Attenzione: Queste pagine appartenevano a "L'incontro". Non sono verificate dal 2001. Avendo subito perdite consistenti di dati, e soprattutto essendo ormai datate, possono contenere errori e non rispecchiare più il pensiero degli autori. Se sei l'autore di uno o più di questi contenuti contattami a jotis@iol.it   Politica Cultura Scienze  Società  Religione Psiche  Filosofia  Ambiente Arte  Cinema Sport Napoli Università Home

L’ANTAGONISMO GLOBALE

IL NUOVO (DIS)ORDINE MONDIALE

 

 

Si chiama WTO – Organizzazione Mondiale del Commercio.

di Nico Gibaldo


 

Il 29 novembre scorso si è tenuto il terzo meeting ministeriale del World Trade Organization (WTO), a Seattle, USA. I sostenitori del "free trade" hanno preparato un ricco menù per questo incontro; volevano imporre le loro regole in settori come l’alimentazione, l’agricoltura, i servizi sanitari, l’istruzione, i diritti di proprietà intellettuale sulle forme di vita.

L’insurrezione inscenata dai 40mila dimostranti contro il vertice del World Trade Organization – con replica poche settimane più tardi a Davos, in Svizzera – ha acquisito già valore simbolico, divenendo emblema di un nuovo, se possibile antagonismo sociale. E siccome la portata del "nemico" – il potere neocolonialista delle multinazionali – è planetaria, analoga dev’essere la scala su cui si misura chi lo combatte.

Questo è il sintomo della titanica mutazione in corso nei processi economici, fulcro della quale è la massima concentrazione dei capitali (caso più clamoroso, la recente fusione fra America On Line e Time Warner) associata al decentramento della produzione materiale, verso quei paesi dov’è ancora possibile lo sfruttamento intensivo della manodopera.

Del resto, tra i tycoons della nuova era non v’è motto più diffuso del classico "essere da nessuna parte per essere ovunque". Come delle razze aliene, Mc Donald’s e Nike sono aziende che non hanno radicamento in un territorio o in una comunità, qui sta la loro forza ma anche la loro vulnerabilità.

Ma cos’è e come opera il WTO?

Nato nel 1995, il WTO è l’organizzazione mondiale per il commercio che ha ottenuto in dote gli accordi scaturiti dalle varie trattative commerciali svoltesi nel corso degli anni dal 1947 (anno della prima versione del GATT, l’Accordo sulle tariffe e il Commercio) ad oggi.

Il WTO è l’organismo preposto a dirimere le questioni giuridiche fra nazioni, nell’ambito del commercio, e ad essere la sede ufficiale delle trattative mondiali. E’ uno degli strumenti principali della globalizzazione attuata dalle multinazionali. Anche se ufficialmente dichiara di basarsi sul "free trade", nei fatti, le oltre 700 pagine di regole che costituiscono gli accordi su cui si basa, creano un commercio regolato di fatto dalle multinazionali. Secondo il sistema gestito dal WTO l’efficienza economica, tradotta in profitti per le società, domina qualsiasi altro valore.

Qualcuno chiama questo modello neoliberismo, e lo riassume come: trascurare le regole ambientali, la salvaguardia dei diritti dei lavoratori e della salute pubblica in modo da fornire lavoro e materie prime a basso costo alle multinazionali.

Si sta rafforzando un sistema mondiale di regole che stabiliscono che le "corporation" hanno solo diritti, i governi hanno solo doveri… e la democrazia sta finendo nel cestino dei rifiuti. Ora le società transnazionali vogliono ancora di più, un nuovo "Millenium Round" di trattative per accelerare la corsa all’espansione pei poteri del WTO.

Le regole su cui si basa il WTO, si occupano di quello che in gergo si definiscono come barriere non doganali (non-tariff barriers to trade), in pratica leggi sanitarie, regolamenti sui prodotti, sistemi fiscali interni, politiche d’investimenti e qualsiasi altra legge di un paese che in qualche modo può influenzare il commercio di qualche prodotto. L’influenza del WTO nelle legislazioni interne si è fatta perciò pesante. Attualmente sono 134 i paesi che ne fanno parte e 33 sono osservatori.

Ufficialmente le decisioni sono prese per consenso ma nella pratica a tirare le fila sono Canada, Giappone, USA ed Unione Europea.

Il WTO permette a un paese di chiamarne in giudizio un altro accusandolo di violare le regole del commercio internazionale. Il Paese che perde la causa ha allora tre possibilità:

- cambiare le proprie leggi per adeguarsi alle regole WTO;

- pagare delle compensazioni permanenti al paese vincente;

- affrontare sanzioni commerciali.

Tutti gli accordi firmatari hanno in comune alcuni punti, fra i quali i più importanti sono:

1. Riduzione delle tasse doganali. Con l’eliminazione o la riduzione dei dazi doganali sui prodotti si riducono le spese di esportazione, creando al contempo, nuovi mercati ai produttori.

