episodi della lotta
partigiana
1) Le forze in campo (Anno 1943, Anno 1944, Anno
1945.
2) La
battaglia del Monte Rovaio.
3)
L’uccisione del Ten.Marco : una brutta storia.
5) L'attentato dei "Cappuccini"
7) L'attentato alla Rocca
Ariostesca
9) La
triste storia del Tenente Manfrini
11)
L'origine del movimento partigiano in Lunigiana e Garfagnana
13) I prigionieri inglesi in Garfagnana
14) L'incubo dei bombardamenti aerei
Le prime “bande” che si costituirono pressochè
spontaneamente in Garfagnana furono
bande di renitenti alla chiamata alle armi.
Esse furono:
I) - La banda di Campaiana.
Si trattava di un gruppo di studenti del Liceo “Machiavelli”
di Lucca che, insieme a un
loro professore, Carlo Del Bianco, fin da settembre 1943
si era portata in quella
località del comune di Villa Collemandina per sfuggire alla chiamata
alle armi. Pur non avendo mai
compiuto azioni militari, questa banda era anche armata.
Pare che le armi, solo armi
individuali, fossero state fornite dal
Tenente Giusti dei
carabinieri di Castelnuovo,
sollecitato in tal senso da un altro tenente dei carabinieri,
Magherini, che aveva
abbandonato il servizio e si era rifugiato a Pontecosi. Questa
banda, probabilmente la
prima che ebbe vita in Garfagnana, fu costantemente aiutata
da un gruppo di persone di
Castelnuovo, molte delle quali ritroveremo, poi, in
formazioni partigiane
costituitesi successivamente. La vita di questa banda fu breve
e si concluse,
probabilmente, allorchè il gruppo di sostenitori castelnovesi fu
arrestato nel gennaio 1944.
varie pubblicazioni si
ricavano i nomi di : Ezio Nari, Giuseppe Guidi, Bruno Valori,
Giuseppe Asara, Oscar Luigi
Calani (1), Silvano Lunardi, Sergio Rossi, Federico
De Cesari. La loro
attività fu di sostegno alla banda di Campaiana e di preparazione
per l’organizzazione del
futuro movimento partigiano. Alcuni di loro militeranno,
successivamente, in bande
partigiane operanti nella zona e due di loro (Valori e
De Cesari) perderanno la
vita nel 1944.
esponente, fungendo da
commissario politico, il maestro Livio Pedri, fu costituita,
all’inizio, semplicemente da
renitenti (giovani di leva o ex militari che avrebbero
dovuto ripresentarsi). E all’inizio,
secondo la testimonianza dello stesso Pedri, erano
anche pressochè senza armi.
Solo nel maggio 1944, come vedremo, si procurarono
le prime armi.
del 1944. Tuttavia già sul
finire del 1943 Leandro Puccetti, che
era studente universitario,
cominciò a prendere i primi
contatti e a progettare la costituzione del gruppo. E fu attivo
anche nell’aiuto ai prigionieri
di guerra fuggiti da un campo di concentramento del
modenese. Fra coloro che
beneficiarono del suo aiuto ci fu il futuro comandante della
“Divisione Lunense”, il
maggiore inglese Antony John Oldham, che lo ripagò rubandogli
la fidanzata.
Ospedale, manteneva i contatti con il C.L.N. lucchese e
trasportava anche, avventurosamente
nascoste, armi per la banda di Campaiana.
azioni offensive nei confronti dei tedeschi e degli
appartenente alla R.S.I. Nacquero anche
nuove bande e, infine, si tentò di dare una
organizzazione unitaria a tutto il movimento
partigiano non solo in Garfagnana ma anche nella
Lunigiana e nella zona di Massa, Carrara
e Sarzana.
