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DEEPAK NAYYARLe regole della globalizzazione Nell’era della globalizzazione si parla di regole e condizioni. Allora è bene dire che attualmente ci sono regole diverse per sfere diverse: ad esempio vi è assoluta libertà di circolazione di capitali e freni invece alla mobilità del lavoro. Oppure i paesi sono obbligati ad aprire al massimo i mercati ma non è invece aperto loro il trasferimento tecnologico e il know how. La soluzione è di rendere omogenee le regole. Non solo. Le regole, poi, non valgono per tutti. I Paesi potenti infatti non le rispettano (ad esempio gli USA e il Regno Unito ricorrono spesso a misure unilaterali), mentre i Paesi deboli non possono ribellarsi, né difendersene. Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale impongono regole solo ai paesi debitori e sono regole che seguono l’interesse delle banche che hanno prestato i soldi. Le Istituzioni di Bretton Woods agiscono come cani da guardia per le banche. Occorre allora che le regole siano le stesse per tutti e che ci siano però delle flessibilità per garantire lo sviluppo. Come quando c’era il GATT a regolare le transazioni internazionali. Chi fa le nuove regole? L’incremento del livello di apertura per i mercati finanziari corrisponde al decremento del ruolo dei governi nei paesi più deboli. I diritti e la libertà degli investitori stranieri deve quindi avere come contrappeso degli obblighi ben precisi e delle severe regole anti-trust. L’insieme di queste regole danno comunque scarsa flessibilità e indipendenza nelle decisioni sullo sviluppo da parte dei governi di questi paesi. I diritti di proprietà intellettuale bloccano il loro sviluppo tecnologico, accordi simili al MAI rendono sempre più difficile la loro capacità di contrattazione. Il nuovo regime di globalizzazione ha delle regole ma sono unilaterali e non omogenee. Nelle conferenze internazionali se pensiamo di riformulare le regole, occorre che siano fatte dai paesi in via di sviluppo oltre che da quelli industrializzati. Occorre fare leggi simmetriche e applicabili ovunque. Non si tratta semplicemente di regole e di arbitri. Si tratta anche della condizione dei giocatori. Se alcuni giocatori non hanno le risorse e le capacità iniziali per mettersi in campo, non si tratta più di un gioco con delle regole, ma una passeggiata per i paesi industrializzati. I paesi deboli devono essere messi in grado di giocare. In certe sfere, poi, non ci sono regole. Per esempio le transazioni internazionale di capitali, la cui vorticosa circolazione condiziona i paesi a tenere alti i tassi di cambio e i tassi di interesse, con effetti negativi sull’economia reale e sull’occupazione sia nei paesi industrializzati sia in quelli in via di sviluppo. Una autorità finanziaria mondiale dovrebbe coordinare i movimenti finanziari e regolarne i flussi. Così come un quadro di regole multilaterali dovrebbe essere creato intorno alle leggi sull’immigrazione, basate su regole certe piuttosto che sulla discrezione dei singoli paesi. Il principio è quello di formulare regole internazionali che tengano in considerazione il livello di sviluppo e le specificità di ogni paesi, e diano anche l’opzione di tenersi fuori. La forza della globalizzazione è tale che il potere dei governi nazionali è ridotto e gli spazi sono presi da altri attori che non agiscono secondo comportamenti cooperativi. I risultati sono politiche ambientali insostenibili, sociali ed economiche sempre più fuori dal controllo. Il governo globale non è dunque un governo mondiale quanto una serie di regole e regolamenti che possono facilitare lo scambio e la crescita di tutti i paesi. |
2001 2000 |