2. Trattamento di Nazione più favorita. Obbliga ogni Stato a trattare investitori e compagnie straniere allo stesso modo.

3. Eliminazione di quote restrittive. Proibisce l’uso di restrizioni all’import-export delle merci.

Il problema è che apparentemente possono sembrare dei buoni principi, ma calati nella realtà delineano un formidabile ambiente in cui la sovranità nazionale decade a favore delle società multinazionali che, grazie al loro potere, sono le uniche a poter sfruttare le nuove regole.

Gli Stati Uniti chiamarono in giudizio l’Unione Europea poiché questa aveva messo al bando le importazioni di carne trattata con ormoni. Risultato: nel 1998 il WTO ha accettato la tesi americana, intimando all’UE di eliminare il bando entro il 13 maggio 1999, e in seguito ha stabilito il valore delle sanzioni applicabili.

Riguardo all’etichettatura dei cibi, il WTO riconosce il Codex Alimentarius, un’agenzia al cui interno vi sono anche rappresentanti di multinazionali, come arbitro degli standard di sicurezza alimentare. Le regole dell’SPS (l’accordo riguardante gli standard sanitari e fitosanitari) restringono il diritto di un paese ad etichettare i prodotti con informazioni che possono interessare il consumatore, come il metodo di produzione o la presenza di organismi geneticamente manipolati.

Anche come dimostra questo caso, il diritto dei consumatori ad avere cibi sani e sistemi di allevamento più naturali sono stati ignorati.

Per quanto riguarda, poi, l’agribusiness secondo il WTO, la tesi è che un paese piuttosto che divenire autosufficiente deve poter acquistare tutto sul mercato internazionale pagando con i proventi delle sue esportazioni. Ma il problema è che i paesi meno sviluppati esportano per lo più materie prime i cui prezzi sono per lo più in calo. Negli ultimi quattro anni il prezzo dei prodotti agricoli è sceso sempre più mentre sono rimasti alti quelli dei prodotti "lavorati". Le regole vanno allora modificate per impedire le concentrazioni che stanno portando a condizioni di monopolio.

La Cargill ad esempio, controlla il 40% delle esportazioni di grano statunitense e un terzo dei semi di soia ( l’alimento principale ad essere geneticamente manipolato).

Le multinazionali, poi, accusano i governi di incoraggiare lo sviluppo locale restringendo le loro possibilità di accesso. La loro tesi è che in regime di concorrenza anche le piccole società miglioreranno i propri servizi (per sopravvivere). In realtà, anche attraverso mega accorpamenti di società, le multinazionali consolideranno il loro potere eliminando la competizione che predicano tanto.

 

DOPO SEATTLE: risposte per una strategia.

Dopo Seattle diventa possibile scorgere il vero orizzonte problematico del nostro tempo. Le soluzioni non verranno dalla politica, e neppure dall’agitazione dei movimenti antagonisti. Le soluzioni verranno dal processo di autoorganizzazione del sapere. La politica tradizionale non ha più alcuna efficacia, né potenza di trasformazione reale. Prima di tutto perché le forme tradizionali di azione politica sono del tutto incapaci di misurarsi con la dimensione transnazionale delle grandi aziende globali. La legge, che nell’era del capitalismo moderno aveva regolato e in qualche misura contenuto l’aggressività economica del capitale, ora non funziona più per la semplice ragione che la legge è fondata su un principio di sovranità nazionale, e i flussi di capitale si sono globalizzati, sfuggendo al controllo delle agenzie nazionali e delle legislazioni statali. Gli stati non sono più capaci di tenere sotto controllo i processi economici decisivi, i flussi di informazione e quelli finanziari, i processi di lavoro e di scambio. Da questa crisi della legge e della sovranità nazionale è nata l’esigenza di una legislazione sopranazionale, di cui la formazione di organismi globali per il commercio è un segnale. Per il momento i tentativi di legiferazione transnazionale non sono riusciti. Il fallimento del World Trade Organization è un segno delle difficoltà che il grande capitale multinazionale incontra nella creazione di organismi sopranazionali di controllo e di governo. Ma, allo stesso modo, le organizzazioni e i gruppi che si propongono di contrastare la prepotenza aggressiva delle multinazionali devono fare i conti con una dimensione nuova dell’agire politico.

Ma Seattle non si ripeterà per la semplice ragione che gli apparati repressivi di tutto il mondo sono all’erta, per cui la mobilitazione di piazza servirà soltanto a prendere legnate e rinfocolare una specie di masochismo sacrificale.