Ed ecco le formazioni e la situazione nella
primavera che, con la bella stagione,
consentì
una migliore vita in montagna:
del
comune di Careggine) il Dott.Abdenago Coli, che esercitava la professione
medica
a Santa Maria del Giudice (LU), e, qui, dava vita alla formazione di una
“banda”,
utilizzando giovani renitenti ma anche tre o quattro ex ufficiali dell’ex
Regio
Esercito che non si erano ripresentati alle armi (erano i due fratelli
Franchi,
Bruno
Zerbini e, poco dopo, il Bertagni di Pieve Fosciana. Anche i castenuovesi
che
volevano fare questa scelta di campo accorsero a Careggine. La banda si
armò
e
si approvvigionò saccheggiando la casermetta della G.N.R. che si trovava
sul
Monte
Volsci e alcuni magazzini della Organizzazione Todt. Il Coli, dopo un
primo
periodo
in cui la comandò personalmente, affidò il comando della banda prima
e
per un brevissimo periodo al Ten. Bruno Zerbini, poi al Maggiore inglese
Antony
John
Oldham che aveva lasciato il Puccetti e il gruppo Valanga per unirsi alla
banda
di
Careggine. La banda fu una delle più attive fino allo scioglimento della
Divisione
Lunense,
nella quale era confluita, a fine novembre. Contava circa 250 o 260
uomini.
2) – La “banda”
di Borsigliana. Questa banda, della quale, oltre a gente del luogo,
facevano
parte elementi di Piazza al Serchio, di Sillano, di
Casciana nel comune di Camporgiano e
di Roggio nel comune di Vagli Sotto, si organizzò
meglio nella primavera (dopo un tentativo
fallito di confluire nella formazione di Pippo, alias
Manrico Ducceschi) e riuscì ad armarsi
recuperando nella caserma dei carabinieri di Piazza al
Serchio (con la complicità degli
stessi carabinieri) le armi che a fine aprile erano
state lanciate dagli americani ma intercettate
dalla G.N.R. Erano i primi giorni di maggio. Anche
questa banda fu molto attiva ma ebbe pure
delle vicende piuttosto torbide (partigiani di questa
stessa banda ne uccisero il capo Tenente
Marco, al secolo Giorgio Ferro, di Padova).
Sopravvisse e continuò ad operare anche dopo
lo scioglimento della divisione Lunense. Contava, forse, una cinquantina di
uomini.
3) – La
“banda” di Magliano. In aprile o poco prima si costituì intorno a due ufficiali
inglesi fuggiti dai campi di concentramento e
rifugiatisi a Castelletto nel comune di
Giuncugnano-Magliano, che avevano una radio con la
quale ottennero dagli americani
i primi lanci di armi. La sua storia è legata, più che
alle bande garfagnine, alla banda
della contigua Lunigiana comandata da un certo Marini,
detto Diavolo Nero.
Essa,
infatti, finì per operare come distaccamento di questa banda e si chiamò
“Distaccamento
Franchi” dal nome di un suo uomo fucilato dalla G.N.R. Contava
circa
40 uomini
4) – La banda di Minucciano e Gorfigliano.
Si costituì ai primi di Luglio 1944, anche
per
difendersi dalle continue scorribande dei partigiani versiliesi e massesi
che
venivano
a procurarsi cibo. Fu comandata dal maestro Benedetto Filippetti detto
Tenente
Lupo, che era stato segretario di Fascio fino al 25 luglio 1943. Essa è sempre
stata
computata fra le bande garfagnine, ma operò in stretto contatto con la banda
lunigianese
di Marini. Contava da 40 a 60 uomini.
5) – Il gruppo “Valanga”. Costituitosi
“sulla carta” fin dai primi mesi del 1944, salì in
montagna
in aprile o maggio. In giugno contava una trentina di uomini, che
salirono
poi
a una sessantina con l’arrivo di una trentina di emiliani fuggiti dalla
cosiddetta
“Repubblica
di Montefiorino” distrutta dai tedeschi a fine luglio. Anche questo gruppo
ricorse
al saccheggio dei magazzini Todt per approvvigionarsi e armarsi.
Beneficiò,
poi
dei lanci americani di armi, esplosivi, viveri e denaro. A fine agosto subì una
pesante
sconfitta.
Assediato sul Monte Rovaio dai tedeschi ebbe 19 morti fra cui il capo
Leandro
Puccetti
e fu disperso. Si riprese a fatica e a fine settembre passò il fronte e si
sciolse.
Alcuni
elementi continuarono a combattere nella “Compagnia C” aggregata alle
truppe
americane
della Divisione “Buffalo”.
