1. ELIXIR

L'Alchimia dell'Elixir
Nei testi alchemici tradotti dall'arabo il prodotto dell'opus viene talvolta denominato elixir, termine la cui etimologia è incerta. Probabilmente deriva da una parola greca, che compare ad es. negli scritti di Zosimo ad indicare la polvere di proiezione, ovvero quella sostanza che tinge il metallo conferendogli le qualità sensibili dell'oro e realizzando così il fine della trasmutazione. La perfezione dei metalli, che si ottiene proiettando l'elixir, veicola tuttavia un'idea più ampia di perfezione della materia che nei testi ellenistici era stata talvolta considerata come metafora o strumento della salvezza spirituale, mentre nell'alchimia islamica era stata accostata ad idee di provenienza orientale, cinese (taoista) e/o indiana, sulla immortalità materiale, come ha mostrato nei suoi studi Joseph Needham. Il recupero di tutta l'ampiezza di significato di questo termine, enigmatico per gli alchimisti latini come molte delle altre parole-chiave dell'alchimia, avvenne lentamente. Infatti solo agli inizi del XIV secolo troviamo dei testi d'alchimia (in special modo quelli attribuiti a Raimondo Lullo e ad Arnaldo da Villanova) che esplicitamente mettono al centro della propria ricerca l'elixir, inteso come agente della perfezione materiale sia dei metalli che del corpo umano, in quanto capace di riequilibrare perfettamente la complessione di qualsiasi corpo elementare con cui viene posto a contatto. Fra le sostanze impiegate per ottenere l'elixir figurano, oltre ai metalli e ai minerali, materiali di origine organica, che già nel De anima in arte alchemiae dello Pseudo-Avicenna entravano nella sua composizione col nome di 'pietra animale' e 'pietra vegetale', assieme alla più ovvia 'pietra minerale'. Il Testamento di Morieno, del resto, diceva chiaramente che il lapis (altro termine con cui l'agente della trasmutazione viene definito nei testi) non è una pietra in senso letterale. Inoltre, l'oro stesso è utilizzato nella composizione dell'elixir come 'seme' della perfezione che dev'essere ottenuta in maniera intenzionale e in quantità illimitata, mentre in natura la sua presenza è scarsa e casuale. Per tutte queste ragioni l'idea di elixir viene a coincidere con quella di un farmaco perfettissimo, e la possibilità di ottenerlo si basa su due innovazioni nella pratica e nella dottrina alchemica che postulano la possibilità di un regresso alla materia prima più radicale di quello reso possibile dalle operazioni dell'alchimia metallurgica: da una parte la tecnica della distillazione, che si ritiene renda possibile scomporre i corpi materiali nei quattro elementi dell'origine; dall'altra la teoria della materia elaborata per la prima volta da Ruggero Bacone e ripresa dagli alchimisti del primo '300. Il confine fra la distillazione alchemia e le ricerche sull'uso faramcologico del distillato di vino, che si stavano diffondendo negli ambienti medici del tardo Duecento, è piuttosto fluttuante. La vera e propria fusione della distillazione farmacologica con la dottrina alchemica dell'elixir avvenne però solo ad opera di Giovanni da Rupescissa, che nel suo Liber de consideratione quintae essentiae (1351ca.) descrisse l'alcol del vino ed i modi per ottenerlo e per confezionare con esso medicine potentissime, fra cui l'oro potabile, dandogli il nome di quintessenza.

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di Michela Pereira
html di Francesco Di Pietro