D’altra parte, nel movimento ambientalista e antiglobalista a vocazione verde ha cominciato a fiorire una letteratura utopica. Si tratta di proposte di creazione di organismi politici e finanziari fondati sul rispetto dell’ambiente e della vita umana, sulla solidarietà internazionale e lo scambio equo e solidale. Si tratta di progetti utopici quanto quelli di legiferazione internazionale del WTO o del MAI (Accordo Multilaterale sugli Investimenti). Di fronte alla globalizzazione economica tutte le volontà politiche sembrano ugualmente impotenti.

Cosa fare allora?

Si tratta di creare l’alternativa: un sistema economico fondamentalmente nuovo. L’economia attuale, fondata sulla distruzione delle risorse naturali, deve essere sostituita da un sistema economico basato sulle risorse naturali.

Il processo che si è messo in moto dopo Seattle è molto serio. Si tratta prima di tutto di un processo di acquisizione di informazioni e conoscenza del funzionamento globale del capitalismo ad alta tecnologia. Questo processo non può svolgersi attraverso gli organismi della politica tradizionale, i partiti e i sindacati, che possono al massimo difendere gli interessi dei loro aderenti su base nazionale. Solo la rete globale, e dunque Internet, può funzionare come luogo e strumento per questo processo di conoscenza e autoorganizzazione. Ne è prova un sito come Global Exchange (www.globalexchange.org), che fornisce informazioni, in inglese, su alcune situazioni in cui le aziende multinazionali americane o europee esercitano in paesi poveri lo sfruttamento schiavistico del lavoro e organizza campagne di opinione e azione contro le aziende responsabili.

Il compito che sta svolgendo Global Exchange è importantissimo: esso denuncia la disuguaglianza planetaria a partire dalla condizione del proletariato industriale di nuova formazione. Il salario globale si delinea all’orizzonte come un grande problema dell’epoca che verrà.

Oggi gli investimenti capitalistici si rivolgono verso i paesi poveri perché il costo del lavoro è enormemente più basso che nei paesi di tradizione operaia consolidata.

Ecco allora che l’unica forza sociale capace di rompere il potere delle multinazionali è quella parte della classe virtuale che matura una coscienza sociale alternativa. E’ una situazione del tutto nuova, quella in cui ci troviamo. La classe virtuale è quello strato sociale che non appartiene più al ciclo di lavoro industriale, ma che occupa un ruolo decisivo nel processo lavorativo globale, in quanto si trova proprio nel luogo da cui il processo di globalizzazione promana.

L’aspetto più significativo dei fatti di Seattle non è stata l’insurrezione di strada, bensì la predisposizione meticolosa di una rete di comunicazione che ha saputo coordinare decine di media indipendenti e infiltrare il media-system globale chiamando a raccolta, per la prima volta, l’interezza della virtual class planetaria, costringendola a prendere posizione su questioni che riguardano il futuro del sapere, della scienza, della tecnologia e della distribuzione delle risorse del pianeta.

La rivolta di strada è stata un’ottima e indispensabile cassa di risonanza, ma tentare di ripeterla significherebbe rimanere ostaggi di una visione antica del movimento. Seattle ha rappresentato in realtà il primo atto di convocazione dell’intelligenza collettiva planetaria in funzione anticapitalistica.

Questa è la strada da percorrere: l’autoorganizzazione in rete del lavoro cognito, dell’intelligenza produttiva e della comunicazione.

"Dobbiamo far rumore perché il silenzio serve solo a loro! Documentati e fai conoscere quello che sta succedendo al WTO, spiegando che non sono cose lontane dalla vita quotidiana, al contrario anche quello che mangiamo è influenzato direttamente dagli accordi stabiliti e regolati da questo organismo".

Pensare globalmente e agire localemente di Nico Gibaldo

Globalismo e Globalizzazione :Possiamo usare il termine globalizzazione per definire qualcosa di piuttosto simile ad un processo di colonizzazione esteso all'intero globo....

Il commercio equo e solidale: cos'è...un progetto di esempio in Georgia  a cura di Salvatore Pescatore

Convegno Mondiale "l'uomo e la città. per uno sviluppo umano e sostenibile" prof. Luigi Fusco Girard

Sviluppo sostenibile di Carlo Baroncelli

(dal convegno "regole per il nuovo millennio" PALAZZO DEI CONGRESSI DI FIRENZE 18-19-20 marzo 2000)

La globalizzazione economica, tecnologica, normativa di SAKIKO FUKUDA-PARR

Azzera il debito di ANN PETTIFOR : sono le idee che fanno marciare il mondo...

regole della globalizzazione DEEPAK NAYYAR

 

 

 

 

 

2001

Novembre

Ottobre

Settembre

Giugno

Maggio

Aprile

Marzo

Febbraio

Gennaio

2000

Dicembre

Novembre

Ottobre

Settembre

    Politica Cultura Scienze  Società  Religione Psiche  Filosofia  Ambiente Arte  Cinema Sport Napoli Università Home