Marini,
ci fu una riunione dei rappresentati di tutte le bande garfagnine e
lunigianesi
per
tentare di dare una struttura unitaria a tutto il movimento partigiano
retrostante
la
linea “Gotica” occidentale. Malgrado un pesante rastrellamento che interruppe
la
riunione,
la nuova struttura fu varata. Essa comprendeva tutte le bande garfagnine
e
lunigianesi e, in seguito, ebbe l’adesione anche della Brigata Muccini, che
contava
700
uomini e dei “Patrioti Apuani” capeggiati da un ex frate di nome Pietro Del
Giudice,
che
contava ben 1100 uomini.
La nuova unità costituita ebbe la seguente
struttura: Si articolò in quattro brigate:
la
I° fu la Brigata “Garfagnana” comandata dal Coli, forte di circa 350 uomini,
sede
Foce
di Careggine; la II° ebbe il comando a
Campocecina, sul crinale delle Apuane
fra
la montagna carrarese e la lunigiana. La comandò lo spezzino Contri ed
ebbe
500
uomini ; la III° fu la Brigata “La
Spezia”, fu comandata da Marini ed ebbe sede
a
Regnano in Lunigiana. Contava 350 uomini ; la IV fu , fu comandata da Bertolini
ed
ebbe
sede a Comano nel comune di Fivizzano. Contava
300 uomini. C’era, inoltre,
una
compagnia comando alle dirette dipendenze di Oldham, che aveva posto la
sede
del
comando di divisione sul Monte Tondo. Con la Brigata Muccini e i Patrioti
Apuani,
quindi,
la divisione contava circa 3400 uomini.
Ciascuna brigata, poi, era articolata
in
battaglioni. La brigata Garfagnana ne contava quattro, di circa 80 – 90
uomini
ciascuno.
Il
1° operava nel la parte Nord della valle ed era comandato da Filippetti. Esso
avrebbe
dovuto
comprendere anche la banda di Borsigliana che, però, non accettò mai di
buon
grado
la subordinazione. Gli altri tre erano ubicati nella zona di Careggine e
operavano
nella
parte sud. Erano comandati: il 2° dal Ten. Bruno Zerbini, il 3° dal Ten.
Giovan
Battista
Bertagni, il 4° da un certo Sabatini che pare fosse un sottufficiale.
Malgrado il tentativo di darsi una
organizzazione rigida di tipo militare, però, accadde
che
ogni banda mantenne una larghissima autonomia, per la necessità oggettiva
di
dare
risposte immediate a situazioni di emergenza, cosa che escludeva la
possibilità
di
poter attendere ordini dall’alto. Tuttavia il comando di Oldham fu riconosciuto
da
tutti
(Solo il “Valanga” non intese mai di appartenere alla divisione e mantenne la
sua
autonomia)
e le condanne a morte dei fascisti (ne furono inflitte quasi cento) furono
scrupolosamente
eseguite dalle varie bande. La
divisione fu sciolta da Oldham
il
28 novembre, dopo il fallito attacco alle spalle delle truppe della R.S.I.
che
combattevano
al fronte.
Anno 1945
partigiani garfagnini passò il fronte e si rifugiò
dagli alleati anglo-americani. Qualcuno,
addirittura, si presentò alle truppe della R.S.I.
profittando del perdono concesso ai renitenti
che si presentavano e fu arruolato nell’esercito della
R.S.I. Alcuni, però, non lo fecero e
rimasero nascosti per qualche tempo, dopo di che
tornarono ad operare. I gruppi che
operarono nel 1945 furono:
settembre,
fu sciolta dal comandante di battaglione Ten. Lupo. Ma, dopo breve tempo,
si
ricostituì e si chiamò “Gruppo Arditi Marco”. La comandava un certo Aldo
Pedri
detto
“Baffo”, che fu catturato e fucilato il 14 aprile, sei giorni prima della
ritirata delle
truppe
R.S.I. Il gruppo, comunque, operò fino all’ultimo, catturando e uccidendo
militari
isolati.
2) – Il “Distaccamento Dini” Si costituì
dopo la pausa invernale nella sona di Pontardeto
(Comune
di Pieve Fosciana) ed ebbe uomini che già avevano appartenuto alla banda
di
Careggine, specialmente del 3° battaglione di Bertagni. La sua principale
attività
consistè
nel convincere militari della R.S.I. a disertare e nell’accompagnarli oltre il
fronte,
consegnandoli
prigionieri nelle mani degli americani.
il
fronte insieme a quasi tutti gli uomini della sua banda, nella tarda primavera
(ultimi
giorni
di guerra) rientrò in Garfagnana e cercò di ricostituire almeno in parte la
banda.
