la mia isba
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m.mucchietto@libero.it

 

 

5 - La mia isba

Raggiungemmo una località prestabilita, a soli 7 km dalla linea del fronte. Era una borgata, per così dire, d'isbe, che davano inizio ad un esteso avvallamento, dove un fiumiciattolo, con le sue acque, era di mezzo a disegnare un puzzle di stagni nei quali si specchiavano gli sterpi insecchiti del canneto. Incaricato dei servizi logistici, scelsi la parte alta della zona, da dove la vista poteva dominare tutta la valle. Tutte le isbe erano disabitate;  la gente infatti era fuggita o riparava in altre località in quanto la zona, essendo a ridosso del fronte, ne era strategicamente interessata.

Avevo scelto per me l'abitazione di una "zinca", una signora che per l'età assomigliava molto a mia madre. Viveva e tirava a campare, assistita dalla figlia di qualche anno più vecchia di me. Si chiamava Fiegna: era una ragazza di poche parole, una vera cosacca, scaltra, che andava e veniva e non si sapeva cosa facesse.

Mi vedeva rientrare la sera e andarmene di mattino. Ci tenevo molto a conversare con la giovane, a rendermi utile col portare qualche cosa da mangiare e cercavo il più possibile di non essere invadente. Ogni qual volta la donna mi vedeva, bestemmiava alla guerra ed era sempre a dire: "ma perché, così giovane, ti hanno mandato a fare la guerra, questa guerra….."

Lo spazio che occupavo in quella casa era un paio di metri, la lettiera. Consisteva in un rialzo nel retro del camino che, come usanza locale, figurava al centro della casa e  consentiva di scaldarci al tiepido calore proveniente dal focolare e da quella specie di forno al di sotto della lettiera. Una stuoia di molti colori serviva da materasso sul quale si dormiva vestiti. Il fuoco era poca cosa. Era alimentato da pani di torba, rozzi, semplici manufatti di risorsa locale che indicavano tutta la povertà del posto. Nonostante tutto, era funzionale e bastava per sopravvivere. Infatti i giorni grigi, ventosi avevano già cominciato a far sentire il freddo gelido di provenienza siberiana.

A dicembre la situazione climatica era già molto difficile: il freddo ci costringeva a tapparci fra le fragili pareti di paglia e di fango di terra e i soldati al fronte erano tappati nei bunker sotto terra come talpe. Ero a conoscenza che i reparti in linea, nei mesi d'ottobre e novembre avevano lavorato sodo nel costituire tre capisaldi di difesa ed erano battezzati cifratamente con le ultime lettere dell'alfabeto. Il caposaldo Z era il più avanzato, collegato agli altri, non meno importanti. Lo spirito che correva in tutti era d'ottimismo ed appartenere alla Pasubio era un orgoglio. Il valore di questa Divisione era conosciuto attraverso i bollettini di guerra sia italiani che tedeschi.

I giorni si alternavano con il nevischio e con il vento della Siberia che a fasi alterne spazzava la nuvolaglia ed il pulviscolo terroso ghiacciato della terra veniva schiaffeggiato in faccia, come tanti aghi pungenti, che ferivano nella carne viva . . .