIONE CUOCO
ANTRACE CUOCO
PITODICO SERVO di Megadoro
LICONIDE GIOVANE
SERVO DI LICONIDE
FEDRIA FANCIULLA, figlia di Euclione
FLAUTISTE (Frigia e Eleusio, personaggi muti)

La scena è ad Atene.
Presenta due case, quella di Euclione e quella di Megadoro; in mezzo, più
indietro, il tempio della Buona Fede.

ARGOMENTO I


Euclione, un vecchio avaro, a stento credendo ai suoi occhi, ha trovato
una pentola con un grande tesoro, la quale era stata seppellita in casa
sua. Egli stesso di nuovo la sotterra, e profondamente, e su di essa
veglia quasi folle per l'ansia. La figlia del vecchio viene violata dal
giovane Liconide. Nel frattempo il vecchio Megadoro, che la sorella ha
indotto a prender moglie, chiede in sposa la ragazza. Il vecchio testardo
concede a gran fatica il suo consenso e intanto, nel timore che la pentola
gli venga rubata, la porta fuori di casa e la nasconde via via in luoghi
diversi. Lo spia e lo sorprende uno schiavo di Liconide, il seduttore
della ragazza. Lo stesso Liconide convince lo zio Megadoro a concedergli
la giovane, di cui è innamorato.
Euclione, che a tradimento era stato privato della pentola, insperatamente
la ritrova e, tutto contento, concede la figlia a Liconide.

ARGOMENTO II


Ansiosamente veglia il vecchio Euclione
sulla pentola piena d'oro che
Un giorno casualmente ha rinvenuto.
Un giovane, Liconide, ha violato
La figlia di Euclione. Megadoro,
che vuol prenderla in moglie senza dote,
Una cena promette, e lauta, per
ottenere dal padre il suo consenso.
La pentola nasconde fuor di casa
nel timore di perder l'oro, Euclione.
A spiarlo c'è un servo di Liconide,
il seduttore. Il servo vede tutto:
Ruba quindi la pentola dell'oro.
Ma il giovane Liconide, che sa,
Informa della cosa il vecchio Euclione.
E questi finalmente si decide:
Al giovane concede ed oro e figlia
e il bambino da questa generato.

PROLOGO


IL GENIO DELLA FAMIGLIA
GENIO
Non state a domandarvi chi sono: ve lo dirò in due parole. Sono il Genio
della casa da cui mi avete visto uscire. Da molti anni la posseggo, la
casa, e la proteggo, per il padre e il nonno di quegli che ora la abita.
Ma suo nonno, un giorno, con tante preghiere e in gran segreto, mi affidò
un tesoro: lo seppellì al centro del focolare e mi supplicò di
conservarglielo. E lui, poi, quando venne a morte, avaraccio com'era, non
volle confidare la faccenda nemmeno a suo figlio, e preferì lasciarlo in
povertà piuttosto che informarlo dell'esistenza del tesoro. Gli lasciò
soltanto un po' di terra sulla quale sgobbare duramente per cavarne un
tozzo di pane. Quando poi morì quello che mi aveva affidato l'oro, io mi
diedi ad osservare se il figlio mostrasse per me maggior riguardo che suo
padre. Ma lui, lui si curava sempre meno di me e mi onorava meno che mai.
E allora io lo ripagai con la stessa moneta, sinché tirò le cuoia. Lasciò
peraltro un figlio, quello che ora abita la casa, un tipo di spilorcio tal
quale suo padre e suo nonno. Ha una figlia, una sola, la quale, tutti i
giorni dell'anno, mi prega sacrificando incenso, o vino, o altro, e
offrendomi ghirlande. È merito suo se ho consentito a suo padre, Euclione,
di scoprire il tesoro, al fine che possa trovarle, se crede, più
facilmente uno sposo. Sì, perché un giovanotto, intanto, uno di nobile
famiglia, ha trovato il modo di sedurla. Lo sa, il giovanotto, chi sia la
ragazza che ha sedotto, ma lei ignora chi sia lui. Suo padre, poi, non sa
nulla di nulla. Cosa farò io oggi? Farò sì che un vecchio, e cioè il
vicino di casa, la domandi in sposa. E farò così proprio perché arrivi a
chiederla come moglie il giovanotto che l'ha sverginata. Già: il vecchio
che la chiederà in moglie è lo zio di quel giovanotto che se l'è posseduta
una notte, durante la veglia di Cerere.
Ma sentilo, il vecchiardo Euclione, come strilla là dentro, al suo solito
modo. Vuol sbattere fuori la vecchia schiava perché non abbia a fiutar
qualcosa. Ho idea che voglia contemplarselo, il suo oro, nel timore che
qualcuno glielo abbia fregato.