Ma
fu catturato, si salvò avventurosamente e non fece a tempo a compiere
azioni
significative.
S.Antonio ove
erano accampati i partigiani del Gruppo Valanga. Una sentinella
partigiana
che stava a
Colle a Panestra, tale Gualtiero Montanari detto Tarzan, vide o udì la
pattuglia
e intimò
l'alt. Poi sparò e uccise un ufficiale tedesco, il Fw Rolf Bachmann (1). La
pattuglia
si ritirò.
Erano le 23,30.
A quel punto era chiaro che la cosa non
sarebbe rimasta senza conseguenze e ci sarebbe stata
reazione da
parte dei tedeschi. Si è discusso molto su ciò che può essere accaduto in
quelle ore.
E’
evidente che i partigiani si saranno posti il problema di cosa fare.
Pare, fra l'altro, che fossero assenti sia in
comandante Leandro Puccetti che il vice De Maria.
Avrebbero potuto abbandonare la zona e
rifugiarsi in altro luogo.
Oppure rimanere e attendere gli eventi. Ed è
ciò che fecero. Ma come maturò questa decisione ?
Qualcuno ha
ipotizzato che l'imperizia militare abbia fatto ritenere di poter sostenere
l'assalto
dei tedeschi.
Ma i 36 emiliani fuggiti da Montefiorino una certa esperienza dovevano
averla.
Altri, anche
su testimonianza di alcuni sopravvissuti, sostengono che la decisione di
rimanere
fu presa consapevolmente
per non lasciare nelle peste la popolazione civile su cui i tedeschi,
non trovando
i partigiani, avrebbero potuto sfogare la loro rabbia. Probabilmente c'è del
vero in
ciascuna
della due ipotesi. La figura del comandante Puccetti, giovane idealista, e
la
testimonianza
dei superstiti depone a favore della seconda ipotesi. Valiensi sostiene
questa
verità con
molto calore, sostenendo che il Gruppo Valanga si adoperò sempre per evitare
danni
alle
popolazioni. Ma il fatto che il gruppo
si fosse attestato sul monte Rovaio, facilmente
circondabile
e, quindi, praticamente senza possibilità di sganciamento, sembra avvalorare
anche
la prima
ipotesi e che essi ritenessero di poter resistere all'attacco tedesco. Forse il
recente
lancio di
armi e munizioni li fece sentire più forti di quanto non fossero. Avrebbero,
forse,
potuto
accettare il combattimento e, quindi, scagionare la popolazione, stando in
posizione più
favorevole e
garantendosi delle sicure vie di fuga ?
Non è facile dirlo e, comunque, si tratta,
forse, ormai, di congetture oziose.
Il giorno 28 trascorse tranquillo e
Puccetti, rientrato verso le 16, approvò la decisione presa
di rimanere
sul posto per evitare guai ai civili. Dopo il ritorno all'Alpe, in località Trescala
(ritorno
avvenuto dopo i fatti di Pania del 13 luglio) Puccetti aveva fatto costruire
quattro
postazioni
per mitragliatrici sul Monte Rovaio, che è un massiccio isolato a sud della
valle della
Turrite
e a nord del Monte Piglionico. La postazione "A" era al centro della
cresta del monte,
la
"B" (del Bovaio) all'estremità ovest, la "C" era al di
sotto della "A", nel versante sud
(verso il
Piglionico) e la "D", quella "del Gesù", all'estremità est,
sopra Colle a Panestra.
Fu nelle prime ore del 29 , esattamente alle
3,20, che si scatenò l'attacco tedesco (secondo
alcuni erano
presenti anche truppe della R.S.I. ma la notizia non è documentata.
Valiensi,
comunque,
afferma di aver visto truppe italiane in divisa grigioverde, probabilmente
militi della
G.N.R., che
attaccarono in una zona scoperta e che furono costrette a ritirarsi).
L'attacco
avvenne sia
da nord (i tedeschi risalirono dalla valle della Turrite Secca sottostante) che
da
sud (dalle
pendici del monte Piglionico ove erano giunti anche provenendo da Col di
Favilla).
Una parte degli uomini del Valanga (forse una
cinquantina) si era arroccata sulle quattro
postazioni,
armati la A e la D con Bren e Breda e dieci bombe a mano, la B e la C con la
Breda e
10 bombe a
mano. Bren e Breda avevano 1000 colpi ciascuno e ogni uomo aveva lo Sten. Pare
che
alcuni uomini
del gruppo, definiti poi "volponi", non salissero sul Rovaio. Essi
trovarono modo
di allontanarsi
e di sottrarsi al combattimento.
I primi proiettili di una mitragliera da 20
mm giunsero dalla parte di Col di Favilla, in un
paesaggio
spettrale illuminato dai "bengala". Poi entrarono in funzione altre
due mitragliere
dalla parte
opposta. Infine, all'alba, cominciò anche il fuoco di almeno un mortaio.
Trescala e
la postazione
B resistettero poco più di mezz'ora poi gli uomini salirono sulla cresta del
monte.
La situazione della postazione C, più bassa,
si fece presto critica e anche gli uomini di questa
postazione si
ritirarono sulla vetta del monte. Qui, disposti a piccoli gruppi, facendo fuoco
con
i fucili
mitragliatori Bren, con le mitragliatrici Breda da 6,5 mm e lanciando bombe a
mano, i
partigiani si
difesero strenuamente per alcune ore. Ma il monte era bersagliato con mortai
(pare
non si
trattasse di veri e propri mortai bensì di piccoli lanciabombe) e i tedeschi,
sia pur
lentamente,
continuavano a salire e a stringere il cerchio. Gli uomini continuavano a
cadere ad
uno ad uno e,
a un certo punto, i tedeschi raggiunsero la cresta dopo aver distrutto la
postazione D.
Allora fu chiaro che non era più possibile resistere.
Erano circa le ore 10 quando Puccetti lanciò
il "si salvi chi può" e i pochi superstiti
cercarono si
attraversare l'accerchiamento tedesco buttandosi in un canalone scosceso sul
lato
nord e
nascondendosi fra i cespugli. Molti morirono durante la fuga (mentre si
gettavano nel
canalone
erano sotto il fuoco delle mitragliere), uno, Sassi Renzo, pare si sia ucciso,
un altro,
Olivieri
Rubino, fu catturato e, pare, fucilato, ma di lui non si seppe più nulla.
Tuttavia
qualcuno si
salvò. Il Puccetti fu fra questi, ma aveva una grossa ferita all'addome. Un
partigiano
che si era
salvato con lui raggiunse un paese vicino e chiese aiuto. Alcuni uomini (o
forse
alcune donne)
andarono, raccolsero il Puccetti (ma era rimasto 36 ore nascosto in una grotta)
e
lo portarono
in una località presso Sassi detta "Taso", poi, sotto falso nome
(Pietro Marinari) e
falsa
diagnosi (peritonite generalizzata da probabile perforazione appendicolare), lo
portarono
all'Ospedale
di Castelnuovo. Ma non fu possibile salvarlo e il 3 settembre morì.
Il bilancio fu terribile. I morti partigiani
furono 18 più il Puccetti, circa un terzo del
gruppo (2).
Dei 19 caduti 9 appartenevano al gruppo degli emiliani, 3 erano meridionali
e
7 lucchesi.
Tutti si erano battuti con molto coraggio. E molti furono i feriti.
Non sono note le perdite tedesche ma pare che
qualcuno abbia visto diversi caduti portati a
valle dai
commilitoni mentre alcuni abitanti della zona assicurano che non ebbero
perdite. La
verità,
probabilmente, sta nel mezzo.
Fu questo l'episodio più sanguinoso e il
combattimento più impegnativo sostenuto dai partigiani
in
Garfagnana. E il gruppo "Valanga" visse un momento di grande
sbandamento. A fatica il già
vice-comandante
del gruppo, Mario De Maria, riuscì a riunire a Vergemoli alcuni
superstiti.
Comunque il
gruppo continuò ad esistere e ad operare.
Bachmann
basandosi sul fatto che nel Comune di Molazzana risulta la morte di questo
tedesco
in località Alpe
di S.Antonio e in data 27.8.44. Valiensi, però, assicura di aver letto
sul
piastrino e
sui documenti del tedesco morto il nome Hotzmann.