ATTO I


EUCLIONE STAFILA
EUCLIONE (esce di casa spingendo fuori Stafila)
Vattene, ti dico. Fuori di qui, e subito. Per Ercole, devi scomparire, tu,
brutta ficcanaso dagli occhi che esplorano dappertutto.
STAFILA
Perché mi maltratti, me disgraziata?
EUCLIONE
Perché tu sia disgraziata e te la passi male, la vecchiaia, proprio come
meriti.
STAFILA
Ma perché mi hai buttato fuori di casa?
EUCLIONE
E dovrei anche dirtelo, messe di staffilate? Scostati dalla porta! Ma
guarda come cammina, guardala. Ma non lo sai, tu, che cosa ti aspetta? Per
Ercole, se oggi mi capita per le mani qualcosa come un bastone, come una
frusta, te lo faccio smuovere, io, quel passo da tartaruga.
STAFILA
Perché gli dèi non mi danno il coraggio di impiccarmi piuttosto che
servirti come uno straccio?
EUCLIONE
Mugugna anche, per conto suo, la scellerata. Ma io te li strapperò questi
occhi, carogna, così non potrai più spiare quel che faccio. Tirati più
indietro... più indietro... più... Ecco, fermati lì. Per Ercole, se ti
muovi di lì per lo spazio di un dito e l'orlo di un'unghia, se ti volti a
guardare prima che te lo comandi, io ti insegnerò subito a cosa serve una
croce. No, non l'ho mai vista, ne sono certo, una carogna più carogna di
questa vecchiaccia; e io ci ho anche fifa, io, che non riesca a fregarmi
mentre sono distratto, e arrivi a capire dov'è nascosto il testoro. Perché
lei, la vigliacca, ha gli occhi anche dietro la testa. Vado a vedere,
adesso, se c'è ancora, l'oro, là dove l'ho nascosto, l'oro che mi tormenta
in tutti i modi, povero me. (Rientra in casa.)
STAFILA
Per Castore, non so che dire, non riesco proprio ad immaginare che
accidenti gli ha preso, al mio padrone, o che razza di pazzia. Povera me,
è così che mi sbatte fuori di casa, dieci volte in un giorno. Non lo so
davvero, per Polluce, che razza di smanie lo prendano. Sta su di notte,
sveglio, ma di giorno, per tutto il giorno, se ne sta chiuso in casa, a
sedere, come un calzolaio zoppo. E io come riesco, nemmeno riesco a
immaginarlo, a tenerla nascosta la vergogna di sua figlia, che ormai è
vicina a partorire... Ho paura che per me non ci sia di meglio che
trasformarmi in una i lunga, con una bella corda intorno al collo.

EUCLIONE STAFILA
EUCLIONE (uscendo di casa, tra sé)
Adesso sì che posso uscir di casa, finalmente, col cuore leggero, poi che
ho visto che là dentro tutto è a posto. (A Stafila) Tu, torna subito in
casa, e fa' la guardia.
STAFILA
E come no? Farò la guardia? Perché non ti portino via la casa? Perché da
noi, per i ladri, non c'è niente da fregare, se non il vuoto e le
ragnatele.
EUCLIONE
Strano, neh, che Giove non faccia di me, per amor tuo, un re come Filippo,
come Dario, razza di avvelenatrice. Le ragnatele? Io me le voglio
conservare. Sì, lo confesso, sono povero, e porto pazienza, perché io
prendo quel che gli dèi mi danno. Va' dentro, tu, e sbarra la porta.
Presto sarò di ritorno. Attenta a non far entrare in casa degli estranei.
Qualcuno potrebbe chiederti del fuoco e allora io ordino che il fuoco sia
spento. Così non c'è ragione che qualcuno si attenti a chiederlo. Se trovo
il fuoco acceso, io spengo te. E subito... E se qualcuno chiedesse
dell'acqua, digli che è scolata via. E quelle cose che i vicini stan
sempre a chiedere in prestito - coltello, scure, pestello, mortaio... - tu
digli che son venuti i ladri e l'hanno rubate. Insomma, in casa mia, in
mia assenza, voglio che tu non faccia entrare nessuno. Anzi ti do un altro
ordine, questo: non far entrare nemmeno la Buona Fortuna, se mai capitasse
in questi paraggi.
STAFILA
La Buona Fortuna in casa nostra? Per Polluce, credo proprio che se ne
guardi. Perché non si è mai avvicinata, lei, a casa nostra, anche se poi
non sta mica lontana.
EUCLIONE
Zitta, tu, e vattene in casa.
STAFILA
Taccio e vado.
EUCLIONE
Attenta a chiuder bene la porta, con tutti e due i catenacci. Io, tra
poco, sarò qui. (Stafila entra in casa.)
EUCLIONE
Che gran dispiacere, per me, dovermi allontanare da casa. Mi allontano
proprio a malincuore. Però so bene quel che debbo fare. Perché il capo
della nostra curia ha annunciato che distribuirà danaro a ciascun membro.
Se non ci vado, se ci rinuncio, subito tutti, penso, sospetteranno che io
ci abbia in casa un tesoro. Ecché è verosimile che un morto di fame se ne
infischi dei soldi, per pochi che siano, e non chieda nulla di nulla?
Anche adesso, che faccio di tutto perché nessuno sappia, sembra che tutti
sappiano, e tutti son più cortesi di prima nel salutarmi, e mi vengono
incontro, si fermano, mi stringon la mano, mi chiedono tutti come sto,
cosa faccio, che combino. Suvvia, vado dove occorre che vada; e poi, più
presto che posso, me ne ritornerò a casa mia. (Esce in direzione del
foro.)


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Ultimo aggiornamento: 21-03-05.