(2) Ecco il
nome dei caduti: Puccetti Leandro di Gallicano (LU), Bruni Ettore di
Castelfranco
Emilia, Sassi
Renzo di Modena, Bergamini Edoardo di Bomporto (MO), Bertoni Mario di Molazzana
(LU),
Borro
Giovanni di Barrafranca (Enna), Borsi Remo di Malalbergo (BO), Bucci Sergio di
Roma,
Cipriani
Pasquale di Vergemoli (LU), Davini Mario di S.Maria del Giudice (LU), Francesco
detto
il Napoletano
di Albanova (Caserta), Lorenzoni Renato di Anzola d'Emilia (BO), Olivieri
Rubino
di Zocca
(MO), Pierantoni Walter da Bologna, Pieroni Lauro di Molazzana (LU), Puccetti
Gabriele
di Gallicano
(LU), Rusticelli Aldo di S.Giovanni in Persiceto (BO), Tognoli Ferruccio
di
Malalbergo
(BO), Venturelli Mario di Molazzana (LU).
3)
L’uccisione del Ten. Marco : una brutta storia.
partigiani
tramite la maestra Satti che faceva scuola nella vicina Borsigliana e
manifestarono
l'intenzione di
disertare e di unirsi ai partigiani stessi. Fu fissato un appuntamento in
località
Bozzone, ove i tedeschi si sarebbero consegnati ai partigiani. Ma era una
trappola.
Giunti
all'appuntamento i tedeschi catturarono i partigiani che erano intervenuti, fra
cui un
certo Pio
Pedri. Pare che, a questo punto, i tedeschi abbiano preso contatto con i
parenti del
Pedri
promettendo la liberazione dei partigiani arrestati in cambio dell'uccisione
del Tenente
Marco (nome
di battaglia), che era un giovane ufficiale di 22 anni nato a Padova e
residente a
Mestre di
nome Giorgio Ferro e che era a capo della formazione.(1) Evidentemente
l'accordo fu
fatto e il 17
settembre Vittorio Pedri e Piero Landucci uccisero a colpi di pistola,
all'Alpe
di
Borsigliana, il povero Ferro e un suo amico di nome Carlo Ceccato. I tedeschi,
informati,
dovettero
essere accompagnati a vedere il corpo
degli uccisi e tutto questo traffico fece
svanire la
possibilità di attribuire ai tedeschi stessi la morte dei due, come era nelle
intenzioni.
Così stando le cose i due omicidi fuggirono a
nord con i tedeschi.
Il Ten. Lupo (Benedetto Filippetti), in
qualità di comandante del 1ª Battaglione
ordinò
ad Aldo Pedri, fratello di Vittorio, di consegnare i due, ma la cosa non
fu
possibile
per quanto detto sopra.
Allora
la banda di Borsigliana fu formalmente sciolta. In realtà i partigiani
che
la
componevano rimasero "alla macchia" e, dopo poco tempo, la banda fu
ricostituita
col
nome di Gruppo Arditi "Marco" e ne assunse il comando Aldo Pedri
(Baffo) insieme
ad
uno studente di Metello, Franco Mondini.
I tedeschi, intanto, avevano liberato i
partigiani catturati ad eccezione di Pio Pedri e
Giuseppe
Landucci, che erano stati catturati armati. Tuttavia i due non verranno uccisi,
come
era destino
di coloro che venivano catturati armati. Il Landucci riuscirà a fuggire mentre
il
Pedri verrà
condotto in Germania da dove ritornerà a guerra finita.
Vittorio Pedri (l'istigatore) e Piero
Landucci (l'esecutore materiale) verranno processati nel
1946 per
doppio omicidio e condannati a 26 anni di reclusione dal Tribunale di Lucca.
Ne
sconteranno
nove, poi saranno amnistiati. Questo episodio fece molta impressione e gettò
molto
discredito
sulla banda di Borsigliana e sul movimento partigiano in genere.
inviato
appositamente da qualcuno, oppure se sia giunto sulle orme dell’amico Ceccato
che
era impiegato
della Soc.Montecatini a Gramolazzo e che, dopo aver appartenuto a un
gruppuscolo
costituitosi
a Gorfigliano, passò nella banda di Borsigliana prima che vi giungesse il
Ferro.
Sembra, però,
che i partigiani di Borsigliana questo Ferro non lo abbiano mai accettato di
buon
grado.